Nessun romanzo d’appendice fu mai tanto popolare quanto I Beati Paoli che Luigi Natoli, con lo pseudonimo di William Galt, scrisse appositamente per il Giornale di Sicilia, pubblicandolo in 239 puntate dal 6 maggio 1909 al 2 gennaio 1910. Qui viene proposto nell’edizione della Flaccovio editore che si fregia dell’introduzione di Umberto Eco (Rizzoli, nel 2024, ne ha proposto una nuova edizione con prefazione di Giorgio Vasta).

L’autore si ispirò alle gesta dei componenti di una società segreta, il cui ricordo ancora oggi è mantenuto vivo da una costante tradizione orale; di una, quella dei Beati Paoli, che il popolo, con ostinazione, pretende essere stata formata da giustizieri e non da sicari.
Gramsci afferma che il romanzo d’appendice favorisce il fantasticare dell’uomo del popolo sull’idea di vendetta e punizione dei colpevoli dei mali sopportati; dobbiamo allora convenire che nel romanzo di Natoli ci sono tutti gli elementi per favorire tali fantasticherie e propinare un narcotico che attenui il senso del male.
Luigi Natoli, attento conoscitore della storia e dei costumi del popolo siciliano, non si limitò nella sua narrazione a prendere lo spunto delle leggendarie vicende della misteriosa setta, ma sviluppò l’intera trama del romanzo ambientandola con scrupolosa aderenza alla realtà storica e a quella topografica, da cui l’azione dei numerosi protagonisti si discosta soltanto eccezionalmente e solo in quei pochi casi in cui esigenze letterarie lo impongono. Pochissimi i personaggi immaginari, ma anch’essi così abilmente inseriti nel carosello storico settecentesco da far sì che il lettore non distingua più la realtà dall’immaginazione.
Il romanzo di Natoli, sin dal suo primo apparire, fu seguito con grande interesse. Non entrò soltanto nelle case della povera gente e nelle portinerie delle abitazioni del medio ceto, ma conquistò l’interesse anche della borghesia siciliana. Per gli abitanti del quartiere del Capo, che per tradizione si ritenevano i legittimi discendenti della setta, il romanzo divenne al contempo sillabario e testo sacro, tenuto al capezzale del pater familias che, nelle lunghe sere d’inverno, ne leggeva i diversi capitoli a parenti e vicini che lo attorniavano ascoltandolo nel più religioso silenzio.
Il periodo in cui si svolgono i fatti narrati nel romanzo va dal 1698 al 1719. Esso segna una delle epoche più complesse per contrasti di idee e di principi. La guerra tra la Spagna e la Francia era finalmente cessata ma, dopo qualche anno, a Carlo III, morto senza lasciare eredi, era succeduto Filippo di Borbone, secondogenito del Delfino di Francia, che assunse il nome di Filippo V, riconosciuto ed acclamato a Palermo come re di Sicilia, inaugurando così il dominio della dinastia borbonica nell’isola, dove però esplodevano e venivano soffocate nel sangue sedizioni e rivolte.
Furono giustizieri o sicari i componenti di questa setta? Certamente l’uno e l’altro contemporaneamente. Giustizieri, quando operarono per vendicare delitti impuniti ed impedire soprusi; sicari, quando invece si prestarono ad eseguire vendette personali o allorché si servirono dell’alone di mistero che li circondava e dell’indubbio favore popolare per compiere delitti comuni.
Poche sono le notizie sulla setta dei Beati Paoli, ancora minori sono quelle relative ai suoi appartenenti. Si sa per certo che un famoso vetturino di nome Vito Vituzzu, probabilmente fu uno degli ultimi Beati Paoli. Il motivo per il quale i componenti della setta si chiamassero così e la data di inizio della loro attività rimangono alquanto incerti.

La Palermo settecentesca in cui sono ambientate le vicende è resa da Natoli, che si rivela profondo conoscitore della topografia coeva della città, in modo talmente reale da identificare perfino i più minuti particolari. Nel romanzo rivivono le piazze, le strade, i vicoli, i cortili, i palazzi dei nobili, i conventi e i monasteri, le misere abitazioni del popolo, ma anche la vita dei suoi abitanti, i loro usi e i costumi oggi i gran parte scomparsi.
All’inizio del XVIII secolo, epoca in cui, come già detto, si svolgono i fatti narrati, la città era ancora compresa entro la cinta muraria secentesca, ma era già scomparsa la sua divisione nei quartieri dell’antico nucleo punico-romano, del periodo arabo e di quello sorto sulle aree del naturale interramento dell’antico porto. Sontuosi palazzi di nobili potenti, grandiosi complessi conventuali occupavano buona parte dell’area urbana. I poveri, gli artigiani, i piccoli borghesi si concentravano nelle umili abitazioni degli antichi quartieri dove gli artigiani, riuniti in maestranze e congregazioni, innalzavano altre chiese ai loro santi protettori. Vicino al quartiere militare sorgeva l’antica reggia normanna, palazzo del viceré; in una delle piazze principali aveva il suo palazzo il Tribunale della Santa Inquisizione con le sue tremende prigioni.
Ma le vicende, i fatti e le azioni che vengono narrati non riguardano soltanto la città che emerge dal suolo. C’è un’altra Palermo nascosta, fatta di grotte, di cripte, di lunghi e tortuosi cunicoli; una vera e propria città sotterranea misteriosa e sconosciuta; regno incontrastato dei Beati Paoli che qui avevano il loro tremendo tribunale e attraverso la quale raggiungevano ogni luogo interno ed esterno di Palermo.
Dov’era precisamente il tribunale dei Beati Paoli? Secondo la tradizione il luogo di riunione dei componenti la setta fu identificato in una cavità sotterranea esistente nel quartiere del Capo, in prossimità della chiesa di S. Maria di Gesù. L’ingresso alla Palermo sotterranea era fornito dal primo piano di un’abitazione privata, casa Baldi, attraverso una porticina che percorre la superficie che copre una grotta sottostante. Giunti a una grata di ferro si ridiscendono cinque scalini di pietra rustica che portano a un piccolo altare, anch’esso di pietra, al lato del quale si trova una piccola stanza oscura che funge da nascondiglio. Al centro, un tavolo sul quale venivano poggiate le carte degli atti e dei segreti di quei micidiali giudici. Da lì si entrava nella grotta principale dove si trova un’ampia camera con sedie lungo tutto il perimetro, nicchie e scansie alle pareti, per deporvi le armi sia da fuoco che da taglio. Qui si riuniva la setta a lume di candela allo scoccar della mezzanotte. Oltre all’ingresso di casa Baldi, la grotta aveva un altro accesso attraverso una porticina che si apriva nel vicolo degli Orfani, ancora oggi esistente.

Sarebbe facile considerare I Beati Paoli un prodotto tardo del romanzo storico, ma la chiave giusta per leggerlo sta nel considerarlo un esempio di romanzo popolare, i cui ascendenti sono Dumas, Siie, Gramegna. Le vicende narrate si svolgono a partire dal 1713. Cavalcando il suo scheletrico ronzino, lo spadone al fianco, Blasco di Castiglione, cuore tenero, buontempone e testa calda, fa il suo ingresso a Palermo. Volendo scoprire il segreto della sua nascita, incontrerà don Raimondo della Motta che, pur di cingere la corona ducale, ha commesso ogni tipo di crimine; la splendida e turbolenta Donna Gabriella, che sa cosa vuol dire amare fino a morire; lo sbirro Matteo Lo Vecchio, campione di scelleratezza; Violante, bella come un sogno di purezza; il misterioso Coriolano della Floresta. Scoprirà una città di palazzi arabi, di chiese spagnole, di fortezze normanne, con i suoi quartieri e le sue catacombe dove si riunisce la setta dei Beati Paoli.
Sonia Di Furia

Sonia Di Furia: laureata in lettere ad indirizzo dei beni culturali, docente di ruolo di Lingua e letteratura italiana nella scuola secondaria di secondo grado. Scrittrice di gialli e favolista. Sposata con due figli.














