Perché leggere la letteratura tedesca: quattro romanzi per affrontare le domande che contano, di Claudio Musso

C’è chi dice che la letteratura tedesca sia ‘difficile’. Troppo seria, troppo filosofica, troppo cupa. Eppure, se mai c’è stato un tempo in cui valga la pena riscoprirla, è questo. Perché, più di altre, sa andare a fondo. Sa raccontare il buio senza cedere al nichilismo e, al tempo stesso, interrogare senza semplificare. In un’epoca come la nostra di rumore, slogan e risposte immediate, essa ci offre invece domande lente, necessarie, vitali. Non è una letteratura che consola. Non intrattiene ma trattiene noi lettori in una ragnatela da cui possiamo uscire se scorgiamo i fili che ci legano o dai quali ci lasciamo legare per liberarci.

Ed allora ecco quattro romanzi che, ciascuno a modo proprio, possono aiutarci a orientare lo sguardo in questo presente frastagliato. Ecco quattro ‘mattoni’, non solo di pagine ma di sostanza, che sono quelli che ci permettono di costruire per creare qualcosa o proteggerci.

Heinrich von Kleist, Michael Kohlhaas (trad. Paola Capriolo, Marsilio)

Giustizia e disobbedienza: quando la legge non basta.

Michael Kohlhaas è un commerciante di cavalli onesto, scrupoloso, fedele al diritto. Ma un giorno subisce un’ingiustizia che le autorità si rifiutano di sanare. Da quel momento la sua vita cambia: si trasforma in un vendicatore, guida una rivolta, sfida apertamente il potere. È un uomo che crede nella giustizia fino a diventarne vittima. Leggere oggi Kohlhaas significa riflettere su quanto può essere sottile il confine tra legalità e giustizia, tra ribellione e responsabilità morale. È una parabola inquietante e profonda che ci parla del senso di impotenza di fronte a istituzioni opache e contraddittorie. Un’esperienza fin troppo attuale?

«Poiché era uno degli uomini più integri, e allo stesso tempo più terribili, del suo tempo

Kleist non offre modelli morali rassicuranti, ma una domanda: cosa succede quando il diritto non difende più chi ha ragione? Esistono modi per non abbandonarsi alla giustizia privata?

Christa Wolf, Trama d’infanzia (trad. Anita Raja, e/o)

Memoria, colpa, coscienza: la Storia dentro di noi.

Christa Wolf torna alla propria infanzia vissuta sotto il nazismo e la rilegge alla luce del presente, nella Germania Est. È un tentativo sofferto, spesso ambiguo, di interrogare sé stessa e il proprio sguardo di bambina: perché non ha visto? Perché non ha capito? Cosa resta di quella bambina in lei, oggi? Trama d’infanzia è un romanzo, non tra i più noti in Italia, che parla del passato come materia viva, mai davvero superata. Oggi, in tempi di rimozioni rapide e di verità riscritte, ci invita a una forma di memoria vigile e intransigente.

«Può darsi che il nostro compito più importante sia quello di non dimenticare

Wolf scrive come chi scava nella propria voce per trovare un senso più grande. È un libro che ci insegna che la coscienza si costruisce lentamente. Nella fatica della memoria.

Franz Kafka, Il processo (trad. Ervino Pocar, Mondadori)

L’alienazione dell’individuo nell’era dell’assurdo

Josef K. si sveglia una mattina e scopre di essere stato arrestato. Nessuno gli dice perché e gli spiega nulla. Inizia così un processo senza accuse, in un tribunale senza regole, in un sistema che sfugge a ogni logica. Kafka non costruisce solo un incubo: descrive un’esperienza profondamente moderna. Nel mondo di oggi, tra burocrazie impersonali, algoritmi oscuri, decisioni che ci riguardano ma che non comprendiamo, il romanzo risuona con una forza nuova. È il racconto di chi cerca un senso dove il senso è stato cancellato.

«Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato.» 

Kafka, sempre variamente interpretato e interpellato, certamente non ci rassicura. Ma ci aiuta a nominare l’assurdo e a resistervi. Ci invita a non accettare l’opacità come destino.

Jenny Erpenbeck, Di passaggio (trad. Ada Vigliani, Sellerio)

Una casa, cento anni, mille identità tedesche

Una casa sulle rive di un lago del Brandeburgo è la vera protagonista di questo romanzo. Passa di mano in mano, di epoca in epoca: una domestica ebrea costretta a fuggire, un funzionario nazista, un artista della DDR, una scrittrice della Germania riunificata. Ogni stanza, ogni oggetto, ogni albero ha una memoria. Erpenbeck racconta la storia tedesca del Novecento senza farne una lezione di storia. Lo fa attraverso le tracce lasciate da chi è passato: amori, lutti, silenzi. In un tempo segnato da smarrimenti identitari e fratture storiche, Di passaggio è una riflessione poetica su ciò che resta e su cosa significa “casa”.

«La casa sa tutto quello che accade.» 

Non esiste luogo neutro: anche i muri ascoltano. Anche le pietre hanno una storia da raccontare. In tempi di migrazioni e dislocamenti, è un libro di radici e di mutamento.

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Ciò che unisce questi quattro romanzi non è un’estetica comune o un’ideologia condivisa, ma è un’attitudine: la volontà di interrogare, in profondità, l’uomo, la storia, il potere, la responsabilità, il linguaggio. Leggerli oggi non significa cercare risposte immediate, ma aprirsi a domande che resistono. Sono opere esigenti, sì. Ma oggi più che mai abbiamo bisogno di letture che non semplifichino, che non blandiscano o cullino. Come scriveva Cesare Cases, la letteratura, e in particolare quella tedesca, ha questo compito essenziale:

«non ci dà risposte, ma ci pone le domande decisive

E in tempi incerti, che sempre ci saranno, è proprio dalle domande che dobbiamo ripartire.

Claudio Musso

Claudio Musso: Vive e respira Torino e condivide un paio di geni con la dea Partenope. Formazione umanistica, grande appassionato di germanistica, di storia e di identità. Di giorno si occupa di risorse umane e la sera, o quando leggere e leggersi chiama, di quelle librose. Onnivoro per natura, ma intollerante al glutine e alle mode del momento, raminga con umorismo tra un lavoro che ama e altre passioni quali il teatro, l’opera lirica, e ovviamente la lettura, collaborando anche con riviste letterarie. Papà di Nadir, il suo gatto, non riesce per più di 5 minuti a prendersi troppo sul serio ma prova a fare tutto con dedizione, di quelle che danno senso e colore alla vita.

Jenny Erpenbeck: “Kairos” (Sellerio, trad. Ada Vigliani), di Valeria Jacobacci

Trecentonovantuno pagine di pensieri , sentimenti, emozioni di una giovane donna in un particolare momento della sua vita ma anche della vita del suo paese: ci troviamo nel 1988 a Berlino, lei a Est del muro, lui a Ovest, fra poco il muro crollerà ma nessuno dei due può prevederlo e forse neanche auspicarlo. Infatti nella mente di lei campeggia lui, sono quindi in due nella sua testa ed è lei la protagonista, anche se il romanzo è narrato in terza persona e l’autrice usa sempre il tempo presente, quasi volesse abolire i passaggi temporali per privilegiare il continuum di un flusso di coscienza spiato dall’esterno. Questa tecnica, che fotografa l’istante e lo ferma, potrebbe creare un diaframma fra il racconto e il lettore, lasciando  libertà di scelta fra osservazione e immedesimazione ma è subito chiaro che la protagonista resta lei, la ragazza, che un giorno incrocia lo sguardo di uno sconosciuto sull’autobus preso al volo in un pomeriggio di pioggia.

Se la ragazza fosse la Marinella della ballata di Fabrizio de Andrè, “tu lo seguisti senza una ragione…” , il romanzo finirebbe molto prima ma Katharina non è una sprovveduta e non l’attende la morte ma una vicenda amorosa che giunge spesso a fargliela desiderare. In un rapporto asimmetrico nel quale fin dal principio un fascinoso scrittore cinquantenne concede alla bella studentessa universitaria una relazione senza diritti, deve essere soprattutto chiaro che lui si terrà come più gli aggrada una moglie, un figlio, un’amante fissa e molte amiche occasionali. Non le chiarisce che lei non potrà essere libera neanche in parte, del resto alla ragazza non importa.  E’ questa la prima chiave d’interpretazione: la manipolazione senza scrupoli del più forte sul più debole, del resto l’autrice chiarisce presto che il professore ha vissuto i primi anni della sua vita durante il nazismo, ha fatto parte della Gioventù Hitleriana.

Sarebbe però troppo facile attribuire a questo la tossicità del rapporto, lui si è allontanato dal modello malefico da molto tempo, è moderno, liberale, simpatico, trasmette da una radio la sua pregevole cultura, ama la musica classica, l’arte e, ovviamente, la letteratura. Gli incontri non sono occupati solo dal sesso, si direbbe che due anime si siano incrociate e che si amino incondizionatamente, al di là del bene e del male, si potrebbe dire. E’ così? Libri, sinfonie e gallerie d’arte sono interessi condivisi, i due bastano a se stessi, sono paghi di sé, si vedono nei caffè e nei ristoranti, la moglie di lui non prova neanche a indagare sulle sue giornate. Fin quando non lo caccia di casa.

Così per un po’ i due stanno insieme nella stanza da studentessa di Katharina, una magnifica Boheme carica di tenerezza. Quando e perché l’idillio finisce? Se solo Katharina fosse capace di approfittare del vantaggio conquistato le cose potrebbero volgere al bene ma, come in tutte le vite, le difficoltà si affacciano a rompere i più miracolosi equilibri. Katharina deve completare gli studi e lui non può perdere la famiglia. Lei si trasferisce per studiare e lui torna a casa. Finisce qui? Troppo facile.

La vita presenta il conto, i due si amano troppo per rinunciare e lasciarsi, bisognerebbe che oltre ad amarsi fossero capaci di volersi bene.  Forse non succede quasi mai ma nel caso di questa coppia è davvero impossibile. La città sta cambiando e così accade anche di loro, il crollo del muro non rimette le cose a posto, prima da Ovest si poteva andare a Est e non il contrario, era lui ad andare da lei e non il contrario, una metafora dell’asimmetria del rapporto? La libertà non coincide con i diritti, riconosciuti, per tardi che sia. Così la libertà non è per i due amanti. Katharina vive nonostante, che dovrebbe fare? Ha una storia con un compagno di corso, viene scoperta, pensa di poterne parlare con l’amante come aveva imparato a fare per ogni cosa della sua vita, come se lui fosse una parte non separata di se stessa.

Le conseguenze sono disastrose, lui non è affatto pronto per questo, soffre come mai prima nella vita. La lascia. Lei non accetta, non vuole essere lasciata e dovrà pagarne le durissime conseguenze. L’amore si ammala, come qualunque altra creatura vivente, lei sempre più vittima con colpe da espiare, fino a farsi frustare, a cambiare il sesso in tortura, tradisce ancora, perfino con una donna, non c’è altro da fare. Tutto può finire in un dramma a fosche tinte ma è proprio l’arrendevolezza di Katharina a salvarla, accetta di farsi tormentare anche psicologicamente pur di non essere lasciata. Lui registra cinque cassette della durata di un’ora ciascuna nelle quali elenca le sue colpe alle quali lei dovrà rispondere per iscritto. Sarà mai perdonata? Di cosa deve essere perdonata? Di avere ucciso l’amore.

Alla fine delle cinque cassette tutto è cambiato, la città più di qualunque altra cosa, i locali chiudono, istituzioni, imprese, uffici, vengono chiusi, lui non potrà più lavorare in una radio che non c’è più. Anche questa storia vede la fine, per inedia e disperazione, dopo aver resistito a lungo lei si arrende, e forse anche lui: dopo essersi lasciati e ripresi per tre volte, alla fine l’ultima è la definitiva, forse senza che neanche se ne rendano conto. Un’amara conclusione, in un clima di generale sconfitta. L’ex ragazzino della Gioventù Hitleriana  ha avuto una misteriosa vita da spia, della quale lei non ha mai avuto idea. Ora non c’è più niente da spiare. Il muro è caduto. Il crollo è assordante.

Il romanzo ha vinto l’International Booker Prize 2024. 

Valeria Jacobacci

Valeria Jacobacci, scrittrice e pubblicista, è appassionata conoscitrice di storia partenopea e di biografie, spesso femminili, di donne che hanno caratterizzato i loro tempi. Si è interessata alla Rivoluzione Napoletana, al passaggio dal Regno borbonico all’Unità, al secolo “breve”, racchiuso fra due guerre. Ha pubblicato numerosi articoli, saggi e romanzi.