Fëodor Dostoevskij (1821 – 1881) è, come si sa, uno dei grandi autori della letteratura russa del 1800 e mondiale. Ebbe una gioventù molto difficile, sua madre morì di tisi quando lui aveva solo 16 anni, suo padre, un medico militare e possidente terriero, venne ucciso, probabilmente da uno o più servitori l’anno seguente (tragedia che si ritrova trasfigurata nell’ultimo romanzo, “I fratelli Karamazov”).
Dostoevskij, che era in collegio, quando lo seppe ebbe un attacco epilettico. Fu il primo della malattia che lo tormenterà per tutta la vita e che avrebbe descritto in quel meraviglioso personaggio che è il principe Myskin nel romanzo “L’idiota”, nello squilibrato Kirillov ne “I demoni” e nella traumatizzata Nelly di “Umiliati e offesi”.

Ventenne, solo perché frequentava un circolo che si ispirava alle idee socialiste di Charles Fourier, venne condannato a morte .
Il 29 dicembre 1849 lui (che aveva 28 anni) e gli altri furono bendati e con i fucili del plotone di esecuzione puntati addosso attendevano disperati che venisse dato l’ordine di far fuoco: allora arrivò la notizia che lo zar aveva concesso loro la grazia. Anche questa fu un’altra esperienza terrificante.
Venne poi condannato a quattro anni di carcere che avrebbe descritto nello splendido “Memorie da una casa di morti” (1861).
Fu la letteratura che lo salvò: il pubblico amava le sue storie che parlavano di personaggi reali, spesso di povera gente come suona il titolo del suo primo romanzo, di sentimenti profondi, speranze sovente tradite, intrise di un sincero misticismo cristiano (specie nelle ultime opere), di violenze e di aspirazioni al bene, di pulsioni inconscie ben prima che fosse scoperto l’inconscio.
La sua opera, annota Stefan Zweig, è composta di ben ventimila pagine.
Sembra che egli fosse affetto da una ludopatia, tema centrale del romanzo “Il giocatore” ma anche dalla necessità di guadagnare incessantemente del denaro perché aveva preso su di sé l’onere di mantenere i suoi numerosi ed esigenti parenti allargati oltre che la sua famiglia.
Si sposò due volte ed ebbe alcuni figli. La sua seconda moglie, Anna Grigor’evna Dostoevskaja, ha lasciato un prezioso libro di memorie intitolato “Dostoevskij, mio marito”.
Egli dedicò gli ultimi vent’anni di vita alla stesura dei suoi grandi romanzi e ai viaggi all’estero, tra cui un lungo soggiorno in Italia. Morì pochi mesi prima di compiere 60 anni, nel 1881.
Dostoevskij descrisse i lati più oscuri ed insensati degli esseri umani (Raskolnikov in “Delitto e castigo”, Rogozin in “L’idiota”, Stravogin ne “I demoni” , Smerdjakov ne “I fratelli Karamazov”) ma anche quelli più puri (la delicata Sonia in “Delitto e castigo”, il principe Myskin, Aleksej Karamazov, il sognatore di “Le notti bianche”).

“Umiliati e offesi” (in russo: Униженные и оскорблённые) pubblicato nel 1861, quando lo scrittore aveva 40 anni, è un bellissimo romanzo, meno noto in confronto agli altri. È il sesto dei suoi quattordici romanzi.
Come in tutte le sue opere, fin dalle prime righe egli trasporta subito i lettori nel vivo della storia, senza alcun vano preambolo o prolissa descrizione, e in modo così convincente che immediatamente prendiamo a cuore le vicende di Vanja, il protagonista.
Vanja è un giovane nobile d’animo, pieno di speranze nonostante un’incipiente malattia e grandi ristrettezze economiche.
Ha composto un romanzo che ha attratto l’attenzione: un critico assai stimato lo ha recensito positivamente (nota 1) e sta tentando di scriverne un secondo.
Vanja è un orfano cresciuto con due coniugi che lo avevano generosamente preso con loro: due fantastici personaggi che lo scrittore descrive accuratamente nell’arco della storia.
Essi avevano già una figlia, Natascia, più giovane di lui di tre anni, del quale Vanja si innamora. Viene fatta tra di loro una vaga promessa di fidanzamento ma Natascia si innamora invece di Aloscia, il figlio del principe Valkovskij, tanto da andare a convivere con lui, fuggendo di casa e perdendo così i suoi genitori e la rispettabilità sociale.
Se l’amore di Vanja per Natascia è tenero, sognante, quello di Natascia per l’immaturo e sventato Aloscia illustra invece la follia dell’amore, come perdita di razionalità, annullamento di sé, sacrificio.
Se Jean Jacques Rousseau nel 1761 nel romanzo epistolare “Julie o la nuova Héloïse” aveva messo a contrasto l’amore passione (il bel Saint- Preux) e l’amore ragione (il noioso Wolmar), in “Umiliati e offesi” Dostoevskij narra invece l’amore che viene sublimato nella dedizione fraterna (Vanja), l’amour fou (Natascia), l’amore incoerente (Alioscia), l’amore platonico ed adolescenziale (Nelly), l’amore egoista ma sincero (Katja).
Natascia è uno dei personaggi femminili più notevoli creati dallo scrittore: rinnegata dal padre, bella, innocente, sovente pensierosa, con le braccia conserte. Ella dice a Vanja, che è il suo grande amico fraterno: “In qualche modo bisognerà conquistare la nostra felicità futura con tanta sofferenza; acquistarla al prezzo di chissà quali nuovi tormenti. La sofferenza purifica ogni cosa… Oh, Vanja, quanto dolore c’è nella vita!”.
Tuttavia in questo romanzo in cui l’amore ha un ruolo così determinante esso non è il tema dominante. Il tema dominante è la lotta etica tra il potere e il non potere, tra coloro che opprimono e gli oppressi (nota 2).
Il potere trova qui un suo perfetto rappresentante nel principe Valkovskij, nei suoi inganni e in un torbido segreto del passato: cinico, sprezzante, manipolatore (illuminante la scena sulle scale al buio quando Vanja lo sente imprecare come “un vetturino”), avvenente, dotato di un’abile dialettica, egli si rivela in alcuni furtivi sguardi: “avrebbe forse voluto avere uno sguardo dolce e gentile, ma i raggi dei suoi occhi sembravano sdoppiarsi, e tra quelli dolci e gentili ne baluginavano altri, duri, diffidenti, indagatori, cattivi…” – scrive Dostoevskij.
Servi del potere sono la terribile Boblova, il criminale pedofilo, e tutti gli aristocratici (eccetto Katja) – ricchi e poveri.
Stanno in una zona più” grigia” il vecchio amico di Vanja alcolizzato e traffichino (che avrà un ruolo determinante nel romanzo) e l’anziano padre di Natascia.
Il libro è una raffinata, avvincente, commovente (ma non retorica) opera psicologica a sfondo sociale in cui emerge una società variegata che è un bizzarro miscuglio tra occidente e oriente.
Ha qualcosa in comune con certi romanzi francesi più impegnati (Dostoevskij aveva tradotto “Eugénie Grandet” di Balzac) e nel personaggio di Nelly vi è un chiaro riferimento (e non un plagio) a Charles Dickens anche nella scelta del nome (nota 3).
Scritto in modo semplice, diretto, senza una riga di troppo, con numerosi dialoghi e acute intuizioni ha un ritmo incalzante. A far da sfondo alle febbrili vicende dei personaggi, c’è la città di Pietroburgo ma non quella degli splendidi palazzi dorati o dei lungofiumi sulla Neva ma quella delle strade più dimenticate con case fatiscenti tra il fango e la pioggia.
……….
Nota 1) La vicenda è autobiografica: dopo che Dostoevskij aveva pubblicato il suo primo libro ovvero “Povera gente” il noto critico Belinskij aveva bussato in piena notte alla sua porta e, abbracciandolo, lo aveva chiamato “il nuovo Gogol”. Gogol era considerato il padre della nuova prosa russa e Dostoevskij avrebbe detto “tutti noi siamo usciti dal cappotto di Gogol”.
(“Il cappotto” è uno dei racconti più famosi di Gogol del 1844).
Nota 2) Nell’ampia postfazione dell’edizione Feltrinelli scritta da Serena Prina, ella, tra l’altro, ci segnala una cosa importante e cioè che gli aggettivi al plurale in russo non hanno maschile e femminile e quindi il titolo originale potrebbe anche essere “Umiliate e offese”.
Ed effettivamente le persone ‘umiliate ed offese’ nel romanzo sono Natascia, la signora Smith, Nelly e la madre di Natascia (repressa nei suoi sentimenti materni): tutte donne.
Nota 3) Nelly o Little Nelly è una bambina/adolescente tra i personaggi principali di “La bottega dell’antiquariato” (The Old Curiosity Shop) di Charles Dickens, pubblicato in Inghilterra nel 1841.
Una curiosità: Dostoevskij e Tolstoj, pur ammirandosi reciprocamente letterariamente e nonostante le loro mogli si conoscessero, non si incontrarono mai personalmente.
Bibliografia:
Dostoevskij
Umiliati ed offesi (Feltrinelli)
Anna Grigor’evna Dostoevskaja “Dostoevskij, mio marito” (Bompiani)
George Steiner
Tolstoj o Dostoevskij (Garzanti)
Stefan Zweig
Dostoevskij (Castelvecchi)
Lavinia Capogna*

*Lavinia Capogna è una scrittrice, poeta e regista. È figlia del regista Sergio Capogna. Ha pubblicato finora otto libri: “Un navigante senza bussola e senza stelle” (poesie); “Pensieri cristallini” (poesie); “La nostalgia delle 6 del mattino” (poesie); “In questi giorni UFO volano sul New Jersey” (poesie), “Storie fatte di niente” , (racconti), che è stato tradotto e pubblicato anche in Francia con il titolo “Histoires pour rien” ; il romanzo “Il giovane senza nome” e il saggio “Pagine sparse – Studi letterari” .
E molto recentemente “Poesie 1982 – 2025”.
Ha scritto circa 150 articoli su temi letterari e cinematografici e fatto traduzioni dal francese, inglese e tedesco. Ha studiato sceneggiatura con Ugo Pirro e scritto tre sceneggiature cinematografiche e realizzato come regista il film “La lampada di Wood” che ha partecipato al premio David di Donatello, il mediometraggio “Ciao, Francesca” e alcuni documentari.
Collabora con le riviste letterarie online Il Randagio e Insula Europea.
Da circa vent’anni ha una malattia che le ha procurato invalidità.












