Cime tempestose: un romanzo gotico senza tempo, di Cristiana Buccarelli

Il noto romanzo Wuthering Heights (Cime tempestose) di Emily Brontë sarà pubblicato per la prima volta nel 1847 e sarà giudicato dalla critica ‘ perverso e brutale’. Emily, sorella delle altre due grandi scrittrici Charlotte e Anne, utilizzò lo pseudonimo di Ellis Bell, in quanto scrivere e pubblicare all’epoca era svalutante per una donna, così come esprimersi in qualsiasi ambito artistico. Ma Emily trasgredisce perché è nata per scrivere, come le sue sorelle, e un anno prima di morire a soli trent’anni di tubercolosi, ci lascia questo romanzo inquieto e passionale, profondamente umano e suggestivo: un capolavoro assoluto della letteratura inglese che supera ogni tempo.

Oggi è considerato uno dei più grandi classici della narrativa inglese, totalmente all’avanguardia per l’età vittoriana in cui è stato scritto, in quanto con esso si sovverte lo schema del romanzo ‘di buoni sentimenti’ per raccontare una famiglia che non è solo il luogo dell’accoglienza ma che può diventare anche un inferno in terra, un coagulo di sofferenza rabbia e vendetta.

Ho ripreso in mano Cime Tempestose (Edizione Feltrinelli 2014, trad. Laura Noulian) dopo moltissimo tempo. L’avevo letto da giovanissima, più di trent’anni fa, durante una vacanza estiva sui Monti della Lessinia, quando ancora non avevo compiuto dodici anni. Ricordo che restavo distesa sull’erba del prato della casa di montagna in cui alloggiavo con la mia famiglia senza riuscire a staccarmi dal romanzo in nessuna maniera: il mondo intorno a me aveva smesso di girare in quel momento e il fantasma di Catherine nel suo aggirarsi nella brughiera e intorno alla casa della Tempestosa alla ricerca di Heathcliff, il suo amore eterno, mi avrebbe suggestionata per molto tempo. Dopo molti anni ho finalmente adempiuto alla promessa che mi ero fatta di rileggerlo e l’effetto è stato immediato: non sono più riuscita a staccarmi dal romanzo per ore e giornate intere.

Heathcliff è senz’altro un personaggio complesso e indimenticabile: una sorta di antieroe intelligente, dannato, passionale, crudele, profondamente solo, un uomo ombroso e riservato di grande fascino, in cui si agitano sentimenti contrastanti di odio e amore, che non nasconde mai la sua rabbia, il suo desiderio di vendetta in età adulta, dopo essere stato maltrattato da ragazzo. Qui c’è una finissima analisi psicologica dell’autrice sugli elementi e le circostanze che contribuiscono a formare il carattere del suo personaggio. D’altra parte Heathcliff è un personaggio che, nonostante tutto, si fa amare per essere rimasto così fedele al suo amore infantile per Cathy, per la sua forte determinazione interiore e per il suo tormento continuo che non gli dà pace fino alla fine dei suoi giorni. 

<< Il suo riserbo proviene da un’avversione spiccata alle manifestazioni esteriori di sentimenti e di benevolenza. Quest’uomo deve amare e odiare di nascosto…>>.

Anche Catherine Earnshaw, figlia dell’uomo che accoglie Heathcliff ragazzino povero e sperduto in casa, è un personaggio affascinante: una bimba selvaggia, capricciosa, testarda, che poi diventerà una donna fragile e incerta, che sceglierà il matrimonio sbagliato, e così rinuncerà a quella vita selvatica che conduceva da ragazzina in simbiosi con Heathcliff e quindi rinuncerà alla vera sé stessa, ma sarà anche capace di amarlo fino alla morte prematura di un amore tenace e segreto.

<<…Nelly, ma perché lui è più me di me stessa. Di qualunque cosa siano fatte le anime, certo la sua e la mia sono simili…>>

<<Vorrei essere ancora una fanciulla, mezzo selvaggia, fiera, libera, che se ne ride delle ingiurie…Perché sono così cambiata? Sono certa che tornerei ad essere me stessa, se potessi starmene in mezzo alla brughiera su quelle colline!>>

Quasi tutta la narrazione avviene attraverso la voce narrante del personaggio non protagonista di Nelly Dean, che rappresenta il perno, l’elemento di collegamento di tutto il congegno narrativo creato da Emily Brontë. 

Ellen Dean è la governante che racconta a un’ospite, il signor Lockwood, il quale vivrà lì per un breve periodo, tutta la storia che si è svolta negli anni tra l’ampia casa di campagna detta la Tempestosa e Thrushcross Grange, nella brughiera dello Yorkshire, dove era vissuta la stessa autrice.

Il personaggio di Nelly Dean segue con affetto le vicende dei protagonisti nel tempo, è una donna saggia, onesta e generosa, ma a volte anche brusca e impertinente, tuttavia è l’unica persona assennata ed equilibrata di tutta la storia, intorno alla quale roteano tutti i personaggi, che sono svariati e abbastanza veritieri, in quanto ognuno di essi è descritto con le proprie luci e ombre.  

Anche il paesaggio della brughiera è un grande protagonista del romanzo: è violento e incontaminato. Qui durante l’infanzia e l’adolescenza i due protagonisti, Heathcliff e Catherine, esprimono il loro animo ribelle e selvaggio, correndo a cavallo e passando le loro giornate nelle distese di erica; il freddo della brughiera scandisce i ritmi della loro vita a stretto contatto con la natura del luogo.

Sarà poi il personaggio della figlia di Catherine, che si chiama Cathy come la madre, a dare una svolta positiva finale al romanzo. Anche lei è una ragazza capricciosa e testarda come lo era stata sua madre, ma tuttavia molto più equilibrata e solida, provvista della stessa bontà d’animo di suo padre Edgar Linton, e una volta rimasta orfana di quest’ultimo, pur essendo caduta nelle grinfie di Heathcliff che la odia in quanto figlia di Catherine e di Edgar, reagirà sempre rispondendogli in maniera superba e sprezzante, senza alcun timore delle sue vessazioni. Mentre Heathcliff, alla fine dei suoi giorni, sarà sempre più immerso in un suo mondo fantastico in cui è tormentato dal fantasma della sua amata Catherine, la figlia di quest’ultima, Cathy,  riuscirà a far innamorare di sé e ad istruire suo cugino Hareton Earnshaw, che Heathcliff aveva consapevolmente fatto crescere in uno stato di ignoranza e degradazione.     

Ci sarà alla fine una strana ossessione – redenzione di Heathcliff che non riuscirà più ad essere malvagio e vendicativo come lo era stato durante tutta la sua esistenza.

<<I miei vecchi nemici non mi hanno battuto…sarebbe il momento preciso di vendicarmi sui loro discendenti. Potrei farlo, nessuno potrebbe impedirmelo…Ma a che scopo? Non ho voglia di colpire (….). Nelly uno strano mutamento s’avvicina…>>.

Cime tempestose è un pugno nello stomaco, un romanzo dolcissimo e terribile in cui l’autrice ha il coraggio di sporcarsi le mani e di discendere nei meandri della natura umana, nella sua mostruosità e nella sua bellezza.

L’elemento fondante è la solitudine dei protagonisti ed essa non è per loro una conquista ma un modo per immergersi nelle proprie ombre, ferite e inquietudini personali. C’è da parte della Brontë una vera e propria introspezione nell’animo umano.

Hethcliff e anche gli altri personaggi e i fantasmi che abitano questa storia indimenticabile, sembrano inoltre nascere da una visione onirica dell’autrice e da un suo personale rapporto di odio amore con il paesaggio naturale incontaminato e libero della brughiera inglese, inquieta e selvaggia ma al tempo stesso salvifica, che sembra divenire un tutt’uno con l’animo di coloro che ci vivono a stretto contatto.      

Cristiana Buccarelli  

Cristiana Buccarelli Cristiana Buccarelli è dottore di ricerca in Storia del diritto romano. Ha vinto nel 2012 la XXXVIII edizione del Premio internazionale di Poesia e letteratura ‘Nuove lettere’ presso l’Istituto italiano di cultura di Napoli. Ha pubblicato la raccolta di racconti Gli spazi invisibili (La Quercia editore) nel 2015, il romanzo Il punto Zenit (La Quercia editore) nel 2017 ed Eco del Mediterraneo (IOD Edizioni) nel 2019. Con Eco del Mediterraneo (IOD Edizioni) ha vinto per la narrativa la V edizione del Premio Melissa Cultura 2020 e la IV edizione Premio Internazionale Castrovillari Città Cultura 2020. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo storico I falò nel bosco (IOD Edizioni) con cui ha vinto per la narrativa la XVI edizione del Premio Nazionale e Internazionale Club della poesia 2024 della città di Cosenza. Nel 2023 ha pubblicato il romanzo Un tempo di mezzo secolo (IOD Edizioni) con il quale è stata finalista per la narrativa all’XI edizione del Premio L’IGUANA- Anna Maria Ortese 2024. Conduce da svariati anni laboratori e stage di scrittura narrativa. 

Massimiliano Virgilio: “Luci sulla città. Un’inchiesta per Matilde Serao” (Einaudi), di Bernardina Moriconi (foto di Ciro Orlandini)

Tra i tanti gialli che presentano nella veste di improvvisati quanto improbabili detective personalità illustri del passato (scienziati, poeti,  filosofi) ci siamo imbattuti in un romanzo che propone nel ruolo di investigatrice una figura ben più credibile e plausibile. Il romanzo si intitola “Luci sulla città. Un’inchiesta per Matilde Serao” (Feltrinelli), l’autore è Massimiliano Virgilio e la protagonista – come già ci informa il sottotitolo – è quella donna Matilde,  fondatrice nel 1892 assieme a Edoardo  Scarfoglio, del quotidiano ‹‹Il Mattino››.

Ora, già il fatto d’essere la Serao la ben nota giornalista implica una sua propensione a scovare, cercare, scoprire: in una parola, indagare. E d’altra parte proprio nella forma di inchiesta era nato quel “Ventre di Napoli” che rimane  il capolavoro della scrittrice e costituisce a tutt’oggi uno strumento prezioso per addentrarsi attraverso la Napoli di ieri anche in quella attuale.

Come se non bastasse – e non so se Virgilio ne sia a conoscenza – la Serao, in tempi successivi a quelli in cui è ambientato il romanzo, fu anche l’artefice dalla risoluzione del caso relativo a Paolo Riccora, autore di commedie di un discreto successo, di cui però si ignorava la reale identità. Chi era, chi non era questo Riccora che non si presentava in palcoscenico al termine dello spettacolo a godersi gli applausi del pubblico? Chi si nascondeva dietro a questo nome? Un po’ come per la Ferrante dei giorni nostri, le supposizioni si sprecavano. Fino a che non scese in campo la Serao a occuparsi della faccenda e a svelare poi ai lettori che dietro a quello pseudonimo si celava una gentile signora, all’anagrafe Emilia Vaglio, la quale per una serie di svariate ragioni (di cui chi scrive si è occupata in altra sede) aveva scelto di utilizzare quello che oggi chiameremmo un nickname coniato anagrammando nome e cognome del marito , Caro Capriolo, avvocato ben noto negli ambienti dello spettacolo perché si occupava anche di vertenze teatrali. 

Osservare, ascoltare, curiosare, ronzare come i Mosconi di una  sua celebre rubrica mondana, partecipare alle serate di gala ma anche aggirarsi tra fondaci e vicoli maleolenti della città e poi trasformare tutto in parole scritte lì, nel suo ufficio in vico Rotto San Carlo, dove sorgeva la sede originaria del Mattino, a due passi dal Gambrinus, dal Massimo Napoletano e dalla Galleria Umberto che ospitava al suo interno quel Salone Margherita che era forse il simbolo più evidente e ammiccante di una Belle Époque in salsa partenopea: questa era la passione di donna Matilde. L’inchiostro le scorreva nelle vene anche più che al consorte, Edoardo, che provava più gusto a inseguire le sottane che le notizie e che spesso disertava il ponte di comando della redazione del giornale, di cui pure era il Direttore, preferendogli il lussuoso panfilo ormeggiato in attesa di prendere il largo e che almeno nel nome, Fantasia, omaggiava un romanzetto giovanile della Serao, quello stesso  che proprio Scarfoglio  aveva  malamente stroncato definendolo, tra l’altro “una minestra fatta di tutti gli avanzi di un banchetto copioso”. Questo, però, prima di conoscersi personalmente e di trasformare l’amicizia complice in un amore suggellato dalle nozze e dalla nascita di quattro figlioli.

Col tempo il rapporto si era logorato, e mentre don Edoardo già assaporava l’aria salmastra dalla sua imbarcazione, il vero capitano di quell’altra nave denominata ‹‹Il Mattino›› era la Signora, come veniva abitualmente chiamata,  era sua la voce possente di quel: – Si va in stampa! – con cui nei sottoscala del palazzo si metteva in moto la Marinoni, la potente rotativa capace di sfornare ottomila copie in un’ora.

Tutto questo e molto altro ci racconta Massimiliano Virgilio in questo libro, che prende l’avvio da un efferato omicidio che insanguina un vicolo di via Ventaglieri.  La vittima, Carlo Montanari, è un calzolaio socialista iscritto al Fascio operaio, che in nome di una conoscenza di vecchia data con la Serao, proprio a lei si era rivolto per un incontro in gran segretezza al fine di rivelarle dei “fatti inauditi, anzi, inauditissimi” che “avrebbero sconvolto la città dalle fondamenta”:  per intanto, tali fatti gli erano costati la vita prima di riuscire a raccontarli alla giornalista, la quale, non soddisfatta dalle modalità delle indagini ufficiali, decide di investigare in proprio.

Eppure, attribuire solo al genere giallo questo libro ci sembra limitativo, in quanto il fatto delittuoso, e la conseguente indagine,  pur intrigante nei suoi viluppi e sviluppi, ci appare sostanzialmente  se non un espediente, almeno uno dei vari elementi narrativi di un’opera che si allarga a romanzo sociale più che storico  – ci sembra – in quanto l’autore molto sapientemente ci mostra nel corso della narrazione i vari e contrastanti aspetti di quella Belle Époque in  cui il bello era davvero poco, e la miseria (morale e materiale) continuava a prevalere sulla nobiltà (di sentimenti più che di blasone). Il momento storico era delicato, la corruttela già si annidava nei luoghi del potere, gruppi socialisti e anarchici si muovevano ancora disordinatamente:  Virgilio, parlando del capitano dell’Arma che segue le indagini del delitto, cita en passant  il fallito attentato a re Umberto avvenuto anni addietro  proprio lì a Napoli a opera dell’anarchico Passannante , il quale, è bene ricordarlo, era ancora vivo in quegli ultimi anni dell’800 in cui è ambientato il romanzo e dopo aver patito per dieci anni pene infernali in una piccolissima cella, posta al di sotto del livello del mare, a Torre della Linguella, impazzito, era stato condotto in un manicomio criminale dove sarebbe rimasto fino alla morte. Il principale responsabile di un così disumano trattamento fu individuato nell’allora  Ministro dell’Interno, Giovanni Nicotera: che non godeva di grande stima neanche da parte dei coniugi Scarfoglio, se, ci racconta il libro, “per non sottostare all’editore, ai suoi amici parigini Rothschild, ai ministri massoni come quel mascalzone di Nicotera” , la “coppia d’oro” del giornalismo italiano aveva abbandonato il ‹‹Corriere di Napoli›› e si era messa in proprio creando un nuovo giornale. Questo a riprova di come la incandescente realtà politica ed economica entri in più parti nel romanzo a raccontarci uno spaccato di vita nazionale che ci fa capire, ahimè, come i corsi e ricorsi vichiani siano sempre validi.

Un lavoro di ricostruzione di un’epoca, quello realizzato da Virgilio in “Luci sulla città”, che ha richiesto un’accurata documentazione da parte dell’autore, che ne dà conto nelle Note poste in conclusone, che se privano un po’ il critico del gusto di individuazione delle possibili fonti, ci conferma  l’approccio anche filologico o quanto meno da studioso accorto – oltre che da narratore di razza – che Virgilio ha realizzato per questo suo nuovo romanzo.

E certamente a “Le verità ignorate su Matilde Serao”, curato da Salvatore Maffei e Stefania De Bonis si rifà l’autore nell’accennare alla nascita di un idillio fra Matildella e Mario Giobbe, il giovane poeta “dagli abiti così cenciosi e dal cuore così nobile” che avrebbe poi concluso con il suicido la sua breve esistenza nel 1906.

Ben diverso per temperamento ed estro artistico era invece quel Ferdinando Russo, poeta irriverente e spirito irrequieto, che non compare direttamente nel romanzo ma viene più volte nominato, o meglio invocato dalla Serao, perché in qualità di capo della cronaca cittadina del giornale, si attendeva lui per andare in stampa. E vien da pensare, con un pizzico di nostalgia, che in quegli anni i quattro piani del palazzo in cui sorgeva il giornale, al di là della porta a vetri con il gallo simbolo della testata, brulicava di personaggi che rappresentavano l’orgoglio e il motore  artistico e culturale della città e dell’intero Paese: Virgilio cita tra i tanti Bracco, Verdinois, Nitti, Panzacchi, Di Giacomo, Croce, Carducci, quel D’Annunzio che anni addietro si era scontrato in un duello con Scarfoglio: duello che aveva provocato una ferita al Vate ma non aveva posto fine alla amicizia fra i due.  E poi la Duse, la divina, amica tra le più care di Matildella che chiamò in suo onore Eleonora la figlia che successivamente ebbe da Giuseppe Natale: le due si incontrano tra una sfogliatella riccia e la novità della frolla e parlano di tutto, soprattutto di amori: è la Duse che, almeno per come la racconta Virgilio nel romanzo, è artefice dell’incontro fra la Serao e Giusto, ed è la Serao  che  a sua volta chiede all’amica attrice notizie dei suoi amori: Gabriele D’Annunzio e quell’Arrigo Boito col quale la divina intrattenne una lunga relazione tenuta accuratamente segreta a tutti, ma evidentemente non alla sua amica del cuore.

Il romanzo di Massimiliano Virgilio parte e si sviluppa su un duplice sventramento: quello della povera vittima ai Ventaglieri e quello a cui era sottoposta la città per loschi interessi economici prima che sociali, mentre il popolino continuava ad attendere un riscatto più dalla giocate del lotto che dal Risanamento urbano messo in atto. Ma raccontandoci questa realtà, attraverso la figura della giornalista e del suo illustre e fedele stuolo di collaboratori, lo scrittore ci racconta anche di quella che fu forse l’età dell’oro del giornalismo, quando le edicole si aprivano e moltiplicavano nei vari quartieri della città, con gli strilloni cenciosi che a piena voce urlavano: -Accattateeve ‘o Matìn! Accattateve ‘e nutizie!

E la gente, scrive Virgilio, incredibilmente comprava. Perché c’era il bisogno di sapere, di essere informati perché la conoscenza dei fatti conferiva un potere più grande persino dei quattrini:

“Cerano persone che per secoli erano rimaste in silenzio, persone che gli uomini al potere avevano sempre considerato poco importanti, e a un tratto queste persone, grazie ai giornali, grazie a una singola copia da due lire, potevano far sentire la loro voce ed essere ascoltate. Succedeva non solo a Napoli ma in tutto il Sud: lo avevano fatto quei due, marito e moglie, che si erano messi in testa di cambiare il mondo e alla fine lo avevano cambiato davvero”.  

E in tempi come questi che viviamo, in cui le edicole chiudono tristemente una dopo l’altra e le tirature dei giornali si contraggono, ci piacerebbe percepire almeno per un momento l’odore non certo salubre ma esaltante dell’inchiostro e ascoltare il rumore ferroso delle rotative in azione, lì, in quel vico Rotto San Carlo, oggi piazzetta Matilde Serao dove forse ancora riecheggia ogni tanto la risata inconfondibile e  prorompente di donna Matilde o la sua voce che allucca : – Appicciate la Marinoni! Si stampi! -.

Bernardina Moriconi

Bernardina Moriconi: Filologa moderna, Dottore di ricerca in Storia della Letteratura e Linguistica Italiana,  giornalista pubblicista e docente di materie letterarie, ha insegnato fino al 2018 Letteratura italiana e Storia a tecniche del giornalismo presso l’Università “Suor Orsola Benincasa”. Ha pubblicato libri sulla letteratura teatrale e svolge attività di critico letterario presso quotidiani e riviste specializzate. E’ direttore artistico della manifestazione “Una Giornata leggend…aria. Libri e lettori per le strade di Napoli”.

Intervista “Randagia” a una bibliotecaria di Bolzano, di Rita Mele

La bibliotecaria scolastica svolge un ruolo fondamentale nella vita degli studenti, offrendo loro un accesso a un mondo di informazioni e conoscenze. In questa intervista a Zaira Sonna, cercheremo di scoprire cosa rende questo lavoro così speciale e quali sono le sfide che le bibliotecarie e i bibliotecari scolastici devono affrontare quotidianamente.

Lei è una bibliotecaria scolastica da molti anni (…). Cosa le piace di più del suo lavoro?

In realtà non sono così tanti gli anni da bibliotecaria scolastica (quattro a settembre), ma sono tanti anni che lavoro a contatto con le scuole. Il mio lavoro è bellissimo perché è spesso vario e creativo e mi permette di essere una sorta di mediatrice tra i libri e tutti gli utenti della biblioteca scolastica, che non sono solo gli studenti, ma anche tutto il personale docente e non docente. Una specie di “ponte” che cerca di facilitare il contatto tra il patrimonio bibliografico/multimediale e tutte le variegate esigenze e richieste (consapevoli e non) degli utenti.

Cosa significa essere bibliotecaria scolastica a Bolzano?

Essere bibliotecaria scolastica a Bolzano è una gran fortuna, perché, a differenza dal resto d’Italia, solo qui questa figura professionale è riconosciuta e inquadrata a livello legislativo grazie alla Legge Provinciale del 1990 e al successivo regolamento del 1992, che disciplinano le biblioteche scolastiche e il ruolo del bibliotecario qualificato che vi lavora.

L’ IISS Claudia de’ Medici di Bolzano

Quali sono le sfide più grandi che deve affrontare come bibliotecaria scolastica?

Ogni giorno ho in mente una lista di cose da fare, ma, quasi sempre, i miei programmi sono costretti a cambiare rapidamente per far fronte alle esigenze, alle richieste e agli imprevisti della scuola. La sfida con cui fare i conti quotidianamente è dunque riuscire a essere estremamente flessibili!

Quali consigli darebbe a uno studente che vuole diventare bibliotecario scolastico?

Se uno studente volesse diventare bibliotecario scolastico consiglierei di leggere molto e cercare qualcuno con cui condividere la passione per la lettura per potersi confrontare sulle riflessioni e i pensieri che i libri suscitano e stimolano. Proporrei anche di trascorrere del tempo in biblioteca ad aiutarmi in piccole attività legate alla gestione pratica. Ho avuto modo di essere affiancata per dei brevi periodi da alcuni studenti/studentesse delle superiori e ho notato che, stando a stretto contatto con i libri, tutti si incuriosiscono ed esprimono una maggiore attenzione e apertura nei confronti del mondo della biblioteca.

Una cosa divertente che non farà mai più (in biblioteca)?

Per gli alunni delle prime classi della scuola superiore, organizzo sempre a inizio anno scolastico un’attività pratica di “primo approccio” alla biblioteca scolastica. A ogni studente viene proposto di scegliere tra numerosissimi oggetti-simbolo, quello che più associa al suo rapporto con la lettura. Tra tutti gli oggetti esposti c’è anche un vero mattone. Un ragazzo lo aveva scelto raccontando che per lui la lettura è pesante, è un “mattone”… purtroppo il mattone è caduto per una distrazione tra gli alunni… fortunatamente non ci sono stati gravi danni! In realtà credo di riproporre nuovamente l’attività, magari utilizzando un mattoncino!

Qual è il libro che le ha cambiato la vita?

Questa domanda è per me difficile: non credo di avere un libro preciso, penso che per natura i libri siano plurali e che quindi ce ne siano tantissimi che mi abbiano aiutato nella mia crescita personale o che siano stati input importante per riflessioni e confronti con altre persone con cui condivido la passione della lettura. Se però devo proprio sceglierne uno direi la saga di Harry Potter, semplicemente perché è geniale.

Qual è il genere letterario che preferisce?

Mi piacciono molto i romanzi di formazione e leggo sempre volentieri dei romanzi gialli.

Qual è il suo autore preferito?

Non credo di avere un autore preferito, ne ho vari e sono soprattutto autrici. Di scrittori italiani mi piacciono molto Viola Ardone, Donatella Di Pietrantonio, Marco Balzano; come autori stranieri Valérie Perrin, J. K. Rowling e Agatha Christie.

Qual è il libro che consiglia più spesso agli studenti?

In realtà ogni studente cerca un libro diverso: alcuni, pochi, arrivano già con un titolo preciso, altri hanno in mente un genere ben definito e altri ancora chiedono semplicemente qualcosa di breve. È sempre importante chiacchierare un po’ con i ragazzi/le ragazze per capire i loro interessi, le loro curiosità e magari anche le esperienze di lettura precedenti (sia positive, sia negative), in modo da cercare di suggerire il libro che potrebbe essere “l’incontro migliore” per loro.

Qual è la cosa più strana che è mai successa in biblioteca?

Quando ci sono le udienze generali la biblioteca viene utilizzata da alcuni docenti per ricevere i genitori. È capitato che mi scambiassero per una docente e volessero fare udienza con me.

Qual è il suo ricordo preferito da bibliotecaria scolastica?

Di questi quattro anni trascorsi da bibliotecaria scolastica presso l’IISS Claudia de’ Medici di Bolzano ho molti ricordi positivi. È sempre bellissimo quando ritorna un utente della biblioteca (sia studente, sia docente o personale non docente) raccontandomi che il libro gli/le è piaciuto moltissimo e vuole prenderne in prestito un altro.

Dallo scorso anno la biblioteca scolastica aderisce alla “Giornata di letture #multilingual” e, con un gruppo di nostri studenti di madrelingua diversa dall’italiano, abbiamo proposto ai bambini della scuola primaria e dell’infanzia delle letture in numerose lingue straniere. Vedere questi ragazzi impegnati e tanto coinvolti nel trasmettere le storie nella loro madrelingua è stato emozionante.

C’è qualcosa che vorrebbe aggiungere?

Auguro a tutti di trovare il libro giusto al momento giusto!

E per salutarci e augurarci buona estate, le chiedo di segnalare alle lettrici e ai lettori de Il Randagio, 3 libri da non perdere per l’estate 2024… L’estate è il momento ideale per scoprire nuovi autori e nuove storie!

Segnalo volentieri l’ultimo libro di Donatella Di Pietrantonio, L’età fragile, che ha appena vinto il Premio Strega Giovani 2024 ed è nella sestina tra i candidati dello Strega che verrà assegnato a luglio. Consiglio anche l’ultimo libro di Viola Ardone, Grande meraviglia, per chi è interessato a immergersi nel mondo degli ospedali psichiatrici, il “mezzomondo”. Non può poi mancare un libro di Agatha Christie!

Rita Mele

Zaira Sonna: per molti anni ha lavorato come mediatrice museale a contatto con le scuole, famiglie e altri pubblici del Museo Archeologico dell’Alto Adige. Dal 2020 è bibliotecaria scolastica presso l’Istituto di istruzione secondaria secondo grado “Claudia de’ Medici” di Bolzano. Dal 2023 conduce il Gruppo di Lettura e Dialogo “Bibliociurma” presso la biblioteca pubblica centro di sistema “don Bosco” di Laives. Ha tre figli, un marito e tanti amici con cui condivide la passione per la lettura.

Rita Mele: barese, ma da molti anni vive a Bolzano. Giornalista, giurista, formatrice, psicologa, insegnante di yoga. Progetti per il futuro: ballare

“Gaza” di Gad Lerner (Feltrinelli) e “Palestina Israele” di Mario Capanna e Luciano Neri (Mimesis): due libri in una recensione, di Amedeo Borzillo

Recensire due libri insieme non è usuale ma questi due “saggi” sulla questione israelo-palestinese e sulla guerra in atto in Palestina forse lo richiedono.

Un leader sessantottino (Mario Capanna)  mai pentito ed un giornalista (Gad Lerner) “sionista critico” ancora innamorato del suo Paese scrivono – mentre imperversa una guerra che ha assunto aspetti di rara brutalità, (36.000 morti e 90.000 feriti, paesi rasi al suolo, due milioni di palestinesi in fuga) – due diversi libri per arrivare ad una identica conclusione, condivisa da milioni di persone ma che ancora oggi viene ignorata dal Governo Israeliano e dai principali Governi del mondo occidentale. 

Fughiamo subito ogni dubbio sulla possibilità che siano “instant book” in quanto gli autori Capanna e Lerner sin dagli anni ’70 seguono le vicende della Palestina e di Israele in prima persona. 

I due autori sono stati entrambi partecipi, con ruoli di primo piano, del grande movimento giovanile che fu il ’68  (e gli anni successivi): Capanna da leader e Lerner da giornalista furono tra i primi a recarsi rispettivamente in Palestina ed Israele per portare solidarietà o semplicemente per capire e riferire a noi tutti cause e prospettive dello scontro in atto tra i due popoli.

Il libro di Capanna “Palestina e Israele” ha l’innegabile merito di storicizzare con date, eventi, Dichiarazioni e Risoluzioni ONU, Trattati di Pace stipulati e poi saltati, tutte le tappe che dal dopoguerra ad oggi hanno portato al 7 Ottobre ed alle terribili conseguenze, illustrandoci soprattutto le responsabilità israeliane e come le fazioni in campo palestinese giocassero ruoli e si ponessero obiettivi diversi. 

Il libro di Lerner “Gaza, Odio e amore per Israele” riesce, sia in chiave storico-politica sia in quella socio – antropologica, e  con gli occhi di un ebreo, a spiegarci come si sia arrivati ad un Governo in Israele che massacra un popolo, costruisce muri e semina rancori perenni,  indifferente al discredito ed isolamento internazionale cui le atrocità commesse lo stanno condannando.

Due analisi che viaggiano in parallelo e che in grandissima parte si integrano in una comune visione sia delle cause che delle possibili soluzioni.

I due autori infatti  alla condivisa condanna della Organizzazione politica Hamas e della strage del 7  Ottobre, aggiungono le stesse considerazioni, analizzandone genesi e cause che hanno decretato lo sviluppo e la popolarità fino all’egemonia di questo movimento a Gaza, e individuando dall’altro canto le precise responsabilità anche dirette nei Governi che si sono succeduti in Israele dalla fine degli anni ’80 in funzione anti Fatah.

“La lugubre popolarità di cui gode Hamas dacchè il suo popolo è divenuto oggetto di una vera e propria carneficina non mi ha fatto cambiare idea e resto convinto che Hamas sia una serpe in seno, nata e cresciuta tra i palestinesi , capace di esaltarli mentre li conduce alla rovina” (Gad Lerner).

Sia Lerner che Capanna hanno avuto precisi riferimenti: Alexander Langer il  primo e Yasser Arafat il secondo: un pacifista e ambientalista italiano e l’uomo dell’accordo di Oslo nel 1993. Entrambi perseguirono tenacemente l’obiettivo della Pace in Palestina senza riuscire a vederlo realizzato.

Sia Lerner che Capanna, nello scrivere i due libri,  hanno ripreso in mano i loro vecchi scritti riportandone considerazioni ancora attuali e ricordandoci che da quasi cinquant’anni è stato tutto un susseguirsi di errori e di assenze del mondo occidentale nel prendere decisioni e nel pretenderne il rispetto. Entrambi ritengono che lo svilimento del ruolo dell’ONU di cui Israele ha ignorato le Risoluzioni ha privato il mondo intero dell’autorevolezza di una figura internazionale, cui aderiscono 193 Paesi, e che resta  l’unica voce  riconosciuta a dirimere controversie tra Stati.

“il fatto spaventevole è che oggi non c’è parvenza di legalità internazionale e a dominare è la prepotenza del più forte. E’ questo il motivo per cui la guerra prospera e il mondo sta bruciando tra tensioni crescenti.” (Mario Capanna).

In occasione della presentazione organizzata da “il Randagio” del libro di Mario Capanna e di quella alla libreria Feltrinelli del libro di Gad Lerner,  che si sono susseguite nel giro di pochi giorni a Napoli, Il Randagio ha posto agli autori le stesse due domande: cosa fare nell’immediato e quale può essere la soluzione di questo secolare conflitto.

Ebbene, partendo da presupposti diversi, da storie diverse, entrambi ci hanno risposto allo stesso modo: CESSARE IL FUOCO subito e in prospettiva creare le basi per la costituzione di un vero Stato Palestinese che conviva pacificamente con quello di Israele. 

Per dirla con Bertold Brecht, “è la semplicità che è difficile a farsi”.  Ma è l’unica strada da percorrere.

Amedeo Borzillo

Fabio Genovesi: “Il calamaro gigante” (Feltrinelli), di Veronica Saporito

Dare un’etichetta a questo libro, o semplicemente confinarlo in un unico genere letterario, non è un’impresa affatto scontata. Ma in fin dei conti non è questo lo scopo, è un libro che spazia tra un’infinità di cose talmente differenti tra loro, che è perfettamente normale avere la sensazione di perdere il filo del discorso. Ma a volte è necessario perdersi per ritrovarsi, ed è esattamente quello che accade tra queste pagine: un viaggio fatto di ricordi, aneddoti, storie attuali e di epoche ben più lontane, con l’umorismo e la delicatezza tipici di Fabio Genovesi.

Già, perché dietro una storia può celarsi un intero universo. Siamo così abituati a vivere secondo regole e rigidi schemi, e a considerare vero solo ciò che è reso inconfutabile dalle prove, che spesso ci perdiamo la potenza e la meraviglia delle storie, soprattutto di quelle che ci riguardano e che nel tempo ci hanno resi quello che siamo. L’autore calca piuttosto la mano su questo aspetto, dicendoci che “Uno può elencare le cause e le conseguenze politiche della Seconda Guerra Mondiale, ma non ha idea di come ha fatto suo nonno a sopravvivere mentre la combatteva, né quando ha conosciuto la nonna, e come hanno fatto a rimanere insieme tutta la vita… Eppure, sono queste le nostre storie, sono scritte in minuscolo ma addosso a noi, e senza di loro semplicemente non saremmo qui.”

Il calamaro gigante non è solo il titolo del libro ma è la metafora perfetta del suo discorso. Per anni se ne è parlato solo come una leggenda, il temutissimo Kraken in grado di affondare navi ed interi equipaggi con le due dimensioni colossali ed i suoi spaventosi tentacoli. Ricercatori, scienziati, esperti, pescatori di passaggio sulla propria barchetta a remi, hanno tentato più volte nel corso dei secoli di portare di fronte al mondo le prove della sua esistenza. Ma il calamaro gigante in fondo è solo una storia, e perché dovremmo credere ad una semplice storia?

“Per secoli pensavamo che non esistesse, in realtà siamo noi che per lui non esistiamo. E questo, insieme alle sue dimensioni prepotenti, è un colpo durissimo al nostro ego.”

Pensiamo di sapere tutto del mare e delle infinite creature che lo popolano, ma il calamaro gigante è la dimostrazione vivente di quanto poco invece ne sappiamo. Per anni, ad esempio, è stato categoricamente escluso dagli esperti che il capodoglio potesse nutrirsi proprio del calamaro gigante, perché non avrebbe avuto la resistenza necessaria per inoltrarsi a mille metri di profondità. Ci abbiamo creduto solo quando ne abbiamo trovato uno morto, affondato laggiù, che ha scambiato un cavo per un succoso tentacolo e ne è rimasto impigliato con la mandibola.

“E il mondo eccolo là, spaventosamente, meravigliosamente sconosciuto, più gigante del calamaro gigante, più colossale del calamaro colossale, smisuratamente più grande di noi.”

Così come ne sappiamo pochissimo, ma su questo si aprirebbe un discorso talmente ampio che l’autore né da solo un piccolo assaggio verso le battute finali, delle isole di plastica che si trovano nel bel mezzo dell’oceano, laddove i rifiuti fanno capolino. La plastica è l’unico materiale al mondo che non può essere distrutto, può essere ridotto in microplastica ma questo non le impedisce comunque di finire in acqua, nello stomaco di tutte le creature che popolano i mari e gli oceani, e di conseguenza anche nel nostro che poi li ingeriamo.

Fabio Genovesi mette sul piatto la realtà dei fatti nuda e cruda, con ironia ma neanche troppo, e si potrebbe anche sorridere di fronte alla sua capacità di affrontare con umorismo argomenti spiacevoli e delicati, ma in conclusione ci lascia comunque un inevitabile senso di amarezza.

“Ognuno di noi ingoia più o meno cinque grammi di plastica a settimana. Come se ogni lunedì mattina ci mangiassimo una carta di credito.”

In queste pagine c’è un continuo susseguirsi di storie, non solo di capodogli e calamari giganti, ma anche storie di vita, come quella tra un ragazzino che osserva la nonna parlare con il marito defunto tutte le sere, e preparargli le patatine fritte per cena. Da piccoli ci crediamo con convinzione alle storie degli adulti, poi cresciamo e le trasformiamo in favole non più adatte a noi, o in sogni irrealizzabili, e così è inevitabile perdersi un po’ della magia di questo incredibile universo, “perché se esiste davvero il calamaro gigante, non c’è più un sogno che sia irrealizzabile, una battaglia inaffrontabile, un amore impossibile.”

E poi: “Dobbiamo ricordarcelo, adesso e sempre. Prima di partire, prima ancora di sapere dove andiamo, dobbiamo sapere dove siamo: noi siamo su una terra dove sono esistiti i dinosauri, e quindi tutto è possibile da queste parti.”L’armonia della natura è dentro ed attorno a noi in ogni momento. Esserne consapevoli è un’occasione di grande felicità, ma dovremmo imparare ad apprezzarla sempre, non solo in retrospettiva o in sua assenza. Questo è il senso più profondo delle sue parole. Una lettura dolce, riflessiva, spiritosa, ma allo stesso tempo anche un grande pugno nello stomaco.

Veronica Saporito

Veronica Saporito: Specializzata in Finanza e Controllo presso una rinomata azienda nel settore della nutrizione sportiva. Appassionata lettrice, dal 2020 scrive di libri su Instagram dove è conosciuta come thatslibridine, e sul suo blog: www.libridine.net, a cui è legata anche una newsletter mensileCollabora con case editrici, uffici stampa, ed ha supportato come media partner il festival letterario comasco Parolario Junior.