A Napoli, nell’ambito del Maggio dei Monumenti 2025, presso lo studio Chalcos di Teresa Tolentino, è stata presentata una cartella artistica dal titolo “La sposa. Immagini di un desiderio” – oggetto di una mostra dal titolo Ignis Alchaemie. Il fuoco non ha più fumo quando è diventato fiamma (Rumi), a cura di Marina Guida -, un pregevole lavoro in cui sono raccolte foto di Carla Iacono, incisioni di Maria Rosaria Perrella e poesie di Clotilde Punzo. Pregevole tutto il lavoro, molto affollata la presentazione.
Una poesia, in particolare, ha incontrato la nostra sensibilità e, col permesso dell’autrice, la vogliamo proporre agli amici del Randagio. E’ la poesia Penelope o dell’attesa di Clotilde Punzo.
PENELOPE o dell’attesa
Finita la tela da anni finita tessuto il dolore schivato il timore in questo giorno dolce in cui mi sveglio ancora. C’è forse l’inganno in questa trama fina ch’io non possa svelare? L’inganno sulla trama che disfo mentre l’isola guardo e il sole la luna il mare lontano, gli uomini scorgo di perduta ragione, le barche, gli uccelli impazziti di sangue e di fiele la tela di sete disfatte di ciechi tasselli che di morte letto mani amore s’intingono al sole.
L’inganno è di lui desiderio mortale, che onda fatale e fruscìo di sirena lontano portò a godere di mammelle di sale e di latte. L’inganno è nel tempo che non mi consola. Invoco tempesta per uomini persi e giogo e dolore mi tagliano il fiato semmai ancora di fiato io vivo. Un nume è disceso lieve nei passi un’ombra che aleggia su alcove sconfitte su sessi rapaci di muscoli ardenti. Ma niente dà pace in questo silenzio. L’inganno è nel tempo che invecchia, che rode, che culla, che ride, che strazia e frammenta l’intima gioia sui sentieri battuti dall’umano lamento, che spezza e dilania e alloggia discreto nel sonno che langue… …mentre polvere copre la sposa che più non s’addormenta.
Clotilde Punzo: E’ Direttrice amministrativa dell’Accademia di Belle Arti di Napoli; giornalista pubblicista, ha collaborato con quotidiani e riviste culturali come Il Mattino, il Roma, Il Giornale di Napoli, Nord e Sud, Campania Felix, Napoli Guide, Nuova Stagione, l’Araldo, Dodici Magazine, per citarne alcuni, e assumendo la direzione della rivista on line “Colloqui” del Progetto Culturale Oltre il Chiostro, occupandosi di argomenti di costume, attualità e recensioni di libri, di tematiche e problematiche femminili. Al 2000 risale la sua pubblicazione “La bioetica e le donne”, inserita nella Collana “Bioetica e valori”, edita dalle Edizioni Scientifiche Italiane. Cultrice di poesia, è inserita come poeta, allora di nuova leva nel 1985, nel primo volume dell’Antologia Premio di Poesia “Città di Napoli” promosso dalla Fondazione Roberto Cioffi. Ha partecipato a diversi concorsi letterari con racconti e poesie, ottenendo lusinghieri apprezzamenti e segnalazioni di merito, per le raccolte inedite di poesie “Tu che da me distante” e Canti di deportazione, quest’ultima pubblicata con il titolo “Non ho più smesso di cantare”.
Margaret Atwood, autrice di culto, con Il canto di Penelope, il mito del ritorno di Odisseo (Ponte alle Grazie), il cui titolo originario è The Penelopiad, propone una rielaborazione del mito classico in una forma originale e anticonvenzionale.
La Atwood utilizza un particolare espediente letterario per cui Penelope ci racconta la sua storia dall’Ade, cioè dall’Aldilà, e con questa figura femminile l’autrice dà vita a un personaggio ironico, intelligente, irriverente e sferzante, riferendosi al maschilismo e alla misoginia presenti nella società antica così come, in forme differenti, nel nostro mondo contemporaneo.
Quella moglie fedele e passiva che ci viene tramandata dal mito classico e dall’Odissea, diventa dunque un personaggio con una voce forte e determinata, una donna leggendaria che non vuole più essere semplicemente narrata dagli altri, nel suo essere stata data in sposa ad Odisseo e poi nella lunga, nella lunghissima attesa del suo ritorno e nel suo essere assediata da pretendenti che l’hanno considerata solo un oggetto attraverso il quale ottenere potere e ricchezza, ma per le prima volta parla di sé e di ciò che accade dal suo punto di vista.
Quindi l’autrice riesce a farci riflettere su quale sia la rappresentazione dei personaggi femminili nella mitologia e anche in molta letteratura successiva in quanto spesso essi non hanno una voce propria. Invece ne Il canto la voce di Penelope diventa potente e forte nel raccontarci la sua vita e le sue scelte personali (nella narrazione della Atwood non si esclude nemmeno l’ipotesi che Penelope sia stata infedele ad Odisseo e abbia avuto come amante Anfinomo, il migliore dei Proci, l’unico fra loro dotato di kalokagathìa).
‘’Ora che tutti gli altri hanno parlato a perdifiato è giunto il mio turno. Lo devo a me stessa.Ci sono arrivata per gradi: narrare è un’arte minore, la esercitano donne anziane, mendicanti girovaghi, cantanti ciechi, ancelle, bambini- gente che ha tempo a disposizione. Una volta si sarebbe riso di me se mi fossi atteggiata a menestrello (…) ma adesso che valore ha l’opinione degli altri? Qui ci sono solo ombre, echi. Tesserò dunque la mia tela’’
Nella nota finale del romanzo l’autrice specifica che deve a The Greek Myths di Robert Graves l’ipotesi per cui Penelope – con le sue dodici ancelle, che verranno in seguito impiccate da Odisseo per essersi concesse ai Proci – potrebbe considerarsi anche la sacerdotessa del culto di una divinità femminile.
Infatti la Atwood, che intervalla ogni capitolo con il coro delle ancelle -un tributo alla presenza del coro greco e da sempre una versione burlesca dell’azione principale-, ad un tratto fa dire al coro ‘’le dodici fanciulle lunari, compagne di Artemide, la dea della luna, vergine e implacabile…’’. Le dodici ancelle di Penelope sono considerate colpevoli quando in realtà hanno subito una violenza dai Proci, e anche durante il processo immaginario che la Atwood imbastisce verso la fine del romanzo, la loro voce di vittime di Odisseo verrà abbastanza ignorata fino a quando non ricorreranno alle Erinni per farsi ascoltare. È interessante la scelta letteraria dell’omicidio per impiccagione delle ancelle di Penelope, infatti qui l’autrice si riferisce a uno dei mezzi con cui in seguito verranno assassinate dopo molti secoli le donne accusate di stregoneria.
In tutta l’opera della Atwood, attraverso uno stile fluido e ironico che cattura e diverte, c’è in realtà la denuncia di una serie di violenze subite dalla donna nella società patriarcale.
Esilarante e al tempo stesso amaro il capitolo Vita domestica nell’Ade, in cui lo spirito di Penelope racconta le sue brevi visite attraverso una medium nel nostro mondo contemporaneo.
‘’Chi è questa <<Marylin>> che piace tanto a tutti? E <<Adolf>> chi è? Parlare con certa gente non è altro che un esasperante spreco di energie. Ma è solo scrutando attraverso questi piccoli buchi della serratura che riesco a seguire le tracce di Odisseo, quando non è quaggiù, nel suo aspetto che mi è familiare’’
Infatti Odisseo, nella fantasia della Atwood, si abbevera di frequente nell’Ade alle Acque dell’Oblio per tornare nel mondo dei vivi, a differenza di Penelope che preferisce restarsene nel regno dei morti piuttosto che vivere nuove vite. E che sempre rimane in una perenne attesa del suo ritorno.
‘’Ho capito che i pericoli sono pari a quelli dei miei tempi, ma la miseria e la sofferenza sono molto più estese. Quanto alla natura umana è, come sempre, infame…Nessuno di questi argomenti può frenare Odisseo. Capita qui per un po’, si mostra felice di vedermi, afferma che stare a casa con me è l’unica cosa che abbia mai desiderato (….) e mi pare di riuscire a perdonargli tutto quello che mi ha fatto passare e di poterlo accettare così com’è, con i suoi difetti, ma quando inizio a credere che questa volta non stia mentendo, eccolo correre di nuovo verso la Fonte del Lete pe poter nascere un’altra volta.’’
Il canto di Penelope è una narrazione coinvolgenteche l’autrice realizza con maestria e creatività e che ha vari punti di connessione con il suo più famoso romanzo Il racconto dell’ancella, (The Handmaid’s Tale), perché in quest’ultimo, come ne Il canto di Penelope’, è centrale e originale il modo in cui viene affrontato il tema del potere e della subordinazione femminile nelle società di ogni tempo.
Cristiana Buccarelli
Cristiana Buccarelli è una scrittrice di Vibo Valentia e vive a Napoli. È dottore di ricerca in Storia del diritto romano. Ha vinto nel 2012 la XXXVIII edizione del Premio internazionale di Poesia e letteratura ‘Nuove lettere’ presso l’Istituto italiano di cultura di Napoli. Conduce annualmente laboratori e stage di scrittura narrativa. Ha pubblicato la raccolta di racconti Gli spazi invisibili (La Quercia editore) nel 2015, il romanzo Il punto Zenit (La Quercia editore) nel 2017 ed Eco del Mediterraneo (IOD Edizioni) nel 2019, presentati tutti in edizioni diverse al Festival di letteratura italiana Leggere&Scrivere. Con il libro Eco del Mediterraneo (IOD Edizioni) ha vinto per la narrativa la V edizione del Premio Melissa Cultura 2020 e la IV edizione Premio Internazionale Castrovillari Città Cultura 2020. Nel 2020 è stata pubblicata a sua cura la raccolta Sguardo parola e mito (IOD Edizioni).
Nel 2021 ha pubblicato il suo primo romanzo storico I falò nel bosco (IOD Edizioni), presentato all’interno di Vibo Valentia Capitale italiana del libro 2021 al Festival di letteratura italiana Leggere&Scrivere e nel Festival Alchimie e linguaggi di donne 2022 a Narni. Nel 2022 ha ricevuto menzione d’onore con un racconto alla III edizione del Premio Carlo Gesualdo e alla II edizione del Premio I Ponti dell’Arte, inoltre è stata pubblicata a sua cura la raccolta In viaggio (Cervino Editore 2022). Nel 2023 ha pubblicato il romanzo Un tempo di mezzo secolo (IOD Edizioni).