David Diop: “Fratelli d’anima” (trad. Giovanni Bogliolo – Neri Pozza) – Guerra, follia e identità perduta, di Gigi Agnano

Durante la prima guerra mondiale, l’esercito francese arruolò nelle colonie circa duecentomila soldati da destinare al fronte europeo. “Fratelli d’anima“, dell’autore franco-senegalese David Diop, ci trascina nella mente tormentata di uno di questi giovani: Alfa Ndiaye, strappato dalla vita del suo villaggio rurale in Senegal e gettato negli orrori della guerra di trincea. Il titolo stesso dell’opera racchiude il nucleo della narrazione: il legame profondo tra due amici d’infanzia, Alfa e Mademba, un legame destinato a spezzarsi nelle trincee della Grande Guerra con conseguenze devastanti.

Il romanzo si apre con la brutale morte di Mademba Diop, il “più che fratello” di Alfa: durante un assalto, un soldato nemico lo sventra con una baionetta. Nella sua lunga agonia, disteso tra le braccia dell’amico, Mademba lo supplica tre volte di porre fine alle sue sofferenze. Alfa, paralizzato dal rispetto delle leggi ancestrali del suo villaggio, si rifiuta. Questa scelta, apparentemente morale, si rivelerà l’inizio del suo tormento interiore:

Non sono stato umano con Mademba, il mio più che fratello, il mio amico d’infanzia. Ho lasciato che fosse il dovere a imporre la mia scelta. Gli ho offerto soltanto dei cattivi pensieri, pensieri imposti dal dovere, pensieri raccomandati dal rispetto delle leggi umane, e non sono stato umano.

La morte dell’amico innesca in Alfa una trasformazione inquietante. Consumato dal desiderio di vendetta, sviluppa un macabro rituale: dopo ogni assalto, mentre i commilitoni rientrano nelle trincee, si intrufola al buio nelle linee nemiche e, fingendosi morto, uccide un soldato per mozzargli una mano con il machete.

Inizialmente i compagni celebrano il suo coraggio, trasformando questi trofei in un grottesco gioco. Ma dopo la terza mano, il terrore prende il sopravvento: Alfa viene considerato uno stregone, un dëmm, un portatore di sventure. Alla settima mano, il capitano lo allontana dalla prima linea, inviandolo all’ospedale militare.

È qui che la mente di Alfa sprofonda definitivamente nel delirio. Tra ricordi strazianti del villaggio natale e la desolante realtà dell’ospedale militare, il romanzo procede verso un finale enigmatico e perturbante, in cui realtà e allucinazione si confondono inestricabilmente.

Diop costruisce il suo racconto con una prosa essenziale e ipnotica, che riecheggia l’oralità della tradizione letteraria africana. La scelta linguistica riflette perfettamente lo spaesamento del protagonista: Alfa, che a malapena parla francese, si ritrova coinvolto in un conflitto tra potenze europee di cui non comprende le ragioni. Non a caso, i nemici vengono sempre descritti come “quelli dagli occhi azzurri”, mai come “tedeschi”, sottolineando l’estraneità del protagonista al mondo in cui è stato catapultato.

Il romanzo affronta temi universali – la guerra, l’amicizia, il senso di colpa – attraverso una prospettiva inedita: quella di un soldato coloniale, doppiamente estraneo alla guerra che combatte, sia come africano che come essere umano. Diop racconta magistralmente come la violenza della guerra possa dissolvere non solo la sanità mentale, ma anche l’identità culturale di chi la subisce.

Non sorprende che “Fratelli d’anima” abbia conquistato importanti riconoscimenti internazionali, tra cui lo Strega europeo, il Goncourt des Lycéens e l’International Booker Prize. È un’opera che arricchisce la letteratura di guerra con una voce originale e potente, offrendo uno sguardo nuovo sulla Grande Guerra attraverso gli occhi di chi fu costretto a combatterla senza comprenderne le ragioni.​​​​​​​​​​​​​​​​

Gigi Agnano

Napoletano, classe ’60, è l’ideatore e uno dei fondatori – il 15 ottobre 2023 – de “Il Randagio – Rivista letteraria“.

Barbara Kingsolver: “Demon Copperhead” (Neri Pozza, trad. Laura Prandino), di Valeria Jacobacci

Voluta e dichiarata l’allusione al David Copperfield di Dickens, in questo lungo romanzo, con l’ovvia differenza stilistica. E  guerra, anch’essa dichiarata, ai preconcetti, agli snobismi, alle incomprensioni, a ingiustizie e ostilità, più ancora che all’indifferenza, nei confronti di chi è debole in partenza, perché povero, oppure appartenente a una minoranza etnica o culturale o, anche (il caso del protagonista) un po’ tutte le cose insieme ed altre ancora, mali tipici dei nostri giorni. E al suo personaggio la Kingsolver, che con questo romanzo ha vinto il Premio Pulitzer 2023, non fa mancare proprio niente delle umane disgrazie. 

Un nome, quello dell’autrice, che a noi, non anglofoni e abituati alle traduzioni letterali e scolastiche, fa pensare a qualcuno che il “re” lo “scioglie” nell’acido. Ha un senso se il riferimento a un re ci porta a pensare a sudditi senza diritti o quasi. Sui nomi l’autrice indugia parecchio, il suo protagonista si chiama Copperhead, che vuol dire Testa di rame, il nome di un serpente, temibile ma tanto raro da essere leggendario.

    

A parte ciò, questo Pulitzer tocca temi attuali  e scottanti della società americana dei nostri tempi. 

La storia è ambientata nei Monti Appalachi, nella zona orientale dell’America del nord, che attraversano molti stati americani, e in parte anche il Canada, dalla Pennsylvania fino alla Georgia. Il nome Appalachi venne dato per la prima volta nel ‘500 dagli esploratori spagnoli, che da un villaggio indiano in Florida lo estesero all’intera zona montuosa, la tribù era Alpachen. 

Moltissimi film sono stati girati fra queste montagne, cosa che non ha reso la zona più ricca o turisticamente fortunata. Quello che la contraddistingue è un certo isolamento dalle grandi città e condizioni di vita piuttosto precarie. Ne fa le spese Damon, che racconta se stesso fin dal momento in cui è venuto al mondo.

La caratteristica di Demon (“demonio”) è di avere i capelli rossi e fluenti e incredibili occhi verdi, caratteristiche che ha ereditato dal giovane padre, morto per un incidente sulle rocce di un fiume in piena, mesi prima della sua nascita. Sono le particolari caratteristiche dei Melungeon, gruppo meticcio probabilmente formatosi da una colonia bianca mescolatasi con una tribù nativa, con successivi contributi afroamericani. Il motivo per cui  tali caratteristiche sono rimaste costanti  è l’isolamento delle regioni montuose, poco abitate e favorevoli a matrimoni fra parenti.

Demon è quindi Copperhead, Testa di rame, per il colore della sua chioma, ma anche per la somiglianza con l’astuto e invisibile serpente, è dotato infatti di una straordinaria forza di carattere che gli consentirà di sopravvivere a difficoltà e ingiustizie di ogni genere. La sua mamma è una diciottenne biondissima, timida e fragile, e irrimediabilmente drogata, che vive in una casa mobile ai limiti di un bosco.

I vicini di casa, e in qualche modo la sua unica e affettuosa famiglia, che lo accompagnerà nei pericolosi anni di un’infanzia da orfano, sono i Peggot, proprietari della casa mobile che ospita Damon e sua madre nei suoi primi sei anni di vita. Sono Mr e Mrs Peggot a raccogliere il neonato nel suo sacco amniotico, mentre la madre giace a terra incosciente, fra una bottiglia di vodka e i resti dell’Oxy, un medicinale che viene dato quasi gratuitamente per lenire il dolore ma ha tutti gli effetti di una droga.

A Demon sono accordati giorni felici fra i boschi, in compagnia dei figli e nipoti dei Peggot, Maggot, in particolare, uno strano ragazzino dai capelli lunghi, destinato a diventare sempre più strano crescendo, e zia June, che lo proteggerà per tutta la sua esistenza. Fin quando nella sua vita appare Stoner, il nuovo compagno della mamma che lo tormenta psicologicamente e lo malmena fisicamente.

Il dato saliente di questa narrazione è la voce narrante: Demon. Tutto passa attraverso di lui come un flusso di coscienza in uno slang che non deve essere stato facile tradurre. E’ un modo per entrare in un mondo saltando le descrizioni, il lettore vede, ascolta e riflette con la testa del protagonista, come se avesse una telecamera impiantata nel suo cervello. Da questa prospettiva assiste al funerale della madre, sfilano davanti ai suoi occhi le assistenti sociali che devono decidere della sua vita. E poi, fra alterne vicende, la grande delusione: i Peggot non possono adottarlo.

Incominciano le dickensiane avventure del piccolo orfano, da una fattoria dove è costretto a lavorare come un mulo, insieme a ragazzini dati in affidamento, in attesa di adozioni che non arriveranno mai, alla famiglia con quattro figli che spende i soldi del suo mantenimento facendogli patire la fame e costringendolo a lavorare. Alla fine, l’avventura delle avventure. Con una scatola di latta, contenente i risparmi messi faticosamente da parte, nascondendoli alle brame degli affidatari, scappa, una sera, diretto ad un paese vicino, dove sa che vive sua nonna paterna, mai conosciuta. Verrebbe  in mente il racconto di De Amicis, “Dagli Appennini alle Ande”, salvo che ormai alla crudeltà ottocentesca si è sostituito un cinismo contemporaneo, fatto di droghe e speculazioni moderne.

    

E’ un deciso cambio di prospettive quello che attende Demon alla fine di questo viaggio. Dopo essere stato derubato della preziosa scatola da una vecchia prostituta, riesce a trovare la casa di suo padre e, grazie alla somiglianza con lui, ad essere riconosciuto. Deve ringraziare la sua testa rossa e i suoi occhi verdi.

Non è tutto. La nonna lo affida a un vecchio amico, il coach di football della scuola dove il nipote sarà iscritto. La sua diventa la vita di uno studente americano delle scuole medie, abita in una grande casa, ha cibo, abiti e un’amica: Angus. Colmo del lieto fine, diventa un idolo del football della scuola, assicurando alla sua squadra una vittoria dietro l’altra. 

Ma stiamo parlando di un romanzo di seicentocinquanta pagine e la storia non finisce qui. Un giorno un giocatore della squadra avversaria lo atterra e lo riempie di botte, sotto la massa di corpi che lo sovrasta Demon sente spezzarsi un ginocchio, che non potrà più guarire. 

La musica cambia e la fortuna fa un’altra giravolta.

Proprio quando tutto va meglio tutto va anche peggio. E’ la storia delle droghe immesse fra i montanari in modo subdolo da chi le produce.

Zia June è infermiera e sa come vanno queste cose: nella valle non c’è lavoro, la gente disperata ha poco da fare, sono montanari, presi in giro per il loro accento nelle città, nipoti di minatori che lavoravano in miniere ormai chiuse da tempo, gente che non ha più un’identità. La droga costa poco, gli affari si fanno con lo spaccio facile perché tutti i giovani si drogano e diventano a loro volta spacciatori. Il primo passo si fa negli ospedali, con ricette facili che provocano assuefazione agli antidolorifici.

Non sto raccontando tutta la trama. C’è altro. 

Dory, una ragazzetta esile, affaccendata nel curare un padre di cui è unica figlia non è da meno. 

Il ginocchio dolorante e inguaribile, la perdita del ruolo di star nella squadra di football e Dory segneranno la vita di Demon. Chi legge scoprirà come.

     

Sono evidenti le tematiche di fondo di questo libro premiato per la sua attualità.

Ormai  i veri derelitti ed emarginati in America non sono gli afroamericani, o i messicani che premono ai confini, non sono quegli immigrati che, appena integrati, fanno scudo contro gli altri che tentano di fare altrettanto, non sono gli antichi abitanti, i nativi americani, ancora nelle riserve o resi invisibili, assimilati o neutralizzati. Non sono questi oggetto di razzismo. Il politically correct protegge molte categorie. Quelli veramente emarginati sono i “bianchi poveri non laureati”.

Fra questi ci sono le minoranze non protette da nessuno, soprattutto fra le montagne degli Appalachi, dove la modernità delle istituzioni di assistenza sociale è fittizia: gli assistenti sociali e gli insegnanti sono pagati pochissimo, le famiglie affidatarie di bambini in attesa di adozione sfruttano i sussidi, del resto esigui. 

Dopo la chiusura delle miniere di carbone non c’è  possibilità di lavoro e le vecchie abitudini rurali sono in pericolo. La solidarietà fra poveri è una delle caratteristiche di una società montanara, snaturata dalla modernità, principalmente da droghe e corruzione. Una società che era abituata a condividere tutto, nella quale il vicino di casa era uno di famiglia, come Demon per i Peggot.   

La realtà delle piccole città adiacenti alle montagne porta i nuovi modi per essere liberi: la conoscenza dei propri diritti, la cultura, unica finestra sul mondo.

Fuggire e restare. Restare per cambiare.

La Kingsolver vive col marito e i figli nel sud degli Appalachi, in una fattoria.

 

Valeria Jacobacci

Valeria Jacobacci, scrittrice e pubblicista, è appassionata conoscitrice di storia partenopea e di biografie, spesso femminili, di donne che hanno caratterizzato i loro tempi. Si è interessata alla Rivoluzione Napoletana, al passaggio dal Regno borbonico all’Unità, al secolo “breve”, racchiuso fra due guerre. Ha pubblicato numerosi articoli, saggi e romanzi. 

L’incipit di “Triste tigre” di Neige Sinno, trad. dal francese di Luciana Cisbani (Neri Pozza)

Ritratto del mio stupratore

Perché anche a me, in fondo, sembra più interessante quello che succede nella testa del carnefice. Con le vittime è facile, tutti riescono a mettersi al loro posto. Anche se non si è vissuto niente del genere, un’amnesia da trauma, la paralisi, il silenzio della vittima, tutti riusciamo a immaginare cos’è, o crediamo di poterlo immaginare.

Con il carnefice invece, è un’altra cosa. Essere solo in una stanza con una bambina di sette anni, avere un’erezione al pensiero di quello che si sta per farle. Pronunciare le parole che indurranno quella bambina ad avvicinarsi, mettere il proprio sesso in erezione nella bocca della bambina, fare in modo che la spalanchi bene. Questo sì che è davvero affascinante. Va al di là della comprensione. E poi c’è il resto, dopo aver finito, rivestirsi, tornare alla vita di famiglia come se niente fosse. E una volta che quella follia è accaduta, rifarlo, per anni e anni. Non parlarne mai con nessuno. Credere che non ti denunceranno, nonostante la progressione degli abusi sessuali. Sapere che non ti denunceranno. E quando un giorno ti denunciano, avere il fegato di mentire, o il fegato di dire la verità, di confessare addirittura. Ritenerti ingiustamente punito per aver preso degli anni di prigione. Reclamare il diritto al perdono. Dire che sei un uomo, non un mostro. Poi, dopo la prigione, uscire e rifarti una vita.”

Neige Sinno: “Triste tigre”, traduzione dal francese di Luciana Cisbani (Neri Pozza)

Libro vincitore del Premio Strega Europeo 2024

Vincitore del Prix Goncourt des lycéens 2023 e del Prix Femina 2023

Materia, mistero e realtà nella scrittura folgorante di Flannery O’ Connor, di Cristiana Buccarelli

‘’Se uno scrittore vale qualcosa’’, ha detto Flannery O’Connor, ‘’ciò che crea avrà la propria fonte in un reame assai più vasto di quello che la sua mente cosciente può abbracciare, e sarà sempre una sorpresa maggiore per lui di quanto non potrà mai esserlo per il suo lettore’’.

Secondo la grande scrittrice statunitense la narrativa e quindi lo scrivere delle storie riguarda tutto ciò che è umano, e noi siamo fatti di polvere, quindi se si disdegna di impolverarsi non si può realizzare sul serio una narrazione.

Ciò significa che ogni persona che scrive deve entrare liberamente dentro una storia e lasciarsi immergere nei chiaroscuri, nelle bellezze e nelle mostruosità umane: essere in questa posizione di libertà significa avere il coraggio di sporcarsi le mani, e questo avviene solo se si è capaci di porsi in ascolto della realtà di ciò che ci circonda.

A Flannery O’Connor era inoltre assolutamente chiaro che le emozioni non devono mai essere descritte ma suscitate. E così l’autrice, con la sua capacità di far percepire direttamente al lettore e con il suo realismo preciso, che verosimilmente subisce l’influenza di William Faulkner, ci trascina nell’America del Sud, nella Bible belt degli Stati Uniti, nella cosiddetta fascia della Bibbia, in cui soprattutto verso la metà del Novecento, la religione aveva un ruolo di primo piano. E in questo contesto l’autrice ci narra di personaggi colti in una loro realtà spesso inesorabile e brutale, a volte spinti da veri e propri automatismi; si tratta quasi sempre storie di decadenza, di case fatiscenti, di esseri umani deprivati, di paesaggi scarni e desolati. 

Per esempio nel bellissimo racconto La vita che salvi può essere la tua, all’interno della raccolta Il giorno del giudizio e altri racconti (Il sole 24 ore) si legge:

‘’Lo sguardo pallido e acuto del signor Shiflet aveva già passato in rivista tutto nel cortile – la pompa all’angolo della casa e il grosso fico sul quale tre o quattro galline si preparavano ad appollaiarsi per la notte – e si era spostato su un capanno dal quale spuntava la parte posteriore di un’automobile, quadrata e rugginosa. <<Le signore guidano?>> domandò, <<quella macchina non va da quindici anni >> rispose la vecchia, <<il giorno che mio marito è morto, ha smesso d’andare>>.

In questa storia Flannery O’Connor ci racconta una realtà nuda e cruda; il signor Shiftlet persuade una vecchia signora a sistemarlo nella sua stalla, a farlo dormire nella macchina che era stata di suo marito, a dargli in moglie la figlia ritardata, a dargli tutto ciò che ha e a  farli partire con la macchina che ha rimesso a posto per il viaggio di nozze… in realtà vuole esclusivamente impossessarsi della vecchia automobile e trova il modo di abbandonare la ragazza, ma il racconto non finisce qui.        

Un altro racconto della stessa raccolta che lascia, a mio avviso, un segno fortissimo è Incontro tardivo con il nemico, in cui ci sono i due personaggi del centenario generale Sash e di sua nipote Sally Poker Sash di sessantadue anni. Lui riesce a parlare solo di donne ed è una specie di essere umano mummificato dal tempo, lei è una donnetta noiosa e petulante, la quale aspetta solo di portare il vecchio agghindato per presenziare al suo diploma. Ma il giorno della festa, mentre il generale viene spinto in carrozzina da un nipote di Sally, verrà dimenticato sotto il sole da quest’ultimo per farsi una coca cola. In questa narrazione c’è tutto lo spirito sferzante e disincantato della O’ Connor nel descrivere alcuni aspetti della natura umana. 

’lui se ne infischiava totalmente del suo diploma ma non aveva mai dubitato che sarebbe vissuto fino ad allora. Era talmente abituato a vivere da non riuscire a concepire un’alternativa’’  

E infine: ‘’C’era un lungo dito di musica, nella testa del generale, e frugava in molti punti che erano parole, e vi lasciava cadere un po’ di luce, aiutandole a vivere. Le parole cominciarono ad avanzare verso di lui, e lui disse <<Che Dio vi fulmini, ve lo proibisco!>>’’   

C’è molto spesso nei racconti della O’Connor una realtà quasi agghiacciante ma sempre pervasa da un senso del mistero e di rivelazione di uno stato di grazia; infatti lei stessa ha sostenuto: ‘’Credo che uno scrittore serio descriva l’azione solo per svelare un mistero, naturalmente può darsi che lo riveli a sé stesso, oltre che al suo pubblico. E può anche darsi che non riesca a rivelarlo nemmeno a sé stesso, ma credo che non possa fare a meno di sentirne la presenza’’.

Infatti Flannery O’Connor aveva ben chiaro come i due elementi della materia e del mistero non siano per nulla in contrasto: è proprio attraverso il suo realismo puntuale che la scrittrice pervade le sue storie della dimensione del mistero e così chiede indirettamente ma maniera decisa una predisposizione nell’accogliere questo mistero, attraverso lo svelamento della parola. 

Cristiana Buccarelli  

Cristiana Buccarelli è una scrittrice di Vibo Valentia e vive a Napoli.  È dottore di ricerca in Storia del diritto romano. Ha vinto nel 2012 la XXXVIII edizione del Premio internazionale di Poesia e letteratura ‘Nuove lettere’ presso l’Istituto italiano di cultura di Napoli. Conduce annualmente laboratori e stage di scrittura narrativa. Ha pubblicato la raccolta di racconti Gli spazi invisibili (La Quercia editore) nel 2015, il romanzo Il punto Zenit (La Quercia editore) nel 2017 ed Eco del Mediterraneo (IOD Edizioni) nel 2019, presentati tutti in edizioni diverse al Festival di letteratura italiana Leggere&Scrivere. Con Eco del Mediterraneo (IOD Edizioni) ha vinto per la narrativa la V edizione del Premio Melissa Cultura 2020 e la IV edizione Premio Internazionale Castrovillari Città Cultura 2020. Nel 2020 è stata pubblicata a sua cura la raccolta Sguardo parola e mito (IOD Edizioni). Nel 2021 ha pubblicato il suo primo romanzo storico I falò nel bosco (IOD Edizioni), presentato all’interno di Vibo Valentia Capitale italiana del libro 2021 al Festival di letteratura italiana Leggere&Scrivere e nel Festival Alchimie e linguaggi di donne 2022 a Narni. Con I falò nel bosco ha vinto per la narrativa la XVI edizione del Premio Nazionale e Internazionale Club della poesia 2024 della città di Cosenza. Nel 2023 ha pubblicato il romanzo Un tempo di mezzo secolo (IOD Edizioni).

Marguerite Yourcenar a Capri, di Cristiana Buccarelli

Nella mia ricerca costante di notizie sulla vita e sull’opera letteraria di Marguerite Yourcenar, ho avuto qualche tempo fa la fortuna di imbattermi nella preziosa ricostruzione di Dominique Gaborè-GuiselinAlla ricerca di Adriano – Marguerite Yourcenar in Italia e a Capri’ (Edizioni La Conchiglia 2014)che si riferisce in particolare alla permanenza della scrittrice per due anni a Capri tra il ’37 e il ’38, con la sua compagna di vita Grace Frick. Si tratta di un saggio in cui Gaboret-Guiselin richiama in maniera assai dettagliata le influenze italiane e capresi nell’opera letteraria della grande scrittrice. Il rapporto della Yourcenar con l’Italia è stato infatti intenso e continuo, dalla gioventù fino agli ultimi anni della sua vita e le influenze letterarie italiane sono evidenti in varie sue opere, non solo in ‘Memorie di Adriano’ per il quale sono noti i ripetuti ritorni dell’autrice a Tivoli a Villa Adriana, ma anche ne La moneta del sogno’ e in ‘Caprèe un’opera giovanile e forse poco conosciuta ispirata a Tiberio, e inoltre il romanzo ‘Il colpo di Grazia’ verrà scritto proprio in quei due anni di soggiorno a Capri.

<<Su di un’isola si ha la sensazione di trovarsi su uno spazio di frontiera, in bilico tra l’universo e il mondo umano>> dice l’a. e a parte le isole greche è in particolare Capri ad attrarla, la considera diversa, speciale, anche per essere stata la residenza imperiale dell’imperatore Tiberio. Vive sull’isola in una casa in affitto chiamata La Casarella; una piccola dimora situata alla fine di una impervia salita, lungo la strada che conduce poi alle rovine di Villa Iovis dell’imperatore Tiberio. Quindi si può immaginare quanto tempo possa aver trascorso tra quelle rovine ad ascoltare i racconti sulla storia di Tiberio, nutriti non solo dalla tradizione latina (come i testi di Svetonio) ma anche dall’immaginario popolare degli isolani. Il suo poema giovanile Caprèe, pubblicato per la prima volta sulla rivista francese ‘’Revue Bleue’’ nel ’29, quindi nove anni prima del soggiorno a Capri (dove però era già stata con il padre nei suoi viaggi giovanili), si apre con un confronto tra la conformazione particolare dell’isola e la scelta di solitudine volontaria dell’Imperatore.

’Sulla cima più alta del più remoto dei promontori / Prostrato dall’angoscia, il disgusto, il furore, le vittorie/ Avvoltoio imperiale, da lontano, alla ricerca del suo nido/ Tiberio ha voluto vivere là dove finisce la roccia/ In alto aprendosi il cielo, in basso allagandosi l’onda/ 

Durante i due anni sull’isola, esattamente tra il maggio e l’agosto del ’38, l’autrice ha invece la ferma intenzione di scrivere un romanzo, e realizza in tempi molto brevi alla Casarella, una prima stesura de Il colpo di Graziail quale tuttavia, come è noto, evoca un episodio di guerra civile in Curlandia tra il ’19 e il ’21 tra le forze armate tedesche e il regime bolscevico, con un dramma che si svolge tra tre personaggi, legati da vincoli di sangue, di amicizia e d’amore non corrisposto, ma non ci sono connessioni con personaggi o eventi italiani. Questo piccolo romanzo, che può considerarsi un capolavoro nel panorama della letteratura europea al pari di Opera al nero e di Memorie di Adriano, sarà concluso definitivamente in quella stessa estate a Sorrento, dove la scrittrice sarà costretta a spostarsi per qualche tempo per motivi di salute. 

C’è poi un altro lavoro narrativo giovanile della Yourcenar (di molto precedente alla sua permanenza a Capri), ed è La moneta del sogno;  quest’opera, forse troppo poco conosciuta, è totalmente ambientata in Italia, e a differenza delle sue più importanti opere successive in cui il proscenio è sempre di personaggi maschili, questi racconti sono tutti relativi a personaggi femminili: si tratta di un libro assolutamente politico, ambientato in epoca fascista e che rappresenta una sua critica molto forte a quello che sta avvenendo in Italia in quegli anni particolari con il trionfo di Mussolini.       

Ma viene da chiedersi e se lo chiede anche Gaboret- Guiselin che cosa spinga l’autrice a vivere due anni a Capri con la sua compagna Grace fra il ’37 e il ’38. Verosimilmente il fatto che l’isola, come scrive lo stesso Gaboret-Guiselin: <<in quegli anni era alla fine di un periodo che aveva registrato vani i tentativi del fascismo di normalizzare una ‘località’, che dagli inizi del Novecento, si era trasformata in una babele di culture, di lingue…ma anche in uno straordinario laboratorio politico culturale>>, anche se, aggiungerei, è molto probabile che Marguerite Yourcenar conducesse una vita appartata.

 <<Ho sempre amato le isole. Ho amato Egina e ho amato Capri che è assai meno turistica di quanto si pensi, quando la si vive in qualche angolo sperduto. Ogni isola è un microcosmo, un vero e proprio universo in miniatura>>, dice questa nostra grande scrittrice europea, a mio avviso una vera e propria stella polare nella letteratura dell’Occidente. 

Per ripercorrere in una forma assai originale il suo vissuto e la sua opera può essere interessante leggere anche un romanzo molto recente, mi riferisco a ‘Marguerite è stata qui’ di Eugenio Murrali (Neri Pozza 2023) che permette di entrare in punta dei piedi nel mondo di Marguerite.

Cristiana Buccarelli  

Cristiana Buccarelli è una scrittrice di Vibo Valentia e vive a Napoli.  È dottore di ricerca in Storia del diritto romano. Ha vinto nel 2012 la XXXVIII edizione del Premio internazionale di Poesia e letteratura ‘Nuove lettere’ presso l’Istituto italiano di cultura di Napoli. Conduce annualmente laboratori e stage di scrittura narrativa. Ha pubblicato la raccolta di racconti Gli spazi invisibili (La Quercia editore) nel 2015, il romanzo Il punto Zenit (La Quercia editore) nel 2017 ed Eco del Mediterraneo (IOD Edizioni) nel 2019, presentati tutti in edizioni diverse al Festival di letteratura italiana Leggere&Scrivere. Con Eco del Mediterraneo (IOD Edizioni) ha vinto per la narrativa la V edizione del Premio Melissa Cultura 2020 e la IV edizione Premio Internazionale Castrovillari Città Cultura 2020. Nel 2020 è stata pubblicata a sua cura la raccolta Sguardo parola e mito (IOD Edizioni). Nel 2021 ha pubblicato il suo primo romanzo storico I falò nel bosco (IOD Edizioni), presentato all’interno di Vibo Valentia Capitale italiana del libro 2021 al Festival di letteratura italiana Leggere&Scrivere e nel Festival Alchimie e linguaggi di donne 2022 a Narni. Con I falò nel bosco ha vinto per la narrativa la XVI edizione del Premio Nazionale e Internazionale Club della poesia 2024 della città di Cosenza. Nel 2023 ha pubblicato il romanzo Un tempo di mezzo secolo (IOD Edizioni).