Emanuele Canzaniello sul suo ‘’Breviario delle Indie’’ (Wojtek, 2024)

Se c’è un libro che più di tutti tra quelli proposti per l’ultimo Strega ha incuriosito il Randagio, questo è “Breviario delle Indie” di Emanuele Canzaniello edito da Wojtek. Innanzitutto perché a proporlo è stato Giuseppe Montesano, uno dei nostri scrittori e saggisti preferiti, un marchio di qualità sul valore letterario dell’opera. Poi perché già dal titolo evoca tutto ciò che affascina il lettore vagabondo: antichi diari di bordo, terre lontane da scoprire, oceani da attraversare, naufragi, principesse inca da conquistare, profumi di spezie. Ma il libro colpisce per il modo originale di comporre, come per magia, narrativa e saggistica, Poesia e Storia, visioni liriche e riflessioni filosofiche e sul colonialismo. Abbiamo quindi incontrato l’Autore in una libreria napoletana del Vomero e gli abbiamo chiesto di raccontare ai lettori del Randagio il suo “Breviario delle Indie”. Ecco cosa ci ha risposto.

Considero il Breviario delle Indie (Wojtek 2024) un libro non-fiction, che non è un romanzo come lo abbiamo conosciuto, ha qualcosa del saggio e non poco del libro di poesia. Ề un libro di prose brevi che vuole essere un Aleph borgesiano che aspira a contenere ogni punto e ogni immagine del secolo del primo contatto tra Europa e Americhe. Un secolo, il Cinquecento, lo spazio vastissimo di un continente, l’America centro-meridionale. Tutto è reale, ogni dettaglio e più del dettaglio, ogni mappa e atlante, e più di ogni mappa eppure molto prende le forme di un sogno, di qualcosa che non riconosci sia il reale. Ề un libro che attraverso la storia prova a interrogarsi su quanto peso quantistico possa avere un singolo punto di quello che chiamiamo reale, e come lo spazio e il tempo ne siano deformati, e non solo lo spazio e il tempo, ma tutti i corpi, tutti i saperi, sotto il peso di quella somma delle possibilità che è il reale, e quindi la storia. Raccontando, e riscrivendo, uno degli eventi più importanti mai avvenuti sulla Terra, come l’impatto tra due sue biosfere continentali isolate da milioni di anni e poi venute a collidere e a incrociare i propri spazi e i propri ordini del tempo, prim’ancora che le loro diverse civiltà.

 Ề un libro che vuole portarti lì, su quelle navi, in quell’orizzonte degli eventi, stando con loro, con quegli uomini, senza ricostruire la storia con la guida sicura delle nostre esclusive categorie del presente o almeno non soltanto. Il libro si chiama Breviario perché da un lato allude alle Brevi cronache del Cinquecento, che nella loro necessaria vorace brevità dovevano dar conto di una dismisura che già appariva chiarissima rispetto a tutto quanto era avvenuto prima ed era noto nella storia; dall’altra il Breviario indica l’oggetto liturgico, che qui diventa preghiera e maledizione per uno sprofondare nel male della storia e del reale. 

Quanto male può contenere ogni punto di quello che chiamiamo reale? 

Il libro è ossessionato dal problema del male e delle prime volte della storia. Il male è un continuo o e quantizzato, è divisibile all’infinito o non è divisibile all’infinito? proprio come oggi ci si interroga in questi termini sulle categorie fondamentali della fisica e della cosmologia. Il libro interroga la storia come una cosmologia. Il Breviario delle Indie in fondo vuole portarci a rivivere e ad essere invasi dalle immagini del genocidio più profondo e più esteso della storia.

Penso sia contemporaneamente fatto di molti elementi che lo rendono quasi irricevibile per il mercato editoriale. La brevità delle prose, il suo non essere un romanzo, essere una narrazione ma tutta anti-narrativa, il suo ritmo interno da versetto biblico o da frammento filosofico (penso alla definizione di un genere sfuggente come la speculative fiction) ma allo stesso tempo è un libro fatto di tutti gli elementi, direi quasi dei tag, che costituiscono le parole d’ordine, le ossessioni profonde, le ansie, gli scenari del dibattito, più vivi e più urgenti non solo di oggi ma degli ultimi trent’anni. Il mondo contemporaneo è nato dal dibattito post-coloniale, nei paesi che hanno avuto un passato coloniale “atlantico”, i temi che emergono da quegli eventi ridefiniscono le parole con cui pensiamo il mondo di oggi e i suoi rapporti di forza. L’inizio e il debutto della mondializzazione, il suo coincidere con la centralità di una visione eurocentrica, un’anatomia di cos’è stato l’Occidente alla luce del suo dominio sul pianeta, la necessità di ripensare l’influenza bianca su tutta l’umanità, l’idea di etnicità e di minoranze che ne è derivata, la necessità di ripensare che cos’è stato il genocidio più esteso e profondo della storia, che cos’è la violenza sessuale e di genere in questi scenari, che cos’è uno stupro, nella macro-metafora di un incontro che è stato un territorio di violenza sessuale aperto e dispiegato su un intero continente e tra due mondi. 

Ma tutto questo diventa materia di un libro di esclusive ragioni letterarie, in cui la lingua è l’avventura fondamentale di un libro. Io credo che il fatto stesso di combinare questi temi e questa idea di letterarietà generi una possibilità di attraversamento del perturbante, generi una forma di conoscenza (non solo di quei temi) che solo la letteratura può offrire e che significa anche un attraversamento del negativo, dell’oscenità della storia, della nostra natura, del tutto peculiari agli strumenti che offre solo la letteratura. In che modo e in che senso spero siano i lettori a scoprirlo. 

Quest’idea della letteratura credo sia oggi non in pericolo ma che abbia bisogno di difendere i principi su cui si fonda, oggi percepiti confusamente, come qualcosa che stia scomparendo. In Italia la situazione è aggravata da una tradizione che ha raramente riconosciuto nella letteratura lo spazio di esplorazione del negativo, che non esprime e non ha espresso una letteratura come trasgressione e sfida al limite. In Italia piacciono le storie da cortile, non sia mai che si vada troppo lontano. Dolori domestici, dolori e scenari familiari. La verità è che a me non interessa nulla non solo di questo ma anche dei libri che vogliano portarti a un qualche esito “positivo”. Riscopri questo, scopri quello, in genere esattamente quello che prevedi a partire dalle premesse di sistemi di riferimento già noti.

Cosa può fare, all’interno del non-fiction, del rispetto dei dati reali, non alterati, riscrivere queste storie che già ci offre la scienza storica? Quale contributo arriva dalla letteratura? Innanzitutto direi che dobbiamo allenarci a mantenere l’idea che un oggetto narrativo interamente fatto di materiali “reali”, “verificati”, sia comunque un oggetto di finzione, che produce una simulazione di realtà nel nostro cervello. Ed è questo uno degli specifici della finzione nell’esperienza umana. Riscrivere quelle storie significa anche offrire al lettore la possibilità di rivivere quelle storie, non già di conoscerle storicamente e scientificamente, ma riviverle grazie a quella simulazione del reale che offre la narrativa, l’esperienza psichica delle emozioni di quelle storie vissute nel nostro presente e nella nostra psiche di lettori. 

E se è vero questo uno degli elementi più problematici che pone il Breviario è legato a un portato delle finzioni che è stato descritto nella storia in vari modi. Uno degli ultimi modi si trova nell’articolo che David Foster Wallace dedicò al cinema di Lynch. In quell’articolo Foster Wallace usa una parola emblematica che in italiano è stata resa con il termine un po’ goffo ma efficace di “entrambicità”. E cosa sarebbe? La possibilità data dal dominio estetico di stare, di fare esperienza psichica di entrambi i lati della nostra natura, della natura del reale. L’orrore del reale e la fascinazione per quell’orrore, l’orrore del genocidio e la complicità con esso, la distanza dall’insondabile cuore di tenebra e l’affinità e la vicinanza ad esso. L’innocenza di Laura Palmer e la sua complicità con tutta la sua oscurità e quella del reale e di ben oltre il reale. Applicare un approccio del genere a una materia incandescente come quella del secolo delle grandi esplorazioni e dell’inizio della colonizzazione mondiale europea è, credo, come lo è stato per me, qualcosa che ci mette davanti alla più radicale delle responsabilità che ci possa imporre e offrire la finzione.

Per il Breviario delle Indie ho immaginato che non ci fosse niente di più interessante che seguire non personaggi di carta, cioè imitazioni di psicologie individuali, ma i saperi di intere epoche dell’umanità, e i conflitti, le illusioni e le esplorazioni che hanno attivato e inverato. 

Il Breviario è anche questo, il tentativo di guardare in faccia alcune delle principali genealogie di saperi che indichiamo quando parliamo di Occidente e della nostra storia europea e mondiale. Perché di fatto la storia mondiale inizia da questa storia della prima espansione europea nella scoperta della vastità del nostro pianeta. 

E che ha e avrà ripercussioni e somiglianze non solo con l’esplorazione del pianeta; mi colpì molto inizialmente leggere già nelle introduzioni dei libri scientifici più noti che ci offrono i dati di quella storia, che il primo contatto tra l’Europa e le Americhe è stato quanto di più simile al momento in cui avremo il primo contatto con altre forme di vita nell’universo che sia mai avvenuto sulla Terra. Ho immaginato che questa potenza potesse dare vita a un libro che stesse dentro il corpo a corpo con quell’enormità del reale, e insieme che desse conto della sua incommensurabilità e bellezza.

Emanuele Canzaniello

Strega 2024 – Intervista a Eduardo Savarese, di Daniela Marra

Le Madri della Sapienza di Eduardo Savarese, Wojtek edizioni, proposto allo Strega 2024 da Riccardo Cavallero, è stato spesso definito un romanzo distopico. Eppure appare evidente già dalle prime pagine che qualsiasi vestito risulta imperfetto. Troppo corto, troppo stretto, troppo alla moda o troppo largo, questo accade perché il romanzo di Savarese che ha la forma di vero romanzo tradizionale otto-novecentesco, in particolare ricorda per alcuni versi la produzione russa, è un’opera trasformista, che attinge a una moltitudine di registri diversi ma sapientemente armonizzati.
Visionario, surreale, imprevedibile, racconta una storia-mondo, attraverso un ricchissimo sottobosco di personaggi e trame. Un inno sacro e provocatorio alla potenza dell’amore non come sentimento ma come forza trasformativa, come silenzioso sacrifico, nel senso più classico della parola: Sacer Facio, fare sacro, rendere sacro.

Abstract romanzo:
Il primo ministro Anselmo Riccardi ha l’ossessione di rifondare la famiglia tradizionale. Dietro di lui, dentro di lui, agisce Ulrica Neumond, maga e fondatrice della Casa Europea dei Nuovi Ariani.
Il loro famelico disegno di conquista si abbatte sul monastero delle Madri della Sapienza, ordine laico fondato da tre maturi omosessuali: Luciano (Cinzia), Giorgio (Olimpia) e Fernando (Gridonia).
Le Madri non sono sole: al loro fianco si schierano Licia, undicenne e mistica figlia del premier, e Barbara, moglie combattiva che, da alleata, si trasforma in antagonista di Anselmo.
Aleggia su di loro Fosco Nunziante, intellettuale morto da tempo, come l’ombra del demonio sul destino dei vivi.
Dramma wagneriano, racconto esoterico e commedia fantastica, Le Madri della Sapienza oppone, alla paura indotta da un potere politico magico-autoritario, un neo-monachesimo libertario e umanista, antidoto allo sradicamento della vita interiore.

Nell’introduzione all’ intervista ho parlato di vestito, ma l’obiettivo di rintracciare una categoria di appartenenza per il tuo romanzo, malgrado lo sforzo, è stato vano. Non sono riuscita a trovare un abito appropriato. E allora ho deciso di procedere per sottrazione. È solo spogliandolo che il lettore può osservarlo, trovandosi davanti a una complessa stratificazione. La forma romanzo si colorisce di tante sfumature, si forma, trasformandosi continuamente. Perciò sarebbe interessante raccontarci quando è stato concepito Le Madri della Sapienza e qual è stata la sua gestazione.

Questa tua considerazione, così appropriata, circa la natura sfuggente delle Madri a una
categorizzazione mi fa molto piacere. I mezzi di costruzione del racconto, in questo romanzo, sono, all’apparenza, molto classici. E d’altra parte, nella mia formazione e nella mia ‘pratica’ artistica, ricerco, nell’articolare il pensiero, nello scegliere le parole, nel comporre le figure e le scene, quel che generalmente diciamo il ‘classico’. In altri termini, tutto qui sembra molto convenzionale (nel senso letterale di aderenza a certe convenzioni consolidate del romanzo), però poi il punto di arrivo spiazza (o i vari punti di arrivo, parziali e finali). Posso dire questo: la gestazione nasce da un input molto chiaro dato a me stesso. Sentiti libero di osare, di complicare, di immaginare rispettando profondamente la dignità del tuo immaginario. Sentiti libero di divertirti. Non preoccuparti di esaudire un’aspettativa esterna al tuo processo creativo.

Ci sono alcune categorie che attraversano tutto il romanzo. Una di queste è il potere. Il potere che distrugge e crea assuefazione, illusione, menzogne. Il potere per il potere ricorda per alcuni versi il Macbeth. Quanto la coppia Anselmo-Barbara è ispirata alla tragedia shakespeariana?

Moltissimo, ed in modo evidente, anche mediante riferimenti espressi, variazioni su citazioni quasi letterali (anche dalla versione operistica di Macbeth, quella di Verdi). Il potere è uno dei pilastri del romanzo: ed il potere in coppia mi ha sempre solleticato la fantasia e la meditazione. Per cui Anselmo e Barbara non potevano non avere quel referente.

Chiaramente l’autore di questo romanzo è un nuovo Eduardo, o meglio un Eduardo più completo, forse anche più vero, che mette in luce per la prima volta nella scrittura ogni sua sfaccettatura. Memoria emotiva, memoria intellettiva e realtà quotidiana si fondono e si confondono, ma sono sempre raccontate attraverso la lente dell’ironia, un’ironia garbata che rende ogni provocazione delicata. Che cosa consente questa chiave di scrittura ironica e oserei anche autoironica?

Che bella domanda… l’ironia (e soprattutto l’autoironia, anche del narratore circa i processi narrativi attuati: vedi la citazione schizofrenica che oscilla da Borges ad Angela da Foligno) nasce dallo sguardo compassionevole sul mondo. Lo sguardo che, da tempo, mi interessa di più è quello. Lo sguardo che può lenire la crescente violenza del mondo.

Realtà inquiete, sante, maghe e visioni profetiche, la sensazione spesso è di trovarsi catapultati in un’opera lirica, dove l’irrazionale e il fantastico sono dimensioni che conferiscono potenza alla realtà, ancora più del realismo puro. Quanto ha influito l’amore per l’Opera nella tua scrittura?

Enormemente. Ma me ne sono accorto in una fase avanzata della prima stesura (le stesure sono state tre, in tre anni). E me ne sono accorto precisamente nel punto in cui decidevo di superare
l’autocensura sull’irruzione della presenza fantastica nel monastero delle Madri. Il teatro lirico ha rilasciato il salvacondotto all’espressione del mio immaginario, in termini di possibilità del racconto… poi ci sono le incursioni più decifrabili (il nome verdiano della maga Ulrica, o la presenza, in un sogno, delle fanciulle fiore wagneriane…).

Le Madri della sapienza insegnano senza essere didascaliche. Con la riscoperta del monachesimo ci ricordano l’importanza della dimensione comunitaria, che oggi è sempre più infranta e dimenticata. Quanto è importante recuperare questa dimensione?

Mi pare sia vitale. Disintegrati a questo modo possiamo solo continuare a disintegrarci fino
all’estinzione nell’ignominia. La dimensione comunitaria, fondata su valori altamente spirituali, e su forme di disciplina condivise, oggi avrebbe molto da darci: certo, va reinventata, ma è una bellissima sfida del pensiero e dell’azione.

Parliamo di Amore, sembrerebbe una grande categoria universale e sentimentale, eppure nelle
Madri della Sapienza l’amore è sapienza. Un ritorno all’ordine nel disordine quotidiano dove
sembra sparita ogni bussola. Amare nella verità è un ritorno all’essenziale. Quanto e come risulta salvifico l’amore nel tuo romanzo?

L’amore è sempre stato al centro di tutto quello che ho scritto finora, anche nel saggio-racconto sul fine vita, Il tempo di morire. L’amore che dà salvezza, nelle Madri, deriva dalla combinazione tra verità e misericordia: è l’amore di Cristo. Io ho fame e sete di occasioni per parlarne con libertà, consapevolezza, passione e ironia. In questo romanzo ho provato a ritagliarmi una piccola, grande occasione.

Dimensione onirica, ironia, favola nera e surrealismo, solo alcuni ingredienti dell’alchimia delle
Madri della Sapienza. Sul grande schermo immaginerei una regia di Terry Gilliam e tu?

Terrence Malick. Magari… E, forse ancor più: Alice Rorhwacher.

Con quale personaggio del tuo romanzo andresti all’Opera e a cena e quale Opera andresti a
vedere?

Nessun dubbio: andrei con Ulrica Neumond e andremmo a vedere I maestri cantori di Norimberga di Wagner. Forse Ulrica però non cenerebbe, berrebbe soltanto, quello sì, ma in niente di meno che nel calice del Graal…

Daniela Marra

Eduardo Savarese (1979) vive e lavora a Napoli. Ha pubblicato i romanzi “Non passare per il sangue” (2012) e “Le inutili vergogne” (2014) per e/o, “Le cose di prima” (2018, minimum fax) e il racconto “La camera di Ondino” (Tetra, 2022). È autore anche di ibridazioni tra saggio e narrativa, su temi etico-giuridici (“Lettera di un omosessuale alla Chiesa di Roma”, e/o, 2015; “Il tempo di morire”, Wojtek, 2019), o intorno alla propria melomania (“È tardi!”, Wojtek, 2021). Scrive per «Il Riformista» e «L’Indice dei Libri del Mese».