Sabato 25 maggio 2024 la libreria The Spark Creative Hub
ospita la presentazione del giallo di Maurizi edito da Mondadori
Proseguono gli appuntamenti letterari organizzati a Napoli dalla rivista letterariaIl Randagio (www.ilrandagiorivista.com), il web-magazine fondato nel capoluogo partenopeo nell’autunno dello scorso anno, in occasione dei cento anni della nascita di Italo Calvino, e che propone interviste, recensioni, approfondimenti e rubriche di varia natura. Animati da uno ‘spirito randagio’, gli incontri promossi e presentati dal team della rivista Il Randagio, puntano sulla scelta di libri di argomenti e generi differenti così come avviene con i luoghi delle presentazioni partenopee.
La libreria The Spark Creative Hub di Napoli ospiterà – SABATO 25 MAGGIO ALLE 18.00 – la presentazione del romanzo giallo storico “Gli Invisibili di San Zeno” di Alessandro Maurizi, edito da Mondadori. L’incontro sarà introdotto e moderato da Cristina Marra con letture a cura di Daniela Marra e l’intervento di Felice Romano, segretario generale del SIULP – Sindacato Italiano Unitario Lavoratori Polizia.
Ispirandosi alla vera storia di Federico Giorio – procuratore legale che difese la povera gente contro le sopraffazioni, arrivando a denunciare la corruzione della pubblica sicurezza – Alessandro Maurizi, Ispettore della Polizia di Stato, debutta nel Giallo Mondadori con un personaggio dimenticato e scovato negli archivi, un detective indomito che dovrà fare i conti anche con il proprio cuore e le convenzioni più lise di una società in cui non sempre si riconosce.
Verona, 1880. Un grande esodo sta svuotando le campagne: l’America è la Terra Promessa, e migliaia di contadini oltre la soglia della povertà vendono tutto per correre a Genova, e lì imbarcarsi sui grandi piroscafi della speranza reclamizzati dalla Casa Generale di Spedizioni Marittime del ricco Isaia Bordignon. Federico Giorio, giovane procuratore legale e fervente repubblicano, non è riuscito a incastrare il losco faccendiere e per punizione è assegnato a un caso minore: il brutale omicidio di un esattore male in arnese. Il declassamento, però, per un incredibile incrocio del destino si rivela provvidenziale per la vicenda degli emigranti: per proseguire le indagini Federico dovrà muoversi in segreto, assieme al fedele appuntato Venier, al piccolo Bacchetto, all’affascinante prostituta Emilia e a Ginevra, una ragazza che vuole diventare medico. Una squadra bizzarra: gli invisibili di San Zeno. Fino a che punto Giorio sarà disposto a spingersi mettendo in pericolo la vita di chi gli sta accanto?
Giornalista, scrittore, divulgatore scientifico e blogger, Massimo Polidoro è autore di tantissimi libri, è fondatore con Piero Angela del CICAP e in questo libro conversa col suo maestro sull’affascinante avventura nel mondo della conoscenza compiuta dal grande divulgatore scientifico.
Massimo benvenuto su Il randagio. Sei giornalista, scrittore, autore di teatro, bisogna avere una mente randagia per approcciarsi alla conoscenza? La scienza “cammina” con te in tutte le tue attività, quanto ti senti randagio e quanto lo era Piero Angela?
Ma certo, bisogna avere una mente curiosa. Quindi se per randagio intendiamo qualcuno che è molto curioso, senz’altro. Ci vuole tanta curiosità, tanto desiderio di scoprire cose che non si sanno, di farsi domande, di non accontentarsi magari di tante risposte, di voler andare a fondo delle cose, di non restare in superficie.
Sia Piero che io ci sentiamo moltissimo randagi, in questo senso di essere curiosi e di voler trovare risposte a tantissime domande che ci sono.
La meraviglia del tutto “sarà il libro della mia filosofia intesa come amore per la conoscenza” scrive Piero. Da una telefonata e le chiacchierate in cucina inizia questo viaggio nel suo pensiero sulla conoscenza?
Questo viaggio inizia proprio da una lunga amicizia che è andata avanti da quando avevo 18 anni per tutta la mia vita adulta e quindi sono stati 30 anni, 34 anni circa di amicizia molto stretta e di affetto che ci legava e quando appunto Piero mi ha proposto questo progetto per quando non ci fosse più stato è stata una grande emozione perché voleva condividere per la prima volta le sue idee su quello che aveva capito di tutti i suoi incontri con grandi menti straordinarie della scienza, della ricerca e sulla base di tutto quello che aveva capito provare a dare anche qualche risposta e esprimere anche le emozioni che lui prova di fronte a tante cose. Esprimere emozioni non è proprio la prima cosa che viene in mente quando si parla di scienza, ma in realtà proprio perché la scienza ci aiuta a capire e a trovare risposte a quelle che sono le domande più profonde degli esseri umani. Chi siamo? Da dove veniamo? Che cosa sarà di noi? Ecco, le emozioni sono ovviamente legate e non è un caso se traspaiano molto dal libro e l’ultima parola del libro proprio è l’emozione per eccellenza è amore. Ho fatto uno spoiler, mi spiace per chi non l’ha ancora letto, ma vedrà in quale contesto Piero Angela pronuncia questa parola.
Come si fa a conciliare conoscenza, razionalità e meraviglia?
Sono cose che si conciliano perfettamente perché se noi vogliamo conoscere, il primo moto, il primo movimento arriva proprio dalla meraviglia, dallo stupore, dalla sorpresa che si prova di fronte a tante cose straordinarie che ci circondano e che magari sembrano poco comprensibili. La razionalità è fondamentale a questo punto per capirle queste cose, perché se ci si basa solo sulla mente, sulle emozioni, sulle reazioni di pancia istintive non le si capisce, si trovano risposte rassicuranti, tentativi di risposte, ma non le si capisce e non si produce conoscenze. La razionalità che si concretizza in un metodo, quello della scienza, è fondamentale.
Il libro è uno scrigno di sapere ma è anche una raccolta di aneddoti e regala pagine in cui emerge la grande umanità di Piero Angela. Com’è stato per te che lo hai conosciuto per trentacinque anni, raccogliere tutto questo?
È stato un bellissimo regalo che mi ha fatto, nel senso che io come appunto si può capire sono sempre stato consapevole di avere a fianco una persona incredibile, straordinaria, geniale, unica come effettivamente Piero Angela è stato. Quindi ogni volta che c’era l’occasione io mi annotavo, registravo, prendevo nota delle cose che diceva, delle sue osservazioni. Poi quando abbiamo deciso di fare questo libro, allora è iniziato un rapporto ancora più mirato all’obiettivo di fare questo libro. Quindi le domande che facevo era tutto quanto registrato e documentato e lui mi ha condiviso tante cose che si era appuntato, tanti materiali che voleva in qualche modo uscissero da queste nostre conversazioni. Per me è stato un regalo enorme essere coinvolto in questo progetto unico e straordinario. E poi è stato un secondo regalo il fatto di scriverlo, questo libro, quando lui purtroppo non c’era più. Perché io per un altro anno dalla sua scomparsa mi sono trovato a confrontarmi con la sua voce, i suoi pensieri la sua presenza in video per mettere ordine alle centinaia di ore di conversazioni che abbiamo avuto e ogni giorno mi trovavo accanto a lui.
La musica e la letteratura sono molto presenti nel libro che è una lunga chiacchierata tra te e Piero. Che rapporto aveva con i libri e la musica?
I libri erano fondamentali per le sue ricerche, leggeva poca narrativa anche se non gli dispiaceva la fantascienza, come ad esempio i libri di Asimov o ”2001 odissea nello spazio” . La musica è stata la sua compagna di vita insieme alla scienza. Piero ha iniziato come pianista Jazz e poi ha intrapreso la sua carriera giornalistica. L’ultimo suo progetto era realizzare un disco di musica Jazz.
Io posso dire che quando l’ho conosciuto a casa sua mi ha fatto sentire qualcosa al pianoforte e l’ultima volta che ci siamo visti nel giugno del 2022 negli studi di SuperQuark , anche lì c’era sempre un pianoforte, mi ha fatto di nuovo sentire qualcosa. Quindi dall’inizio alla fine la musica è stata sempre presente.
“La morte è una grande scocciatura” scrive qual era la sua “ricetta” il suo elisir?
Il suo elisir era vivere una vita piena e usarla al meglio per comprendere, per condividere per arricchire le altre persone , lui era consapevole della finitezza della nostra vita ma la viveva in modo naturale ma aveva la consapevolezza di aver dato il suo contributo.
Massimo Polidoro con Cristina Marra
Da grande divulgatore Piero Angela ha fatto entrare la scienza e il metodo scientifico nelle nostre case. Tu stai portando la scienza a teatro, quale sarà il prossimo appuntamento a teatro?
Il teatro è un ambito dove magari la scienza entra poco, è entrata poco nel passato, ma dove invece c’è un pubblico che è particolarmente attento e interessato. Il mio desiderio, come del resto di Piero, era quello di raggiungere più persone. Possibilmente parlando di scienza. Non tanto parlando delle curiosità scientifiche, ma parlando del metodo, della mentalità, di come funziona il pensiero scientifico, che è una delle più grandi conquiste della nostra specie. E quindi rendere le persone il più possibile consapevoli di che cos’è, di come funziona, di quali sono i vantaggi, di quali sono anche i limiti della scienza. È un po’ l’obiettivo di Piero e che io ovviamente ho fatto mio da sempre. Il teatro mi sembrava uno di quegli ambiti dove c’era spazio per portare un po’ di scienza. L’ho fatto quest’anno con una rassegna di incontri che si chiama La scatola di Archimede, dove incontravo ricercatrici, scienziati famosi, Gamba soprattutto,e raccontare il loro lavoro e il lavoro della ricerca nei loro ambiti. E naturalmente il titolo La scatola di Archimede era un altro omaggio a Piero perché aveva scritto 50 anni fa un libro che si chiamava La vasca di Archimede e questa rassegna riprende un po’ quell’idea di dove stiamo andando, dove sta andando il nostro mondo. E quindi ho fatto questi incontri così come scommessa, come prova per vedere come sarebbero andati e la risposta è stata estremamente positiva. Il teatro sempre pieno, tante persone che tornavano tutte le volte, partecipavano a questi incontri e volevano sentir parlare di scienza in questa maniera. Perché poi, come Piero ci ha insegnato, è una maniera che coniuga da una parte il rigore dei fatti scientifici, ma dall’altra anche l’accessibilità della comunicazione di chi sa parlare a un pubblico profano e lo sa fare magari in una maniera che è anche piacevole. Le serate a teatro erano davvero quasi serate teatrali che comprendevano la musica di Nadio Marenko, uno straordinario fisarmonicista, ha fatto gli ultimi dischi di Guccini, un grande produttore, un grande musicista in giro per tutto il mondo e che ogni sera a teatro aiutava a introdurre gli argomenti suonando le sue straordinarie musiche o anche dei pezzi famosi, conosciuti, però interpretati con la fisarmonica che crea un’atmosfera molto particolare. Poi c’erano i momenti di umorismo, insieme a Francesco Lancia e Chiara Galeazzi, che ci aiutavano a concludere la serata anche con un sorriso, anche avendo parlato di argomenti seri e a volte anche in qualche caso che riguardano crisi ed emergenze che il nostro pianeta sta e deve affrontare, la nostra specie soprattutto deve affrontare. Poi l’altro progetto che ho lanciato quest’anno e che tornerà nell’autunno e nell’inverno e inizierà addirittura a girare un po’ in tutta Italia, è uno spettacolo dedicato a Charles Darwin, che ho scritto insieme a Telmo Pievani, che tutti conosciamo, biologo, naturalista, evoluzionista e tra i massimi esperti della figura di Darwin. Portare Darwin a teatro, raccontare non solo come ha raggiunto la sua scoperta, che è affascinante, ma anche che cosa significa questa scoperta della teoria dell’evoluzione per tutti noi, per ciascuno di noi, è assolutamente fondamentale per capire il nostro posto nel mondo, nell’universo e risponde ancora una volta a quelle domande profonde che tutti noi ci facciamo, da dove veniamo e chi siamo e che cosa probabilmente sarà di noi. Quindi ritorna tutto, come vedi, è tutto legato. E non vedo l’ora di ritornare perché l’esperienza del teatro è molto emozionante, a differenza dei video che fai sui social. A differenza della televisione o dei libri che scrivi. Andare a teatro vuol dire presentare qualcosa in maniera diretta a un pubblico che ha delle reazioni istantanee e tu le vedi, le senti. Lo senti il pubblico di fronte alle cose che dici, le cose che fa, le reazioni che ha, gli applausi che poi arrivano alla fine, i commenti delle persone che ti avvicinano alla fine di uno spettacolo, magari emozionate per quello che hanno sentito, è veramente un’esperienza che non vedo l’ora di ripetere.
25 aprile 2024. Siamo a New York City e abbiamo incontrato Antonio Monda, scrittore, critico cinematografico, docente alla NYU ed ex direttore artistico della Festa del cinema di Roma.
Buongiorno Antonio e bentornato a New York. Tu sei arrivato in America e in particolare a New York circa trent’anni fa. Come mai hai scelto l’America e proprio New York come luogo in cui vivere? Cosa ti ha spinto e ti ha attratto qui?
Sono arrivato in America, a New York, trent’anni fa precisi: a marzo 1994. Era ed è un paese che mi è sempre piaciuto, mi ha attratto fin da quando ero piccolo.
Le tue grandi passioni, Antonio, sono fondamentalmente due: la letteratura e il cinema: Le hai sempre avute fin da bambino oppure sono maturate in età più adulta, subito dopo l’adolescenza? Come sono nate?
Ho sempre amato il cinema, in particolare quello americano, soprattutto quello della fine degli anni Settanta e degli anni Ottanta. E di New York mi ha sempre affascinato il fatto che fosse la città più popolosa del mondo. Anche se oggi non lo è più, il fatto che fosse la capitale del mondo. In quel periodo, una trentina d’anni fa, stavo preparando un documentario su Isaac Singer e quindi letteratura e cinema sono passioni che ho sempre coltivato. Ho perso mio padre quando ero un ragazzino di quindici anni e l’amore per il cinema e per la letteratura nascono dall’amore che avevo per mio padre che mi portava spesso al cinema. Continuare a occuparmi di letteratura e di cinema è stato un modo per continuare a celebrare mio padre.
Ho letto che all’università quando eri studente in Italia hai fatto giurisprudenza e non lettere o lettere con indirizzo storia del cinema. Eri destinato a una carriera da avvocato che però non amavi particolarmente e per la quale non avevi la vocazione?
All’università ho fatto giurisprudenza su consiglio di mia madre: mio padre faceva l’avvocato e quindi c’era lo studio avviato in famiglia.
Tre registi, non necessariamente italiani o italoamericani, che apprezzi molto e tre che non ami particolarmente.
La mia trilogia sicuramente è composta da Federico Fellini, Charlie Chaplin e John Ford. Quelli che non amo molto sono Jean Luc Godard, Michelangelo Antonioni e Alain Resanis. Invece i miei tre scrittori preferiti sono Isaac Singer, Ernest Hemingway e Jorge Louis Borges.
Ti va di dirmi tre cose che ti piacciono dell’America e di New York?
Dell’America e di New York mi piacciono soprattutto le cose che non ci sono in Italia e a Roma, il fatto che sia un set naturale: la sensazione per chiunque vi arrivi per la prima volta di conoscerla già. L’architettura e quindi i moltissimi grattacieli che non ci sono in Italia. E poi l’energia che pervade la città e che è sempre presente.
Il tuo ultimo romanzo Il numero è nulla è il nono romanzo di una saga – potremmo dire – composta da dieci volumi in ognuno dei quali tu hai raccontato l’America. Come ti è venuta l’idea di questo progetto? Possiamo dire che tutti questi dieci volumi poi alla fine compongono un unico grande volume sull’America con molte storie che si intrecciano?
I miei dieci romanzi su New York e sull’America sono e compongono un unico grande romanzo come hai detto tu: un unico grande volume composto da dieci libri ognuno dei quali rappresenta un capitolo.
In uno dei tuoi primi libri La magnifica illusione, Fazi 2003, che non manca nella mia biblioteca, ti soffermi, tra gli altri, su due film che hanno avuto molto successo ma che sono stati molto controversi e suscitarono molte polemiche quando uscirono: La passione di Cristo e Fahrenheit 9/11. La passione di Cristo, di Mel Gibson 2004, dalla cui uscita in sala sono passati vent’anni, forse ancora oggi è l’opera religiosa sul grande schermo più controversa e più discussa che ci sia mai stata. Ricordo che Furio Colombo scrisse: “è un film pornografico che dovrebbe essere vietato ai bambini…che si segnala più alla storia della psichiatria che a quella del cinema…” Un film che fu definito da Furio Colombo oltrechè pornografico anche blasfemo. “Blasfemo soprattutto in questo: invece di lavare i peccati del mondo, in questo film la interminabile tortura di Cristo serve a elencare a una a una le colpe degli ebrei e la loro inevitabile condanna…”Per quanto riguarda invece il film Fahrenheit 9/11 di Michael Moore, uscito nel 2004, si tratta, forse, di una pellicola che ha cambiato il modo di fare cinema, almeno per quanto riguarda gli action movies nell’uso delle immagini, delle inserzioni, dei ralenti.
Per quanto riguarda The Passion sicuramente bisogna dire che è costruito mettendo in evidenza la sola sofferenza fisica. Poi capisco la critica di Furio Colombo perché in effetti Mel Gibson dopo il film pronunciò frasi francamente antisemite. Per quanto riguarda Michael Moore bisogna dire che ha sempre avuto uno sguardo critico sulla società americana ed è sempre stato un regista provocatorio.
In questi giorni ci sono manifestazioni di studenti in tutte le università, anche alla Columbia University. A novembre ci saranno le elezioni per il Presidente. In genere gli intellettuali, gli scrittori, gli artisti in queste circostanze prendono posizione e organizzano iniziative. Come si sono organizzate e quali iniziative stanno facendo “le voci del dissenso” – per usare un’espressione di Fiamma Arditi di qualche tempo fa in un suo libro Fazi – Le voci del dissenso – che in genere sono voci non allineate che raccontano un’altra America, quella creativa, desiderosa di pace e che cerca di combattere con l’arte e con l’impegno civile quello che una volta veniva definito l’imperialismo di molti suoi governanti?
Io credo che sia importante dare voce a qualunque tipo di dissenso, che si possa criticare senza problemi il governo di Benjamin Netanyahu, ma non accetto l’idea che dalla critica al governo Netanyahu si passi antisemitismo.
Grazie Antonio. Alla prossima!
Francesco Neri
Francesco Neri è giornalista professionista dal 2002. Ha frequentato la scuola di giornalismo della Luiss di Roma. Ha lavorato come redattore per la casa editrice Editalia, per il quotidiano Il Manifesto, per Il Diario della settimana di Enrico Deaglio, per le pagine romane del quotidiano La Stampa, per l’agenzia Adnkronos. Collaboratore della rivista online Transizione.net. Docente a contratto presso l’università La Sapienza. E’ stato direttore responsabile del giornale POLIZIA E DEMOCRAZIA, versione cartacea e online. Ha lavorato e lavora per la RAI, Giornale radio, Unomattina, Ballarò, LaGrande Storia, Caterpillar estate, Prima Pagina, Tutta la città ne parla. E’ inoltre autore Rai, televisivo e radiofonico, e conduttore delle trasmissioni della Rai Passioni e Vite che non sono la tua in onda su Rai Radio Tre. Ha curato il volume Dal nostro inviato, uscito da Editori Riuniti e ristampato da Bulzoni. Ha firmato, insieme al magistrato Catello Maresca, il libro uscito da Garzanti L’ultimo bunker, la storia della cattura del capo dei capi del clan dei Casalesi Michele Zagaria, successivamente raccontata in televisione dalla trasmissione La tredicesima ora di Carlo Lucarelli e dalla fiction televisiva di Rai Uno Sotto copertura 2.
“ Non c’è viaggio senza che si attraversino frontiere – politiche, linguistiche, sociali, culturali, psicologiche, anche quelle invisibili che separano un quartiere da un altro nella stessa città, quelle tra le persone, quelle tortuose che nei nostri inferi sbarrano la strada a noi stessi.
Oltrepassare frontiere; anche amarle – in quanto definiscono una realtà, un’individualità, le danno forma, salvandola così dall’indistinto – ma senza idolatrarle, senza farne idoli che esigono sacrifici di sangue.
Saperle flessibili, provvisorie e periture, come un corpo umano, e perciò degne di essere amate; mortali, nel senso di soggette alla morte, come i viaggiatori, non occasione e causa di morte, come lo sono state e lo sono tante volte.”
da L’infinito viaggiare di Claudio Magris (Mondadori, 2005)