Deutschsprachige Literatur, Letteratura di lingua tedesca questo il termine che si usa per definire una letteratura che nasce nell’ampio spazio geografico centrale europeo e si intreccia a culture e tradizioni diverse che hanno creato nel tempo altri legami storici ed altre idee.
C’è una letteratura austriaca. Letteratura è lingua ed in Austria, com’è noto, si parla tedesco. Letteratura di lingua tedesca è in Germania, è stata nella DDR, è in Svizzera, era nell’impero Austro-ungarico di Francesco Giuseppe, comprendente i territori intorno a Praga e a Budapest fino al mar Nero, la Mitteleuropa: patria di Kafka ed ebreo di origine e in cui l’estraniamento diventa sintesi della condizione esistenziale dell’uomo nella famiglia, nel lavoro e nella società. C’è una letteratura di autori rumeni di lingua tedesca: Herta Müller e Paul Celan a conferma del fatto che lingua e storia, vita, cultura e tradizioni si intrecciano, altri passati, altri vissuti ed altro presente.

Avremmo avuto un Robert Musil, un Peter Handke ed uno Stefan Zweig senza la Storia ed il mito della Monarchia imperiale e regia attraversata dal Danubio che arriva fino al Mar Nero? Allora lasciamo che sia proprio quest’ultimo, Zweig, a raccontarcelo: “Se tento di trovare una formula comoda per definire quel tempo che precedette la prima guerra mondiale il tempo in cui sono cresciuto, credo di essere il più conscio possibile dicendo: fu l’età d’oro della sicurezza. Nella nostra Monarchia austriaca, quasi millenaria, tutto pareva duraturo e lo stato medesimo appariva il garante supremo di tale continuità” (“Die Welt von Gestern”- “Il mondo di ieri”).
Questa l’Austria di Zweig e che Handke erediterà come ricordo, immagine di un passato scomparso e che vivrà in lui nella stagione del “Nachsommer”, la stagione che segue all’estate, l’Autunno, in cui del naufragio dell’estate rimangono i colori vivi e ancora caldi delle foglie morte che inondano parchi e strade. Una letteratura, quella di Handke, che è antirealistica e apolitica. Lo scrittore incapace di agire nella realtà fa diventare le sue pagine luogo di azione e di ciò che non può realizzarsi altrove, il raccontare diventa il regno della nostalgia e della speranza. L’Austria è “la cosa grassa in cui sto soffocando”, scrive Handke e definisce la letteratura: “irreale, irrealistica. Anche la cosiddetta letteratura impegnata, benché si definisca realistica, è irrealistica e romantica”.
“Poetizzare significa trovare la verità più profonda che mai conoscerà un approdo definitivo. La Poesia nasce da un sentimento e fare poesia è la cosa più naturale nell’uomo, viene dalla rabbia, dall’amore o dallo sgomento”. Un modo autentico per rielaborare le emozioni. Il racconto ha qualcosa della dimora, per dirla in tedesco: della Heim (casa). L’esperienza si concretizza quando viene raccontata. Essa non è solo ciò che è stato vissuto ma anche un processo che ha luogo nella memoria, ricompone il vissuto e gli dà un senso. E’ un qualcosa che è andato perso, è uno smarrirsi ed un ritrovarsi. È qui che riscopriamo il passato e riallacciamo i legami con ciò che non abbiamo più (Paul Jedlowskij, “Il racconto come dimora”). È ciò che Handke riuscirà a fare ne “La notte della Morava”.

Molto intimista, dunque, la letteratura austriaca, anche quella dei due secoli passati, volta a descrivere ambienti contadini, il mondo dello Spießbürger, del piccolo borghese, abitante della Biedermeierzeit, età del Biedermeier, del probo fattore, bonario, conformista e filisteo. La vita si svolge tra “Kirche, Kinder und Kueche”, la donna divide ed organizza il suo tempo tra “chiesa, bambini e cucina”. Una sorta di società del “riflusso”, di un ripiegarsi nel passato caratterizzato dalla disillusione e dal disimpegno politico. Siamo già tra il 1815 e il 1848 e mentre in Germania ed in altri paesi europei iniziano le lotte per le libertà borghesi e per l’unità nazionale, in Austria queste si escludono, non è possibile conciliarle. Per l’abitante della “Cacania” lottare per le libertà borghesi e per la nazione significherebbe negare la propria di patria, quell’appartenenza ad un Impero che non nega le singole identità ma le esalta; tra i popoli c’è una sorta di osmosi, per cui il venir meno di uno determinerebbe un’amputazione nell’altro.
Altra è la letteratura tedesca, tutta rivolta al sociale ed al politico. Fichte sviluppa un’etica e una politica che enfatizzano il dovere dell’individuo di agire in accordo con il principio ideale e di contribuire alla costruzione di un mondo più giusto e razionale. L’Io determina dunque il Non Io, la Natura, tutto ciò che sta al di fuori di sé. L’Io dell’idealismo classico è l’Io fichtiano, che guarda al “Non Io”, alla Natura, al mondo esterno per plasmarlo, vuole essere il “Genio creatore” che produrrà l’ottimismo dello storicismo ottocentesco sullo sfondo dall’idea della “pace perpetua kantiana” la cui più alta espressione artistica sarà l’ “Inno alla gioia” di Beethoven. Esaltazione di un mondo sognato eppur pensato possibile, perché dove soffierà lo “spirito della gioia tutti gli uomini diventeranno fratelli”. Per dirla con G. Lukacs la forma letteraria del “romanzo di formazione” diventa forma espressiva dell’epica moderna, dell’epopea borghese, in cui l’Io narrante racconta in prima persona il suo percorso di crescita: dalla rivolta alla famiglia, alla passione per il teatro e per l’arte, alle delusioni d’amore, fino all’accoglienza nella “Freimaurerei”, la Massoneria, dove imparerà tre virtù: Entsagung, Selbstbezwingung e Selbsbeschraenkung, rinuncia, autocontrollo, consapevolezza dei propri limiti. E’ la storia del Wilhelm Meister di Goethe che, alla fine del suo percorso, deciderà di diventare medico e lavorare per aiutare gli altri, per la giustizia sociale, per il bene comune e tutto accadrà nella “Neues Land”, quella terra oltre oceano già meta degli europei dal ‘600 in poi. Solo nell’impegno per la costruzione di un mondo migliore e nella dedizione all’altro è il senso della vita ed il superamento delle insoddisfazioni del giovane Wilhelm Meister di Goethe.
Questi i contenuti che pervadono la letteratura tedesca in tutte le epoche, anche se vogliamo fare un salto nel lontano medioevo del Parzival di Wolfram von Aschenbach. Ed anche il Romanticismo quando sogna è perché la fuga dalla realtà rappresenta il sogno che non ha potuto realizzare e il romanzo di formazione diventa un cammino interiore per comprendere se stessi, è l’ “Heinrich von Ofterdingen” di Novalis. Lo stesso Romanticismo non è altro che una rivolta contro l’industrializzazione che avanza e che minaccia di distruggere la natura: “Deutschland ein Wintermaerchen”, la Germania una fiaba d’inverno, scriverà Heinrich Heine, il più lirico e romantico tra i poeti tedeschi, sembrerebbe così, ma è anche colui che si scaglia contro l’essere troppo realisti ed incapaci di fare la rivoluzione come stavano facendo i francesi e vedeva in Napoleone l’immagine dello Spirito hegeliano fattosi carne! “Deutschland ein Wintermärchen” diventa il luogo in cui natura e sentimento di una patria ritrovata si congiungeranno.
Il presente, il XX sec. non smentirà questa tradizione. Gli eventi, le ideologie che lo travolgeranno non avrebbero non potuto non coinvolgere l’Arte cercando di smuoverne le fondamenta. Lo farà B. Brecht costringendo il teatro classico aristotelico, e fondato sulla catarsi, ad abdicare in favore del teatro epico. Il teatro epico si serve della terza persona per raccontare la storia sulla scena e di altri strumenti estranianti: cartelloni, interruzioni musicali, video e tutto questo per evitare l’immedesimazione dello spettatore che secondo le antiche regole avrebbe prodotto la catarsi. La catarsi non ci aiuterebbe a riflettere e a capire come funzionano i rapporti sociali per poterli cambiare e l’Arte se deve avere un senso deve svolgere una funzione didattico-pedagogica.
Sulla stessa onda scriverà e parlerà la letteratura della Repubblica Democratica Tedesca per cui l’Arte sarà lo strumento per la creazione di una società socialista giusta. “Der geteilte Himmel”, Il cielo diviso di Christa Wolf o la sua “Medea” ne sono l’esempio più lampante. Infine, il dramma del Nazionalsocialismo non poteva passare inosservato, richiama alla memoria quel tristissimo “Jeder stirbt für sich allein”, “Ognuno muore solo” e mette in evidenza una resistenza al Nazismo per chi vuole farci apparire la Germania di un solo colore. Infine, “Der Vorleser” “A voce alta” di Schlink, commovente e tragica analisi della rivisitazione di un passato che non si può dimenticare e che si inserisce in quella trama del dovere, che in tedesco ha due verbi per esprimersi: müssen e sollen e a cui sia Heinrich von Kleist, autore del ‘700, nel “Principe di Homburg” e sia Hannah Arendt nella “banalità del male” si richiameranno.
Infine la letteratura svizzera di lingua tedesca in cui gli autori sfoderano una grandissima capacità di autoanalisi nel confrontarsi con quelle che sono problematiche legate alla società del benessere e alle contraddizioni del capitalismo.
Maurizia Maiano

Maurizia Maiano: Sono nata nella seconda metà del secolo scorso e appartengo al Sud di questa bellissima Italia, ad una cittadina sul Golfo di Squillace, Catanzaro Lido. Ho frequentato una scuola cattolica e poi il Liceo Classico Galluppi che ha ospitato Luigi Settembrini, che aveva vinto la cattedra di eloquenza, fu poeta e scrittore, liberale e patriota. Ho studiato alla Sapienza di Roma Lingua e letteratura tedesca. Ho soggiornato per due anni in Austria dove abitavo tra Krems sul Danubio e Vienna, grazie a una borsa di studio del Ministero degli Esteri per lo svolgimento della mia tesi di laurea su Hermann Bahr e la fin de siècle a Vienna. Dopo la laurea ritorno in Calabria ed inizio ad insegnare nei licei linguistici, prima quello privato a Vibo Valentia e poi quelli statali. La Scuola è stato il mio luogo ideale, ho realizzato progetti Socrates, Comenius e partecipato ad Erasmus. Ho seguito nel 2023 il corso di Geopolitica della scuola di Limes diretta da Lucio Caracciolo. Leggo e, se mi sento ispirata e il libro mi parla, cerco di raccogliere i miei pensieri e raccontarli.

