Intervista a Nadia Terranova per “Quello che so di te” (Guanda, 2025), di Gabriele Torchetti

Nadia Terranova, messinese, è una delle voci più interessanti della narrativa italiana contemporanea. Già finalista del Premio Strega nel 2019 con “Addio fantasmi”, il suo ultimo romanzo “Quello che so di te”, edito da Guanda, in libreria dallo scorso gennaio, sta ricevendo ampi consensi di pubblico e di critica e ha già iniziato, proposto da Salvatore Silvano Nigro, il lungo percorso che speriamo lo porti alla serata finale del nostro più prestigioso premio letterario. Nadia Terranova, che ringraziamo per la disponibilità, è stata intervistata per gli amici del Randagio dal nostro Gabriele Torchetti.

Ciao Nadia e benvenuta a Il Randagio, “Quello che so di te” sviluppa tra i tanti temi il concetto bellissimo di mitologia familiare che ci riconduce a quasi cent’anni fa, quando una donna minuta e silenziosa varca la soglia di un manicomio, “un luogo di cui avrebbe parlato con un distacco sempre più irreale fino a non nominarlo più, come accade ai ricordi che abbiamo sciupato”. Scrivi che la chiami Venera, con l’accento sulla prima sillaba e che la incontri spesso in sogno, puoi dirci qualcosa in più su questa donna? 

Tutto quello che sapevo di Venera l’ho scritto. È difficile per me dire qualcosa di più. Posso dire però qualcosa di meno. Posso dire che quando ho cominciato a scrivere di lei, quindi nelle prime pagine del libro, lei era davvero soltanto una donna scontornata, ma la cui presenza era molto forte nella mia vita, molto insistente, quasi infestante. Non capivo perché. Poi ho capito alla fine che voleva soltanto essere raccontata.

Abbiamo una passione in comune, quella per i tarocchi, presenti anche in Trema la notte. L’archetipo della luna è probabilmente uno dei più difficili da interpretare, perché nei suoi simbolismi racchiude una molteplicità di chiavi di lettura che ho incontrato nel tuo romanzo. Leggendo il tuo libro ho pensato al principio creativo femminile: la maternità, all’emotività nelle sue molteplici sfumature. La luna però rappresenta anche l’inconscio, la notte (dunque quello che non si vede a occhio nudo) con i suoi segreti. Tua figlia si chiama Luna ed è molto presente tra le pagine di questo romanzo, così come sono presenti tutti i richiami dell’archetipo, anche quelli più nebulosi nella storia di Venera (tra l’altro nata sotto il segno del Cancro), di tua madre e di tutti i personaggi. E’ stata una mia sensazione o in qualche modo ti ha ispirato?

La luna per me è proprio il simbolo dell’energia femminile che sta per uscire, quindi è anche una gestazione continua. C’è del tormento, no? C’è anche un po’ di fatica nell’attesa che questa creatura esca dalle acque, che varchi la soglia del patriarcato rappresentato da questi cani che ululano, dalle torri. Però poi è l’attimo prima dell’esplosione dell’energia femminile. E quindi sì, è proprio la luna la Carta di tutto il libro. Per me è complicata perché il cancro è un segno complicato e però è stato molto interessante per me indagarlo.

Una mitologia familiare che racchiude una parola chiave, la memoria. C’è una memoria storica contenuta negli atti scritti e una memoria emotiva composta da ricordi, frammenti, sentimenti. Scrivi quello che sai di lei attraverso le poche notizie pervenute e dove non arrivi con le carte, con i documenti, intervieni con la tua scrittura. Hai avuto qualche difficoltà nel riempire i vuoti di questa storia?

Sai, le difficoltà ci sono quando stai facendo una ricostruzione storica. Ma se scrivi un romanzo, quella che è difficoltà è possibilità, perché ti apre un vuoto, una lacuna. Dove c’è una lacuna entri con l’invenzione, senza invenzione non c’è romanzo.

“Il verde degli alberi incombe dalla finestra, mia figlia mi guarda ma non mi vede. In quel momento, dentro quel preciso nulla, nell’isolamento dell’ospedale in cui ho appena partorito, capisco che non potrò mai più permettermi di fare. Impazzire.” Mi ha molto colpito questo incipit, la paura di un’ereditarietà oscura. Nel romanzo sviluppi lo stigma della follia. La scrittura ha plasmato in qualche modo i tuoi timori?

La scrittura ha dato una forma e quindi ciò che prima era una paura indefinita è diventata una paura scritta e come tutte le volte in cui si dà il nome a qualcosa, poi ho avuto meno paura.

La maternità scivola nella narrazione attraverso tantissime declinazioni, tu sei madre di Luna, la tragedia di Venera ha a che fare con una mancata maternità, ci sei tu figlia nel rapporto con tua madre. La cura e l’abbraccio riservato a Venera è commovente. Ti sei sentita un po’ sua madre in queste pagine?

È bello quello che dici. Sì, sono stata un po’ la madre di Venera, la madre della mia bisnonna. Che meraviglia!

I padri sono quasi totalmente estranei nei dibattiti, ma anche nella scrittura, che ruolo hanno gli uomini nella tua mitologia familiare?

In realtà, in questo libro c’è spazio per i padri; c’è stato spazio per me per capirli per raccontarli. Senza la differenza anche dei ruoli non ci sarebbero state le storie delle donne quindi, ecco, io ho abbracciato anche loro. 

Tra un capitolo e un altro, durante la lettura ho ascoltato “Terra ca nun senti” l’ultimo disco live di Carmen Consoli. Canzoni che raccontano la Sicilia, con note, profumi, paesaggi, memorie. Una terra meravigliosa ma nello stesso abbandonata e abbruttita dall’incuria politica e sociale. La Sicilia è sempre presente nelle tue narrazioni, che ruolo ha nella tua scrittura? E più in generale nella tua vita?

Amo Carmen Consoli, amo la musica siciliana, amo “Terra ca nun senti”. Sono stata a sentirla, tra l’altro, dal vivo a Pompei, pensa, all’anfiteatro. E in quella sera, eccezionalmente, c’erano due ospiti speciali: il fratello di Peppino Impastato e Donatella Finocchiaro che leggeva proprio testi di Rosa Balistreri. E’ stato splendido! Sì, la Sicilia è parte del mio immaginario e quindi della mia scrittura.

Ultima domanda, di consueto chiediamo un consiglio di lettura. Questa volta voglio farti una domanda un po’ più mirata, hai scritto le prefazioni delle ripubblicazioni dei libri di Alba de Céspedes (per Cliquot), perché dovremmo leggere i suoi libri e da quale ci consiglieresti d’iniziare?

Per quello che riguarda Alba de Céspedes, sì, ho scritto appunto non soltanto le prefazioni di Cliquot, ma anche quella per Mondadori di “Quaderno proibito”. Consiglio di cominciare da “Quaderno Proibito” e poi andare in tutte le direzioni. Secondo me Alba De Céspedes è la scrittrice del ‘900 più contemporanea che abbiamo. La più mimetica, che più è riuscita a riprodurre, a restituirci la voce delle donne, delle casalinghe, delle impiegate, delle intellettuali. È stata straordinaria nell’indossare le voci delle altre. Ecco perché leggerla

Gabriele Torchetti

Gabriele Torchetti: gattaro per vocazione e libraio per caso. Appassionato di cinema, musica e teatro, divoratore seriale di libri e grande bevitore di Spritz. Vive a Terlizzi (BA) e gestisce insieme al suo compagno l’associazione culturale libreria indipendente ‘Un panda sulla luna‘.

Strega 2024 – Intervista a Eduardo Savarese, di Daniela Marra

Le Madri della Sapienza di Eduardo Savarese, Wojtek edizioni, proposto allo Strega 2024 da Riccardo Cavallero, è stato spesso definito un romanzo distopico. Eppure appare evidente già dalle prime pagine che qualsiasi vestito risulta imperfetto. Troppo corto, troppo stretto, troppo alla moda o troppo largo, questo accade perché il romanzo di Savarese che ha la forma di vero romanzo tradizionale otto-novecentesco, in particolare ricorda per alcuni versi la produzione russa, è un’opera trasformista, che attinge a una moltitudine di registri diversi ma sapientemente armonizzati.
Visionario, surreale, imprevedibile, racconta una storia-mondo, attraverso un ricchissimo sottobosco di personaggi e trame. Un inno sacro e provocatorio alla potenza dell’amore non come sentimento ma come forza trasformativa, come silenzioso sacrifico, nel senso più classico della parola: Sacer Facio, fare sacro, rendere sacro.

Abstract romanzo:
Il primo ministro Anselmo Riccardi ha l’ossessione di rifondare la famiglia tradizionale. Dietro di lui, dentro di lui, agisce Ulrica Neumond, maga e fondatrice della Casa Europea dei Nuovi Ariani.
Il loro famelico disegno di conquista si abbatte sul monastero delle Madri della Sapienza, ordine laico fondato da tre maturi omosessuali: Luciano (Cinzia), Giorgio (Olimpia) e Fernando (Gridonia).
Le Madri non sono sole: al loro fianco si schierano Licia, undicenne e mistica figlia del premier, e Barbara, moglie combattiva che, da alleata, si trasforma in antagonista di Anselmo.
Aleggia su di loro Fosco Nunziante, intellettuale morto da tempo, come l’ombra del demonio sul destino dei vivi.
Dramma wagneriano, racconto esoterico e commedia fantastica, Le Madri della Sapienza oppone, alla paura indotta da un potere politico magico-autoritario, un neo-monachesimo libertario e umanista, antidoto allo sradicamento della vita interiore.

Nell’introduzione all’ intervista ho parlato di vestito, ma l’obiettivo di rintracciare una categoria di appartenenza per il tuo romanzo, malgrado lo sforzo, è stato vano. Non sono riuscita a trovare un abito appropriato. E allora ho deciso di procedere per sottrazione. È solo spogliandolo che il lettore può osservarlo, trovandosi davanti a una complessa stratificazione. La forma romanzo si colorisce di tante sfumature, si forma, trasformandosi continuamente. Perciò sarebbe interessante raccontarci quando è stato concepito Le Madri della Sapienza e qual è stata la sua gestazione.

Questa tua considerazione, così appropriata, circa la natura sfuggente delle Madri a una
categorizzazione mi fa molto piacere. I mezzi di costruzione del racconto, in questo romanzo, sono, all’apparenza, molto classici. E d’altra parte, nella mia formazione e nella mia ‘pratica’ artistica, ricerco, nell’articolare il pensiero, nello scegliere le parole, nel comporre le figure e le scene, quel che generalmente diciamo il ‘classico’. In altri termini, tutto qui sembra molto convenzionale (nel senso letterale di aderenza a certe convenzioni consolidate del romanzo), però poi il punto di arrivo spiazza (o i vari punti di arrivo, parziali e finali). Posso dire questo: la gestazione nasce da un input molto chiaro dato a me stesso. Sentiti libero di osare, di complicare, di immaginare rispettando profondamente la dignità del tuo immaginario. Sentiti libero di divertirti. Non preoccuparti di esaudire un’aspettativa esterna al tuo processo creativo.

Ci sono alcune categorie che attraversano tutto il romanzo. Una di queste è il potere. Il potere che distrugge e crea assuefazione, illusione, menzogne. Il potere per il potere ricorda per alcuni versi il Macbeth. Quanto la coppia Anselmo-Barbara è ispirata alla tragedia shakespeariana?

Moltissimo, ed in modo evidente, anche mediante riferimenti espressi, variazioni su citazioni quasi letterali (anche dalla versione operistica di Macbeth, quella di Verdi). Il potere è uno dei pilastri del romanzo: ed il potere in coppia mi ha sempre solleticato la fantasia e la meditazione. Per cui Anselmo e Barbara non potevano non avere quel referente.

Chiaramente l’autore di questo romanzo è un nuovo Eduardo, o meglio un Eduardo più completo, forse anche più vero, che mette in luce per la prima volta nella scrittura ogni sua sfaccettatura. Memoria emotiva, memoria intellettiva e realtà quotidiana si fondono e si confondono, ma sono sempre raccontate attraverso la lente dell’ironia, un’ironia garbata che rende ogni provocazione delicata. Che cosa consente questa chiave di scrittura ironica e oserei anche autoironica?

Che bella domanda… l’ironia (e soprattutto l’autoironia, anche del narratore circa i processi narrativi attuati: vedi la citazione schizofrenica che oscilla da Borges ad Angela da Foligno) nasce dallo sguardo compassionevole sul mondo. Lo sguardo che, da tempo, mi interessa di più è quello. Lo sguardo che può lenire la crescente violenza del mondo.

Realtà inquiete, sante, maghe e visioni profetiche, la sensazione spesso è di trovarsi catapultati in un’opera lirica, dove l’irrazionale e il fantastico sono dimensioni che conferiscono potenza alla realtà, ancora più del realismo puro. Quanto ha influito l’amore per l’Opera nella tua scrittura?

Enormemente. Ma me ne sono accorto in una fase avanzata della prima stesura (le stesure sono state tre, in tre anni). E me ne sono accorto precisamente nel punto in cui decidevo di superare
l’autocensura sull’irruzione della presenza fantastica nel monastero delle Madri. Il teatro lirico ha rilasciato il salvacondotto all’espressione del mio immaginario, in termini di possibilità del racconto… poi ci sono le incursioni più decifrabili (il nome verdiano della maga Ulrica, o la presenza, in un sogno, delle fanciulle fiore wagneriane…).

Le Madri della sapienza insegnano senza essere didascaliche. Con la riscoperta del monachesimo ci ricordano l’importanza della dimensione comunitaria, che oggi è sempre più infranta e dimenticata. Quanto è importante recuperare questa dimensione?

Mi pare sia vitale. Disintegrati a questo modo possiamo solo continuare a disintegrarci fino
all’estinzione nell’ignominia. La dimensione comunitaria, fondata su valori altamente spirituali, e su forme di disciplina condivise, oggi avrebbe molto da darci: certo, va reinventata, ma è una bellissima sfida del pensiero e dell’azione.

Parliamo di Amore, sembrerebbe una grande categoria universale e sentimentale, eppure nelle
Madri della Sapienza l’amore è sapienza. Un ritorno all’ordine nel disordine quotidiano dove
sembra sparita ogni bussola. Amare nella verità è un ritorno all’essenziale. Quanto e come risulta salvifico l’amore nel tuo romanzo?

L’amore è sempre stato al centro di tutto quello che ho scritto finora, anche nel saggio-racconto sul fine vita, Il tempo di morire. L’amore che dà salvezza, nelle Madri, deriva dalla combinazione tra verità e misericordia: è l’amore di Cristo. Io ho fame e sete di occasioni per parlarne con libertà, consapevolezza, passione e ironia. In questo romanzo ho provato a ritagliarmi una piccola, grande occasione.

Dimensione onirica, ironia, favola nera e surrealismo, solo alcuni ingredienti dell’alchimia delle
Madri della Sapienza. Sul grande schermo immaginerei una regia di Terry Gilliam e tu?

Terrence Malick. Magari… E, forse ancor più: Alice Rorhwacher.

Con quale personaggio del tuo romanzo andresti all’Opera e a cena e quale Opera andresti a
vedere?

Nessun dubbio: andrei con Ulrica Neumond e andremmo a vedere I maestri cantori di Norimberga di Wagner. Forse Ulrica però non cenerebbe, berrebbe soltanto, quello sì, ma in niente di meno che nel calice del Graal…

Daniela Marra

Eduardo Savarese (1979) vive e lavora a Napoli. Ha pubblicato i romanzi “Non passare per il sangue” (2012) e “Le inutili vergogne” (2014) per e/o, “Le cose di prima” (2018, minimum fax) e il racconto “La camera di Ondino” (Tetra, 2022). È autore anche di ibridazioni tra saggio e narrativa, su temi etico-giuridici (“Lettera di un omosessuale alla Chiesa di Roma”, e/o, 2015; “Il tempo di morire”, Wojtek, 2019), o intorno alla propria melomania (“È tardi!”, Wojtek, 2021). Scrive per «Il Riformista» e «L’Indice dei Libri del Mese».

Letture da boomer?

Il lettore Randagio ad inizio mese aspetta con ansia l’uscita di Linus. Vanta una collezione di alcuni decenni, compresi i primi numeri del 1965 dove potevi trovare gente del calibro di Umberto Eco che intervistava Vittorini o Oreste Del Buono. O quelli degli anni successivi, quando ai fumetti di Pazienza o di Bobo o di Claire Bretécher (quella del Porcone) si affiancavano gli articoli di firme (poi divenute davvero) prestigiose come Michele Serra, Stefano Benni, Baricco o Pier Vittorio Tondelli.

Il numero di dicembre da qualche giorno in edicola, arricchito dal calendario del 2024, è dedicato a Tim Burton, il geniale ed eccentrico regista di Batman con Jack Nicholson nei panni di Joker, Edward Mani di Forbice con Johnny Depp, Nightmare Before Christmas o Alice in Wonderland, solo per citare alcuni dei suoi film più famosi.

Scrive Igort, attuale direttore della rivista: ” […] Un piccolo circo felliniano e oscuro conforta la visione di Tim Burton. In un periodo di grandi cambiamenti nel pianeta del cinema e dell’immaginario, fa bene pensare che esista chi esplora la parte meno rassicurante di noi stessi. Poiché in un mondo di eroi di latta anche solo il fatto di amare i solitari, i disadattati, gli incompresi, è un atto politico degno di nota, che fa sperare che dietro le parole e la fascinazione per le immagini ci sia ancora un senso. La vita trepidante che popola i sogni, anzi, no pardon, gli incubi di Tim Burton, che sono diventati anche i nostri, amatissimi”.

Ma questo mese, in edicola, i Randagi più grandicelli proveranno una forte emozione nel trovare dopo trent’anni un gradito ritorno: una Special Edition intitolata ‘Come eravamo 50 anni fa. 1973 l’anno indimenticabile del rock’ di Ciao2001, la rivista che ha “avviato” al Rock intere generazioni di giovani italiani.

Pubblicato dal 1969 a metà degli anni ‘90, ‘Ciao 2001’ è parte integrante del vissuto di tanti ragazzi dell’epoca che lo leggevano avidamente per informarsi sui propri idoli musicali e sui dischi in uscita. Ricco di notizie, recensioni, interviste e foto, spesso il paginone centrale portava un poster da appendere in camera (provocando generalmente l’ira dei genitori) di uno dei grandi miti del rock o del cantautorato italiano. Difficile spiegare ai più giovani quanto posto occupasse la musica nella vita dei loro coetanei degli anni ’70, ma questo numero speciale credo ne dia un’idea alternando nuovi articoli (Daniele Sepe, Michel Pergolani e Renato Marengo tra gli altri) a pagine tratte dalla rivista del 1973 dedicate ai Genesis, Bowie, King Crimson, Dylan, Lou Reed, Bennato, il Banco ecc…, con le firme mai dimenticate di Riccardo Bertoncelli, Fiorella Gentile, Manuel Insolera, Dario Salvatori.

La pubblicazione avrà cadenza bimestrale, è di 112 pagine di carta patinata ed è in vendita al prezzo di 9,90 euro. La mia edicolante, rockettara di lungo corso, mi ha detto “Visto che bello?” E ha aggiunto, forse esagerando un tantinello: “Questa è stata la migliore musica di sempre!”

Gigi Agnano

Randagyuela: il gioco dei preferiti 2023

Ci siamo ritrovati a giocare al gioco dei preferiti e lo abbiamo fatto considerando i libri LETTI, non necessariamente pubblicati, nel 2023.

Così ci siamo dati CINQUE titoli, che a volte giocoforza sono diventati SEI…

Ecco qua, ognuno si prenda le sue responsabilità… 🙂 … e… perdonate il nome del gioco, ma un omaggio a Cortázar noi Randagi pensiamo ci stia sempre bene…

Abel (Feltrinelli) – Alessandro Baricco;

Storia di un abito inglese e di una mucca ebrea (Mondadori) – Suad Amiry;

Cercatori d’acqua (Giuntina) – Erri De Luca;

Mal di Libia (Bompiani) – Nancy Porsia;

La legalità è un sentimento (Bompiani) – Nando Dalla Chiesa.

Sono tornato per te (Einaudi) – Lorenzo Marone;

Grande meraviglia (Einaudi) – Viola Ardone;

La correttrice (Mondadori) – Emanuela Fontana;

Il ladro di quaderni (Einaudi) – Gianni Solla;

Le due mogli di Manzoni (Solferino) – Marina Marrazza;

La famiglia Manzoni (Einaudi) – Natalia Ginzburg.

La malnata (Einaudi) – Beatrice Salvioni;

Uvaspina (Bompiani) – Monica Acito;

Metamorfosi e altre storie gotiche (La vita felice) – Mary Shelley;

Rinascimento privato (Mondadori) – Maria Bellonci;

Marguerite è stata qui (Neri Pozza) – Eugenio Murrali;

I bambini del maestrale (Neri Pozza) – Antonella Ossorio.

Il lungo inverno di Ugo Singer (Bompiani) – Elisa Ruotolo;

Uvaspina (Bompiani) – Monica Acito;

Elp (Sellerio) – Antonio Manzini;

Una brava madre (Piemme) – Elisabetta Cametti;

Fame d’aria (Mondadori) – Daniele Mencarelli.

Le cattive (Sur) – Camila Sosa Villada;

La figlia unica (La nuova frontiera) – Guadalupe Nettel;

Merluzzo (Nutrimenti) – Mark Kurlansky;

Al di là delle parole (Adelphi) – Carl Safina;

Il museo dell’innocenza (Einaudi) – Orhan Pamuk;

I libri di Jakub (Bompiani) – Olga Tokarczuk.

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Noi Randagi ti ringraziamo per l’attenzione, ma… quali sono i tuoi libri preferiti letti nel 2023?

Diario di un sogno possibile. Gino Strada – Nuova Edizione per ragazzi di Amedeo Borzillo

Intervista di Amedeo Borzillo a Giuseppe Fiordelisi, Coordinatore Regionale di Emergency.

Non arrenderti all’ingiustizia, osserva, vivi, fai domande, immagina alternative, inizia ad agire per un mondo diverso. Puoi? Certo: questo libro racconta l’esempio di una persona che lo ha fatto. 

E’ il diario del suo sogno possibile.

Non si può dire che una cosa è impossibile finché non provi a farla. E se vedi che non ci riesci, allora tenta in un modo diverso”: in questo senso l’utopia diventa qualcosa che aspetta di essere costruito

Simonetta Gola, curatrice di questo libro, racconta la filosofia di vita di Gino Strada che gli ha permesso di realizzare ospedali nelle zone martoriate dalla guerra e da emergenze umanitarie in tante parti del mondo. Il libro è un racconto in prima persona, in un linguaggio oserei dire orale, della follia di ogni guerra e di quanto sia importante garantire ad ogni persona il diritto ad essere curati.

Ricordo la presentazione del libro di Gino Strada “Zona Rossa”: erano i tempi terribili del virus Ebola e l’impegno di Emergency fu determinante nei soccorsi e nella cura prestata ai colpiti dalla malattia in Sierra Leone e nelle tante vite salvate. Il vostro intervento colpì per “l’impagabile” ruolo attivo dei volontari di Emergency. Sono 2 anni che Gino ci ha lasciati ma Emergency cresce e lancia nuove sfide: questo libro rivolto ai ragazzi ne è la prova: quale è il vostro obiettivo?

L’obiettivo principale di Emergency è la “Costruzione” di una Cultura di Pace partendo dai ragazzi che rappresentano, ovviamente, il nostro futuro. Per questo il libro di Gino curato da Simonetta è un pezzo molto importante di questo percorso perché scritto da chi la guerra l’ha guardata da vicino, da chi non si è accontentato di riportare racconti ma è entrato in prima persona nei paesi in guerra rischiando continuamente la propria vita convinto che con la propria presenza avrebbe testimoniato l’esistenza del diritto alla cura e con quella testimonianza avrebbe tenuto viva  la speranza di un futuro di Pace. L’esperienza del progetto Nessuno Escluso ha avuto le stesse motivazioni e le stesse basi: rischiare magari qualcosa esponendosi al contatto con le persone che venivano a ritirare i pacchi ma, mostrare alle persone in difficoltà, in quel periodo così delicato e difficile, che è possibile e giusto vedere soddisfatto il desiderio di avere una risposta concreta e pratica al Diritto alla Cura e il Diritto ad avere del cibo per sfamare se stessi e la propria famiglia insomma avere un sostegno per poter andare avanti con dignità. Ovviamente le due esperienze non sono paragonabili però è altrettanto vero che nel nostro piccolo abbiamo fatto “il nostro pezzettino” di (S)strada cosa che ci fa sentire parte del Progetto Emergency.

Nel libro si racconta la vita di Gino Strada e delle tappe percorse nel corso della sua vita: lui suggerisce ai ragazzi di leggerne qualche pagina di sera, prima di addormentarsi. Lo porterete nelle scuole? 

Personalmente ho ricoperto negli ultimi 20 anni il ruolo di Referente del Gruppo Scuola Emergency Napoli ed ho sempre considerato fondamentale incontrare i ragazzi ai quali trasmettere la nostra Idea di Pace ma mi sembra importante sottolineare che nonostante i sacrifici fatti correndo nei ritagli del mio orario di servizio oppure facendo chilometri per raggiungere una scuola ho sempre avuto moltissimo dai ragazzi: è sempre stato un piacere infinito parlare con loro e ascoltare i loro pensieri, i loro dubbi, le loro paure o anche il loro finto menefreghismo. Continueremo ad entrare nelle scuole dove ci chiameranno e porteremo la storia di Gino ed il suo libro perché la sua credibilità ci permetterà, come sempre, di coinvolgere i ragazzi  “costringendoli” a interessarsi e discutere di argomenti che riguardano il loro futuro, le loro scelte personali e il tipo di mondo in cui vivere.

L’anno prossimo Emergency compie 30 anni. Tu l’hai “sposata” sin dall’inizio come volontario. Oggi il mondo assiste al dilagare di guerre anche vicino ai nostri confini. Emergency ha operato anche in Italia per garantire assistenza sanitaria a coloro ai quali  nei fatti era negata: quali sono i progetti cui state lavorando?

Sono entrato in Emergency nel 1999 “fulminato” dall’idea di Gino di offrire Cure Gratuite e di elevata qualità alle vittime delle guerre e della povertà. Mi è sembrato che ci fosse la possibilità di vedere realizzati i miei ideali, i miei sogni, le mie speranze ed è stato così perché in questi anni grazie all’impegno di tanti volontari e ai progetti di Emergency abbiamo dimostrato che è possibile vivere in modo diverso rispettando i Diritti di tutti e non preoccupandoci  di “difendere” quelli che sono semplicemente e orribilmente solo dei “NOSTRI PRIVILEGI”. Poi è vero che in questo momento storico sembra che abbiamo perso la nostra battaglia, sembra che improvvisamente tutti hanno “riscoperto” una sola soluzione ai problemi del mondo: la più vecchia la più inutile la “GUERRA” ma è esattamente il contrario è in questi momenti che è necessario andare avanti aprire nuovi Ospedali e avviare nuovi progetti perché siamo convinti che la stragrande maggioranza delle persone sa perfettamente che la guerra non porta mai ad una soluzione positiva che la guerra è solo morte e forse mai come in questo momento tutti sanno che le vittime delle guerre sono soprattutto i BAMBINI. Tutti sanno che ormai non basta più commuoversi davanti all’immagine di un BAMBINO ucciso ma è arrivato il momento di dire NO, BASTA, FINIAMOLA.  

Emergency si autosostiene solo con donazioni di privati ed un ruolo fondamentale in questa direzione è rappresentato dai Gruppi locali, Che iniziative avete in essere?    

La raccolta fondi di Emergency, fortunatamente, va molto bene. Le persone dimostrano sempre di più di avere fiducia in noi e con orgoglio dico che evidentemente riusciamo a far corrispondere quello che “progettiamo” con quello che facciamo. Poi c’è il grande lavoro dei Volontari dei Gruppi Territoriali in particolare in questo momento sono attive: la campagna  “Un Panettone fatto per bene” e gli Spazi Natale di Emergency. In particolare a Napoli lo Spazio Natale sarà aperto dal 1° al 24° DICEMBRE a Palazzo Venezia ( via Benedetto Croce 19 Spaccanapoli) dove è possibile comprare prodotti artigianali provenienti dai paesi in guerra dove, siamo presenti con i nostri Ospedali, o vari gadget la cui vendita serve a finanziare i nostri progetti. Approfitto per invitare tutti ma proprio tutti a venirci a trovare per acquistare il vostro regalo di Natale per vostra moglie, per i vostri figli, per vostra madre, per una/o cara/o amica/o o per chi volete perché fare un regalo comprando negli Spazi Natale di Emergency farà felice chi riceverà il regalo ma farà felice anche qualcuno che non conoscete e non conoscerete mai ma che ha bisogno di Cure e soprattutto farà felice VOI perché sarete FELICI DI AVER FATTO LA COSA GIUSTA.

Amedeo Borzillo