Mirella Armiero: “Un pensiero ribelle. Maria Bakunin la Signora di Napoli” (Solferino), di Bernardina Moriconi

    “La Signora” così semplicemente era nominata, forse per quella soggezione che ispirava, mista ai modi spicci e a un piglio risoluto non poco in contrasto col suo fisico minuto. Ma l’appellativo derivava anche e soprattutto dall’ammirazione che Maria Bakunin, illustre chimica napoletana, ché di lei parliamo, ispirava, grazie a quella conoscenza delle misteriose e complesse concatenazioni capaci di tenere assieme sostanze ed elementi diversi e distanti. E lei, Marussia per i familiari, di distanze se ne intendeva visto che dalla lontana Siberia,  dove era nata nel 1873, era approdata  a Napoli. E qui sarebbe vissuta – fino alla fine dei suoi giorni, nel 1960 – assieme alla madre e ai fratelli, compiendovi quegli studi che l’avrebbero portata a essere la prima donna in Italia a laurearsi in chimica e anche la prima a conseguire una cattedra universitaria. E se Maria visse lontana da quel padre fisicamente e ideologicamente ingombrante e da molti temuto, Michail Bakunin, il grande teorico del pensiero anarchico, la giovane ebbe modo di crescere e maturare la sua formazione di donna e di studiosa  all’ombra di quel monte altrettanto ingombrante e temuto: lo Sterminator Vesevo. 

   

Proprio dall’ eruzione del Vesuvio  del 1906 prende le mosse Mirella Armiero per raccontarci nel suo volume Un pensiero ribelle. Maria Bakunin la Signora di Napoli (Solferino) i momenti salienti della vita familiare e professionale della Bakunin.

   E lo fa, la Armiero, mettendo le sue comprovate doti di giornalista – attenta alla verifica e alla documentazione – a servizio di una accattivante vena narrativa e di una scrittura fluida e agevole  pur nel trattare situazioni complesse ed  eterogenee (storiche, scientifiche, politiche…). Ciò appare evidente fin dalle succitate prime pagine, grazie al racconto dettagliato e ad ampio raggio di quella terribile eruzione. Mentre la Napoli che contava era infatti in fermento per l’attesa prima assoluta al San Carlo della Tess di Frédéric Alfred d’Erlanger, che da un mese soggiornava in città per allestire l’evento, il Vesuvio iniziava a ruggire e ribollire. E quando il 9 aprile lo spettacolo va finalmente in scena dopo un rinvio sempre dovuto alle intemperanze vulcaniche, i luccichìi degli abiti da sera delle dame verranno offuscati dai più sostanziosi e tristi bagliori della Montagna che erutta costringendo gli abitanti di interi paesi a fuggire lontano.

    A osservare la situazione, quasi a monitorarla, tra i tanti, italiani e stranieri, scienziati e  semplici curiosi accorsi, da segnalare anche la presenza di due donne, entrambe poderose nel proprio campo e che seguono la situazione con occhi e interessi diversi. Una è la Signora del giornalismo, Matilde Serao, all’epoca direttrice del <<Giorno>>, interessata ai risvolti sociali e cronachistici dell’evento, l’altra è la Signora della Chimica, che si muove per curiosità preminentemente scientifiche. 

   Ma certo la Bakunin non si interessò mai solo ed esclusivamente di scienze, vivendo in ambienti ideologicamente e culturalmente impegnati; inoltre, anche se il padre Michail, col quale aveva condiviso solo i primissimi anni dell’infanzia, morì distante dalla famiglia quando Maria era ancora molto piccola, lei coltiverà sempre un affetto che si farà quasi venerazione per quell’uomo dal forte appetito e dalle forti passioni, che continuò a considerare suo padre sebbene fosse figlia naturale  (lei e gli altri tre fratelli) dell’avvocato Carlo Gambuzzi, con cui la moglie di Bakunin ebbe una storia lunga e complicata che si concluderà con le nozze celebrate sempre a Napoli tre anni dopo la scomparsa di Michail: il quale a sua volta era a conoscenza del legame fra il Gambuzzi e la sua giovane moglie Antonia, ma  applicò anche alla sua vita privata quei principi di massima libertà che predicava in politica, lasciando alla consorte piena autonomia di decisione e quindi di azione in campo sentimentale. E per comprendere meglio lo spirito e gli ideali che informarono il grande filosofo dell’anarchismo  – l’ “idealista sentimentale”,  lo aveva definito Marx – la Armiero offre un’ampia  e illuminante digressione, trasportando il lettore in altri luoghi e in altri anni: precisamente nella Russia della prima metà dell’800, dove Michail trascorse un’infanzia serena e agiata in una ampia casa circondata da giardini e riscaldata dall’affetto di ben undici tra fratelli e sorelle. Ma presto il suo spirito irrequieto e l’ardore rivoluzionario, spiega la Armiero, lo spingeranno in altri luoghi e all’elaborazione di un pensiero rivoluzionario. E’ l’inizio della storia dell’ideologia  anarchica. Ma non fu certo solo un teorico, Bakunin: lo spirito irrequieto e l’ardore che l’animavano lo videro impegnato in prima linea in diversi moti e rivolte che infiammavano gli anni Quaranta del Diciannovesimo secolo e che gli costarono  prima alcuni anni di carcere duro a San Pietroburgo e poi un esilio in Siberia. Qui conobbe la giovanissima Antonia, appena diciassettenne ma ragazzina di carattere, tanto da decidere di sposarlo, malgrado il parere contrario della famiglia, e di seguirlo nella sua turbolenta e disordinata esistenza, che li condusse anche a Napoli una prima volta nel 1865: i due trascorsero un periodo sereno nella città che da pochi anni aveva perso il titolo di capitale di un regno e che  Michail ebbe modo di amare, anche perché gli appariva come la più anarchica fra le città europee – e forse non si sbagliava, se si pensa che il primo attentato a opera di un anarchico (il terzo gli sarebbe stato fatale), re Umberto lo subì proprio nella città campana nel 1878. Proprio negli anni napoletani, Bakunin cominciò ad approfondire ed elaborare il suo pensiero, distaccandosi progressivamente dal marxismo e valutando il fallimento del Risorgimento italiano che non aveva saputo colmare il divario economico e sociale del Paese. Ed è sempre  qui che Antonia conobbe Carlo Gambuzzi, sodale di Bakunin e  suo compagno di molte battaglie; dalla lunga, discontinua relazione fra Carlo e Antonia nasceranno ben quattro figli che continueranno a mantenere il cognome del rivoluzionario russo anche dopo la morte di Michail e le nozze dei genitori:  Gambuzzi si ritagliò un ruolo di padre presente e affettuoso ma defilato, rispettando e incoraggiando le scelte di vita e di studi dei ragazzi:  Maria si dedicherà alla chimica, mentre la sorella Sofia si iscrisse alla facoltà di Medicina che in Italia solo da poco era diventata accessibile alle donne.

  Ma Marussia  non vanta solo illustri ascendenti: non è da dimenticare che, grazie alle nozze della sorella Sofia col noto medico Giuseppe Caccioppoli, diverrà zia del grande matematico  Renato, al quale il regista Mario Martone nel ’92 ha dedicato il film Morte di un  matematico napoletano, alla cui sceneggiatura  fornì un fondamentale contributo la scrittrice Fabrizia Ramondino:  alla quale – a riprova che non solo nella Fisica tutto si tiene – la stessa Mirella Armiero ha dedicato un recentissimo volume , Bagaglio leggero. Viaggio nei luoghi di Fabrizia Ramondino (Nutrimenti) realizzato assieme a Francesco Paolo Busco.

   

Ovviamente, il grosso del volume è incentrato sulla Signora della chimica, sulle sue scelte professionali e anche sentimentali sempre libere e coraggiose, frutto di quel pensiero ribelle che contraddistingue lei e altri membri della famiglia: “La vita di Maria, all’apparenza cristallina e rettilinea, è stata piena di contraddizioni, probabilmente di dubbi,  – spiega Armiero – che la rendono molto più autentica di quanto non appaia attraverso il mito di scienziata integerrima e severa, pioniera  nel cammino di affermazione delle donne”. La scienziata coltivò molti interessi, oltre a quelli connessi alle sue discipline, anche grazie ai sodalizi che dal campo scientifico si allargavano a quello sentimentale: così accadde col suo professore e mentore Agostino Oglialoro Todaro che divenne suo marito, e poi col chimico Francesco Giordani, di ben ventitré anni più giovane di lei.

    La curiosità d’altronde non le manca e ne fa una studiosa non sedentaria: numerosi sono i viaggi di lavoro che intraprende, come quelli che nel 1913 la portano, su incarico del ministro Nitti, a osservare le metodologie  didattiche degli istituti tecnici industriali e commerciali del Belgio e della Svizzera;  e poi gli Stati Uniti, in lungo e in largo, assieme a quel Francesco Giordani, che forse ha il potere di rallegrarla col suo entusiasmo e quella fiducia nelle magnifiche sorti e progressive del mondo e dell’Italia. Una fiducia che lo avrebbe portato negli anni ad aderire al regime fascista e ad assumervi incarichi di prestigio, pur serbando la convinzione che gli studi scientifici si sarebbero mantenuti scevri da condizionamenti politici e che anzi proprio il fascismo li avrebbe favoriti e sostenuti in nome di quei principi autarchici che Mussolini voleva vedere applicati anche in ambito chimico e tecnologico. Invece la Signora e ormai sua compagna di vita Maria, non prende posizione  ma certo quel cognome e il suo rifiuto del distintivo e del saluto fascista prima delle lezioni universitarie non la pongono in una situazione ideale: situazione che si complicherà ulteriormente con l’ostentata ostilità al regime e certe azioni provocatorie manifestate dall’amato nipote, il geniale, ironico e dichiaratamente antifascista, Renato Caccioppoli.

   Il libro della Armiero, dalle vicende personali e familiari della Bakunin, si allarga al racconto,  accurato e documentato – e l’ampia bibliografia finale ce lo conferma –  della città e di più di una generazione di  intellettuali, filosofi , scienziati che animavano  Napoli, facendola  centro di dibattiti di fondamentale importanza e di progresso: si pensi alle riunioni all’Accademia Pontaniana, di cui Maria fu inizialmente socia e per poi divenirne presidente, dopo la guerra:  rimanendo prima e unica donna posta alla guida della prestigiosa istituzione. O si pensi, anni prima, alla frequentazioni di quel Circolo Filologico di via San Sebastiano, fondato da  Francesco De Sanctis e poi diretto dall’ancora giovane ma già autorevole Benedetto Croce, dove uomini ma soprattutto numerose donne, con grande meraviglia finanche della Serao che pure lo frequentava, accorrevano ad ascoltare dibattiti accesi e anche audacemente progressisti.

   E in effetti, uno degli aspetti che rendono prezioso questo libro è proprio questa narrazione di una Napoli fuori dagli stereotipi e dai cliché, per nulla provinciale, capace semmai di coniugare tradizioni e riti ancorati al passato con fermenti e idee  che spesso, ma non solo, vengono da fuori, portati da personaggi di gran calibro che a Napoli hanno soggiornato e lavorato. Si pensi ad Anton Dohrn che nel 1873 all’interno della Villa comunale fonda la Stazione zoologica, poi con annesso acquario, destinata a diventare un centro di studi internazionale e all’avanguardia. Ma soprattutto Armiero ci illumina, in molte pagine del volume, circa una attiva, intraprendete, progressista presenza femminile operante nella città partenopea: è il caso della scrittrice svedese Anne Charlotte Leffler, moglie del celebre matematico Pasquale Del Pezzo, con cui  aveva aperto un salotto intellettuale nell’abitazione di via Tasso e alla quale va il merito (oltre che di aver scandalizzato col suo divorzio in terra scandinava i benpensanti del tempo) di aver contribuito a far conoscere il teatro di Ibsen, che proprio in luoghi ameni del nostro territorio, Sorrento e Amalfi, aveva composto due dei capolavori della sua drammaturgia, Gli spettri e Casa di bambola. E ancora Mirella Armiero ci parla di Emily Reeve, figura quasi ignorata, eppure questa intraprendente garibaldina venne qui su incarico della pedagogista Julie Schwabe  per aprirvi una scuola destinata ai bambini poveri, e qui trovò la morte durante l’epidemia di colera del 1865 accudita amorevolmente fino agli ultimi istanti  da Antonia, la moglie di Bakunin che in quegli anni a Napoli soggiornava assieme allo stesso Michail. Ma Antonia era solo una delle tante donne russe presenti in città a cavallo dei due secoli (alcune di loro vi giungeranno in fuga dalla madrepatria dopo la Rivoluzione d’ottobre), che ben si inserivano  in un contesto cittadino saldo e operoso di personalità colte e internazionali.

   È su tale fondale policromo che cresce, si forma e lavora Marussia. E se è vero , come scrive l’autrice, che col trascorrere dei decenni la sua figura è rimpicciolita e sbiadita anche per i nuovi traguardi che si sono raggiunti nell’ambito delle scienze, del progresso sociale e dell’emancipazione femminile, tanto più prezioso appare questo libro proprio perché a tracciare un sentiero verso tali traguardi ha contribuito non poco – con l’impegno coraggioso, con l’intraprendenza professionale e sentimentale, in una parola, col suo pensiero ribelle –  Maria Bakunin, la piccola grande Signora della Chimica.

Bernardina Moriconi

Bernardina Moriconi: Filologa moderna, Dottore di ricerca in Storia della Letteratura e Linguistica Italiana,  giornalista pubblicista e docente di materie letterarie, ha insegnato fino al 2018 Letteratura italiana e Storia a tecniche del giornalismo presso l’Università “Suor Orsola Benincasa”. Ha pubblicato libri sulla letteratura teatrale e svolge attività di critico letterario presso quotidiani e riviste specializzate. E’ direttore artistico della manifestazione “Una Giornata leggend…aria. Libri e lettori per le strade di Napoli”.

Il bitinicco arrabbiato – Vita agra di uno scrittore in libreria (Secondo Sberleffo), di Davide D’Urso

IL BITINICCO ARRABBIATO

VITA AGRA DI UNO SCRITTORE IN LIBRERIA

Datemi il tempo, datemi i mezzi, e io toccherò tutta la tastiera – bianchi e neri – della sensibilità contemporanea. Vi canterò l’indifferenza, la disubbidienza, l’amor coniugale, il conformismo, la sonnolenza, lo spleen, la noia e il rompimento di palle”. 

Così scriveva Bianciardi, qualche tempo fa. Io sarò più misurato, mi limiterò a rompervi le palle.

SECONDO SBERLEFFO 

E comincerò raccontando di questo spettro che si aggira non so se per l’Europa, di certo qui da noi, alla periferia dell’impero. Una figura che si riconosce da lontano, mentre pian piano si avvicina alla libreria. È la signora che vuole effettuare un cambio. Entra, ci porge lo scontrino, poi dice: è un doppione! In passato, i clienti restituivano il libro avvolto dentro una confezione regalo. Oggi, non più. Oggi sono essi stessi gli artefici dell’acquisto. 

Questo fenomeno ha preso vita qualche anno fa, a causa delle trovate di marketing di una casa editrice particolarmente aggressiva. Si dice sempre così, oggi, quando si vuole annacquare la verità. L’italiano possiede una gamma pressoché infinita di termini che consentono a chiunque intenda guardare in faccia la realtà, di tratteggiare con notevole precisione i contorni di qualunque personaggio. Ma la lingua è uno strumento che va adoperato con cautela, perché se utilizzata con sincera onestà intellettuale può rivelarsi particolarmente dolorosa, diventa letteratura. E allora, in luogo di azienda senza scrupoli che tende a rastrellare il maggior numero di clienti vendendo loro sempre lo stesso libro, meglio editore aggressivo. Insomma, questo editore disegnava copertine che richiamavano alla memoria altre copertine, pubblicava romanzi che rievocavano altri romanzi, con dei titoli che ricalcavano precedenti successi. In copertina quasi sempre campeggiava l’immagine di un uomo che indossava un saio davanti alla porta di una antica chiesa, e sulla testa di quest’ultimo spiccava la parola cattedrale o monastero (basilica no, suonava consolatorio invece che inquietante). Oppure vangelo, manoscritto o codice (tomo o volume, niente da fare. Nemmeno trattato o saggio. Evocava burocrazia invece che profezia). Infine, seguiva l’aggettivo proibito, o maledetto. Al massimo antico. Ulteriori aggettivi che riconducessero al gotico non ve n’erano e così l’editore s’è arrangiato rispolverando l’antico gioco delle tre carte riproposto in salsa editoriale, sciorinando una serie pressoché infinita di cattedrali maledette, vangeli altrettanto maledetti oppure proibiti, come le antiche profezie dei monasteri, proibite a loro volta, a causa per lo più di un templare.

Per farla breve, a furia di scrivere sempre lo stesso libro col medesimo titolo e copertina pressoché identica, i clienti finivano per fare una gran confusione, ritrovandosi poi tra le mani il famigerato doppione. Doppione che poi, come il Glen Grant che girava di casa in casa negli anni ’80, passava di mano in mano fino all’inesorabile epilogo, la bancarella.

La signora, quella del cambio, mastica un altro genere di narrativa. Ma il risultato non cambia, è sempre lo stesso libro, sempre lo stesso plot. Eccolo. Il romanzo della scrittrice del momento (nasce una scrittrice ogni momento. Scrittori, niente. Non si ha memoria di un uomo che figuri come autore di queste storie) narra le prodezze di una giovane donna (giovani uomini, niente. Non si ha memoria di un uomo che risulti protagonista di queste storie) che nell’Italia rurale che va tra la fine dell’800 ai primi anni ’60, grazie alla sua intelligenza, sensibilità, pervicacia, carisma, e mille altre doti, riesce a emanciparsi dalla propria condizione. La copertina, da La solitudine dei numeri primi in poi, non può non raffigurare un volto. Ma, vista l’ambientazione, si è reso necessario il passaggio dalla fotografia al dipinto. E così le librerie traboccano di ritratti di dame dell’800 che guardano assorte all’orizzonte.

Fortuna che ci sono i giapponesi a dare colore alle copertine. E a rassicurare i consumatori con le loro storie di rinascita – poi il cerchio si è allargato agli orientali tout court per cavalcare più efficacemente il business. In questi romanzi, insieme ai luoghi, hanno molta importanza le bevande. Tè e caffè su tutti. Il sakè no, chissà perché. Poi si è passati alla cioccolata. E invece delle cattedrali, a ospitare queste storie, oltre che ristoranti e caffetterie, ci sono librerie e biblioteche, oppure lavanderie e minimarket. E gatti, gatti dappertutto. Nemmeno un cane.

Intanto – e questo mi sembra il punto e, insieme, la nota dolente del discorso – molte case editrici sono diventate aggressive, nel senso annacquato di cui sopra. E così succede che, mentre l’editore che ha dato vita al filone di successo, seguita a pubblicare i libri dello stesso autore citando orgogliosamente (per non dire riproducendo clamorosamente) copertina titolo e storia del libro campione d’incassi, le altre, che intendono cavalcare l’onda delle vendite, si devono arrangiare. Ed ecco che sugli scaffali ci ritroviamo tutti insieme: A volte basta un gatto (Garzanti), insieme a I gatti di Shinjuku (Einaudi), Se i gatti scomparissero dal mondo (Einaudi), La mia vita con i gatti (Einaudi) e il più recente Indagine di un gatto (Mondadori). Lei e il suo gatto (Einaudi) è già un ricordo. Una novità invece è Un gatto per i giorni difficili (Rizzoli). Ma come dimenticare Cronache di un gatto viaggiatore (Garzanti). E poi, col tempo – un tempo brevissimo, ormai. Le novità commerciali durano qualche mese in libreria, poi un nuovo gatto, pardon, un nuovo libro sostituisce la precedente novità. Col tempo, dicevo, i titoli finiscono per accavallare un tema di successo all’altro. Sembra quasi che si parlino tra loro. Il caffè della luna piena (Mondadori) è ambientato in una caffetteria, naturalmente. Ma chi gestisce il locale? Un gatto! Il magico studio fotografico di Hirasaka(Feltrinelli) ha come protagonista un fotografo. Però c’è un gatto in copertina, ci sarà una ragione. Spero. E Mentre aspetti la cioccolata (Garzanti), Ci vediamo per un caffè (Garzanti). Per pranzo invece suggerisco Le ricette perdute del ristorante Kamogawa (Einaudi), senza dimenticare Le ricette della signora Tokue (Einaudi) e La cucina degli incontri della signora Megumi(Rizzoli). Dopo pranzo, ci vuole il dolce. Ecco La pasticceria incantata (Mondadori). Dopodiché, se vi doveste macchiare con tutte queste smielate pietanze, c’è Una piccola lavanderia a Yeonnam (Nord), tra Il grande magazzino dei sogni (Mondadori) e L’emporio dell’amore della famiglia Botero (Giunti), Alla fermata dei desideri (Garzanti), dov’è Il minimarket della signora Yeom(Salani). Conosco bene la zona. Poiché sono un lettore forte, passo spesso da quelle parti, per salutare Le libraie Kichijoji(Einaudi). Pare che i tempi non siano favorevoli per i libri. Fortuna che ci sono i gatti. Pensano a tutto loro. C’è Il gatto che voleva salvare la biblioteca e Il gatto che voleva salvare i libri, entrambi per Mondadori. Ah, non fatemi ricordare I miei giorni alla libreria Morisaki (Feltrinelli), ne ho passati lì di bei momenti – per la cronaca, anche qui c’è un gatto in copertina. Come del resto sono stati belli I miei giorni alla libreria della felicità (Newton Compton). Poi basta, ho smesso. No, non di leggere, di entrare in libreria.   

Davide D’Urso


Davide D’Urso. Scrittore, libraio, operatore culturale. Dal 2013 dirige il punto vendita flegreo di Librerie.coop. Ha pubblicato “Il paese che non voleva cambiare” (Manni, 2007). “Incontri notevoli di un libraio militante” (Valtrend, 2012). “Tra le macerie”, (Gaffi – Italo Svevo, 2014). “I famelici” (Bompiani, 2021). “Fuoco sulla città” (Ad Est dell’Equatore, 2013) include il racconto, “Fuocoefiamme”. Nel 2022 viene scelto da Filippo La Porta per l’antologia “Gli occhi di Napoli” (Iod, 2022). I contigui è pubblicato all’interno dell’antologia “Napoli stanca”, a cura di Mirella Armiero (Solferino, 2023).

Il bitinicco arrabbiato – Vita agra di uno scrittore in libreria (Primo Sberleffo), di Davide D’Urso

IL BITINICCO ARRABBIATO

VITA AGRA DI UNO SCRITTORE IN LIBRERIA

Datemi il tempo, datemi i mezzi, e io toccherò tutta la tastiera – bianchi e neri – della sensibilità contemporanea. Vi canterò l’indifferenza, la disubbidienza, l’amor coniugale, il conformismo, la sonnolenza, lo spleen, la noia e il rompimento di palle”. 

Così scriveva Bianciardi, qualche tempo fa. Io sarò più misurato, mi limiterò a rompervi le palle.

PRIMO SBERLEFFO 

Ma starò anche attento a lasciare uno spiraglio di speranza, in ossequio ai dettami della comunicazione contemporanea. Non sia mai che quei quattro lettori rimasti si avviliscano. La clientela, si sa, non va contrariata in nessun caso. 

E sì, la clientela. Perché è solo questo ormai che riconosciamo nell’altro, un consumatore e niente più. 

Nulla di sorprendente. Siamo un Paese che vive alla giornata. In qualunque contesto lavorativo, l’unico dato che conta sono i numeri che ognuno è costretto a snocciolare per garantirsi lo stipendio. 

E raggiungere il budget del mese e poi quello del primo semestre e infine dell’anno, invece di essere uno strumento di verifica della qualità del proprio lavoro, s’è trasformato nel lavoro in sé. Cosa si venda in tutto questo frattempo è diventato di conseguenza marginale. 

Da un certo punto di vista è anche più comodo. Per servire un lettore occorre preparazione. Bisogna non solo conoscere gli autori, leggerne i libri, informarsi presso i giornali, le riviste specializzate. È necessario anche saper distinguere e inoltre valorizzare il progetto letterario di una casa editrice rispetto a un’altra, seguire le fiere, i premi letterari. Una fatica! Con i consumatori è tutto più facile. Si cavalca il fenomeno mediatico del momento e tanti saluti alle recensioni dei quotidiani! 

Un tempo ci si doleva del fatto che la politica avesse ceduto il primato all’economia. Ecco, nel nostro piccolo, abbiamo fatto lo stesso, il mondo editoriale ha ceduto il primato ai media, vecchi e nuovi. E così ci siamo adattati a vendere le opere di gente che, più che scrivere, buca lo schermo con la propria simpatia. Ma il budget, per l’appunto, è garantito, e nessuno si lamenta. Del resto, perché lamentarsi? Si rischierebbe di fare la figura dei reazionari e basta. Mentre chi ostenta interesse per i fenomeni social che piacciono tanto ai ragazzini, dimostra non solo di essere aperto alle novità ma, assecondando il gusto dei figli, riesce a compiacere anche le madri, e magari a vendere loro qualche libro. Meglio di così! 

Insieme ai piacioni della rete, c’è un secondo fenomeno che l’industria culturale sta cavalcando senza freno, i libri che instillano fiducia in se stessi. Non sono saggi. Qualcuno è addirittura collocato nel settore di Narrativa. Mentre il grosso entra di diritto nel genere che oggi va per la maggiore, la Varia. Gli autori di queste opere hanno una sola cosa in testa, dimostrarci quanto valore abbia il quotidiano di ognuno di noi – anonimo solo a un occhio poco attento, il nostro. Meriterebbero un plauso, per la pervicacia con cui si ostinano a confortarci. Anche se non sono un granché. Infatti, più che stimarli, siamo loro grati.

La scintilla di speranza. Una signora entra in libreria. Non saluta. Il mio è il punto vendita di una catena di librerie e la gente dà per scontato che i rapporti siano impersonali. Reagisce perciò con sorpresa quando, oltre al buongiorno, le chiedo delle sue letture. Chiacchieriamo per qualche minuto, le suggerisco diversi libri, ne prende un paio. Settimane dopo torna soddisfatta. Sulla base delle sensazioni che certi titoli le hanno trasmesso, le propongo altri romanzi. La storia si ripete, va avanti per mesi, anni. Nasce un legame.

Siamo all’oggi, ormai ci diamo del tu, siamo diventati amici. Anzi, di più, abbiamo costituito una piccola comunità – conosco le figlie, mi ha presentato sua sorella. Il marito no, i mariti non leggono quasi mai. 

Questo è il senso e, insieme, il sogno di un libraio. L’unico uomo che insegue ancora un’Utopia. Credendo egli, attraverso la letteratura, di cambiare le persone, e alla fin fine il mondo. Almeno ci prova, il nostro ultimo eroe romantico.

Davide D’Urso


Davide D’Urso scrittore, libraio, operatore culturale. Dirige una libreria nei Campi Flegrei. Esordisce con la raccolta di racconti “Il paese che non voleva cambiare” (Manni, 2007). Successivamente, cura per il sito on-line della Fondazione Premio Napoli la rubrica “In mezzo ai libri”; i racconti apparsi sul sito confluiranno poi nell’antologia “Incontri notevoli di un libraio militante” (Valtrend, 2012). Nel 2013 partecipa all’antologia “Fuoco sulla città” (Ad Est dell’Equatore) con il racconto “Fuocoefiamme”. Nel 2014 è la volta di “Tra le macerie”, romanzo pubblicato per l’editore romano Gaffi. Il suo ultimo lavoro, I famelici (Bompiani) è uscito nel 2021.