Esodo di Domenico Quirico (Neri Pozza, 2016), di Gigi Agnano

C’è un romanzo del 1926 dal titolo La nave morta di tale Bruno Traven (o B. Traven… chiamatelo come volete tanto è uno pseudonimo e di lui non si sa granché), che mi è tornato in mente da una frase di Esodo di Domenico Quirico. La nave morta racconta, tra il dramma e l’ironia, di un marinaio che, essendosi attardato in un bordello del porto, viene lasciato a terra dalla nave dove stava lavorando e perde così tutti i suoi documenti rimasti inesorabilmente a bordo. Il marinaio diventa quindi un apolide e si trova a dover affrontare tutta una serie di situazioni kafkiane, di espulsioni assurde da un Paese europeo all’altro, per il solo fatto di essere privo di un qualsiasi certificato che attesti… la sua esistenza.

La frase di Domenico Quirico che mi ha fatto venire in mente il libro di B. Traven è la seguente:

Chi arriva qui (a Mersin in Turchia dalla Siria o dall’Iraq) e non ha denaro è perduto, costretto a dissanguarsi nel groviglio dei visti di entrata per i Paesi europei, due, tre anni per diventare rifugiato. E della burocrazia, della solitudine, della terra straniera, della orribile indifferenza generale e del sospetto di fronte alla sorte dei singoli. Sono tempi in cui l’uomo non è nulla, un visto da rifugiato è tutto

Il giornalista astigiano de La Stampa Domenico Quirico, classe 1951, nella sua lunga carriera ha seguito da vicino guerre, rivolte, migrazioni, che hanno riguardato il continente Africano (Mali, Somalia, Congo, Ruanda, Libia) e il Medio Oriente (tra cui primavere arabe e Siria). Nell’aprile del 2013, nel pieno del conflitto Siriano, è stato sequestrato da formazioni islamiste e rilasciato dopo cinque mesi.

Esodo è un suo lavoro del 2016 che innanzitutto impressiona per la quantità dei luoghi che attraversa per seguire gli spostamenti dei migranti: dall’Africa Occidentale alla Tunisia attraverso il Mali; o il Niger e la Libia; dal Marocco a Melilla, dal confine tra Iraq e Siria alla Turchia, dal muro di Orban in Ungheria alla Serbia sulla via balcanica, da Calais per arrivare in Inghilterra. E ovviamente il Mediterraneo, Lampedusa, il Centro di Accoglienza di Mineo, Catania o Tor Sapienza a Roma tra le baracche dei campi nomadi, ecc…

L’altro aspetto che rende Esodo una testimonianza preziosa “per far conoscere degli uomini ad altri uomini” è il metodo di lavoro di Quirico che non si limita a raccontare da una redazione o dalla scrivania di casa, ma vive in prima persona l’esperienza della migrazione, della traversata nel deserto o nel Mediterraneo, “per l’arrogante volontà di capire perché un popolo di ragazzi rischia la vita per afferrare l’Europa”.

“La Grande Migrazione comporta un mutamento obbligatorio di vita per il cronista, ma anche per il narratore, il sociologo o l’analista, che devono avventurarsi non più solo con la testa, ma con il corpo”

Nelle prime pagine Quirico guarda a volo d’uccello quella parte di mondo, in Africa o Medio Oriente, svuotata a causa della migrazione, dove restano solo il deserto, le rovine e i vecchi. Poi lo troviamo a Zarzis in Tunisia in attesa d’imbarcarsi, perché, prima ancora del viaggio, bisogna raccontare l’attesa che è poi il racconto dell’essenza stessa del “clandestino”:

“Attende di avere la cifra per potersi pagare il viaggio, attende il mediatore che ha il compito di organizzarlo, il passeur con il prezzo giusto. Attende anche la nave che, forse, non affonderà, il mare buono, il momento in cui il carico umano è completo e il viaggio rende, il capitano che ha fama di conoscere l’abbecedario dei venti e delle maree, il momento in cui la polizia è ancor più distratta del solito. Aspetta.”

Prima d’imbarcarsi, quell’attesa Domenico la vive per alcuni giorni in una casa con altre cinquanta persone in due stanze di pochi metri quadri. Poi finalmente siamo anche noi lettori insieme al reporter sul barcone che singhiozzando si stacca dal porto. Ha con sé un carico di centododici esseri umani, uomini, donne e bambini stretti sul ponte. Durante la traversata il motore si rompe più volte e, giacché col motore si ferma anche la pompa nella stiva, la barca prende acqua e affonda irrimediabilmente al largo di Lampedusa. Finiamo in acqua quando già si vedono le luci dalla costa… Quirico e gli altri hanno la fortuna di essere tratti in salvo dalla Guardia Costiera…

“In mare aperto, senza radio, senza telefoni satellitari, impossibile chiamare soccorso e sperare. E’ così per ogni viaggio, i clandestini di Lampedusa sono dei condannati a morte cui talvolta la pena è abbuonata.”

In un capitolo successivo siamo a Kayes, in Mali, dove si riuniscono i migranti dal Senegal, dal Gambia, dalla Costa d’Avorio, dalla Guinea e dal Mali stesso, per imboccare – in novanta su un camion senza un telo che ripari dal sole – i quattromila chilometri di piste del deserto che vanno dal Niger in Libia, a Tripoli, sul mare, dove però gli africani sono considerati bestie, la polizia picchia, uccide e ruba tutto quello che trova. Quirico cammina coi migranti nel deserto per ascoltare e riferirne le storie.

Passiamo poi in Siria, o quello che ne resta, e veniamo accompagnati in una scuola dove è ammassata una quantità indefinita di cadaveri; e Quirico si chiede “Perché mai non dovrebbero fuggire i migranti, se alle loro spalle ci sono sonni e giorni pieni di questo orrore?”

Esodo è un libro ruvido e potente che si compone di ulteriori capitoli tutti altrettanto drammatici; è una sorta di film corale in cui il popolo dei migranti ci racconta la miseria, il sudore, le sofferenze, gli stupri, i crudeli rimpatri, i patetici muri e i fili spinati. Ma è anche il racconto di un’avanzata irrefrenabile nel mondo di domani di sogni legittimi. Sogni che farebbero bene anche a noi, “abitanti di un mondo in declino“, che “trepidiamo soltanto per la nostra ricchezza“.

Gigi Agnano


Stranieri alle porte di Zygmunt Bauman (trad. Marco Cupellaro, Laterza ed., 2016), di Gigi Agnano

In un’intervista del 2004, Zygmunt Bauman, sociologo e filosofo nato in Polonia nel 1925 e scomparso nel 2017 in Inghilterra, così riassumeva la ben nota metafora della “liquidità”:

“Oggi tutto è temporaneo. Come i liquidi, la società moderna è caratterizzata dall’incapacità di mantenere la forma. Le nostre istituzioni, strutture, stili di vita, credenze e convinzioni cambiano prima di avere il tempo di solidificarsi in costumi, abitudini e verità”.

Se in un recente passato “solido” i rischi erano noti – si pensi alla Guerra Fredda -, nella modernità “liquida” anche le paure sono “liquide”, ovvero le minacce (inquinamento, cambiamento climatico, globalizzazione, precarietà del lavoro, terrorismo) si percepiscono in maniera più vaga.

In Stranieri alle porte, un saggio breve di poco più di un centinaio di pagine pubblicato nel 2016, ovvero poco prima della sua morte, Bauman sente la necessità di esplorare e di smantellare le paure che derivano dalle migrazioni, ma che sono generate in primis e ad arte dalla politica. Il tema era particolarmente sentito in quanto nel 2015 l’Europa, sulla scia delle Primavere Arabe e di un mix esplosivo di conflitti e di crisi economica, stava attraversando quella che veniva considerata la più importante crisi migratoria dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, con l’ingresso di circa un milione di immigrati irregolari.

“Telegiornali, quotidiani, discorsi politici, tweet – avvezzi a offrire temi e sbocchi alle ansie e alle paure pubbliche – non parlano d’altro oggi che della “crisi migratoria” che travolgerebbe l’Europa, preannunciando il collasso e la fine dello stile di vita che conosciamo, conduciamo e amiamo”

Questa paura, che Bauman chiama “panico da migrazione”, genera indifferenza e cecità morale e l’opinione pubblica, pensando anche di fare il proprio interesse, smette progressivamente di provare compassione per la tragedia dei profughi. E l’Europa, a sfregio delle proprie tradizioni illuministiche e di cosmopolitismo kantiano, assume atteggiamenti apertamente o ipocritamente ostili, confortati dai successi elettorali di partiti e movimenti razzisti che agitano fanaticamente la bandiera dell’interesse nazionale (“la Francia ai francesi”, “prima gli italiani”, ecc..).

Ma innanzitutto Bauman osserva che le migrazioni e i rifugiati non sono una novità nella storia dell’Europa:

“E’ dall’inizio della modernità che profughi in fuga dalla bestialità delle guerre e dei dispotismi o dalla ferocia di una vita la cui unica prospettiva è la fame bussano alla porta di altri popoli: e per chi vive dietro quella porta i profughi sono sempre stati (come lo sono oggi) stranieri.”

E gli stranieri, proprio perché “strani”, sono ospiti indesiderati, sconosciuti in quanto estranei. E spaventosi perché diversi e imprevedibili: potrebbero essere proprio loro, gli sfollati provenienti da altri angoli del mondo a sconvolgere le nostre abitudini di vita. Questa xenofobia, alimentata dall’isteria dei media, viene sfruttata spudoratamente dai politici in particolar modo tra individui vulnerabili e tra quelle masse crescenti della popolazione che si sentono progressivamente escluse dal benessere sociale.

Le sole politiche proposte e considerate accettabili sono quelle che tendono a segregare e tenere a distanza gli stranieri. I governi dei vari Stati europei, e più in generale occidentali, anziché trovare ricette per alleggerire le preoccupazioni economiche dei “propri” cittadini, invece di creare ponti e favorire il dialogo, promuovono l’immagine di uno Stato che protegge dall’invasione straniera. Identificano cioè la migrazione con un problema di sicurezza, la qual cosa peraltro finisce per favorire la propaganda dei gruppi terroristici su persone emarginate, alienate, che cercano una qualche forma di vendetta. Bauman evidenzia infatti come l’esclusione sociale sia la causa principale della radicalizzazione dei giovani musulmani nell’unione europea, a fronte della quale occorrerebbe il massimo impegno in termini di investimenti che favoriscano l’inclusione e l’integrazione.

In buona sostanza, per Bauman una risposta valida non è la separazione, ma la connessione; non i muri e i centri di detenzione, ma il dialogo, la convivenza pacifica e reciprocamente vantaggiosa, cooperativa e solidale. Pare proprio che non ci sia alcuna alternativa praticabile:

“… dobbiamo andare in cerca di occasioni di incontro ravvicinato e di contatto sempre più approfondito, sperando di arrivare in tal modo a una fusione di orizzonti […]. L’umanità è in crisi: e da questa crisi non c’è altra via di uscita che la solidarietà tra gli uomini”

Gigi Agnano


Il Randagio apre una sezione dedicata al tema delle Migrazioni, di Gigi Agnano (illustrazione Anna Di Rosa)

Un anno fa, il 26 febbraio 2023, un caicco partito dalla Turchia con a bordo circa duecento persone, a causa del mare forza 5, si è arenato e si è spezzato in due a pochi metri dalla riva del litorale di Steccato di Cutro, in provincia di Crotone. Il tragico bilancio è di 94 morti accertati (34 uomini, 26 donne e 34 minori tra cui molti bambini) oltre a un numero imprecisato di dispersi. Sarà la Magistratura (la chiusura dell’inchiesta è prevista a metà marzo) ad accertare se è vero che le autorità italiane, benché avvisate, non abbiano attivato nessuna operazione di soccorso e se la strage era “prevedibile e evitabile”.

A pochi giorni dall’anniversario del naufragio di Cutro, il Randagio apre una sezione del suo sito dedicata al tema delle migrazioni. Parleremo come è nostra consuetudine di libri (reportage, saggi, narrativa) e daremo spazio a contributi, interventi e riflessioni.

Perché questo focus sulle Migrazioni? Perché parlare “ancora” di Migranti?

Innanzitutto per una questione di umanità perché pensiamo che la sofferenza dell’altro sia affare anche nostro.

Poi perché parlarne dopo la lettura di testi autorevoli, contribuisce a smascherare fake news  e pregiudizi e aiuta a ragionare sulla realtà, sulle testimonianze, sui dati, sulle statistiche e non sulla vaghezza delle percezioni.

Parlarne inoltre evita che ci si possa assuefare all’orrore delle stragi, sempre più frequenti nel Mediterraneo e non solo.

Perché il tema dell’integrazione non solo  è un argomento così delicato da obbligare a confrontarci con tutta la nostra intelligenza, cultura e sensibilità, ma rischia di essere decisivo per il futuro della democrazia nel nostro Paese e in Europa.

Infine per una sensazione sgradevole per cui, mentre in passato sembravano esserci due schieramenti contrapposti sul tema dell’accoglienza, in tempi recenti invece, in particolare alla vigilia delle elezioni europee, sembra che la politica tutta, per non perdere consensi a beneficio dell’estrema destra, pur di proteggere le frontiere, accetti con leggerezza un’ulteriore riduzione degli standard umanitari e dei diritti delle persone migranti.

Un’Europa concentrata a costruire muri e barriere di filo spinato, che dimentica di essere l’Europa dei diritti, che legalizza il male – peraltro con una spesa insensata di soldi pubblici -, continuerà a determinare morti e sofferenze. E per i prossimi decenni ci troveremo ad aver accumulato un’altra forma di odio sempre più devastante, che non sarà più solo tra etnie o nazioni, ma tra interi continenti.

Gigi Agnano