Il libro, dedicato all’amico Paul Wittgenstein, inizia con una sua esplicita richiesta a Bernhard:
“Duecento amici verranno al mio funerale e tu dovrai tenere un discorso sulla mia tomba.”
In realtà, al funerale andarono soltanto nove persone, e lo stesso Bernhard non poté essere presente, perché si trovava a Creta. Resta quindi il libro come testimonianza della profonda amicizia tra i due.

Paul Wittgenstein è il nipote del più celebre Ludwig Wittgenstein, autore del Tractatus Logico-Philosophicus. Il racconto è bellissimo: due persone legate da un’amicizia profonda, nonostante sembrino non aver condiviso molti momenti, trovano nel reciproco legame il confronto con un mondo dominato dalla finzione. La loro realtà autentica è fatta di malattie, ossessioni e sofferenze condivise, uno “spazio” in cui si riconoscono e che sentono vivo.
Entrambi erano ricoverati in ospedali vicini: Paul nel Padiglione Ludwig — un manicomio — e Bernhard nel Padiglione Hermann, un tubercolosario. Due strutture situate a circa duecento metri di distanza su due colline di Vienna. Entrambi avevano abusato della propria vita in modi diversi, manifestando un’avversione profonda verso se stessi. Quando quest’avversione raggiunse il suo culmine, ci furono i rispettivi ricoveri, che li plasmarono e li ristabilirono.
Questa convivenza con la malattia, vissuta in contesti così opposti (la comunità di “pazzi” e quella dei “tubercolosi”), riflette la condizione umana come un costante rapporto con ciò che ci circonda. Paul e Bernhard erano uguali e diversi allo stesso tempo. Paul, ad esempio, si commuoveva davanti ai poveri: una volta scoppiò in lacrime vedendo un bambino povero al Traunsee, cogliendone l’innocenza e l’indigenza. Bernhard, però, vide invece la madre astuta che aveva messo lì il bambino per suscitare pietà.
Questa scena rappresenta una chiave di lettura del Tractatus Logico-Philosophicus: i fatti sono ciò che vediamo, ma ciò che vediamo dipende dalla nostra prospettiva. Paul vede solo il bambino, Bernhard anche la madre, e così la realtà, i fatti, possono ingannare. È un richiamo all’inganno dell’informazione e del potere che può condizionarci con ciò che ci fa vedere o non vedere.

L’inganno della percezione si manifesta anche in momenti pubblici, come quando un ministro tiene una laudatio per Bernhard leggendone quattro appunti scritti da funzionari ignoranti e raccontando delle falsità su di lui (ad esempio che avrebbe scritto romanzi d’avventura o sarebbe uno straniero in Austria). Bernhard rispose con poche, frasi memorabili: l’uomo è un essere abbietto e la morte è certa per ognuno. Il ministro, furioso, lo insultò e se ne andò sbattendo la porta, seguito da tutti gli altri, compresi gli artisti e i critici letterari. Solo Paul rimase accanto a Bernhard, orripilato ma anche divertito dall’accaduto.
Il libro vuole essere il miglior elogio funebre per Paul, un amico che aveva profondamente migliorato la vita di Bernhard, rendendola possibile nonostante tutto. Le pagine fissano l’immagine di Paul, mettendo in luce ciò che li accomunava e ciò che li divideva. Non si tratta di un’amicizia semplice e spontanea, ma di un legame elaborato con fatica, mantenuto con cautela per proteggere la fragilità di Paul.
La narrazione si chiude con una passeggiata di Bernhard per Vienna: lo Stadtpark, il Cafè Sacher — un luogo dove veniva rispettato e mai disturbato — e il Braunerhof, il tipico caffè viennese che, pur infastidendolo, frequentava per l’insopprimibile sindrome dei viennesi di “andare al caffè”.
Paul si lasciò dominare dalla propria follia; Bernhard ne fece invece uno strumento di vita, ma forse proprio questa differenza rende la sua follia ancora più estrema.
L’amicizia tra i due è curiosa e complessa: Bernhard temeva l’incontro con Paul se questi si fosse presentato “nel suo abbigliamento da pazzo”, consapevole che Paul era il suo specchio e forse temeva se stesso. Per Paul era più semplice fare visita a Bernhard che viceversa. Questa ambivalenza rimane una domanda aperta, per una delle storie d’amore più strane e vere che abbia mai letto.
Informazioni sull’opera:
Il nipote di Wittgenstein (titolo originale: Wittgensteins Neffe) è stato scritto da Thomas Bernhard nel 1982. La traduzione italiana, pubblicata da Adelphi nella collana Fabula (2013), è curata da Renata Colorni.
Maurizia Maiano*

*Maurizia Maiano: Sono nata nella seconda metà del secolo scorso e appartengo al Sud di questa bellissima Italia, ad una cittadina sul Golfo di Squillace, Catanzaro Lido. Ho frequentato una scuola cattolica e poi il Liceo Classico Galluppi che ha ospitato Luigi Settembrini, che aveva vinto la cattedra di eloquenza, fu poeta e scrittore, liberale e patriota. Ho studiato alla Sapienza di Roma Lingua e letteratura tedesca. Ho soggiornato per due anni in Austria dove abitavo tra Krems sul Danubio e Vienna, grazie a una borsa di studio del Ministero degli Esteri per lo svolgimento della mia tesi di laurea su Hermann Bahr e la fin de siècle a Vienna. Dopo la laurea ritorno in Calabria ed inizio ad insegnare nei licei linguistici, prima quello privato a Vibo Valentia e poi quelli statali. La Scuola è stato il mio luogo ideale, ho realizzato progetti Socrates, Comenius e partecipato ad Erasmus. Ho seguito nel 2023 il corso di Geopolitica della scuola di Limes diretta da Lucio Caracciolo. Leggo e, se mi sento ispirata e il libro mi parla, cerco di raccogliere i miei pensieri e raccontarli.

