Francesca Chiesa: “Diversamente sole” (Edizioni Open), di Francesca Chiesa

Abbiamo chiesto alla nostra amica Francesca Chiesa, veneta da Syros nelle Cicladi, di parlarci del suo ultimo libro “Diversamente sole” (Edizioni Open) da qualche giorno in libreria.

LA QUINTA STORIA

Borges individua, in El oro de los tigres, quattro racconti che percorrono la storia dell’umanità, Los cuatros ciclos.

  • L’inutile difesa di una città assediata. Achille sa che il suo destino è morire prima della vittoria. Omero e Yeats la canteranno.
  • La storia di un ritorno. Quella di Ulisse; e quella degli dei del Nord.
  • La storia di una ricerca. In passato, fortunata – Giasone e il Vello. Nella modernità, sconfitta – l’Achab di Melville, il K. di Kafka.
  • La storia del sacrificio di un dio. Attis, Odino, Cristo.                                        

Inevitabilmente, ne manca una: l’innamorato di Maria Kodama forse l’ha dimenticata, forse non la conosceva. Anche noi vorremmo dimenticarla e invece va trasformata in racconti, in una quantità di racconti, nella maggiore quantità di racconti possibile: tutte le storie di tutte le solitudini di tutte le donne.

Per raccontare si possono usare romanzi o racconti. Anche poesie, che sono tuttavia racconti per immagini. Io ho scelto i racconti. Un racconto non è un romanzo breve, un racconto quando riesce proprio bene è un pugno allo stomaco, un lampo che ti lascia il segno sul fondo della retina. Un romanzo è progettato per un ambiente, un racconto è prodotto da un ambiente.

L’ambiente che produce le mie storie è un’ampia area che comprende il mondo indoiranico, la Russia a nord, a sud e ovest la penisola araba e l’Africa orientale, e in parte l’area mediterranea. Le terre in cui ho trascorso la mia vita, ma anche il mondo dove il racconto è nato, in forma di novella.

Il romanzo, che in un tempo assai lontano fu poema epico e successivamente romanzo alessandrino o greco-romano che dir si voglia, poi da roman cortese divenne romanzo borghese e tutto questo percorso fece senza che mutassero gli elementi che lo caratterizzano: essere un concatenarsi di eventi in forma causale e svolgimento temporale; essere l’espressione degli strati dominanti della società di una determinata epoca.

La novella/racconto è il memorandum della vita quotidiana, ciò che si annota per fissare la memoria, per conservare il ricordo. Il racconto mi ė sempre apparso lo strumento ideale per narrare un mondo in cui il reale ė ciò che accade.[1]

I miei racconti sono prodotti dai luoghi in cui sono vissuta. Dal tentativo di cogliere le forme di vita che fanno di ogni luogo ciò che ē.

Se fossi stata brava a usare matita e pennello, avrei disegnato l’eleganza delle euforbie in Eritrea, la fioritura degli Alberi di Giuda che tinge di sangue le strade del centro di Teheran, l’oro del brevissimo autunno di Mosca, l’azzurro del crudele mare di Libya.

Se fossi stata metodica, avrei annotato le ricette della cucina greca che amalgama oriente e occidente; le tradizioni della nostra cucina di campagna, arte di nonne che custodivano il segreto del soffritto; la chiave dello zafferano persiano che profuma e del colchico che uccide; il mosaico di colori del fattush libanese che fa dimenticare e si prepara insieme, sedute intorno a un tavolo a tagliuzzare.

Invece mi piace scrivere e così racconto quello che conosco meglio: le donne, perché sono donna, e la solitudine, sostantivo di genere femminile. Cercando di capire, donna dopo donna, chi davvero sostiene il peso di questa solitudine.

Dalla presentazione di Diversamente sole:

“Diversi sono i modi di essere donna che puoi incontrare sulle strade del mondo, ma c’è un aspetto dell’esistenza che ci accomuna tutte e appartiene solo a noi: la solitudine.

Questo è un libro scomodo, non racconta storie a lieto fine, anzi, le storie che racconta appartengono al genere di quelle che non finiscono mai.

Di tutte una soltanto, a mio giudizio, si risolve in una speranza di serenità: potrebbe essere definita fiaba di una nipotina che trova un nonno, ma questa è solo la seconda parte di La vergine di Malindi e La figlia della vergine.

Delle altre posso dire che offrono un’unica rassicurazione, si svolgono in una realtà molto lontana dalla nostra. Tranne l’ultima, che appartiene al passato povero della mia terra, il Veneto, al tempo in cui la solitudine si mescolava con la povertà e generava mostri: Tre + due ragazze belle, vendono il poco che hanno.

La trovi ovunque, la solitudine, negli interstizi della vita altrui e ovunque ci sia da portare pesi, nascoste agli occhi del mondo o appena appena sogguardate, come la donna che sputa quasi di nascosto sui dittatori (Ma i dittatori sognano isole sbagliate?) e le ragazze di Tripoli che rifiutano quelle di un altro colore.

Il mare che divide la Libia dalla Sicilia ne sa qualcosa, di solitudine: dentro uno di quei gusci di noce che ballonzolano disperatamente sulle onde, ho lanciato uno sguardo e ho trovato una novella Sherazade, il suo nome è Haben e rappresenta tutte le mie allieve eritree, e ricorda Tutte quelle in fondo al mare.

Ogni donna vive con la sua peculiare solitudine: non fa molta differenza che gliel’abbia regalata il mondo o se la sia ella stessa confezionata, come accade ad esempio a Sikina, la protagonista del racconto Di corsa, che ha sposato un uomo speciale ma se n’è accorta troppo tardi.

Ci sono le solitudini coraggiose, nobili, fiere e c’è la solitudine delle donne che vivono in mondi meschini che le hanno plasmate ma di loro non sanno che farsene: sono Quelle del Waddan, appendici di un mondo che si sente privilegiato

La solitudine ti guarda sempre con lo stesso volto, ma non tutte le storie di solitudine si assomigliano. Ci sono quelle che ti lacerano dentro e ti fanno sentire corresponsabile di quanto accade: ad Afra di Tawergha e alla figlia di Rosa, a Ghinda, cui è stato fatto assaggiare l’amaro Frutto di passione. Alle donne che mangiano insieme Fattush a Beiruth: sono amiche, in compagnia, allegre e felici: non dura.

C’è la gioia di Azadeh, che significa libertà in persiano: libera di vagare sola tra i misteri e gli incantamenti del Gran Bazar di Teheran. La mia gioiosa e stordita euforia – sì, la protagonista di Acido lisergico sono io – che sogna donne colorate, danzanti intorno al mio letto d’ospedale. E ancora Federica e Tahereh, senza uomini e senza soldi, che ubriacano di Uova sode la loro solitudine e lanciano le bucce giù dal ponte che congiunge Massawa e Taulud.

Ci sono anime rinsecchite, come quell’anziana ricca e colta persiana che non ha più nulla per cui vivere se non l’organizzazione del più perfido Matrimonio d’amore. C’è La solita vecchia storia degli uomini che inventano malignità sulle donne, e quella più lontana che racconta Come muoiono le regine. Sole, come volete che muoiano: all’ora sesta, quando tutti muoiono.

E poi vi racconto di una madre che non capisce, in Quelle della Qabila, e di una che s’innamora di Alex/Iskandar detto Alessandro Magno

C’è una sola storia, in questa raccolta, che narra di una solitudine condivisa, tra un pirata e una principessa: l’Isola Verde esiste, potete cercarla in Eritrea, loro due li ho solo sognati”.


[1] Ludwig Wittgenstein, Tractatus logicus-philosophicus 1.1, 1922.

Francesca Chiesa

Francesca Chiesa, classe 1955, laureata in filosofia. 

Ha lavorato per il Ministero degli Affari Esteri in Iran, Russia, Grecia, Eritrea, Libia, Kenia. Dal 2019 vive col marito prevalentemente a Syros, nelle Cicladi. 

Pubblicazioni recenti:

Dalla Russia alla Persia – storia di un viaggiatore per caso: Peripezie di un marinaio olandese al tempo di Alessio I Romanov e Suleiman I Safavide, La Case Books, 2023

Una storia di donne persiane: Il romanzo di Humāy e Nahid, La Case Books, 2023

Ryszard Kapuściński: ‘’Shah-in-shah’’ (Feltrinelli), di Claudio Musso

Kapuściński, giornalista e reporter, acuto osservatore di terre e dei suoi abitanti, è a Teheran nei giorni in cui la storia millenaria dell’Iran persiano vive, per l’ennesima volta, una svolta determinante. L’intero paese sta infatti passando dalla morsa dell’ultimo Scià a quella del più celebre ayatollah; da un sovrano, in fondo, ad un altro, da un vacanziere patentato e armato di polizia segreta ad un transfuga all’estero pronto a ridare potere alla versione sciita dell’Islam; da un censore delle parole, se queste non esaltano la sua altezza, ad un indesiderato che fa sentire la propria voce di incitamento alla rivolta attraverso audiocassette che passano di mano in mano.

Lo scrittore è solo in un albergo disabitato di cui è l’unico cliente mentre fuori si avverte il senso di un tempo sospeso dove il silenzio, quasi irreale, è interrotto dall’odore parlante della polvere da sparo e dai coltelli che, arrotati, producono una melodia sinistra da ambo le parti della barricata: la rivoluzione iraniana è alle porte o forse è già nella testa delle persone, si attende solo la miccia. Kapuściński osserva immagini, rilegge appunti e interviste fatte a vari iraniani incontrati sul suo cammino, riannoda le proprie impressioni di questo viaggio nella vertigine e correda i suoi resoconti con puntuali riflessioni sulla esperienza della dittatura e le sue rifrazioni e conseguenze, anche psicologiche, e sulla rivoluzione di assedio, non di assalto, che il popolo opererà di lì a poco. Il tutto confluisce in Shah-in-shah uscito nel 1982, una delle opere forse più sentite dall’autore e dai lettori, e ripetutamente pubblicato da Feltrinelli nella traduzione dal polacco di Vera Verdiani.

Khomeini arriva per ultimo nelle pagine di questo libro ed è l’ultimo a salire sul palco della narrazione. Prima c’è Reza Pahlevi, lo Scià degli Scià, alfiere di una ‘Nuova Civiltà’ intrisa di Occidente, la cui parabola è il vero oggetto del testo punteggiato da una prosa vivace e amante delle istantanee. Un’occasione per dragare la storia dell’Iran e per capire in parte quella di oggi. Scrive del sovrano:

«È profondamente convinto della sua missione e sa dove vuole arrivare (per dirla con la sua innata brutalità, vuole mettere al lavoro la folla ignorante e costruire un forte stato moderno davanti al quale – dice – tutti se la facciano addosso dalla paura). Ha la mano di ferro prussiana e la sbrigativa efficienza dell’aguzzino. Il vecchio Iran apatico e sonnolento (per ordine dello scià da questo momento in poi la Persia si chiamerà Iran) trema fin nelle fondamenta».

Gli iraniani provano odio verso questa monarchia che è accreditata presso le principali cancellerie mondiali grazie al suo oro nero, è felice di vederla sparire o anche morire perché considerano lo Scià un estraneo che prende ordini dalle potenze straniere. Una testa coronata che parla un farsi tutto suo e che ha una visione del futuro in cui non si accorge del presente. Egli sta chiuso nel suo palazzo incantato e non conosce il fuori, abitato da indigenza e collasso, immerge sé stesso e i suoi protetti nel lusso più sfrenato, invade l’Iran di strumenti bellici più disparati per mostrarsi al mondo corazzato e ai tavoli che contano, fa arrivare cacciatorpedinieri in un Iran dove mancano i porti, organizza spedizioni di materiale ma mancano le strade, prova ad investire nell’industria ma mancano operai specializzati che decide di importare dall’estero. Però ha una risorsa preziosa:

«Il petrolio scatena emozioni e passioni straordinarie, perché è innanzitutto una grande tentazione. La tentazione di acquistare con poca fatica fortune colossali, forza, successo e potere. E’ un liquido sporco e maleodorante che sgorga zampillante verso l’alto e poi ricade sotto forma di una frusciante pioggia di soldi.»

L’oro nero crea l’illusione di un’esistenza completamente diversa, di una vita facile senza fatica, è una materia che contagia la mente, annebbia la vista, corrompe i cuori, rafforza il senso di potere, produce grossi profitti ma dà lavoro a poca gente, crea molti problemi sociali perché non dà vita né ad un proletariato numeroso né ad una borghesia altrettanto numerosa. Pertanto lo Scià può disporne a piacimento, ergersi a guardiano di qualcosa dal quale dipende se domani andremo in automobile oppure no. È una favola e, come ogni favola, per quanto duratura, è una menzogna perché infonde un tale senso di onnipotenza da fare credere di dribblare la sentenza del tempo.

Nella sua messa in scena il sovrano si avvale di una potente polizia segreta, la Savak, che controlla movimenti sospetti e parole che non devono mai illudere al disagio. In questo modo su un intero campo semantico si rischia di poggiare un piede per poi saltare in aria tanto da fare diventare la gente sempre più paranoica, la franchezza un sotterfugio e il coraggio una forma di collaborazione. Se anche la dittatura cade, come la fine di un brutto sogno, le irte conseguenze psicologiche sopravvivono per decenni in comportamenti inconsapevoli e nella diffidenza iraniana che ancora oggi pervade l’animo di molti, mentre l’albero del pensiero autonomo e critico fatica a rinascere.

Kapuściński riflette sul fatto che dai nascondigli, dagli anfratti e dalle fessure di queste terre sterili dove vive il popolo iraniano, privato anche dell’humus vitale dei giovani mandati all’estero, non sempre escono i migliori semmai i più forti e questi ultimi non sono creatori e promotori di nuovi valori ma sono coloro che sono riusciti a sopravvivere grazie alla maggiore capacità di resistere. E qui ci imbattiamo nello sciismo, la corrente minoritaria dell’Islam e la più accanitamente ortodossa, da sempre osteggiata e perseguitata nel mondo musulmano, il quale sembra offrire le risposte ad un’intera nazione. Più la dittatura si fa infatti repressiva, più le moschee, unico luogo che lo Scià non può toccare, si riempiono di gente, di voci libere di pensare e di dirsi. Coloro che ivi riparano non sono tutti mossi da un fervore religioso ma hanno bisogno di tirare il fiato per sentirsi di nuovo essere umani. Due mondi in naufragio trovano così lo stesso porto comune sicuro e, mentre i primi sentano allentare la presa, i secondi, il potente clero sciita, comincia il suo indottrinamento.

Esistono popolazioni alle quali da secoli tutto va male, tutto si sbriciola tra le mani, che hanno sempre il vento contrario, che non fanno in tempo a intravedere un barlume di speranza senza che questo subito si spenga: popoli che si direbbero marchiati da un fato avverso.”

Quando cade una dittatura? Quando le persone smettono di avere paura. Perché quest’ultima fa delle persone il sostegno di un sistema che odiano, lo Scià può contare su di loro, sui loro timori e ad un cenno dall’alto rispondono, in una strana simbiosi, con un fremito di spavento. E quando cade il monarca iraniano? Quando esce un articolo di giornale con una parola di troppo che riunisce persone che non indietreggiano più di fronte ai manganelli. La rivoluzione, che rovescia l’oppressione e la miseria, coglie tutti di sorpresa, persino coloro che l’hanno sempre desiderata. Perché essa è un dramma che l’uomo tende come tale ad evitare ma è sempre un ultimo tentativo per un popolo che ha capito che non c’è altra via di uscita. Ora è tempo per Khomeini di tornare in patria e, mentre vengono abbattute le statue dello Scià, il demiurgo si mette subito all’opera:

«Il talento dello sciita si manifesta nella lotta, non nel lavoro. Contestatori nati, sempre scontenti e all’opposizione, dotati di un forte senso della dignità e dell’onore, appena scoccò l’ora di dare battaglia si sentirono di nuovo nel loro elemento»

Claudio Musso

Claudio Musso: Vive e respira Torino e condivide un paio di geni con la dea Partenope. Formazione umanistica, grande appassionato di germanistica, di storia e di identità. Di giorno si occupa di risorse umane e la sera, o quando leggere e leggersi chiama, di quelle librose. Onnivoro per natura, ma intollerante al glutine e alle mode del momento, raminga con umorismo tra un lavoro che ama e altre passioni quali il teatro, l’opera lirica, e ovviamente la lettura, collaborando anche con riviste letterarie. Papà di Nadir, il suo gatto, non riesce per più di 5 minuti a prendersi troppo sul serio ma prova a fare tutto con dedizione, di quelle che danno senso e colore alla vita.

“Ricette Letterarie”: la Baklava da “Persepolis” di Marjane Satrapi, di Anne Baker (video)

🍽 📚 Le Ricette Letterarie di Anne Baker  🍽 📚

La rubrica de Il Randagio che unisce cucina e letteratura

Il Randagio vi consente di gustare i grandi capolavori della letteratura! 

La pasticciera randagia Anne Baker da Arnhem in Olanda vi svelerà come realizzare piatti ispirati a storie indimenticabili. Scopriremo come il cibo e la letteratura possano fondersi per offrirci nuove emozioni.

🍲 Pronti a mettervi ai fornelli? Ogni piatto racconterà una storia e, perché no, vi inviterà a (ri)leggere le pagine di qualche capolavoro.

Questa settimana, la nostra Anne ci propone la ricetta della Baklava, un dessert dell’area balcanica e mediorientale, traendo ispirazione da “Persepolis”, la famosa graphic novel autobiografica scritta e disegnata dall’iraniana Marjane Satrapi.

*** LA BAKLAVA ***

👉 Guarda il video… in cucina! A seguire gli ingredienti e il procedimento.

✨ Ricette Letterarie: la Baklava di Marjane Satrapi ✨

Vuoi provare a farlo in casa? Eccoti la preparazione.

RICETTA

Il dolce Baklava profuma di acqua di rose e cardamomo, con note di cannella e anice stellato che ne esaltano il ripieno di frutta secca, in particolare i pistacchi, che sono una specialità dell’Iran. È un dolce sofisticato e di effetto, ma se si acquista la pasta fillo già pronta non è particolarmente laborioso e risulta di facile esecuzione.

Dosi per una teglia in vetro rettangolare 27×18 (12 pezzi)

Tempo di esecuzione: 2 ore

INGREDIENTI

Per il ripieno

  • 200g pistacchi sbucciati e non salati
  • 100g di nocciole pelate e tostate 
  • 100g di mandorle pelate
  • 1 cucchiaino di cardamomo in polvere

Per la pasta

  • 25 fogli di pasta fillo (circa 300g)
  • 250g burro chiarificato (ghee)

Per lo sciroppo

  • 200g zucchero semolato
  • 120g acqua
  • 50g miele millefiori
  • 20g acqua di rose
  • Il succo di un mezzo limone con le sue zeste
  • Zeste di una arancia (non il succo)
  • 2 bastoncini di cannella e 2 anice stellato
  • Qualche stigma di zafferano

PROCEDURA

  1. Tritare la frutta secca separatamente utilizzando un mixer. Evitare di ridurre in polvere soprattutto i pistacchi e le nocciole. Le mandorle si polverizzano abbastanza facilmente, per cui prestare attenzione. Mescolare le mandorle con la polvere di cardamomo. Tenere da parte un pò di frutta secca per la decorazione. In particolare pistacchio.
  2. Sciogliere i burro in una casseruola e spennellare la base e i bordi della teglia con il burro fuso. 
  3. Disporre uno strato di pasta fillo sulla teglia e spennellarlo con burro fuso, poi ripetere l’operazione stratificando ed imburrando altri 10 fogli. In tutto si dovrebbero ottenere 11 stati imburrati. Non eccedere mai con il burro.
  4. Distribuire sulla base di pasta metà del ripieno di mandorle e nocciole, poi coprire con 2 fogli di strati imburrati e distribuire sull’ultimo strato i pistacchi. 
  5. Coprire con altri 5 fogli di pasta fillo imburrati e distribuire il resto delle mandorle e delle nocciole. Coprire con altri 2 fogli di pasta fillo sempre imburrati e distribuire i pistacchi.
  6. Completare con i fogli di pasta fillo rimanenti (5), spennellando sempre ciascuno con il burro fuso.
  7. Tagliare la superficie del Baklava in 12 pezzi (quadrati) utilizzando un coltello dalla lama affilata. Spennellare per l’ultima volta con il burro, in particolare fra i tagli e nei bordi per estrarre facilmente i dolcetti.
  8. Cuocere il Baklava in forno preriscaldato a 165°C per 50 minuti, fin quando la superficie del dolce diviene dorata.

Nel frattempo preparare lo sciroppo:

  1. In una casseruola dal fondo spesso mescolare lo zucchero semolato con l’acqua. Portare a bollore e mescolare con un cucchiaio di legno per fare sciogliere lo zucchero. Quando l’acqua arriva a bollore abbassare la fiamma e aggiungere il miele e il succo di limone. Lasciare addensare lo sciroppo a fiamma bassa per circa quindici minuti.
  2. Poi spegnere il fuoco e aggiungere gli aromi: l’acqua di rose, le stecche di cannella, l’anice stellato, lo zafferano e le zeste degli agrumi. Lasciare raffreddare lo sciroppo e poi filtrare il tutto.

Quando il Baklava è cotto, versare lo sciroppo freddo e filtrato assicurandosi di bagnare bene tutti i pezzi di dolce. Aspettare almeno quattro ore prima di servire e decorare a piacere con le mandorle, nocciole o pistacchi.

Ahou Daryaei: cosa possiamo fare? di Francesca Chiesa

6 novembre 2024

Quando ho cominciato a scrivere questo contributo era il cinque di novembre, ieri.

Il tono della mia scrittura era improntato alla tristezza – per la vicenda di Ahou Daryaei, l’universitaria di Teheran che ha deciso di spogliarsi pubblicamente in segno di protesta contro gli agenti che l’avevano molestata perché non portava il velo – ma anche alla speranza che il giorno seguente, oggi, per la prima volta gli USA potessero avere un presidente non uomo e non bianco.

In riferimento a questa situazione avevo iniziato una riflessione a partire dalla domanda che sentivo risuonare nel web delle ragazze italiane.  

«Cosa possiamo fare?» 

Una domanda commovente, anche perché al momento ha una sola risposta: leggete!

Forse arriverà anche il momento in cui sarà necessario anche un aiuto più concreto: per adesso preparatevi, leggete, ma fatelo nella giusta prospettiva! 

Leggete in modo rivoluzionario, come è stato rivoluzionario per le ragazze iraniane leggere Lolita a Tehran. Leggere e scrivere è sempre una rivoluzione ma in modi diversi secondo i tempi e gli obiettivi.

Le scrittrici persiane oggi scrivono quello che le loro giovani lettrici – le più esposte alla morte per carenza di libertà – hanno bisogno di conoscere per continuare ad avere il coraggio di rischiare: che esiste un mondo dove ci si veste a piacere, si parla a voce alta senza paura, si fa l’aperitivo e si fanno mattane. Un mondo dove si ascolta musica e si balla anche nei parchi, dove ci si bacia quando se ne ha voglia e si fa all’amore senza paura.

Le ragazze persiane che vivono in Iran di un mondo cosÌ possono solo leggere e sognare.

Le ragazze persiane per continuare a vivere devono sapere che non sono sole, devono leggere e leggere: per sapere che le ragazze iraniane sono tante e quasi tutte pronte a cambiare il mondo.

Quello che avrei voluto scrivere alle ragazze italiane, è stato superato dai fatti. 

Ieri avrei voluto consigliare loro di non fermarsi alla narrativa contemporanea, ma di rivolgersi con profonda attenzione ai classici persiani perché è lì che troviamo le storie meravigliose delle regine preislamiche: autori che conoscevano e rispettavano il potere delle donne, donne che intrecciavano storie indimenticabili.

Questo, ieri. 

Oggi, sei novembre, è cambiato tutto: il prossimo presidente degli Stati Uniti sarà un uomo appartenente a quel partito repubblicano che ha sempre appoggiato il regime degli Ayatollah. È decisamente difficile credere che la nuova amministrazione cambi orientamento e ponga tra le proprie priorità un appoggio alla lotta per la libertà che sta costando morti e sofferenze alle donne iraniane!

Oggi, a partire da oggi, chi vuole capire l’ Iran, i fatti che hanno determinato la situazione presente e quelli che molto probabilmente seguiranno, non può certo limitarsi a leggere la narrativa contemporanea o le opere classiche che cantano il glorioso passato delle regine achemenidi e sassanidi.

Oggi è tempo di guardare a un passato meno remoto.

Oggi, se siete tristi come me perché è sfumata l’ennesima speranza che le donne iraniane e le donne del mondo potessero avere un’alleata alla guida dell’Impero, lasciate da parte i quotidiani e leggete come hanno “contribuito” alla storia dell’Iran uomini che si chiamavano  Kermit “Kim” Roosvelt e Ronald Wilson Reagan.

Vi propongo tre libri che sono leggermente datati ma appaiono ancora oggi di una stupefacente attualità.

  1. Il primo è “Mossadeq. L’Iran, il petrolio, gli Stati Uniti e le radici della rivoluzione islamica del 1953“. Opera di un coraggioso diplomatico italiano, Stefano Beltrame, che lo pubblica nello stesso anno, il 2009, in cui Barack Obama ammette il coinvolgimento degli Stati Uniti nel colpo di stato che rovesciò, con l’aiuto del clero sciita, il governo nazionalista di Mohammad Mossadeq.
  2. Di Antonello Sacchetti, “Iran, 1979, pubblicato nel 2018: una acuta analisi della rivoluzione khomeinista in tutti i suoi chiaroscuri, compresa ll’oscura vicenda della occupazione dell’ ambasciata statunitense a Teheran, da parte di circa 500 studenti islamici aizzati dall’Imam Khomeini, che avvenne alle 6.30 del 4 novembre del 1979 e determinò la rovina politica del democratico Carter a favore del repubblicano Reagan. 

Antonello Sacchetti conduce anche un interessante podcast su Youtube, dal titolo Conversazioni sull’Iran. In questi giorni potrebbe rivelarsi un ottimo strumento di aggiornamento.

  • Pubblicato nel 2016, “L’Iran oltre l’Iran. Realtà e miti di un paese visto da dentro” è stato scritto da Alberto Zanconato anche sulla base di una lunga e intensa esperienza come corrispondente dell’ANSA a Teheran (1994-1997 e 2001-2011); di grande interesse per illuminare la vera natura dei rapporti tra il “Grande Satana” (=USA) e l’Iran khomeinista.

Ecco qui: da insegnante coscienziosa quale ero – e innamorata dell’Iran com’era e com’è – spero di avere contribuito ad allargare l’area della coscienza.[1]


[1] Qui cito Allen Ginsberg, uno dei padri della beat generation.

Francesca Chiesa

Francesca Chiesa, classe 1955, laureata in filosofia. 

Ha lavorato per il Ministero degli Affari Esteri in Iran, Russia, Grecia, Eritrea, Libia, Kenia. Dal 2019 vive col marito prevalentemente a Syros, nelle Cicladi. 

Pubblicazioni recenti:

Dalla Russia alla Persia – storia di un viaggiatore per caso: Peripezie di un marinaio olandese al tempo di Alessio I Romanov e Suleiman I Safavide, La Case Books, 2023

Una storia di donne persiane: Il romanzo di Humāy e Nahid, La Case Books, 2023