Mara Mattavelli, poetessa, il talento di cogliere il kairos
Mara Mattavelli, poetessa, ha già pubblicato due raccolte di poesie, “Parole in fiore” e “Le farfalle di Nabokov” che si distinguono per i loro notevoli accenti sensibili e toccanti: impressioni, stati d’animo, eventi che l’autrice esprime in versi liberi in una felice armonia tra musicalità e significato. Immagini che rimangono. Nella sua opera mai una parola di troppo, una nota stonata, una lezione di morale, una celebrazione di sé stessa o una cupa disperazione. Emerge invece con forza una lucidità che sa cogliere il momento perfetto, il kairos dei Greci, nella quotidianità.
Le poesie di Mara non si perdono nel cammino ma diventano un seme che matura e germoglia per lettrici e lettori, hanno un loro stile inconfondibile che le distingue nel mare magnum della poesia contemporanea e che per questo invito a scoprire.
D) Vuoi raccontarci Mara come e quando è nata la tua ispirazione alla poesia?
R) La poesia è sempre stata un genere letterario che mi ha interessato, sin dai tempi della scuola superiore prima e poi all’Università dove ho potuto approfondire i testi dei più importanti poeti inglesi e francesi della storia. Sono stata attratta più dalla poesia rispetto alla prosa per la sua capacità di mettere il lettore in contatto diretto con il profondo dell’autore. Leggere poesia è per me un atto di pura empatia.
È nell’immediatezza del verso e in ciò che riesce a “svegliare” che ho trovato un legame speciale con il testo poetico. Ho sempre letto molta poesia ma la scrittura è venuta a me solo più tardi, in un momento particolare della mia vita in cui nacque l’urgenza di esprimermi per alleggerire il peso della quotidianità e sfuggire dall’appiattimento umano e culturale che mi circondava.
La mia chiamata alla poesia è stata dunque tardiva ma illuminante, sia per il mio percorso di essere umano in primis sia, successivamente, per quello di scrittrice. Ho iniziato a scrivere in versi liberi per poi passare a componimenti metrici con i quali le immagini hanno acquisito più forza grazie all’utilizzo degli accenti e del ritmo.
Sono ispirata dalla natura e dalle situazioni che vivo nel quotidiano. Le due dimensioni spesso si interfacciano dando luogo a poesie intimiste ma anche di invito a scardinare l’ordine costituito, una sorta di ribellione alle ingiustizie mediata dalla potenza delle parole a cui mi affido in ogni slancio di ispirazione.
D) Quali sono i poeti, del passato o del presente, che più ti accompagnano nel tuo percorso?
R) Sono moltissimi i poeti che amo leggere e tutti diversi tra loro per collocazione storica, per temi e stile poetico.
Amo i poeti romantici inglesi, Wordsworth in particolare, per la sua capacità di elevare la contemplazione della natura a una dimensione tale da risvegliare l’immaginazione del lettore rendendolo partecipe delle emozioni descritte. Pensando ai nostri grandi poeti posso ricordare Montale e Penna, per giungere ai più contemporanei Dario Bellezza, Patrizia Cavalli, Patrizia Valduga e Elio Pecora. Trovo poi grande vicinanza nel sentire nei versi di Antonia Pozzi, autrice di poesie così moderne e dirette anche oggi. La considero una delle più grandi poetesse italiane per i temi universali che propone e per la semplicità del linguaggio che la colloca fuori dal tempo e dallo spazio.
D) In un mondo dominato dalla tecnologia e con feroci guerre in corso, quale può essere il ruolo della poesia? Può la poesia recare conforto?
R) Per quanto riguarda l’imporsi dell’intelligenza artificiale credo che la poesia possa considerarsi al sicuro. L’intervento della tecnologia, a mio parere, non potrà mai sostituirsi a un genere letterario espressione dell’unicità di chi scrive. Il ruolo della poesia sta nel conservare la singolarità del suo messaggio che è poi espressione delle diversità dei suoi autori.
In un momento così tragico di guerre e conflitti penso che si abbia ancora più bisogno di poesia come atto di resistenza e tentativo di salvezza. La poesia accende un faro sulle nefandezze della guerra e diventa denuncia ma ancora prima riflessione profonda sul senso della vita. La parola vive nella poesia e crea radici alle quali aggrapparsi per non essere risucchiati dalle brutture nemiche dell’umanità. Personalmente ho scritto dei versi in questi giorni così bui per dimostrare il mio sdegno a tanta insensatezza umana, per schierarmi dalla parte della non indifferenza che è morte ed ignavia.
D) Stai lavorando a dei nuovi progetti?
R) In questi mesi sto presentando il mio ultimo lavoro “Le farfalle di Nabokov” e continuo a scrivere accogliendo l’invito di chi vuole sapere di più delle mie poesie. A tal proposito vanno i miei ringraziamenti all’intervistatrice Lavinia Capogna, poeta e regista dotata di grande sensibilità e preparazione unica.
Ti ringrazio molto. Buon lavoro!
Lavinia Capogna*
Due poesie inedite di Mara Mattavelli:
I
Cresci dentro la vita e ti guardi
sempre fuori dal vetro che brilla,
manca il viso che presti ma torna
sempre quando ti fermi a pulire
le tue smorfie di cera sul piatto.
Non ti torna l’abbozzo per strada,
sfugge al mondo l’impervio tuo stare.
II
Non chiedo il permesso
per adombrare
il sole alto da dietro
le tende aperte,
mi duole poco
la luce sotto
il coperchio.
Si fa più forte
nel segreto,
chi non ci crede
lascia agli altri
solo un abbaglio.
Mara Mattavelli: nata a Orzinuovi (BS) nel 1975, ha pubblicato la prima raccolta di poesie “Parole in fiore” nel 2022, a cura dell’editore bresciano Marco Serra Tarantola. Nella primavera del 2024 una piccola raccolta poetica, “Le farfalle di Nabokov”, è stata pubblicata sulla rivista svizzera Fluire, edizioni Alla Chiara Fonte, di Mauro Valsangiacomo, da cui è nata nel 2025 la seconda silloge, con lo stesso titolo, edita da Gattogrigio Editore. Alcune sue poesie sono state inserite nell’Antologia “Poeti del quotidiano prossimo all’infinito”, a cura di Franco Piol, edizioni Croce e nell’Antologia “Nuovi poeti degli anni ’20” a cura di Andrea Donna.
*Lavinia Capogna è una scrittrice, poeta e regista. È figlia del regista Sergio Capogna. Ha pubblicato finora sette libri: “Un navigante senza bussola e senza stelle” (poesie); “Pensieri cristallini” (poesie); “La nostalgia delle 6 del mattino” (poesie); “In questi giorni UFO volano sul New Jersey” (poesie), “Storie fatte di niente”, (racconti), che è stato tradotto e pubblicato anche in Francia con il titolo “Histoires pour rien” ; il romanzo “Il giovane senza nome” e il saggio “Pagine sparse – Studi letterari”.
Ha scritto circa 150 articoli su temi letterari e cinematografici e fatto traduzioni dal francese, inglese e tedesco. Ha studiato sceneggiatura con Ugo Pirro e scritto tre sceneggiature cinematografiche e realizzato come regista il film “La lampada di Wood” che ha partecipato al premio David di Donatello, il mediometraggio “Ciao, Francesca” e alcuni documentari.
Collabora con le riviste letterarie online Insula Europea, Stultifera Navis e altri website.
Da circa vent’anni ha una malattia che le ha procurato invalidità.
Grazia Procino, poetessa, la limpida voce della Magna Grecia
Grazia Procino è una delle più brave poetesse del nostro tempo. La sua limpida voce ci giunge da quelle terre dove il mare è intensamente blu, il sole accecante, le vallate hanno ulivi centenari e le notti sono dolci: il nostro sud che tanto ha affascinato nel tempo Goethe, il poeta Von Platen e altri viaggiatori, antropologi alla ricerca di antiche e misteriose magie, come Ernesto De Martino, e dove anche Ulisse si era smarrito essendogli ostile il dio Poseidone. I Greci la chiamarono “Magna Grecia” (Grande Grecia) e il legame con quel mondo arcaico, la Grecia, non si è mai spezzato nei cuori più sensibili. Grazia Procino, pugliese, di Gioia del Colle, docente di Lettere al Liceo Classico, autrice di ben sei raccolte poetiche, di cui l’ultima “Esercizi quotidiani di compassione” è stata pubblicata a fine giugno di quest’anno da Puntoacapo Editrice, pluripremiata, a cui hanno dedicato articoli anche quotidiani nazionali (che generalmente parlano assai poco di poesia), è una voce prestigiosa della poesia contemporanea che riprende sovente nella sua poetica quell’eco millenario ma non solo.
I suoi componimenti poetici hanno uno squisito equilibrio tra forma e significato, non sono mai artefatti o banali, ma sono di una raffinata schiettezza, segno di una ricerca costante.
Grazia, puoi raccontarci come e quando è nata in te l’ispirazione alla poesia?
Non c’è stato un momento preciso e definito; ho sempre amato leggere anche la poesia, avevo scritto qualche poesiola alle scuole medie ma non avevo più proseguito. Dopo anni di letture appassionate e continue ho avvertito il bisogno di esprimermi attraverso la scrittura, componendo haiku, racconti e poesie. Questa esigenza è coincisa con una particolare fase della mia vita professionale: ero molto delusa e ho trovato nello scrivere un’energia che non avrei mai immaginato. Da allora, da circa dieci anni, non ho più smesso di scrivere poesia, senza un’imposizione precisa ma quando l’estro me lo detta. Non ho regole, non m’impongo orari; ci sono mesi in cui non scrivo neppure un verso, altri in cui sgorga un mare un parole.
Quali temi del mondo classico ti affascinano e quali dei suoi valori resistono in una società dominata dalle tecnologie e con guerre feroci in corso? La poesia può essere un conforto nel terzo millennio?
La mia devozione per l’umanità ha trovato nel mondo classico le sue radici, il senso profondo del mio stare al mondo. La persistenza dell’antico nell’attualità si concretizza in ciò che avviene, la guerra e l’impegno per la pace, la ricerca del bello in ogni sua forma e manifestazione, la tensione al bene comune; in tutte queste dimensioni vi è l’antico, ma anche nella pretesa superiorità della civiltà greca rispetto ai popoli non parlanti il greco, i barbari. È bene ravvisare nell’antica Grecia anche dei disvalori, per individuare anche gli aspetti negativi di una civiltà che ha fondato la visione occidentale. La società contemporanea, così permeata dal narcisismo e dalla disumanizzazione, manca del caposaldo della cultura greca: la misura, il mètron. Gli antichi Greci erano convinti che l’armonia derivi dalla moderazione, né troppo, né troppo poco; la potenza smisurata è nociva, come evidenziano i miti in cui il superamento dei confini della natura umana si converte nella tracotanza, la yubris, e la conseguente punizione divina. La loro saggezza ci insegna ancora che porsi e vivere entro certi limiti consente all’uomo di godere con intelligenza dei beni offerti dalla natura. Il valore della misura è da porsi come criterio per tutte le cose, anche nel rapporto con la tecnologia e l’intelligenza artificiale, da cui, per esempio, è possibile farsi aiutare per rendere meno pesante e fastidiosa la vita quotidiana.
La poesia oggi più che mai è preziosa perché ci offre prospettive inusuali e particolari che ci consentono visioni plurime, in grado di approfondire problematiche della realtà anche interiore. La poesia non consola o salva tutti, non è il rimedio dei malesseri ineriori, ma cambia coloro che si predispongono alla metabolè, al mutamento. Come sostiene il poeta Giancarlo Pontiggia, la poesia salva chi vuole essere salvato, chi avverte dentro sé la volontà del cambiamento. E questo è già tanto, in un mondo inaridito e incattivito.
Tu hai composto anche numerosi Haiku, cosa ti conquista di questa forma poetica di origine giapponese ?
Scoprii gli haiku e i tanka grazie al mio professore di greco al liceo. Devo a lui alcune illuminazioni che sono rimaste nel tempo: l’amore per la letteratura greca, in special modo per la lirica e il teatro. Sono stata conquistata dagli haiku tanto da voler approfondire questa espressione così tipica del mondo giapponese, in cui l’amore per la natura, la ciclicità delle stagioni aprono mondi straordinari di visioni poetiche. Ammiro, inoltre, in queste forme la sintesi e il fren dell’arte, come Dante definì, il significante.
Quale spazio occupa l’amore nella tua poetica?
Enorme. Non solo e tanto l’amore sentimentale quanto l’amore per l’individuo, per la mia terra, per la vita, per me stessa. L’amore è il motore che mette in circolo le energie vitali e propositive, la creatività.
Quali sono i poeti che rileggi più volentieri?
Sicuramente, i lirici greci, i poeti greci più recenti come Kavafis, Ritsos, Seféris, i poeti italiani Leopardi, Montale, Ungaretti, Penna, Rosselli, Anedda per citare i più frequentati.
Lavinia Capogna*
Due poesie di Grazia Procino:
Minimo dettaglio
Ti tengo stretto
nel luogo protetto
della mia anima.
Lì nessuno incede;
l’abisso avanza
lascia bave di buio.
Lì mi siedo
come lumaca schiumo.
Mi faccio piacere
questo mondo scandito
da giorni slanciati
verso utopie incantate.
Eppure io so che
tutto è provvisorio
tutto si rompe
all’incrinarsi del vetro.
Quello che resta
Mi chiedete, quello che resta.
Davvero, non lo so.
Forse la tana dei vermi
nel terreno grasso e umido.
Le vite dei santi e le stanze dei detenuti.
I giorni mai uguali l’uno all’altro
i minuti di sofferenza sempre uguali.
Le contusioni violacee, e il tempo
dopo le bufere. Tu che mi chiami
e mi dici:
<<Come stai?>>
Le voci querule di chi simula
stati di malessere. Il dolore
di ognuno infisso nelle pupille.
Tu che ammetti di stare sbagliando
a indovinare la vita
Grazia Procino, nata a Gioia del Colle, laureata in Lettere Classiche con 110 e lode e una tesi in Letteratura latina con il professor Paolo Fedeli; è docente presso il Liceo Classico di Gioia del Colle. Scrive per il settimanale “La voce del paese” e ha collaborato con il blog letterario collettivo “Diario di pensieri persi”. Dal 2017 ad oggi ha pubblicato haiku, cinque sillogi poetiche che hanno riportato diversi premi e una raccolta di racconti.
*Lavinia Capogna è una scrittrice, poeta e regista. È figlia del regista Sergio Capogna. Ha pubblicato finora sette libri: “Un navigante senza bussola e senza stelle” (poesie); “Pensieri cristallini” (poesie); “La nostalgia delle 6 del mattino” (poesie); “In questi giorni UFO volano sul New Jersey” (poesie), “Storie fatte di niente”, (racconti), che è stato tradotto e pubblicato anche in Francia con il titolo “Histoires pour rien” ; il romanzo “Il giovane senza nome” e il saggio “Pagine sparse – Studi letterari”.
Ha scritto circa 150 articoli su temi letterari e cinematografici e fatto traduzioni dal francese, inglese e tedesco. Ha studiato sceneggiatura con Ugo Pirro e scritto tre sceneggiature cinematografiche e realizzato come regista il film “La lampada di Wood” che ha partecipato al premio David di Donatello, il mediometraggio “Ciao, Francesca” e alcuni documentari.
Collabora con le riviste letterarie online Insula Europea, Stultifera Navis e altri website.
Da circa vent’anni ha una malattia che le ha procurato invalidità.
Il potere della parola quale strumento per salvarci di fronte al silenzio
Ambientato agli albori della prima guerra civile cilena scoppiata nel lontano 1891, la protagonista di questo splendido romanzo si fa portavoce di una delle pagine più cruente della storia sudamericana, dove il rispetto per la vita e l’amore nei confronti della propria terra segnano un profondo divario non solo all’interno del popolo cileno bensì fra gli alti esponenti di una politica sempre più corrotta.
Disposta a reprimere la voce della nazione in nome di un folle e assurdo amore: quello per la guerra.
Attraverso l’indomito coraggio della fiorente scrittrice Emilia del Valle il Cile assume negli articoli della giovane ed emergente reporter la forma di una lingua di terra violentata dalla cupidigia dell’Io e deturpata dalla brutalità dell’essere umano.
Rispetto ai quali sia il profumo del mare che le immense catene montuose possono soltanto piegarsi dinanzi alla logica di un’indicibile e inaudita violenza.
Impregnate di storia ma soprattutto di un florido desiderio di riscatto, ciascuna di queste pagine assume pian piano i contorni di una mappa dove la geometria dei sogni rivela le nebulose costellazioni di un viaggio pronto a rinnovarsi capitolo dopo capitolo.
La scrittura e ancor più le parole acquisiscono via via le sembianze di una creatura in grado tanto di raccontare quanto di imprimere quelle emozioni e quelle speranze che soltanto la guerra tenta spesso di dissolvere nella polvere da sparo, denunciando oltremodo le barbarie perpetrate dalle forze del Congresso cileno contro il governo dittatoriale dell’allora presidente Josè Manuel Balmaceda.
La nota autrice e giornalista cilena Isabel Allende offre dunque ai suoi lettori uno spaccato della propria terra d’origine dove la curiosità e il forte richiamo all’indipendenza di Emilia si traducono in un viaggio degno di essere vissuto, dove l’amore e la scoperta delle rispettive origini la porteranno in un luogo ricolmo di mistero: inaccessibile finanche alla cupidigia dell’uomo e ai suoi futili strumenti di morte.
Quello che maggiormente contraddistingue questo meraviglioso romanzo non è soltanto quel terribile amore per la guerra di cui parlava il noto psicoanalista americano James Hillman bensì la crescente presenza di un conflitto che sulle labbra e ancor più tra le mani dell’uomo si tramuta in legge assoluta: in una nuova norma.
Nondimeno quanto viene proposto lungo queste pagine è la descrizione di quello che purtroppo al giorno d’oggi siamo ormai abituati a vedere, a leggere e a sentire: rendendo il conflitto con il proprio simile l’unica legge vigente rispetto alla quale, per assurdo, l’essere umano rischia di identificare sempre più il valore della propria esistenza.
Se da un lato i governi dittatoriali hanno da sempre macchiato di sangue interi capitoli della storia dell’uomo dall’altro quest’ultimo, proprio attraverso le parole può gradualmente tornare a fiorire, facendo della scrittura nonché della narrazione il solo strumento con cui restituire alla vita di ogni giorno una dignità di fronte alla quale l’odio e il conflitto prima o poi esauriranno le proprie cartucce.
Il Cile quale terra ricca di analogie e preziose radici da riscoprire
Il linguaggio analogico riflette quella dimensione simbolica grazie alla quale prendere le distanze da ciò che è ormai razionale e carico di significati ormai collaudati.
Un vero e proprio strumento che garantisce l’accesso presso quell’apparato immaginativo e metaforico con cui riscoprire uno o finanche più dialoghi.
Pertanto proprio attraverso questo graduale distacco si ha la possibilità di prendere coscienza circa l’esistenza di ulteriori forme di espressione, nuove modalità comunicative e soprattutto di un mondo inconscio che a nostra insaputa fiorisce dentro di noi.
Quest’ultimo infatti sembra custodire al suo interno non tanto semplici contenuti quanto una vera e propria sequenza di materiali che se sotto il profilo onirico non tardano a presentarsi viceversa dal punto di vista linguistico sono pronti a tradursi in una trama, a volte indefinita e per questo del tutto originale.
Le parole dunque possono acquisire quella incerta fisionomia che alla stregua dei sogni altro non attendono se non di guidarci verso orizzonti lontani; pronte a comunicarci non solo qualcosa di nuovo bensì a mostrarci quella via grazie alla quale oltrepassare quei significati che spesso e volentieri rischiano di restringere il campo della nostra simbologia inconscia.
Nel corso dei secoli la letteratura si è sempre fatta portavoce di un qualcosa di nuovo, di inaspettato e spesso e volentieri di scomodo per la ragione ordinaria e abitudinaria.
Nondimeno la struttura e gli stili che adornavano il contenuto di quanto riportato in forma scritta riflettevano il ponte di unione tra la dimensione cosciente e quella all’apparenza invisibile.
Se le parole permettevano un trampolino di lancio verso la nostra interiorità ad oggi questa possibilità non sempre la si riscontra facilmente.
In quanto difficilmente si è disposti a lasciarsi guidare da quanto di più misterioso e indecifrabile risiede entro gli anfratti della nostra anima.
Tuttavia la lettura di questo romanzo riflette proprio l’invito a prendere contatto, nonché a riscoprire, quelle radici che se accolte sono in grado di svelare i volti di un percorso grazie al quale raggiungere mete lontane e che tuttavia non sapevamo di custodire nel nostro più intimo bagaglio.
Tantomeno di raccontare con la sola parola possibile: Viaggio.
Cristi Marcì*
* Cristi Marcì è uno psicoterapeuta psicosomatico junghiano. Grazie ai libri ha scoperto la possibilità di viaggiare con l’unica compagnia gratuita: la fantasia. Adora i gialli, la saggistica e i romanzi storici. Ad oggi ha pubblicato racconti brevi sulle riviste «Topsy Kretts», «Morel, voci dall’Isola», «Smezziamo», «Offline» «Kairos» e altre ancora. Scrive articoli per il periodico scientifico «Ricerca Psicoanalitica», «Arghia» e «Mortuary Street». Trovate una sua traccia anche su «Quaerere»
Il dono della poesia quale culla di antiche creature
Impregnate di mistero e salsedine d’oltreoceano, le pagine di questo romanzo svelano il legame antico tra il noto poeta cileno Pablo Neruda e la cantante Matilde Urrutia.
Il loro è un amore proibito ma al contempo privo di quei confini geografici e spaziali che attraverso le righe di questa storia delineano i binari dove il passato e il presente si congiungono tramite il dono del ricordo e di quella sola parola in grado di far germogliare l’imprevedibile: la fantasia.
Perché se ad occhi aperti ciò che è lontano appare drammaticamente irraggiungibile, viceversa, una volta abbassate le palpebre, la galassia dei ricordi traccia finanche le costellazioni ancora in procinto di brillare.
Per mezzo di questa fiaba, che attraversa la storia e la cultura della società cilena ai tempi di Pinochet, Ruggero Cappuccio disegna un labile confine tra sogno e realtà, oltre il quale il verbo della poesia incontra quell’indecifrabile logica dell’anima in grado di tramutare le emozioni in eterne creature viventi.
Tra un Cile prerivoluzionario e un’Italia costretta a risollevarsi dalle macerie del periodo bellico i versi del poeta si scontrano con quello che in quel medesimo periodo storico e socio culturale James Hillman aveva definito “un terribile amore per la guerra”: così immortale da far percepire a chiunque sceglierà di perdersi tra le sue pagine, come il passato non sia in fin dei conti “una terra straniera”.
Tra le pagine di questo meraviglioso romanzo si avrà il piacere di incontrare finanche i personaggi più illustri della letteratura e di ogni altra espressione artistica di quel tempo tra i quali: Alberto Moravia, Elsa Morante, Renato Guttuso e tanti altri ancora.
I quali alla stazione Termini di Roma non aspetteranno altro che di congiungere la propria voce con quella del maestro, colpevole di diffondere versi abietti e velenosi che a detta di molti, solo il comunismo poteva partorire a quei tempi: corrodendo lo spirito del popolo.
Eppure grazie alla forza prorompente della poesia si profila pagina dopo pagina la possibilità di rendere l’ignoto una dimensione in grado di restituire parole che non credevamo potessero ancora prendere vita né tantomeno fare proprie.
Quanto emerge dunque non è una semplice trama bensì un insieme di ramificazioni lungo le quali germogliano i semi di un presente e di un futuro ancora possibili e tuttavia ancora ignoti all’occhio della ragione.
Per una psicologia poetica a favore del mondo immaginale
Nel campo dell’alchimia con il termine albedo ci si riferisce ad una fase di transizione del materiale psichico che ciascuno individuo custodisce al proprio interno.
In accordo con il simbolismo cromatico questa variazione riflette in maniera sottile quelle alterazioni del substrato animico entro il quale si sviluppano tanto gli umori quanto le costellazioni oniriche.
In qualità di coscienza improntata ad Anima, l’albedo alchemico favorisce una rinnovata modalità di percezione rispetto alla quale lo sguardo e l’attenzione vanno oltre quegli attaccamenti obsoleti alla ricerca di un altrove, dove l’assenza di un luogo e uno spazio prestabiliti favoriscono una nuova ispirazione
La fase propriamente detta dell’imbiancamento rispecchia l’emergere di una coscienza psicologica dove la percezione e l’ascolto si tramutano gradualmente in quella fantasia creativa in grado di promuovere un distacco tanto dal passato quanto da ciò che non ne garantiva una possibile evoluzione.
Difatti, fino a quando la psiche continuerà a dibattersi nella nigredo, ossia quei pensieri e comportamenti ormai obsoleti, sarà emotivamente legata ai suoi attaccamenti passati e circoscritta così in materializzazioni che rischiano di bloccarne l’evoluzione.
Pertanto il processo di unione della mente con un terreno fertile e imbiancato prende spesso il nome di base poetica della mente, dove la coscienza non sarà più il prodotto di una grossolana materia cerebrale o peggio ancora il gretto risultato della società, ma al contrario un rispecchiamento, nonché un tripudio di immagini atto a generare e fecondare in una perpetua poiesi fantasie lontane da futili dittature.
Per addentrarci più in profondità verso una maggiore comprensione della mente è necessario volgere lo sguardo alla poesia e alla sua inafferrabile simbologia.
Bisogna dunque interpellare coloro i quali abitano la luna, ossia quei poeti che instancabilmente sottolineano come la poesia “offra manciate di terra imbiancata e pietre lunari”, le quali se maneggiate con fare immaginativo partoriscono sogni, idee, canzoni e storie ancora non scritte: veri e propri minerali lunari dal valore mitopoietico.
Cristi Marcì*
* Cristi Marcì è uno psicoterapeuta psicosomatico junghiano. Grazie ai libri ha scoperto la possibilità di viaggiare con l’unica compagnia gratuita: la fantasia. Adora i gialli, la saggistica e i romanzi storici. Ad oggi ha pubblicato racconti brevi sulle riviste «Topsy Kretts», «Morel, voci dall’Isola», «Smezziamo», «Offline» «Kairos» e altre ancora. Scrive articoli per il periodico scientifico «Ricerca Psicoanalitica», «Arghia» e «Mortuary Street». Trovate una sua traccia anche su «Quaerere»
L’ 11 febbraio del 1963 si spegneva una delle voci più intense della poesia del Novecento: Sylvia Plath. La sua penna ha trasformato il dolore personale in versi di straordinaria bellezza, esplorando temi come l’identità femminile, la depressione e il rapporto complesso con la figura paterna. La sua opera, culminata nella raccolta “Ariel“, rappresenta un testamento poetico di splendore estetico e originalità rari.
Il Randagio vuole ricordare Sylvia Plath non solo per la sua fine tragica, ma soprattutto per la sua opera che continua ad emozionarci.
Maestro Missile traduce la lezione di TED Ed su Sylvia Plath.
Buona visione!
Sylvia Plath rappresenta una delle voci più intense e rivoluzionarie della letteratura del XX secolo. Nata a Boston nel 1932, fin dall’infanzia dimostrò un talento eccezionale per la scrittura, pubblicando le sue prime poesie quando era ancora studentessa. La sua vita fu un intreccio di brillanti successi e profonde ombre: si laureò con il massimo dei voti allo Smith College, vinse prestigiose borse di studio e si affermò nel mondo letterario, ma dovette anche combattere contro ricorrenti episodi di depressione. Il suo trasferimento in Inghilterra segnò una svolta decisiva: a Cambridge incontrò il poeta Ted Hughes, che sposò nel 1956. Il loro matrimonio, inizialmente una partnership artistica e sentimentale straordinaria, si concluse drammaticamente nel 1962. In quegli anni Plath scrisse le sue opere più significative: il romanzo autobiografico “La Campana di Vetro” e le poesie che sarebbero state raccolte in “Ariel”, pubblicate dopo la sua morte avvenuta a Londra nel 1963. La sua poesia, caratterizzata da immagini potenti e spesso inquietanti, da un controllo formale magistrale e da una sincerità disarmante, esplora temi come l’identità femminile, il rapporto con la figura paterna, la depressione, la morte e la rinascita. La sua eredità letteraria continua a influenzare profondamente la cultura contemporanea, e le sue opere vengono ancora oggi studiate, tradotte e amate in tutto il mondo. Nel 1982 è stata la prima poeta a ricevere postumo il Premio Pulitzer per la raccolta completa delle sue poesie.
Massimo Villani, in arte Maestro Missile, opera da svariati anni nel campo dei Videosaggi sul Cinema e sull’Arte.
TedEd è una piattaforma che consente ai docenti di creare lezioni interattive a partire da un video; fa parte della “famiglia” più ampia di risorse dell’omonima organizzazione no profit, che ha come scopo quello di diffondere idee e cultura in ogni ambito attraverso discussioni e conferenze.