“Bibliofarmacopea Randagia”: Alessandra, di Rita Mele e Gigi Agnano

“Bibliofarmacopea”: la nuova rubrica del Randagio

IL CASO DI ALESSANDRA

Alessandra è una donna sposata sulla quarantina, vive a Milano con suo marito e suo figlio di 12 anni. Da quando si è laureata in lettere, lavora come segretaria in una casa editrice. Alessandra racconta che da tre anni non sta bene. Dice di “non sentirsi comoda nella sua vita”, che non trova il suo posto, come se, sedendo su una poltrona, continuasse a cambiare continuamente posizione, prima accavallando le gambe, poi adagiandosi a un bracciolo, poi drizzando la schiena e torturando le mani appoggiate sulle cosce. Quello che dice di sé, fa pensare che dietro le quinte ci sia altro che non sarà facile tirar fuori, tanto più che è la prima volta in assoluto che starebbe provando a farlo.

“Sarà una situazione comune a molte donne”, dice Alessandra. “Sono andata avanti, ho sopportato di tutto in questi anni, prima la laurea fuori corso, poi la ricerca del lavoro e la gravidanza, ma non avrei mai immaginato che con mio marito le cose potessero diventare così fredde.”

Il tutto è condito da un senso di vuoto, che a macchia d’olio, arriva a mettere in crisi oltre che la coppia, anche il rapporto con il figlio quasi adolescente.

Alessandra descrive la sensazione ricorrente di non essere più sé stessa. Rimpiange i primi anni della relazione con suo marito, quando passione e complicità la facevano sentire al suo posto e profondamente compresa.

Il rapporto con suo figlio è diventato un’altra fonte di preoccupazione. È un ragazzino introverso e ribelle, che Alessandra sente allontanarsi sempre di più da lei. E questo comportamento la colpevolizza, rimproverandosi di aver commesso degli errori nell’educazione che stanno causando la loro distanza emotiva.

Alessandra fa un cenno alla sua storia personale quando racconta di essere cresciuta in una famiglia tradizionalista, dove il ruolo della donna era principalmente quello di moglie e madre. Ha sempre dato priorità alle esigenze degli altri, sacrificando spesso i propri desideri e bisogni.

È forse qui il nòcciolo del suo problema? Cosa potrebbe trovare Alessandra in un libro? Una chiave per sbloccare la situazione, per scaldare nuovamente la relazione con suo marito? Uno specchio in cui riflettere e riflettersi, per riuscire a rompere il gioco in cui si sente sempre la causa di tutti i mali, suoi e degli altri? Una guida fatta di semplici indicazioni per comunicare con leggerezza i propri sentimenti e il bisogno di sostegno e di attenzione? Un segnale che un’inversione di rotta è possibile?

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Abbiamo scelto quattro libri per rispondere al disagio di Alessandra, romanzi che ci auguriamo forniscano alla nostra amica il giusto grado di leggerezza ma anche elementi di riflessione. I romanzi sono:

1 ”Momenti di trascurabile felicità” di Francesco Piccolo

2 ”Le parole tra noi leggere” di Lalla Romano 

3 ”La donna gelata” di Annie Ernaux 

4 ”Chesil Beach” di Ian McEwan

La sequenza suggerita per queste letture non è casuale. 

1 ”Momenti di trascurabile felicità” di Francesco Piccolo

Iniziare con Francesco Piccolo torna utile per provare a mettere in pausa la spietata autocritica di Alessandra, consentendole di apprezzare quei piccoli momenti di benessere e di piacere che si annidano anche nelle quotidianità più buie. La leggerezza di questa lettura, favorita dallo sguardo ironico dell’autore, è un invito a riconoscere che la vita, nella sua – apparente? – insensatezza, può offrire sprazzi di gioia inattesa, che aiutano a riempire “il senso di vuoto” lamentato.

Visto che “La felicità è un istante che si ripete, ma solo se sappiamo riconoscerlo”, se impariamo a cogliere anche i più piccoli attimi di gioia, contrastiamo il senso di insoddisfazione che a volte ci pervade. “Ci sono piccoli gesti che facciamo senza pensarci, e lì si nasconde una felicità invisibile.” Il libro è uno stimolo a cercare gioie semplici, trascurate nella routine, che aiutano a riscoprire una serenità e una bellezza che danno sollievo ed energia. Scrive Piccolo: “A volte penso che la vita sia tutta qui, nel saper aspettare quei brevi istanti di felicità che arrivano all’improvviso.” 

2 ”Le parole tra noi leggere” di Lalla Romano

C’è poi la preoccupazione di Alessandra per il figlio. “Le parole tra noi leggere” di Lalla Romano, romanzo autobiografico vincitore nel ’69 del Premio Strega, offre una panoramica illuminante sul rapporto tra una madre e il figlio che “sembrano parlare lingue diverse”. La Romano riesce a mostrare come i sensi di colpa materni, spesso, siano più una conseguenza delle aspettative che di reali mancanze: “Le madri conoscono solo una parte dei loro figli, e forse non la più vera, quella che solo loro vedono in sogno.” In un altro passaggio del romanzo scrive: “L’amore per un figlio non basta sempre a spiegare i silenzi che ci separano.” La distanza emotiva e l’introversione del ragazzo non sono frutto di colpe specifiche. L’amore può coesistere con l’incomprensione perchè: “Ogni rapporto, anche il più puro, ha in sé qualcosa di insoddisfatto e irrisolto”. La lettura di questo libro può alleviare le preoccupazioni di Alessandra e aiutarla a considerare la “ribellione” del figlio e il suo “allontanarsi da lei” come tappe di un percorso naturale e complesso di crescita.

3 ”La donna gelata” di Annie Ernaux

“La donna gelata” di Annie Ernaux rappresenta forse il momento più profondo – e spietato – di questa selezione. Con una lucidità inesorabile, l’autrice analizza il processo attraverso cui una donna può perdere gradualmente se stessa nel matrimonio, nella maternità e nella vita familiare. La Ernaux sembra parlare direttamente ad Alessandra quando racconta la cronaca claustrofobica della sua vita matrimoniale in contrasto con l’idillio del fidanzamento. La protagonista, proprio come Alessandra, giorno dopo giorno nel ruolo di moglie e madre, attraverso piccole rinunce quotidiane, finisce per dare priorità alle esigenze degli altri, sacrificando sempre più spesso i propri desideri e bisogni. Ernaux scrive: “Diventavo il riflesso degli altri e, in questo riflesso, la mia immagine sbiadiva.” O ancora: “Accettavo la mia parte, una donna che si spegne poco a poco, un’esistenza gelata dentro l’illusione di servire gli altri.” Il matrimonio, ci dice la scrittrice francese premio Nobel nel 2022, è l’istituzione sociale responsabile dell’oppressione della donna e averne consapevolezza può rappresentare il primo passo verso il cambiamento. Per Alessandra, infatti,“La donna gelata” può rappresentare proprio questa potente presa di coscienza, di essere diventata una “versione frammentata” di sé stessa, persa nel compiacere gli altri, da cui gran parte del suo malessere  (“La mia vita si frantuma in tante vite che non riconosco più”).

 4 ”Chesil Beach” di Ian McEwan

“Chesil Beach” di Ian McEwan è la rappresentazione malinconica delle dinamiche di coppia che Alessandra sta suo malgrado imparando a conoscere. Il romanzo, attraverso la storia di due giovani sposi nella loro prima notte di nozze, tratta il tema dell’incomunicabilità e del non detto: “Non era mai stato detto, neanche immaginato: si erano trovati immersi in un silenzio che nessuno dei due sapeva come rompere”. La scrittura di McEwan permette di osservare come “la freddezza” di cui parla Alessandra si costruisca gradualmente, attraverso frasi inespresse che, col tempo, creano distanze apparentemente incolmabili. “C’era una vergogna reciproca nel riconoscere i propri desideri, come se volessero nascondere le loro anime l’uno all’altro.” Il modo in cui McEwan descrive il disagio fisico dei due personaggi si riflette in quel senso di “scomodità” di cui parla Alessandra, in quel non trovare mai la posizione giusta, metafora di un disagio esistenziale. McEwan pare voler rappresentare il senso di estraneità che Alessandra prova nella sua relazione: “Erano come due esploratori che, sbattuti dalla tempesta, finiscono per approdare su una terra sconosciuta”, Chesil Beach può aiutare Alessandra a esprimere desideri, speranze e aspirazioni, a comprendere l’importanza di aprirsi al partner prima che i silenzi si cristallizzino in una barriera rigida e tagliente. 

Ci auguriamo che attraverso questa selezione di romanzi con stili narrativi e punti di vista diversi, Alessandra possa comprendere i nodi del suo disagio, aiutandola a riflettere su quanto la comunicazione, la comprensione del figlio, la riconquista di sé e la scoperta della gioia siano alla sua portata, pagina dopo pagina.

Avete altri libri da consigliare alla nostra amica Alessandra?

Rita Mele: barese, ma da molti anni vive a Bolzano. Giornalista, giurista, formatrice, psicologa, insegnante di yoga. Progetti per il futuro: ballare

Gigi Agnano: napoletano, è l’ideatore e uno dei fondatori de Il Randagio

Didier Eribon: “Ritorno a Reims” (Bompiani, trad. Annalisa Romani), di Gigi Agnano

Nei romanzi di Édouard Louis, di cui il Randagio si è occupato recentemente (leggi l’articolo), viene più volte citato come mentore e fonte d’ispirazione il sociologo Didier Eribon, in particolare per la sua opera più famosa che è “Ritorno a Reims”, uscita in Francia nel 2009 e pubblicata in Italia da Bompiani con la traduzione di Annalisa Romani. 

In un lavoro che è per metà autobiografia e per metà saggio sociologico, Eribon racconta il ritorno nella città natale a seguito della morte del padre. È l’occasione per rituffarsi con la memoria nell’ambiente d’origine da cui si era separato trent’anni prima. Sfogliando con la madre l’album fotografico, ricorda l’infanzia e l’adolescenza nel quartiere operaio della cittadina di provincia, i litigi incessanti in famiglia, l’odio per il padre, gli insulti e la vergogna per la propria omosessualità e il distacco definitivo dai parenti, da Reims e dalla sua classe sociale.

Per affermare una nuova identità, Eribon si trasferisce a Parigi, dove conosce Bourdieu e Foucault, intervista Claude Lévi-Strauss, scrive articoli per riviste e giornali, saggi tra cui “Riflessioni sulla questione gay”, intraprende la carriera accademica e comincia a godere di una discreta notorietà. Sono gli anni in cui prevale una forma di vergogna per l’umiltà delle sue origini, come fosse qualcosa da nascondere nel nuovo contesto intellettuale e borghese nel quale è ormai introdotto. Vergogna mista ad un’istintiva volontà di separarsi del tutto da un ambiente omofobo, limitato e violento e di esistere in un altro mondo, diverso da quello cui il destino sociale l’avrebbe condannato. Un mondo in cui è possibile far emergere la propria soggettività gay e affermare il gusto per l’arte e la letteratura. 

E’ un ritorno dell’autore a se stesso, una riflessione per definirsi, per ripercorrere le traiettorie e le contraddizioni del proprio percorso, le scelte spesso dolorose, gli sforzi per inventare e ricreare un sé nuovo e migliore. Siamo lontani da qualsiasi autocelebrazione o compiacimento, non c’è alcuna esibizione narcisistica – come accade in tanta autofiction così in voga negli ultimi anni con risultati spesso discutibili -, ma piuttosto la realizzazione di un’opera stimolante, fortemente “rivolta agli altri”, nata dall’esigenza impellente di mostrare che altre vite sono realizzabili e che ci possono essere prospettive alternative a quelle che una società opprimente tende ad importi (“la terribile ingiustizia di una distribuzione ineguale di opportunità e di possibilità”). 

E il ritorno alle origini, allo stesso tempo, poiché il processo di emancipazione aveva comportato un taglio netto col passato (“per inventarmi mi occorreva, prima di tutto, dissociarmi”), cicatrizza le ferite e produce una ricomposizione, una sintesi e ha un effetto terapeutico. La vergogna può trasformarsi in orgoglio:

“… questo viaggio, o piuttosto questo processo di ritorno, mi ha permesso di ritrovare questa “regione di me stesso”, come avrebbe detto Genet, da cui avevo così tanto cercato di evadere. Uno spazio sociale che avevo allontanato e uno spazio mentale in opposizione al quale mi ero ricostruito, ma che continuava ugualmente a costituire una parte essenziale di me. Così sono andato a trovare mia madre ed è stato l’inizio di una riconciliazione con lei. O, più esattamente, di una riconciliazione con me stesso, con tutta una parte di me che avevo rifiutato, respinto, rinnegato.”

Ma “Ritorno a Reims” non è solo un lavoro di autoanalisi, la testimonianza di un figlio di operai in un determinato contesto sociale e culturale. L’esperienza personale è il pretesto per proporre un’analisi più ampia sull’evoluzione della società e della politica francesi. 

Uno dei pregi del libro sta proprio in quest’intrecciarsi di storie intime e commoventi con stimolanti analisi teoriche. Uno degli obiettivi di Eribon, infatti, è quello di riportare alla ribalta una riflessione sulla classe operaia, di cui più nulla si dice nel discorso pubblico e politico, vittima di molteplici forme di violenza, tradita dal Partito Comunista e sempre più attratta dall’estrema destra. 

Egli stesso si rende conto, nel dialogo con la madre, di questa disattenzione anche nel proprio lavoro, di aver scritto molto fino a quel momento delle questioni relative all’omosessualità (del “verdetto sessuale”) e per niente dei rapporti di classe (della “vergogna sociale”); di aver cancellato ogni riferimento alle classi popolari, agli stili di vita e di pensiero della classe operaia.

E in quegli anni, i genitori, da comunisti convinti sono diventati elettori del Fronte Nazionale; i fratelli, che non hanno conosciuto alcun successo, lo sono sempre stati dal raggiungimento della maggiore età. Quella che un tempo era un’affiliazione “naturale” delle classi popolari al Partito Comunista si è tramutata negli anni ’80 in un progressivo spostamento verso l’estrema destra, a partire, sostiene Eribon, dalle elezioni del 1981 che vedono l’affermazione dei Socialisti e la partecipazione al governo del PCF. A suo parere, l’abbandono delle politiche di classe da parte dei partiti di sinistra a favore di politiche neoliberali e la disattenzione per le questioni economiche e sociali che colpiscono i lavoratori (disoccupazione, bassi salari, condizioni di lavoro precarie, minori tutele, disuguaglianze crescenti) ne hanno determinato la progressiva disaffezione. L’abbandono delle classi popolari da parte della sinistra ha avuto l’effetto di lasciare uno spazio vacante che il Fronte Nazionale è riuscito ad occupare con un inganno, ovvero valorizzando il francese (contro lo straniero) piuttosto che l’operaio (contro la classe dominante capitalista). 

L’intreccio di introspezione autobiografica e di critica sociale, di personale e di politico, non può non rimandare ad un’altra voce fondamentale della letteratura contemporanea francese, sia per tratti biografici, che per tematiche e stile, ovvero ad Annie Ernaux, con la quale Eribon condivide in primo luogo le origini operaie. Entrambi hanno scritto ampiamente della loro formazione, degli sforzi per migliorare la propria condizione sociale e, nel contempo, dello spaesamento e dei sensi di colpa per il tradimento delle proprie radici. Sia Eribon che Ernaux (in particolare ne “La vergogna”, “Il posto”, “Gli anni”) hanno analizzato il contesto storico e sociale a partire dalla propria esperienza; ambedue affrontano riflessioni teoriche e sociologiche con uno stile sobrio, essenziale, rigoroso, rendendo in tal modo i propri ragionamenti alla portata di ogni tipo di lettore.

Didier Eribon, Annie Ernaux e Édouard Louis

Un altro scrittore cui Eribon dichiara in “Ritorno a Reims” di far riferimento è James Baldwin (1924-1987), che, da nero e omosessuale, ha raccontato il razzismo e l’omofobia della società americana. Uno dei numerosi punti in comune è l’odio nei confronti del padre, incarnazione di un mondo da cui entrambi hanno preso le distanze, spiegato non tanto dal punto di vista psicologico, bensì storico e sociale. Eribon cita Baldwin più volte per rappresentare la similitudine delle loro esperienze, in questo caso a proposito della reazione al lutto:

Avevo detto a mia madre che non lo volevo vedere perché lo odiavo. Ma questo non era vero. Era solo che lo avevo odiato. Non volevo vederlo come un relitto: non era un relitto quello che avevo odiato.”

O ancora:

Credo che una delle ragioni per cui le persone rimangono aggrappate così tenacemente ai loro odi sia perché intuiscono che, una volta sparito l’odio, saranno costrette ad affrontare il dolore.

Ma “Ritorno a Reims” è un’opera estremamente ricca e complessa, che riprende – rinnovandole e attualizzandole – molte tematiche della letteratura del secolo scorso (l’identità sessuale, le dinamiche sociali, la memoria, la critica alle classi dominanti) e che ha significativi legami con la tradizione naturalista e realista dell’Ottocento (la povertà, l’ingiustizia sociale). D’altro lato, essendo anche un saggio sociologico e politico, il libro dialoga col pensiero critico in particolare di Sartre e Bourdieu.

E il lettore non potrà non rallegrarsi del valore complessivo di un libro toccante nei suoi capitoli più “intimi” e letterari alternati a riflessioni politiche e sociologiche stimolanti e profonde.

Di Didier Eribon L’Orma Editore ha recentemente pubblicato “Vita, vecchiaia e morte di una donna del popolo” con la traduzione sempre di Annalisa Romani.

Gigi Agnano