Peter Handke: “Canto alla durata” (Einaudi, trad.Hans Kitzmueller) – Maurizia Maiano

Riflessione onirica sul tempo

“Chi non ha mai provato la Durata non ha vissuto./ La Durata non stravolge,/ mi rimette tutto a posto./ Senza esitazione rifuggo la luce abbagliante dell’accadere quotidiano/ e mi riparo nell’incerto rifugio della durata./
Durata si ha quando/ in un bambino/ che non è più un bambino/ – e che forse è già un vecchio -/ ritrovo gli occhi del bambino./ Durata non c’è nella pietra immortale/ preistorica,/ ma dentro il tempo,/ nel morbido./ Lacrime di durata, troppo rare!/ lacrime di gioia./ Incerte, non irrevocabili,/ non improbabili/ scosse della durata,/ custodite ora siete/ in un canto.”

Racconta Handke che gli venne in mente di scrivere della sensazione della Durata nel momento in cui decise di mettersi in ascolto, di raccogliersi in se stesso. Si sentì pervadere da un vento fresco e da un delicato accordo senza suono in cui tutte le dissonanze si confondono e si compongono insieme.

La Durata ha a che fare con gli anni e con i decenni della nostra vita, è la sensazione di vivere. Appartiene alla vita dell’anima osservare il vento che si muove sull’acqua. E’ il cinema più bello, non sottrae nulla, non si deve pagare.

Handke compie miracolosamente una congiunzione tra mondo romantico e contemporaneità. Il luogo della durata non ha coordinate spaziali o temporali: può essere un sentimento, a volte confuso con la nostalgia. Immagini che si sovrappongono senza cancellarsi, capaci di muovere il nostro animo all’improvviso, richiamate da una particolare sensazione di “riconnessione”.

Sembra una filosofia che vuole diventare poesia. E’ una riflessione rilassata -quasi onirica – e al tempo stesso precisa di uno stato d’animo difficilissimo da spiegare. Usare le parole in un doppio significato: uguale e contrario ricomponendolo nella lontanza: non c’è durata se non c’è leggerezza e fugacità.

Una poesia che spiega la filosofia delle piccole cose, dell’amore per le piccole cose che si ritrova nella natura, tra il rumore degli alberi, nel mercato con i suoi acuti e i suoi bassi, nell’abbaiare dei cani, quasi un Rondò, negli oggetti di casa: in un cucchiaio che lo ha accompagnato tutta la vita.

Aveva sempre pensato ad una casa spoglia, ama invece vedersi e sentirsi circondato dagli oggetti. Ama il suo “Umgebung” (l’ambiente che ci circonda) e gli piace questa parola perché gli trasmette la gioia dell’essere circondato e avvolto dalle cose. Le cose, il riverbero delle cose lo calmano. Si sente tutto il sentimento profondo della “Gemuetlichkeit” (intimità, uno spazio accogliente) austriaca, delle piccole case sul Danubio, piccole ed accoglienti nella pomposità assente dei mobili in stile Biedermeier (indica uno stile artistico, un periodo culturale caratterizzato da semplicità e sobrietà). Handke è un “Biedermeier” nel senso e nella forma più nobile della parola per quella contraddizione che rende ogni cosa uguale e contraria, lo è nell’amore per le piccole cose della quotidianità, per quell’attaccamento ai luoghi generato dall’esserne stato strappato in giovanissima età per sfuggire alla miseria e ad andare a vivere “separato” in un “Internat” (collegio). Il sentimento della lontananza dal luogo ha molto segnato la sua vita ma senza questo sentimento non si è uomini perché la “Heimweh” (nostalgia per la propria terra, per la casa lontana) non potrebbe esistere senza la “Fernweh” (nostalgia per i luoghi lontani, desiderio di partire) e questa senza quella.

“La Durata è una certezza, no! La più fugace di tutte le sensazioni, spesso più veloce di un attimo, non misurabile. Un solenne cosmico sentimento di gratitudine forse lo si può anche chiamare preghiera.”

Racconta Handke che nello scrivere il Canto alla Durata non aveva in mente una preghiera ma di descrivere momenti di gratitudine, immagini. In ogni momento della vita è racchiusa una immagine come un coleottero nell’ambra.
Non si sente cupo, la cupezza è una grave malattia, la tristezza è un sentimento diverso. Il male oscuro, la depressione, ecco com’è l’umanità di oggi, ma non si sente così.

Essere malinconico, racconta, sarebbe stato il suo ideale ma non c’è mai riuscito. “La tristezza è fertile, la cupezza è sterile. La gioia è feconda e creativa.”

Fotografie e immagini non sono la stessa cosa. La polaroid era un incantesimo e l’immagine veniva fuori dall’immagine, ci voleva del tempo, oggi è meno divertente.

La vita fugge e come si può parlare di durata in questa fugacità! Handke si lascia affascinare dall’immagine di una freccia scagliata verso l’eternità; nel silenzio di questi luoghi sa cosa fare; un rumore, che gli ha fatto ricordare suo nonno, è l’immagine che dall’io si diventa un noi… e parla di un amore al primo sguardo…e di una vita fatta di piccoli gesti quotidiani..
O Durata mia quiete e mia sosta..” e niente è più fugace della Durata..

Maurizia Maiano*

Peter Handke nasce a Griffen nella Carinzia, la regione più meridionale dell’Austria, nel 1942 da padre austriaco e da madre facente parte della minoranza slovena della regione. La madre morirà suicida nel 1971, evento che segnerà profondamente il giovane Handke. Il titolo della sua opera “Wunschloses Unglück, “Infelicità senza desideri”, scritta sull’onda del dolore per il gesto estremo della madre, sembra creare una congiunzione simbolico-semantica tra un destino individuale e quello storico di un paese la cui fine era segnata dall’emergere e dall’ affermarsi dei nazionalismi. La mancanza di desiderio è causa dell’insoddisfazione profonda, espressione di una malinconia dalla quale non si riesce ad uscire, perché deriva da regole interiorizzate che inibiscono il desiderio. Un nuovo mondo, in cui si è incapaci di vivere, quello che si prospetta alla madre di Handke e all’Austria-Ungheria, in cui non ci si riconosce più e in cui è troppo tardi per farne parte e cambiare. La prosa di Handke trova qui il via alla sua grande capacità di interiorizzazione e di analisi profonda del sé. Segna l’inizio di quel romanzo circolare che evoca anche nello spazio letterario quella ciclicità del tempo, della vita e della storia umana riempiendola di flashback e ripetizioni. La letteratura, lo scrivere diventano la sua grande passione. Abbandona gli studi di Giurisprudenza a Graz. Si cimenterà con la scrittura di pezzi teatrali, poi con racconti, romanzi, saggi, poesie e diari ai quali si può aggiungere anche qualche esperienza di sceneggiatore per il cinema.
La letteratura è per lui solo romantica. È polemico nei confronti della generazione di scrittori come Alfred Andersch, Heinrich Böll, Ilse Aichinger e Ingeborg Bachmann che facevano parte del “Gruppo 47” e volevano una letteratura impegnata e realistica. La sua è letteratura votata all’introspezione con una scrittura densa e minimale, altamente descrittiva e ricca di visioni quasi cinematografiche. Collabora con Wim Wenders e, dal suo romanzo “Prima del calcio di rigore”, Die Angst des Tormanns beim Elfmeter del 1970, sarà tratto l’omonimo film e poi lavorerà ancora con Wenders per il più famoso “Il cielo sopra Berlino”. Dall’amore per l’allora Slovenia yugoslava, radicato nel “ventre materno”, nasce l’interesse per la regione balcanica. Handke è un figlio di quell’Austria- Ungheria del “Nachsommer”. L’immagine di quel mondo del passato e l’ideale di una convivenza multietnica e multireligiosa avrà il suo ruolo importante nella sua difesa di Milosevic e della Yugoslavia. “Un viaggio d’inverno ai fiumi Danubio, Sava, Morava e Drina ovvero Giustizia per la Serbia” sono, forse chissà, l’antefatto a “La notte della Morava”?

*Maurizia Maiano: Sono nata nella seconda metà del secolo scorso e appartengo al Sud di questa bellissima Italia, ad una cittadina sul Golfo di Squillace, Catanzaro Lido. Ho frequentato una scuola cattolica e poi il Liceo Classico Galluppi che ha ospitato Luigi Settembrini, che aveva vinto la cattedra di eloquenza, fu poeta e scrittore, liberale e patriota. Ho studiato alla Sapienza di Roma Lingua e letteratura tedesca. Ho soggiornato per due anni in Austria dove abitavo tra Krems sul Danubio e Vienna, grazie a una borsa di studio del Ministero degli Esteri per lo svolgimento della mia tesi di laurea su Hermann Bahr e la fin de siècle a Vienna. Dopo la laurea ritorno in Calabria ed inizio ad insegnare nei licei linguistici, prima quello privato a Vibo Valentia e poi quelli statali. La Scuola è stato il mio luogo ideale, ho realizzato progetti Socrates, Comenius e partecipato ad Erasmus. Ho seguito nel 2023 il corso di Geopolitica della scuola di Limes diretta da Lucio Caracciolo. Leggo e, se mi sento ispirata e il libro mi parla, cerco di raccogliere i miei pensieri e raccontarli.

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