Antonio Corvino, per me, prima ancora che un professore, un economista, un saggista, un meridionalista, un romanziere e un poeta, è uno splendido compagno di viaggio. Abbiamo attraversato insieme a piedi molti luoghi degli Appennini, tra Campania, Basilicata e Puglia. Quelli che per lui erano poco più che passeggiate, per me erano cammini faticosi, che mi lasciavano vesciche enormi e dolorose sui piedi. In questi percorsi abbiamo condiviso esperienze indimenticabili, tra i panorami mozzafiato e le difficoltà del Cammino degli Anarchici, dei Briganti, o della lunga Benevento-Matera. Mentre io arrancavo con la vista annebbiata dalla fatica, pensando al letto e alla cena — alla pasta e fagioli e all’aglianico — lui, con la sua insaziabile curiosità, si addentrava in ogni chiesa o cappella che incontravamo lungo il sentiero. Non si limitava a un’occhiata veloce: si fermava estasiato davanti a ogni pala d’altare, a ogni statua, come se osservasse un capolavoro unico e irripetibile.
Durante queste camminate, Antonio mi indicava quelli che per me erano genericamente “alberi” o “piante,” chiamandoli con la competenza di un botanico o, più semplicemente, di chi torna sempre, dopo tanto girovagare, alla sua campagna in Salento. Questo suo modo di immergersi nel viaggio “con l’insaziabile avidità dello spirito che lo spingeva a conoscere, scoprire, sperimentare” – dice quando parla di Ulisse -, di cogliere la bellezza di ogni pietra, di ogni filo d’erba e di ogni opera, umana o del Padreterno, è lo stesso che emerge nelle pagine del suo ultimo libro.
In “L’altra faccia di Partenope”, Antonio Corvino offre al lettore un’acuta e affascinante indagine su Napoli, tracciando un percorso sociologico e culturale che si evolve pagina dopo pagina in un’esperienza dello spirito. Con un’attenzione meticolosa ai dettagli, l’autore scava sotto la superficie della città per rivelare un mondo nascosto, fatto di storia, mito e cultura popolare. Corvino non si accontenta di raccontare una Napoli patinata, da cartolina, ma, lontano dagli stereotipi, si addentra tra i suoi strati più segreti e intimi, portando alla luce una bellezza ombrosa che ama nascondersi. “È da quando ero studente che mi appassiona l’altra faccia di Partenope,” spiega, “quella nascosta sotto gli intonaci scrostati, i cornicioni e i marmi incastonati qua e là nei basamenti di palazzi… quella velata di devozione nelle edicole votive dei vicoli.”
Questa citazione rivela subito la cifra narrativa del suo lavoro. Napoli è vista come un’entità che ha nella stratificazione e nella verticalità uno dei suoi misteri, “una città che ama nascondersi dietro a più di uno strato di veli. “Napoli è velata come nel film del turco-salentino Ozpetek, come il Cristo di Sammartino. Corvino intraprende, come nei nostri cammini, una sorta di pellegrinaggio. Non è un caso che i primi capitoli siano dedicati a San Giovanni a Teduccio, Pietrarsa, Portici, Ercolano, tutti luoghi che vedono il passaggio dei pellegrini diretti a Pompei. Ne segue uno scavo nell’anima nascosta della città, una full immersion nella Napoli cristiana, quella delle chiese, dell’arte e dei miracoli. E il lettore lo segue, lasciando percorsi turistici e luoghi comuni, addentrandosi nei quartieri storici ma anche in quelli meno noti, ascoltando i miti e i racconti, la musica e la letteratura che si intrecciano alle sue strade.
Napoli emerge come una città di contrasti. Nel giro di trecento metri e di un quarto d’ora, capita di rendersi conto di aver attraversato una città al tempo stesso aristocratica, borghese, popolare e multiculturale. Qui il bello e il brutto, lo splendore e il degrado, il sacro e il profano, l’antico e il moderno convivono, sovrapponendosi e mescolandosi in un’armonia all’apparenza caotica ma perfetta. È una città che non si offre al primo sguardo, ma che va decifrata con lentezza. L’autore ne racconta la bellezza sfuggente, che si rivela strato dopo strato, che richiede al visitatore l’impegno di oltrepassare la superficie per comprenderne l’essenza. La bellezza di Napoli, infatti, è “sfumata, confusa, mischiata, sovrapposta” e si rivela solo a chi ha la pazienza di immergersi davvero nella città, a chi, come Ulisse con le Sirene, si dispone all’ascolto.
Uno degli aspetti più interessanti del libro è la riflessione di Corvino sui contrasti della Napoli moderna, incarnati dal Centro Direzionale. Simbolo di un’aspirazione alla modernità incompiuta, il Centro Direzionale nasce per essere Manhattan e invece diventa un “Bronx in giacca e cravatta,” un tentativo di slancio verso il futuro che però non riesce mai a dispiegare “le ali” per intero: “percepivo lo sguardo ambizioso di un’aquila le cui ali tuttavia non riescono a dispiegarsi liberando tutta la propria potenza.” Questo luogo di grattacieli e acciaio diventa simbolo di una Napoli che cerca di stare al passo coi tempi, ma che finisce per perdere il suo carattere autentico, “uno spazio nato da una bella idea… ma trasformatosi ben presto in un caravanserraglio.”
Nei capitoli dedicati ai quartieri della Sanità, di Forcella e del Vomero, Corvino coglie le mille sfumature di una Napoli popolare e autentica, confrontandola con quella borghese e moderna. Nella Sanità, ad esempio, osserva come storia e miseria convivano a stretto contatto, tra palazzi nobiliari decadenti e botteghe di quartiere, simboli di una resistenza culturale. A Forcella, un rione segnato da una fama drammatica, Corvino percepisce l’eco delle lotte quotidiane di un’umanità schietta che resiste ai pregiudizi. Nel Vomero, con i suoi eleganti palazzi e i panorami mozzafiato, trova il respiro più borghese della città, capace di offrire, nonostante la cementificazione selvaggia, angoli di contemplazione.
Corvino dedica ampio spazio anche alle chiese di Napoli, rivelando l’importanza di questi luoghi sacri non solo come siti artistici, ma come centri di una devozione popolare commovente per la sua inossidabile genuinità. Chiese come San Domenico Maggiore, il Duomo e Santa Chiara diventano nelle sue pagine simboli di un’anima cittadina che non può essere scissa dalla fede, dal sacro, che qui si fonde con la vita quotidiana. Attraverso questi capitoli, il lettore viene invitato a scoprire una città ancora profondamente cristiana, dove la bellezza delle architetture e delle opere d’arte sacra si intreccia con le leggende e le storie di fede dei napoletani.
Con un linguaggio lirico e coinvolgente, Corvino crea un’opera intensa che invita il lettore a scoprire Napoli in tutta la sua complessità, senza fermarsi alla superficie. Napoli, dice, “non ammette distrazioni.” L’altra faccia di Partenope, che esce casualmente in contemporanea col celebrato film di Sorrentino, è un omaggio appassionato a una città dalla bellezza nascosta e complessa, una celebrazione del suo fascino ambiguo, un libro che solleva domande sul valore della tradizione, sul senso di appartenenza (“Terra mia” cantava Pino Daniele), sul rapporto tra antico e moderno, ma anche sul futuro dei centri storici invasi dal turismo e sul degrado delle periferie urbane. Un libro che non è solo una guida spirituale a Napoli, ma un inno alle sue eterne, irresistibili, turbolente, ammalianti contraddizioni.
“CAMMINI A SUD – sentieri, tratturi, storie, leggende genti e popoli del Mezzogiorno”, già alla sua II edizione, 270 pp., Giannini Editore, Napoli, con introduzione di Fulvia Ambrosino e postfazione di Francesco Saverio Coppola, è un’opera che sta meritatamente destando un vivo interesse nel pubblico ed un’apprezzabile diffusione anche all’estero.
L’opera si inserirebbe in un filone già sperimentato da vari autori italiani e stranieri, però quella di Corvino si differenzia dalle altre per originalità perché è soprattutto un itinerario spirituale alla ricerca di se stesso e dei valori ricevuti in eredità e che la maggior parte di noi ha sottovalutato o dimenticato. La sua ricerca persegue un’innegabile espansione verso l’«infinito»; nel contempo è anche una riscoperta geografica, storico-antropologica, economica e filosofica condotta con tale lievità da rendere la narrazione piacevole ed interessante ad ogni passo.
Spinto da furor eroticus bruniano o da élan vital bergsoniano (scelga ognuno), Antonio Corvino, economista, scrittore, saggista e poeta originario di Melendugno, sotto la canicola di agosto, intraprende a piedi «per agra» un lungo e avventuroso pellegrinaggio nell’alta Puglia per raggiungere Monte San Michele sul Gargano da cui sembra diramarsi una rete di percorsi mistici che approdano in più punti dell’Italia, dell’Europa e dell’Asia, aventi come punto di riferimento proprio quei templi in cui venivano adorate antiche divinità pagane sostituite poi dall’Arcangelo vittorioso.
Nel suo viaggio, nel contempo reale e ideale – giusto per non allontanarsi dalla lezione di Niccolò Cusano, secondo cui vi è la «coincidentia oppositorum»– viene accompagnato virtualmente da uno «scazzamurrieddhru» e da uno «sciacuddhri». Sono autentici elfi del Sud che fungono quasi da numi tutelari e conferiscono al racconto quel tanto di magismo in una «terra magica in cui tutto è possibile». Però l’Autore è teso a scoprire tanto l’«Universo» o l’universalità attraverso le manifestazioni particolari, quanto l’«infinito», scrutando e contemplando il circoscritto, cosa che si può cogliere solo con un’osservazione attenta e diretta. Insomma, al riparo dai roghi ecclesiastici, anela alla «mens super omnia» attraverso la «mens insita omnibus», secondo la visione panteistica dell‘eretico (?) nolano arso vivo a Campo dei Fiori.
Concluso il viaggio sul Gargano, s’inoltra a Ovest, attraversa la «terra degli anarchici» e dei «Briganti», fino a spingersi sul «sentiero degli dei», ammirando la maestosità dei monti, godendo della pace dei boschi. Attraverso racconti e testimonianze della gente del luogo (ma anche guardando i resti archeologici) scopre l’essenza delle popolazioni indigene che pure vantavano grandi architetti, grandi ingegneri e coraggiosi uomini d’arme. Ma gli storiografi li hanno sempre frettolosamente liquidati (e a volte persino ignorati) per precipitarsi sul carro di una Roma vincitrice e facendo a gara per magnificare la virtus romana. Tali popoli (Osci, Sanniti, Irpini, Dauni, Peceuti) pur vinti in battaglia dall’impero Romano, orgogliosamente non rinunciarono alla propria identità, ai propri trascorsi, alla propria cultura, tanto che Roma, per non tenerseli eternamente nemici, concesse loro persino la facoltà di coniare moneta, così come farà per la Brentesion messapica.
Proprio a Sepino (prov. di Campobasso), viene a conoscenza che il primo scopritore della penicillina non è Alessandro Fleming, come ci è stato tramandato dai libri scolastici, ma lo scienziato Vincenzo Tiberio di Sepino; anche per lui valse il “nemo propheta…” e non essendo il Tiberio né milanese, né francese, né tedesco, né americano, non ebbe alcun riconoscimento, anzi la sua figura sarebbe sprofondata nella damnatio memoriae, se qualcuno orgoglioso della propria terra, delle proprie origini e della propria gente non ne avesse conservato il ricordo. Per sua fortuna Vincenzo Tiberio (per usare un ‘espressione di Sandro Pertini) non «è stato suicidato» come qualcuno osa (?) sospettare sia avvenuto per il dott. Giuseppe De Donno, colpevole (?) di aver trovato un rimedio efficace contro il Covid 19 fuori dai protocolli delle multinazionali, così come qualche secolo prima aveva fatto Edward Jenner per la lotta contro il vaiolo.
Se stanno così le cose, a nulla serve scrivere Apologie paradossiche – come fece il Ferrari – o ricordare che Giordano Bruno era di Nola o che Antonio Serra, Antonio Genovesi, Giuseppe Palmieri erano del Sud o che la Scuola Salernitana è stata all’avanguardia nella medicina… quando qualcuno molto interessato si ostina a considerare ed etichettare il Meridione come terra di cittadini di serie B(ignoranti, nullafacenti, assistiti e piagnoni!) e s’impegna a diffondere il suo verbo in cerca di consensi. Per questo Corvino, autodefinendosi ironicamente un «don Chisciotte», auspica che vi siano altrettanti don Chisciotte per lottare contro i mulini a vento dei luoghi comuni artatamente inventati e per il riscatto delle terre e della gente del Sud ricche, oltre che di storia e di monumenti, anche di menti che… scappano all’estero, lasciando al Meridione solo ‘la crema’ della mediocrità servile e irregimentata in ogni campo, emarginando “dovutamente” qualche “eretico” che non ha voluto svendere il proprio pensiero ed ha avuto l’impudenza di rimanerci.
Pur prestandosi a vari livelli e a varie sfaccettature di lettura, il lavoro risulta di per sé di facile accessibilità, ma nel contempo di notevole spessore culturale e profondità intellettuale.
Piacevole è la descrizione dei luoghi, in genere con brevi, rapidi ed efficaci tratti di pennello, capaci però di elevarsi in momenti lirici.
Corvino ci fa riscoprire «le terre di mezzo», ossia quelle che, a torto, vengono considerate periferie, i cui popoli, un tempo prevalentemente dediti all’agricoltura e alla pastorizia, con intelligenza e un duro lavoro, con l’annuale la transumanza attraverso i tratturi hanno contribuito alla crescita, morale, spirituale, culturale, scientifica e artistica delle loro terre, ora dimenticate e decimate da un modernismo senza prospettive e senza meta, inneggiante agli spettacoli stucchevoli e soprattutto al dio-denaro e ci si è dimenticati del valore più importante senza il quale tutto il resto si disfa come i castelli di sabbia: l’Uomo! Corvino auspica (ovviamente mutatis mutandis!) che si rivitalizzino i borghi ora abbandonati, sia dato nuovo vigore alla terra e alla pastorizia che sostentano e sostengono tutte le attività umane in perfetto equilibrio ed armonia con la naturaperché, per dirla col pensiero di Telesio, l’uomo è parte della natura, è egli stesso natura non diverso dalla materia che ha intorno a sé.
Interessante un breve passo di pag. 84: «E vi sentire felici di esservi arrampicati tra questi tratturi e di aver percorso questi sentieri. Perché d’incanto il vostro spirito si troverà in sintonia con lo spirito dell’Universo e la vostra intima religiosità in simbiosi con la dimensione mistica del creato.» E ancora prima, a pag. 69: «Il mondo non può sopravvivere dimenticando la storia e distruggendo il tessuto connettivo dei territori.»
L’efficace discorso di Corvino riesce a coinvolgere il lettore non solo nei suoi ragionamenti, ma anche nei sentimenti e nelle emozioni più personali.
Una delle intuizioni più felici di Corvino, proprio alla luce delle conoscenze storiche, è nell’indicazione di un recupero dell’identità Mediterranea (più che nord-europea, aggiungiamo!) Il che ci induce a pensare che la costruzione dell’attuale Europa Unita non sia stata realizzata nel migliore dei modi, anzi diciamo, sia pure col senno di poi, che rischia di somigliare più ad un’anacronistica rivisitazione del Sacro Romano Impero Franco e Germanico che non portò certo l’unità e la pace. Si ignora invece che, ancor prima, l’identità mediterranea costituiva il nocciolo delle civiltà che nel corso dei millenni ha portato, soprattutto nell’Italia meridionale e nelle isole, cambiamenti con conseguente crescita, ma col trascorrere dei secoli i benefici si sono riversati anche sui popoli del Nord con la diffusione culturale incisiva, anche se limitata, attraverso i monasteri.
Nell’attuale bailamme di “ragioni” e di “ricette” gridate attraverso i mass-media, di mondi virtuali che vorrebbero solo meravigliarci, stupirci o forse solo istupidirci, soppiantando il mondo reale, manca secondo Corvino un elemento (ma non solo secondo lui) essenziale: la «Poesia» e «Cammini a Sud» di Antonio Corvino è un’opera che, nella sua gradevolezza, va letta con molta attenzione: offre, infatti, notevoli spunti per quello che nella esagitata e schizofrenica società attuale sembra mancare al pari della poesia: una pacata riflessione.
Carlo Petrachi
Antonio Corvino, di origini pugliesi, napoletano di formazione è un saggista ed economista di lungo corso, di cultura classica, specializzato in scenari macro economici ed economia dei territori.
Direttore generale dell’Osservatorio di Economia e Finanza, specializzato nell’analisi dell’economia del mezzogiorno e del Mediterraneo oltre che nella costruzione degli scenari macroeconomici in cui Mezzogiorno e Mediterraneo sono inseriti.
In tale veste ha organizzato dal 2011 al 2015 il “Sorrento Meeting” che ha affrontato, grazie al concorso di intellettuali, studiosi, rappresentanti economici e politici, controcorrente, dell’intero Mediterraneo e di altri Paesi asiatici ed americani, con largo anticipo e visioni non scontate, le questioni esplose in maniera virulenta, negli anni più recenti: dai nodi gordiani del sottosviluppo alle migrazioni, dai giovani nuovi argonauti in cerca del futuro da qualche parte, all’effetto macigno dell’Euro sull’economia Mediterranea ed al negativo condizionamento del paradigma nord-atlantico su di essa, dall’energia alla logistica, al destino del Mediterraneo che ahimè appare sempre più compromesso.
Già Direttore nel Sistema Confindustria ha ricoperto diversi incarichi a livello nazionale, regionale e, da ultimo, anche a livello territoriale.
Appassionato delle antiche vie nelle “terre di mezzo” ha percorso numerosi cammini nel cuore del Mezzogiorno continentale coprendo oltre 1500 chilometri e traendone una serie di appunti di viaggio che han dato vita a diversi volumi e romanzi di cui “Cammini a Sud” è il primo ad essere stato pubblicato.
Cultore di arte ha frequentato molti artisti, talora legandosi di profonda amicizia con essi. E’ il caso di Pino Settanni, scomparso nel 2010, artista e fotografo di straordinaria sensibilità e levatura, presente nei musei internazionali, il cui archivio è stato acquisito dall’Istituto Luce-Cinecittà.
Dedito da sempre alla scrittura, questa è divenuta da ultimo la sua principale occupazione, spaziando dal romanzo di introspezione intima e personale sino all’ osservazione lucida quanto preoccupata delle derive antropologiche destinate a scivolare verso una visione distopica che solo nella memoria può trovare l’antidoto.
Nel dicembre 2019 ha curato per Rubbettino il volume “Mezzogiorno in Progress”. Un volume-summa sulla questione del Sud cui hanno collaborato trenta tra studiosi economisti ed intellettuali e trenta imprenditori fuori dagli schemi.
Sin dalla più giovane età ha collaborato con riviste di economia, tra cui “Nord e Sud” che annoverava, essendo egli un giovane apprendista, le migliori menti del Mezzogiorno. Ha collaborato, in qualità di esperto opinionista, con diversi quotidiani meridionali. Tuttora scrive su riviste specializzate in scenari economici e problematiche dello sviluppo.
Da ultimo, per l’Università Partenope, il CEHAM, e l’Ordine dei biologi, ha realizzato un corso monografico video sul Mediterraneo della durata di 15 ore destinato ad un master.
Sulla rivista Bio’s, Organo dell’Ordine nazionale dei Biologi, ha pubblicato tre saggi sulle prospettive del Mediterraneo alla luce dell’implosione della globalizzazione, indicando un nuovo paradigma policentrico dello sviluppo e proponendo la suggestione del Mediterraneo come Continente; nell’ultimo saggio si è soffermato sul ruolo del Mediterraneo nella crisi alimentare ipotizzando il ritorno della agricoltura familiare e del recupero della biodiversità quali strade maestre per una nuova visione di sviluppo legata alla valorizzazione dei territori e della agricoltura meridionale.
Sulla rivista Politica Meridionalista ha pubblicato e continua a pubblicare numerosi saggi sul Mezzogiorno indicando i Cammini e le Terre di Mezzo quali orizzonti per combattere lo spopolamento e l’abbandono dei territori interni.
Carlo Petrachi da anni si dedica alla ricerca di pubblicazioni poco conosciute, scritti inediti o del tutto dimenticati. Ha collaborato con varie riviste – scrivendo di scrittori prevalentemente meridionali – e pubblicato libri di storia meridionale e di narrativa con racconti ambientati nel “suo” Salento.
In una epoca in cui misuriamo le distanze economicamente e temporalmente, escogitando mezzi di locomozione più o meno verdi o viviamo la stasi incipiente della transizione digitale, che senso ha il camminare e il dove camminare? Trascurando la mobilità consumistica e quella sportiva, esiste una altra dimensione che confina con il fantastico e con l’avventura, il piacere di scoprire non solo luoghi nuovi, ma storie antiche e moderne, vecchi saperi e tradizionali sapori, personaggi e persone. La meta ha un puro significato di orizzonte, quello che conta è il percorso e il fluire della nostra coscienza. Capitalizziamo emozioni, dove riemerge il fanciullino di pascoliana memoria o lo stupore dei personaggi leopardiani. I cammini hanno come pietre miliari molti libri e racconti che hanno raccolto emozioni, osservazioni, riflessioni di viandanti, a queste pietre miliari oggi se ne aggiunge una altra scolpita da Antonio Corvino. Il libro dal titolo “Cammini a Sud, sentieri, tratturi, storie, leggende, genti e popoli del Mezzogiorno”, pubblicato da Giannini editori, si apre con una dedica agli Angeli dei pellegrini e ai viandanti e in cinque capitoli ripercorre un itinerario non turistico, ma letterario. C’è da chiedersi ma i pellegrini hanno degli angeli? Sicuramente non si viaggia mai soli, nel caso di Corvino, il protagonista viaggia con due spiritelli “Scazzamurieddhu” e “Shacuddhi”, impersonificazione dell’ambivalenza umana e dei suoi processi dialettici. Ma i due spiritelli sono solo estroflessioni del proprio io o rappresentano anche indirettamente dei genius loci, come le antiche storie ci tramandano. Vivono con noi o anche fuori di noi. Non lo sapremo mai, ma sicuramente avvertiamo la loro presenza. I piani storici di questa transumanza umana si sovrappongono e si mischiano facendo rivivere antiche divinità, eroi, anarchici, briganti, santi e arcangeli, riscoprendo antiche mura, torri che ancora sfidano il cielo, castelli silenziosi a guardia di niente, chiese, scrigni di arte e di riti del passato. Un caleidoscopio assimilabile ad un moto browniano, dove si riafferma la multidimensionalità della nostra coscienza e la sua percezione atemporale. L’esperienza di vita di Antonio Corvino, economista, saggista e poeta, si è concretizzata in forma letteraria nel racconto di alcuni cammini del Sud Italia che hanno interessato tre regioni la Campania, il Molise, la Puglia, alla ricerca di identità culturali, storiche e sociali. Un grande patrimonio naturalistico e culturale da valorizzare che ancora trova un modesto interesse da parte delle Istituzioni, ma che può costituire un volano di sviluppo e soprattutto per le giovani generazioni occasioni di occupazione e di attività imprenditoriali, pur nel rispetto del paesaggio e dell’ambiente.
Alcune esperienze di cammino di Corvino erano state già oggetto di pregevoli articoli apparsi sulla rivista Politica meridionalista. Civiltà di Europa dell’Associazione internazionale Guido Dorso. I cammini tuttavia non riguardano solo sentieri, tratturi o terre isolate o paesaggi incontaminati, interessano anche strutture urbane con livelli di lettura più complessi da decifrare. Le riflessioni che seguono sono più mirate a discutere sui tradizionali cammini e meno su quelli di carattere cittadino.
Che cosa è un cammino? Sembra una domanda banale, ma non lo è.
Un percorso fisico facile o difficile, misurato prima dalla fantasia e dalla curiosità del potenziale camminatore, successivamente dalla fatica muscolare, dal sudore, ma anche dalla visione di paesaggi, ma soprattutto dalla memoria dei luoghi. Il cammino è una sfida con se stessi, un confrontarsi con la natura e immergersi in essa. Pietre, terra, acqua, pioggia, vegetazione e fauna visibile o nascosta sono i compagni giornalieri di un camminatore. Sicuramente, senza richiamare gli archetipi junghiani, vi sono motivazioni profonde che spingono e hanno spinto nei secoli a camminare. Sicuramente una certa modernità ha messo da parte queste esperienze del passato, favorendo la mobilità veloce, alla mobilità lenta. Sono cambiate anche le abitudini di vita, le comodità sono prevalse sulle scomodità, il facile sul difficile, si è indebolito lo spirito di avventura, ma anche il senso del rischio. Oggi assistiamo sempre più ad una riscoperta di queste antiche esperienze anche se l’Italia pur essendo ricca di percorsi è in ritardo rispetto ad altri paesi, tra cui soprattutto emerge la Spagna. Il libro di Antonio Corvino è una opera letteraria che si libra fra la realtà fisica, sogno e la memoria presente e atavica dei luoghi. Un’opera che si inserisce nel filone della riscoperta dei luoghi e dalle loro stratificazioni culturali. Una domanda si pone. È solo una opera di riscoperta, nata dal piacere dell’autore o anche un tentativo di valorizzazione dei luoghi? La lettura di questo libro, che nasce dall’esperienza diretta dell’autore, è solo una forma di piacere culturale? una possibile guida, alla maniera salgariana, di avventure, di viaggi di valore culturale o di fantasia? una forma di esortazione paideutica a intraprendere esperienze antiche e fuori dalle mobilità moderne soprattutto per le giovani generazioni. Con le tipiche deformazioni dell’economista, ritengo che questo libro possa essere di incitamento per lo sviluppo economico di tanti territori e soprattutto delle aree interne. Il Mezzogiorno è ricco di cammini naturalistici nelle zone costiere, ma anche nella zona appenninica, oltre i percorsi di carattere religioso anticamente usati per raggiungere la terra santa o i santuari di cui è ricco il territorio. Pur rispettando la natura dei cammini, la loro storia, come le antiche memorie ci tramandano, possono essere implementati una serie di servizi lungo i percorsi che spaziano dalla ristorazione, all’alloggio, al trasporto di bagagli e all’editoria culturale per l’approfondimento della memoria dei luoghi. I cammini vivacizzano e fanno rivivere l’artigianato locale e la biodiversità, rafforzando le identità e le radici stesse della comunità. Inoltre possono costituire nuovi gangli di produzioni locali e di filiere commerciali, volte a valorizzare le enogastronomie. Essere una tappa di un cammino diventa una forma di identità di luoghi ormai quasi cancellati dalle carte geografiche. I luoghi dell’abbandono possono ridiventare luoghi di vita e di produzione, diventando le novelle Sirene per non far partire tanti giovani verso altre terre, anzi possono diventare attrattori per tanti giovani che vogliano fondare la loro vita su variabili diverse. Esistono tuttavia non solo servizi tradizionali ma nuove competenze che possono essere appannaggio delle nuove generazioni come l’architettura dei cammini, che richiede una visione multidisciplinare che da una parte rispetti il principio DNSH e dall’altra crei quelle condizioni minime di sicurezza nel percorso e aiuti soprattutto i camminatori ad avere una chiara percezione dei rischi a cui possono andare incontro. Il tracciamento dei cammini richiede uno studio approfondito della fauna e della flora dei luoghi, della loro geologia, ma anche della loro storia. Assume rilievo anche la segnaletica e i tabelloni cartografici che richiedono una opportuna pianificazione e una standardizzazione, facilmente interpretabile da camminatori italiani ma anche stranieri. La transizione digitale offre oggi una grande possibilità di rispettare la natura dei luoghi in maniera non incisiva. Anche l’utilizzo intelligente dei droni può essere utile nella costruzione dei cammini offrendo una visione del territorio integrale. Una altra professione è la guida dei gruppi che percorrono i cammini, soprattutto quelli che manifestano maggiori difficoltà. Negli ultimi anni la cultura dei cammini ha avuto uno sviluppo anche in diverse regioni italiane, molte volte trattasi di iniziative locali che non rientrano nella pianificazione culturale e turistica delle Regioni. Una attenzione diversa oggi è stata fornita dal PNRR e dal piano strategico del turismo 2023-2027. Sarebbe utile che le varie regioni facendo uso dei fondi comunitari 2021-27 incentivino queste come di mobilità interagendo fra di loro, in quanto molti cammini per loro natura sono interregionali. Due importanti annotazioni sono contenute nel piano strategico del turismo già citato:
Turismo religioso e dei cammini
Il turismo religioso gode dell’indubbio vantaggio del forte legame che si crea tra luoghi di culto e fedeli. Le mete religiose non possono approfittare di questo vantaggio se offrono servizi dequalificati e a basso valore aggiunto. La sfida principale delle policy di segmento è quella di accompagnare la qualificazione dell’offerta (ospitalità e ristorazione in particolare) puntando sulla sostenibilità ambientale e sulla digitalizzazione e mantenendo, al contempo, un livello dei prezzi accessibile al vasto segmento dei fedeli. Il sistema del turismo lento e dei cammini in Italia in quanto forma di turismo sostenibile e inclusivo (ridotto impatto ambientale, volano di sviluppo economico e sociale di aree marginali) deve essere sostenuto da specifiche politiche di incentivazione e sostegno:
un sistema di infrastrutture adeguato a pellegrini ed escursionisti, come l’ospitalità a basso costo (laica o religiosa);
un sistema di manutenzione costante, adeguato al percorso e alla segnaletica;
una campagna di promozione internazionale partendo proprio dalla collaborazione con ENIT, Agenzia Nazionale di Promozione del Turismo all’estero;
la creazione di un osservatorio permanente per monitorare e misurare il passaggio e l’arrivo dei pellegrini e il loro impatto economico;
incentivi per la predisposizione e/o il miglioramento dei servizi di supporto per il pellegrino come trasporto zaini, wi-fi, caricatori per biciclette elettriche, ecc.
Turismo delle radici
Il turismo delle radici è stato oggetto di attenzione anche da parte del PNRR, una parte del quale è dedicato a politiche per il turismo. Il progetto, che si trova all’interno dei programmi rivolti alla collettività italiana all’estero, prende il nome di “Turismo delle Radici – Una Strategia Integrata per la ripresa del settore del Turismo nell’Italia post Covid-19”, di cui è responsabile il MAECI. Lo scopo complessivo è stimolare l’occupazione giovanile, sostenendo la formazione di nuove figure professionali specializzate e sviluppando forme di aggregazione tra nuovi occupati e persone con esperienza nel settore del turismo.
Il PNRR ha dato una particolare attenzione allo sviluppo dei Borghi , di cui è ricco il nostro paese, ma ha trascurato le interconnessioni e le strade di collegamento fra di loro vedendoli come centri isolati e non come sistema articolato di cammini. I cammini sicuramente possono essere dei capillari dello sviluppo che vivificano i territori, soprattutto delle cosiddette aree interne o aree di mezzo, come , usa chiamarle Corvino. Occorre una strategia sistemica che partendo dalla formazione professione degli architetti/tracciatori alle guide, incentivino le forme imprenditoriali soprattutto di giovani che possano fornire i servizi anche differenziati in funzione della tipologia dei viaggiatori. È ora che le Regioni assumano una responsabilità diversa nella pianificazione e gestione dei cammini, non solo contribuendo allo sviluppo di attività produttive funzionali, ma anche tutelandoli ed evitando che speculazioni edilizie/commerciali possano prendere il sopravvento distruggendo la loro bellezza e autenticità. Le pagine curate da Antonio Corvino, al di là della illustrazione dei paesaggi e della ricostruzione delle stratificazioni culturali dei territori, ci offre anche uno spaccato delle esigenze del camminatore. Dopo queste sintetiche riflessioni sia di carattere letterario, che economico, mi chiedo, che cosa questo libro offre ai lettori. Sicuramente una emozione, che non nasce solo dalla voglia e dalla curiosità di ripercorrere sentieri, tratturi, ma dal seguire il flusso della propria coscienza vagando tra sogno e fantasia in un mondo dove le antiche Muse riprendono a danzare.
Francesco Saverio Coppola
Francesco Saverio Coppola
Segretario generale Associazione internazionale Guido Dorso, coordinatore A.I.M (Alleanza Istituti di ricerca e di cultura meridionalisti), Presidente Bri Banca delle risorse immateriali, Coordinatore Comitato scientifico Osservatorio di Economia e Azione sociale, Presidente Gruppo Seniores Banco di Napoli, Presidente Centro studi Carlo Cattaneo. E’ amministratore della società Ingenius Consulting Service per il supporto alla progettazione a Imprese ed Enti per investimenti con utilizzo fondi PNRR e Fondi comunitari. Fa parte e ha fatto parte di comitati scientifici e consigli di Istituzioni meridionaliste tra cui Svimez. E’ stato capo dell’Ufficio studi del Banco di Napoli e Direttore generale di S.R.M ( Studi e Ricerche del Mezzogiorno) del Gruppo Intesa Sanpaolo. E’ stato assessore tecnico alle Finanze del Comune di Benevento. Giornalista, saggista, curatore e autore di diversi libri a carattere economico e sociale, docente universitario, dirige e ha diretto riviste di carattere economico e culturale (Rassegna economica, Dossier UE, Nuove Frontiere, Politica meridionalista. Civiltà di Europa ecc)
Nato a Napoli, ha maturato in ambito aziendale, in ambito universitario, in ambito istituzionale, in centri di ricerca e di promozione sociale molteplici esperienze nel campo dell’economia delle imprese pubbliche e private, della finanza privata e pubblica, dell’economia bancaria, del marketing territoriale. Ha maturato esperienze nel settore delle infrastrutture materiali e immateriali, nel settore della logistica e della mobilità urbana. Ha sviluppato significative competenze manageriali nella direzione di strutture bancarie, di strutture associative, di strutture pubbliche e di attività progettuali. Si è specializzato in operazioni di risanamento, ristrutturazione e riequilibrio finanziario di aziende pubbliche e private.
Si è specializzato sull’ intervento pubblico in economia a livello nazionale, europeo e degli Organismi internazionali. Ha curato studi sull’innovazione e sulla sua diffusione. Ha curato azioni e studi per lo sviluppo e la promozione dei territori. Ha sviluppato esperienze di studio e operative nel mondo non profit, con particolare attenzione ai processi di coesione sociale e di economia del bene comune e alla finanza etica.
Antonio Corvino
Antonio Corvino, di origini pugliesi, napoletano di formazione è un saggista ed economista di lungo corso, di cultura classica, specializzato in scenari macro economici ed economia dei territori.
Direttore generale dell’Osservatorio di Economia e Finanza, specializzato nell’analisi dell’economia del mezzogiorno e del Mediterraneo oltre che nella costruzione degli scenari macroeconomici in cui Mezzogiorno e Mediterraneo sono inseriti.
In tale veste ha organizzato dal 2011 al 2015 il “Sorrento Meeting” che ha affrontato, grazie al concorso di intellettuali, studiosi, rappresentanti economici e politici, controcorrente, dell’intero Mediterraneo e di altri Paesi asiatici ed americani, con largo anticipo e visioni non scontate, le questioni esplose in maniera virulenta, negli anni più recenti: dai nodi gordiani del sottosviluppo alle migrazioni, dai giovani nuovi argonauti in cerca del futuro da qualche parte, all’effetto macigno dell’Euro sull’economia Mediterranea ed al negativo condizionamento del paradigma nord-atlantico su di essa, dall’energia alla logistica, al destino del Mediterraneo che ahimè appare sempre più compromesso.
Già Direttore nel Sistema Confindustria ha ricoperto diversi incarichi a livello nazionale, regionale e, da ultimo, anche a livello territoriale.
Appassionato delle antiche vie nelle “terre di mezzo” ha percorso numerosi cammini nel cuore del Mezzogiorno continentale coprendo oltre 1500 chilometri e traendone una serie di appunti di viaggio che han dato vita a diversi volumi e romanzi di cui “Cammini a Sud” è il primo ad essere stato pubblicato.
Cultore di arte ha frequentato molti artisti, talora legandosi di profonda amicizia con essi. E’ il caso di Pino Settanni, scomparso nel 2010, artista e fotografo di straordinaria sensibilità e levatura, presente nei musei internazionali, il cui archivio è stato acquisito dall’Istituto Luce-Cinecittà.
Dedito da sempre alla scrittura, questa è divenuta da ultimo la sua principale occupazione, spaziando dal romanzo di introspezione intima e personale sino all’ osservazione lucida quanto preoccupata delle derive antropologiche destinate a scivolare verso una visione distopica che solo nella memoria può trovare l’antidoto.
Nel dicembre 2019 ha curato per Rubbettino il volume “Mezzogiorno in Progress”. Un volume-summa sulla questione del Sud cui hanno collaborato trenta tra studiosi economisti ed intellettuali e trenta imprenditori fuori dagli schemi.
Sin dalla più giovane età ha collaborato con riviste di economia, tra cui “Nord e Sud” che annoverava, essendo egli un giovane apprendista, le migliori menti del Mezzogiorno. Ha collaborato, in qualità di esperto opinionista, con diversi quotidiani meridionali. Tuttora scrive su riviste specializzate in scenari economici e problematiche dello sviluppo.
Da ultimo, per l’Università Partenope, il CEHAM, e l’Ordine dei biologi, ha realizzato un corso monografico video sul Mediterraneo della durata di 15 ore destinato ad un master.
Sulla rivista Bio’s, Organo dell’Ordine nazionale dei Biologi, ha pubblicato tre saggi sulle prospettive del Mediterraneo alla luce dell’implosione della globalizzazione, indicando un nuovo paradigma policentrico dello sviluppo e proponendo la suggestione del Mediterraneo come Continente; nell’ultimo saggio si è soffermato sul ruolo del Mediterraneo nella crisi alimentare ipotizzando il ritorno della agricoltura familiare e del recupero della biodiversità quali strade maestre per una nuova visione di sviluppo legata alla valorizzazione dei territori e della agricoltura meridionale.
Sulla rivista Politica Meridionalista ha pubblicato e continua a pubblicare numerosi saggi sul Mezzogiorno indicando i Cammini e le Terre di Mezzo quali orizzonti per combattere lo spopolamento e l’abbandono dei territori interni.