Alcuni libri suggeriti da Raimondo di Maio della Libreria “Dante & Descartes” di Napoli

Abbiamo chiesto a Raimondo di Maio – lo scugnizzo di vico San Mandato, il ragioniere, il filosofo, il comunista, l’agente Feltrinelli e Einaudi, l’editore, più comunemente noto da oltre quarant’anni come “il libraio” di Napoli – di parlarci dei libri letti quest’anno. A dire il vero, considerato il convulso clima pre-natalizio, eravamo andati da lui in via Mezzocannone per farci suggerire qualche libro da mettere sotto l’albero, ma lui non ha ceduto neanche per un attimo alla tentazione consumistica. “I libri, quelli veri, non sono oggetti di consumo – dice – al contrario sono elementi che contrassegnano la nostra esistenza.” E così, quella che doveva essere una semplice lista di consigli per regali natalizi, si è trasformata in un viaggio tra i libri che hanno segnato il suo ultimo anno di letture.


Ecco cosa ci ha detto: 

“Consiglio alcuni libri letti ultimamente che hanno arricchito la mia essenza. Il primo è di Erri De Luca e Ines de la Fressange, L’età sperimentale, un libro per tutti, tutti attraversiamo la “linea d’ombra” del tempo che passa; questo fantastico libro racconta proprio lo sperimentare lo scorrere del tempo a venire nella nostra grande età. Tanto tempo fa Erri De Luca in un altro testo Lettere da una città bruciata ha scritto: “A me fa questo: anche se invecchio, il tempo scorre ma non passa, resta“.

Secondo libro Domenico Rea, “il napoletano“. Si tratta di un “libro perduto e ritrovato” grazie al tenace lavoro di Annalisa Carbone, che con passione e fatica ha cavato questo testo del grande scrittore dal mensile sportivo “il napoletano”. Sono 24 saggi-articoli niente affatto sportivi, scritti nel biennio 1975-1976, durante gli anni della sua direzione prima e consulenza poi al rotocalco. Egli infatti impresse come un bravo direttore d’orchestra la torsione realistica e culturale, leggi politica, che fa lievitare gli articoli, che normalmente perché giornalistici sono considerati antiletteratura e invece, grazie al lievito letterario che ha saputo aggiungere ai testi, abbiamo tra le mani un letteratissimo volume.

Dovremmo leggere e misurarci con la letteratura capace di aggiudicarsi un Premio Nobel. Bene, allora, suggerisco la lettura di uno storico premio Nobel: Grazia Deledda. Procuratevi un suo romanzo, i suoi racconti e affacciatevi in quello straordinario mondo della scrittrice. Scoprirete un avvincente e straordinario mondo letterario.

Consiglio anche il Premio Nobel di quest’anno Han Kang, L’ora di greco, Adelphi. Questo libro era già nel programma del grande Editore a prescindere dall’assegnazione del premio;.
Vorrei fare come i cantautori che cantano le propri canzoni e consigliare alcune mie appassionate pubblicazioni che meritano di essere lette: Emma de Franciscis, L’uomo che attraversò tre secoli; Adelia Battista, L’Angelo bianco; Gioconda Fappiano, Sette racconti; Enzo Acampora, La casa che ballava Una storia della Pignasecca; last but not least, un libro per ripassare la storia contemporanea Antonio Scurati, L’ora del destino Romanzo Bompiani. La storia di M e dell’Italia a partire dal 1940…”

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Le letture estive suggerite da Raimondo di Maio – Napoli

Abbiamo chiesto a Raimondo di Maio, “il libraio” di Napoli, che dalla sua piccola libreria da cinquant’anni promuove e diffonde cultura letteraria, di suggerire ai “Randagi” cosa leggere quest’estate.
Ecco cosa ci ha risposto, come sempre dotto ed esaustivo. 

“Cari amici del Randagio,

mi chiedete di consigliare qualche libro per l’estate. L’estate era chiamata dai napoletani “la bella stagione”, probabilmente per la maggiore disponibilità di tempo libero… 

C’era allora un disco per l’estate, si lanciavano un numero di canzoni popolari capaci di allietare le vacanze e i sogni della maggioranza degli italiani (e non), lungo le coste e le isole del Paese.

Non c’era ancora il Papeete e di là da venire erano le lobby, in italiano “logge” , delle concessioni balneari.

Un libro dovrebbe corrispondere al libro giusto per la lettrice e il lettore che avrà la ventura di incontrare. Non potendo conoscere i dieci lettori che seguiranno i consigli, dichiaro “libri per l’estate” i seguenti libri:

1° Erri De Luca, Dialogo per un amico, Feltrinelli € 14,00

[L’avvincente e avventurosa storia di un’amicizia, quella vera];

2° Maria Orsini Natale, Francesca e Nunziata, Sellerio € 14,00

[La straordinaria rivoluzione della produzione della pasta, un’epopea che abbiamo appena attraversato];

3°  Peter Flamm, Io?, Adelphi € 18,00 

[La rocambolesca storia di un’identità chiusa nell’interrogativo di un io];

4° Donatella Di Pietrantonio, L’età fragile Einaudi € 18,00

[Storia sospesa di una famiglia nel trauma, parole non dette chiuse nel cuore di una montagna dell’Abruzzo che è allo stesso tempo memoria e paesaggio];

5° Adelia Battista, L’Angelo bianco Anna Maria Ortese, Dante & Descartes € 14,00

[L’infanzia Tripolina della Ortese raccontata, che spiega da dove arrivano quelle visioni letterarie];

6° Gino Riccio, Peccato ubbidire, Olisterno editore € 12,00

[L’avventurosa storia del prete Antonio Maione, che non ha mai ubbidito senza sapere perché];

7° Marco Raio, La stagione, Bompiani € 18,00

[Marco ha la capacità di presentare la nostalgia del passato che tutti abbiamo inconsapevolmente attraversato].

Buone vacanze!

Raimondo di Maio

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Danza e Letteratura: “L’ultimo viaggio di Sindbad” e “Exodus”, l’esodo eterno come condizione esistenziale, di Serena Cirillo

Letteratura, cinema, teatro, ancora letteratura e infine danza. Una storia senza tempo che approda al mondo di oggi, trasferita dall’Oceano Indiano al Mar Mediterraneo. La figura del marinaio Sindbad, fortunato avventuriero delle Mille e Una Notte, è sempre stata estremamente suggestiva, così il regista Maurizio Scaparro nel 2002 invita lo scrittore Erri de Luca a scriverci un’opera teatrale, e l’autore lo colloca nell’attualità.

Il Sindbad di De Luca è una reincarnazione mediterranea del personaggio di “Le Mille e una notte”, conosce del mare il bene e il male, la calma e la tempesta, la bellezza e i pericoli. Ha trasportato uomini e donne dall’Europa all’America nel primo novecento verso il sogno americano, ha visto la loro disperazione e intuito le loro speranze, ne ha accompagnato i desideri e le ambizioni. Oggi, ormai anziano, il moderno Caronte traghetta verso il sogno italiano, o europeo, i nuovi migranti, ben diversi da quelli del secolo scorso per condizioni di vita e obiettivi.

Traspare un altro tipo di disperazione, che l’autore tratteggia per tutta la narrazione attraverso i dialoghi tra Capitano e Nostromo, tra Capitano e passeggeri, e nei monologhi di Sindbad.  Nella prefazione Erri de Luca afferma: “Ho scritto di un Sindbad del Mediterraneo, un marinaio più insonne che immortale, e del mare degli emigranti italiani del 1900 inghiottiti vivi dalle Americhe. Qui Sindbad è all’ultimo viaggio. Trasporta migratori e migratrici verso il nostro occidente chiuso a filo spinato. Quest’opera con Sindbad è ancora affidata alla misericordia delle onde, che sono più ospitali della nostra terraferma.” Ha parole aspre come quelle del Capitano, Erri De Luca, dalle quali traspare tutta la drammaticità di una storia tragica, mai a lieto fine, di destini segnati e di un riscatto impossibile. Un testo scritto per il teatro che ha il ritmo di un racconto, intenso ed incisivo.

Testo duro, dissacrante, impietoso sin dalle prime parole. Il capitano della nave saluta i passeggeri dicendo: “Malvenuti a bordo. Per la durata della traversata resterete nella stiva. Sarà permesso di uscire un uomo alla volta e per un’ora al giorno. Nessuna donna esce. Ci sono satelliti che controllano pure quanti pidocchi abbiamo in testa. Chiaro?”. Il linguaggio del capitano e del marinaio che collabora è stringato, essenziale, crudo ai limiti della volgarità. I commenti dei passeggeri, caratterizzati dalla triste rassegnazione alla loro condizione di merce di scambio, ma allo stesso tempo dalla disperata speranza di approdare in un mondo migliore, sono di un realismo tragico e agghiacciante: “Io ho pagato per la libertà. Non importa come viaggio, mi possono infilare pure in una cassa da morto, basta che mi fanno sbarcare vivo”; o anche: “Mi sono imbarcato per non andare in guerra. Scappo dall’esercito che manda a combattere contro i nostri fratelli”. Lo stile è scarno, le frasi sono brevi, semplici ed essenziali, come se l’autore volesse sottolineare l’importanza del contenuto limitando al massimo la forma. 

L’argomento, tanto doloroso quanto attuale, è stato trasposto in danza, con tutta la sua tragicità, dai coreografi Mariana Porceddu ed Emiliano Pellisari e dai danzatori della compagnia NoGravity: Saverio Cifaldi, Anna Balestrieri, Luca Forgone e Lella Ghiabbi. Colpita dal testo di Erri De Luca, sensibile da sempre alla questione dei migranti, la coreografa e prima ballerina della compagnia ha ritenuto necessario apportare il suo contributo per sensibilizzare l’opinione pubblica verso un problema che molti tendono ad ignorare o a liquidare in modo superficiale facendo ricorso a insulsi luoghi comuni. Così nasce “Exodus”, una creazione a quattro mani, struggente ed incisiva come la narrazione di De Luca, che descrive il viaggio iniziatico di qualsiasi essere umano e l’esodo eterno di ogni popolo che è stato costretto ad emigrare per cercare una vita migliore. Prima di mettere in scena la produzione, i due coreografi hanno consultato la bibliografia che ha usato Erri De Luca per “L’ultimo viaggio di Sindbad”, dall’Antico Testamento a “Uomini Vuoti” di T.S. Elliot, passando per “Le Metamorfosi” di Ovidio.

 La coreografia di NoGravity si apre con una massa indistinta di corpi sulla scena che sembrano tutti uguali, proprio per sottolineare l’esodo di un popolo simile ad un’onda di materia di cui ogni uomo è solo una piccola parte in balia del destino. In un gioco di specchi e simmetrie i corpi si staccano e si riattaccano tra loro creando essi stessi la scenografia. Dopo aver percorso, allegoricamente, il deserto, i corpi diventano una barca con cui varcare il mare, dalla quale ad un certo punto viene espulso il passeggero il cui sacrificio, secondo l’antica credenza, serve a far placare la tempesta (come accade nel testo di Erri De Luca). Poi i corpi diventano la balena che inghiotte il passeggero gettato in mare, con un chiaro richiamo a Giona il profeta,  e i passeggeri superstiti iniziano a recitare le preghiere come estremo gesto scaramantico tra il sacro e il profano. Le preghiere sono cristiane, ortodosse, ebraiche e musulmane, simbolo di uguaglianza di tutte le religioni di fronte all’universo e di fratellanza tra gli uomini a prescindere dal loro culto.  La performance dei danzatori-acrobati racconta una storia senza tempo, un viaggio di anime sospese, anime senza gravità che scorrono leggere sulla terra e si sussurrano storie nell’orecchio per restare vivi alla maniera di Sherazade in “Le mille e una notte”.

Contemporaneamente l’attore Moni Ovadia, presente sulla scena, recita brani da “Le Metamorfosi” di Ovidio che hanno dei riferimenti con la storia. Uno spettacolo intriso di cultura mediterranea, nel quale anche le musiche sono tradizionali, etniche, riproduzioni di quelle degli strumenti citati nell’Antico Testamento. Il finale è tragico, senza speranza, metafora di una condizione esistenziale che si ripete dalla notte dei tempi, che trasmette un messaggio diretto come  un grido di dolore per l’umanità intera.

Serena Cirillo

Serena Cirillo: già consulente per la comunicazione istituzionale al Consolato Americano di Napoli. Giornalista pubblicista, traduttrice, scrittrice, ghost writer. Laureata in lingue e letteratura, specializzata in didattica della lingua italiana agli stranieri. Esperta di letteratura, arte e spettacolo; scrive, anzi narra, di teatro, musica, arti figurative e soprattutto di balletto classico. Ha pubblicato racconti in antologie e ha in cantiere un romanzo ambientato nel mondo della danza. Scrive sulla pagina culturale del quotidiano Cityweek e della rivista Le Sociologie

Intervista a Nando dalla Chiesa di Amedeo Borzillo

Bentornato a Napoli, Nando dalla Chiesa.

Ci siamo già incontrati 3 anni fa in libreria per la presentazione del tuo libro Per fortuna faccio il Prof. cui parteciparono in tanti, soprattutto studenti universitari incuriositi dalle tue sperimentazioni didattiche. Già anticipavi in quel libro una nuova sfida, ricordando a noi tutti che le idee e il cuore smuovono le montagne, e che possono spesso più del denaro.

E rieccoti qui con il tuo nuovo libro ”La legalità è un sentimento” in cui, partendo dalla poesia (idee e cuore), ci parli di affinità tra i destini di legalità e poesia, adorate nelle facoltà e nei salotti ma ignorate o bistrattate nella vita pubblica, per poi giungere, nel definire una strategia di educazione alla legalità, a suggerire di seguire i principi della splendida poesia “Considero valore” di Erri de Luca:

Considero valore ogni forma di vita…

Considero valore tutte le ferite…

Considero valore la stanchezza di chi non si è risparmiato…

Considero valore l’uso del verbo amare…

perché una società basata su questi principi e sentimenti sarebbe impermeabile all’illegalità diffusa.

Ma come si può “insegnare” un sentimento?

Insegnare i sentimenti… bella domanda. I sentimenti si forgiano, si trasmettono, si alimentano. Si comunicano con le parole e con gli esempi, poi si insegna a coltivarli nel tempo, nelle occasioni concrete, anche nelle più difficili. Basti pensare a come bisogna continuamente affinare e rielaborare i sentimenti dell’amore, o dell’amicizia, o lo stesso sentimento del dovere. Ma i sentimenti hanno bisogno di essere suscitati e sostenuti da parole significative: dolci, o orgogliose, o appassionate, o dolorose, che giungano da persone che stimiamo o alle quali vogliamo bene. Devono essere cariche di vita, quelle parole, o almeno deve potersi percepire la vita in cui sono radicate. I sentimenti sono d’altronde anche – questa è la mia esperienza di studioso – la fonte del pensiero o dell’arte che non si accontenta di sé. Chi sta intorno a noi comprende da mille particolari e dettagli in che cosa crediamo veramente. E prima ancora se crediamo in qualcosa. E quando lo capisce impara in ogni caso a provare verso quel “qualcosa” una forma di rispetto, che lo condivida o meno. Ma a quel punto il percorso è avviato: perché il rispetto è un sentimento fondamentale, quello su cui si regge infine ciò che io chiamo “il sentimento della legalità”.

Ci parli di mutazione antropologica generata dai nuovi mezzi di comunicazione di massa, e di spinta al conformismo che risucchia tutte le classi fino a negare lo stesso cuore del progresso sociale, di riclassificazione valoriale della sfera della morale, e qui in Campania viviamo “una peculiarità della situazione sociale” che genera episodi come quello di Caivano che si intersecano con la criminalità organizzata. Da dove partire per rigenerare il valore della legalità e incuneare valori positivi? Dalla scuola o dalla famiglia?

Penso che si debba partire dalla scuola e dalla famiglia insieme. Lo pensano in realtà tutte le teorie funzionaliste o che mettono al centro il tema dell’armonia sociale. E tuttavia oggi alla scuola tocca un vistoso “di più”, una funzione di supplenza, perché – ecco il problema – a nessuno può sfuggire che siamo di fronte alla peggiore generazione di genitori della storia d’Italia. Frutto di distorsioni mentali e di grandiose incongruenze di status: alti redditi e bassa istruzione, oppure alti titoli di studio e bassa cultura civile, o alta percezione di sé e povertà intellettuale. Siamo davanti a un universo sociale in cui si è fatta largo l’idea che i diritti si pratichino a colpi di avvocaticchi o di arbitrio. Che siano un po’ materia da legulei, un po’ materia da maneschi prepotenti. Abbiamo genitori che dovrebbero spesso tornare a scuola e che invece vanno baldanzosamente nella scuola del figlio per insegnare agli insegnanti. Se non si ristabilisce, grazie a una lotta fatta di consapevolezze collettive, il giusto equilibrio cooperativo tra scuola e famiglia, credo che sarà molto difficile costruire valori positivi solidi e resistenti ai venti della storia. Eppure proprio di questi valori abbiamo bisogno come il pane.

L’educazione civica può entrare nella formazione di un bambino dopo che ha interiorizzato i sentimenti, siano essi solidarietà o rispetto o altruismo. Ma con i modelli attuali è davvero possibile?

Qui si colloca in effetti il dibattito su “quale educazione civica”. C’è chi pensa che l’educazione civica consista alla fine nell’insegnamento della Costituzione. Ecco, su questo ho seri dubbi. L’insegnamento della Costituzione, da intendere come insieme di norme generali, rientra certo nell’educazione civica. Ma quest’ultima va molto oltre. Implica un insieme di valori e di riferimenti morali che permette al giovane e al giovanissimo di camminare nella realtà quotidiana avendo sempre una bussola. L’importante è imparare lo “spirito” della Costituzione. Poi ci sta pure, perché è comunque cosa buona e giusta, imparare l’architettura delle nostre istituzioni. Ma prima c’è lo “spirito”, ossia ciò che ci orienta nelle mille scelte quotidiane che si sottraggono per definizione alle leggi scritte. Ciò che ci rende a tutti gli effetti bravi cittadini, guidati dai valori della libertà e della solidarietà. Qui trova il suo posto la memoria viva di chi è caduto per difendere le istituzioni e i nostri diritti.

La lezione di Valerio Onida, come tu scrivi, ci insegna che solo la strada della memoria può incidere sulla personalità degli individui, soprattutto se adolescenti. Un tessuto di racconti, che ci dia la percezione di essere società che fa la storia, convincendoci che ognuno può fare qualcosa. Cosa ci direbbe oggi Calamandrei ?

Appunto, Calamandrei. Oggi ci ricorderebbe altri martiri, in più, oltre a quelli caduti sulle vette innevate, nei campi o nelle carceri fasciste. Ci parlerebbe di chi è caduto contro la mafia o il terrorismo, e insieme ci restituirebbe la giovinezza della Resistenza. Non ci presenterebbe quei caduti come eroi, ma nemmeno come persone (perché anche questa retorica sta spuntando) che hanno semplicemente “fatto il proprio dovere”. Ce ne consegnerebbe piuttosto il valore, e ci richiamerebbe ai grandi valori che li hanno guidati. Educare civicamente è questo: costruire una trama sensibile di esempi, lontani o vicini a noi, farli diventare parte di noi. Proprio così, “parte di noi”. Solo grazie a questo meccanismo bellissimo Palermo, la città per definizione e per storia più mafiosa d’Italia, poté trovarsi un giorno a essere “la capitale dell’antimafia”.

Amedeo Borzillo