Eugenio Giliberti: “Materia Prima (la mia vita in campagna)” / Dino Morra Gallery, 2023, Napoli

Inaugurata lo scorso 14 dicembre (la conclusione è prevista l’ 8 febbraio 2024), MATERIA PRIMA è la mostra personale di Eugenio Giliberti negli spazi della galleria DINO MORRA_GALLERY.

Eugenio Giliberti e Dino Morra si conoscono da circa 10 anni. Da quando Dino, avendo idea di sviluppare un progetto di incontri tra artisti di diverse generazioni, aveva invitato l’artista ad una mostra-incontro tra lui e il giovane duo di “After All”. La mostra, curata da Chiara Pirozzi e Alessandra Troncone , ebbe luogo nella sede della galleria di via Belledonne. Il loro rapporto si è sviluppato nel tempo sul piano personale mentre ognuno seguiva la sua strada possibile e queste per vari motivi finora non si incontravano. Materia Prima è una prima volta (la prima personale in galleria) ma anche un ritorno.

E di un certo ritorno Giliberti ci parla con questa mostra. Il ritorno, operato più volte nel suo percorso come in un moto oscillatorio: da lavori che hanno ad oggetto ciò che è fuori, in cui è immerso ma che è diverso da sé, ad opere dal contenuto astratto numerico dove il mondo esterno è tagliato fuori, il suo operare obbedisce a una disciplina autoimposta, si occupa di materia interna invisibile di primo acchito al visitatore. I due poli di questa oscillazione trovano unità nel concetto allargato di materia prima.

Materie prime sono l’impianto numerico delle opere combinatorie dei “quadratini colorati”, la cera ei pigmenti che compongono la materia colorata dei dipinti. Materia prima, nella serie di disegni di “database”, è il lento divenire di elementi dell’ambiente in cui è situato lo studio con il quale l’artista si confronta: il meleto annesso al suo studio masseria. Questo moto oscillatorio, paragonato dall’artista a una sorta di respiro, è evidente già dalla prima sala in cui sono esposti: un quadro combinatorio del 2023 della nuova serie dei “quadratini colorati” (“quadro B”) e “scodella” un’opera del 2013 della serie “cerimoniale”, dove nel concavo della forma in cera bianca sono incastonate in ritmo regolare sottili sezioni di rami di melo, ricavate dalla potatura del meleto.

Nella mostra sono presenti altri due quadri della serie dei dipinti combinatori, il quadro C e il quadro D ed una serie di pitture su carta, tutte realizzate con gli stessi 10 colori e con la stessa materia cerosa dei quadri combinatori, alcuni disposti sui muri della seconda sala, altri, protetti da carta velina visibili su un tavolo da studio. Nella terza sala un centinaio di disegni del “database” 2021/2022 disposti a comporre una grande assonometria del meleto si confrontano con “chaise longue del contadino colto”, opera che guarda altre opere, ponte tra i due poli della mostra. Ulteriore elemento della mostra è il disegno incorniciato di un albero caduto, accompagnato da un breve testo. E’ “l’albero di Pitlo”, opera – già presentata in una precedente occasione –. Appello per i visitatori a partecipare alla ricerca di un quadro smarrito…

Biografia artista

Eugenio Giliberti (Napoli 1954) a metà degli anni ’80 partecipa al fenomeno della riscoperta e del ritorno alla pittura, ma nell’aderire a quel clima, rifiuta la via neo-figurativa scegliendo una posizione minoritaria. 

La sua ricerca prende una direzione decisamente personale a partire dal 1987, quando, con le prime superfici monocrome mette a punto i fondamenti di un edificio poetico autonomo dall’environment più prossimo. Culmine di questo segmento della sua ricerca (1996) l’opera denominata “seicentottantamilaquattrocento quadratini colorati” (galleria ThE, Napoli- 1996 ; Galleria Occurrence, Montréal – 1998; Kunstverein di Ludwigsburg – 2001; galleria Milano, Milano – 2006, Castello di Genazzano, 2013), opera “combinatoria” in cui, su carta quadrettata, sviluppa tutte le combinazioni possibili di 10 colori in tre trittici. Seguono: gli “oggetti platonici” (in “la scultura italiana del XXI secolo”, Fondazione Arnaldo Pomodoro, Milano, 2010); LP- lavoro politico (in “Castelli in aria”, Museo di Castel Sant’Elmo, Napoli – 2000; “futurama”, Museo Pecci – 2000, “curriculum vitae”, Museo di Castel Sant’Elmo, Napoli – 2003)

Dal 2006, trasferitosi in campagna, fonda “Selve del Balzo”, una piccola comunità produttiva che lavora il legname prodotto dai boschi del circondario e all’occorrenza lo coadiuva nella produzione delle sue opere. La sua ricerca qui trova un particolare impulso dall’osservazione della realtà culturale e ambientale del piccolo mondo che lo circonda. Ne scaturisce una nuova serie di lavori, presentati nelle mostre personali a lui dedicate dalla Galleria Giacomo Guidi di Roma (2008 -Working Class; 2010 – Il senso di Walden).

Costante nella sua attività espositiva è l’attenzione al luogo ospitante. Da alcuni anni, infatti, in ogni nuova situazione espositiva, Giliberti compie una sorta di omaggio al luogo, raccogliendo su di esso notizie e testimonianze e realizzandone piccole riproduzioni in cera o plastilina da esporre, insieme alle altre opere, proprio nel luogo riprodotto: contenitori / contenuto, gesti di “buona educazione” che costituiscono un ulteriore ciclo di lavoro, autonomo ma perfettamente integrato nel discorso complessivo dell’opera e alla cui raccolta è stata dedicata un’intera mostra nel 2008. (in “la meccanica della meraviglia”, Darfo Boario  Brescia, per la cura di Mauro Pansera). Ritorna sull’argomento in “Bisbigli nelle stanze di Aurelia”, personale nel Palazzo Ducale di Martina Franca curata da Angela Tecce (2012) e nell’antologica “ho le mani impegnate sto pensando”, curata da Claudio Libero Pisano al Ciac (Genazzano, Castello Colonna 2013), dove espone per la prima volta opere appartenenti a un nuovo ciclo “Data Base”, dedicato all’antico meleto nel quale è ubicato il suo studio – masseria di Rotondi. Le più recenti mostre personali (Capri – Museo Cerio, 2017; Pollica – Castello Capano, 2017) danno conto dell’evoluzione e della complessità del progetto “data base” cui appartiene anche la grande assonometria del meleto del Varco, esposta in “rendez – vous des amis” (2015, Fondazione Burri) e successivamente in “Utopia Distopia” (Museo Madre, Napoli 2021) –opera acquisita alla collezione del Museo Madre.

Tra il 2012 e il 2017 conduce Orto Civile, un progetto di arte partecipata focalizzato intorno ai rapporti tra cura della terra e alimentazione, città e campagna, tradizione “moderna” e “riscoperte innovative”, si è avvalso del Matronato della fondazione Donnaregina e ha coinvolto circa 70 famiglie napoletane nella riattivazione del “piccolo sistema rurale” della Masseria Varco a Rotondi.Ma Orto Civile è anche il nome che oggi racchiude tutta la poetica  dell’artista che, mentre dalla sua residenza di Rotondi lancia la “banca della memoria minima”, progetto di scrittura di una storia minore, attraverso l’archiviazione digitale della corrispondenza privata raccolta con la collaborazione di amministrazioni, privati ed associazioni del territorio caudino, è impegnato a Napoli nella realizzazione di una complessa opera di arte pubblica, scaturita da una ricerca iniziata nel 2003, “voi siete qui – vico Pero – Giacomo Leopardi – Progetto di artista abitante” prodotto da Museo Madre, Fondazione Morra, Intragallery, l’associazione  Dafna,  con il supporto del Centro Nazionale di studi Leopardiani,  Comune di Napoli, III Municipalità del Comune di Napoli, Mibac – Biblioteca Nazionale di Napoli, Mibac – Direzione Musei della Campania ,  Dipartimenti di Architettura della Federico II e Luigi Vanvitelli, Accademia di Belle Arti di Napoli, Istituto Nazionale di studi Leopardiani, Museo Madre, Università Orientale di Napoli.  Ultime sue personali “indici-case-volo” (Intragallery – Napoli 2019) secondo step del “progetto di artista Abitante”. “L’albero di Pitlo – data base 2019 – 2020” / Intragallery – 2020, Napoli e “Materia Prima (la mia vita in campagna)” / Dino Morra_Gallery, 2023, Napoli