A Napoli un tour letterario dedicato a Márai Sándor, di Mariarosaria Sciglitano

Sándor Márai visse a Napoli, nel borgo di Santo Strato a Posillipo, dal 1948 al 1952, un periodo che descrisse come tra i più belli della sua vita. Da Napoli, l’autore ungherese, esule a causa dell’invasione sovietica del suo paese, trasse l’ispirazione per scrivere “Il sangue di San Gennaro”, il romanzo che ha come cornice e protagonista la cultura, i paesaggi e l’umanità del popolo napoletano. Ed è da Napoli, passando per Capri e Sorrento, che da mercoledì 3 settembre parte un tour letterario dedicato a Márai Sándor in compagnia della storica della letteratura ungherese Juhász Anna e della traduttrice e giornalista Mariarosaria Sciglitano. Il tour si concluderà sabato 6 settembre alla libreria Feltrinelli di piazza dei Martiri a Napoli, dove dalle 18,30 si parlerà anche di letteratura ungherese contemporanea. Inutile dire che noi Randagi ci saremo!

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«A Pasqualino, perché aveva sei anni e ogni mattina portava giù l’immondizia, al pescatore monco, perché ammansiva il mare, a santo Strato, perché proteggeva il palazzo e i malati» (da Sándor Márai Il sangue di San Gennaro)

Parte da Napoli il successo mondiale dello scrittore ungherese Sándor Márai grazie a un libro che molti ricorderanno: Le braci (Adelphi, 2008, oggi alla 23ª edizione, tradotto in oltre 30 paesi), ma soprattutto grazie alla grande cura e competenza della sua traduttrice, Marinella D’Alessandro, docente di letteratura ungherese all’Istituto Universitario Orientale (oggi: Università di Napoli L’Orientale), ora in pensione, la persona alla quale devo la mia passione per l’Ungheria e la mia professione di traduttrice. Secondo Pietro Citati «…un libro straordinario per grandezza d’ispirazione e intensità di stile, da mettere accanto ai pochi libri bellissimi della sua epoca».

Le braci, risulta essere uno dei cinque titoli più venduti di sempre del catalogo Adelphi, ma nel corso di questo primo tour napoletano – che parte oggi e termina sabato alla Feltrinelli – ci soffermeremo anche e soprattutto su Il sangue di San Gennaro (Adelphi, 2010, trad. di A. D. Sciacovelli), ambientato a Napoli, città nella quale Márai visse tra il 1948 e il 1952, anni che ricorderà nei suoi diari come i più belli della sua vita. 

Ecco alcuni brani che, a mio avviso, lasciano intuire lo sguardo dello scrittore sulla città alla quale rimarrà legato per tutta la vita. 

[Il venditore di noccioline] A dire il vero non ama vendere, è un aspetto della sua attività che lo infastidisce. Sopra ogni cosa gli piace salutare: i clienti, i conoscenti che passano da quelle parti, il conducente del filobus. A salutare è bravissimo. Il busto che si piega appena in avanti sulla sdraio – senza mai sollevarsi troppo – il braccio alzato con noncuranza, il sorriso che rivela le gengive sdentate e annerite dalla nicotina nella cornice del volto non rasato: tutto ciò fa parte della sua attività, ma significa di più, e ben altro. Anche la Città ha avuto origine da un sorriso di tal fatta, il sorriso aristocratico. Così come la Vita Pubblica, quando i suoi avi, i coloni greci, sbarcarono tremila anni fa nella vicina Cuma. Forse, razionalmente, quest’uomo lo ignora, ma il suo cuore lo sa. Gli stranieri non possono far nulla contro la mitezza e la cortesia. I saraceni sono stati conquistati e scacciati dalla mitezza, come di recente i tedeschi e gli americani. Tutti loro, giunti su queste coste con le armi, se ne sono allontanati confusi, incapaci di fronteggiare un sorriso cortese.

(Il sangue di San Gennaro, pp. 59- 60)

Il pescivendolo arriva di primo mattino da Pozzuoli. Pure lui canta, giù nel giardino, come il postino e il venditore di legumi e frutta, come quell’altro che regge in capo il canestro con il pane. Perché vanno e vengono, sono sempre in movimento, sempre attivi. Nel mondo hanno fama di essere pigri. Ma non è vero.

Dall’alba alla mezzanotte sono sempre in giro a cercare lavoro. Non hanno tempo per lavorare, perché cercano lavoro. Certo, il lavoro lo disprezzano. Non lo ritengono un obiettivo esistenziale, né una soluzione. Si limitano a eseguirlo, quando ne trovano uno, con grande perizia e sensibilità manuale. Le diverse possibilità dell’uomo – l’azione, la creazione, il lavoro – li interessano solo da un punto di vista teorico. Non sono abbastanza crudeli per agire. E sono troppo stanchi per creare, perché hanno sprecato tutte le loro energie nel Rinascimento. No, non ammettono che il lavoro possa costituire una ragione di vita. Quello che veramente amano è l’attività.

Sono instancabilmente attivi. Attivi come gli uccelli che volano in circolo sotto l’oro del cielo azzurro. Sanno che l’attività non è azione. Né creazione. Né lavoro. Essere attivi è modificare le opportunità offerte dal momento. Ed è questo che sanno fare bene.

(Il sangue di San Gennaro, pp. 50- 51)

Non potendo ricevere la cittadinanza italiana, sarà in effetti costretto a lasciare Napoli e l’amato rifugio di via Nicola Ricciardi a Posillipo, per recarsi in America dove però non riuscirà ad attendere il momento storico delle prime elezioni libere in Ungheria nella primavera del ’90. A fine agosto del ’48, abbandonando il suo paese per motivi politici, aveva disposto che da quel momento le sue opere venissero pubblicate in Ungheria solo dopo le eventuali e tanto attese elezioni libere. 

Morirà suicida a 89 anni nel 1989 a San Diego, in California.

Mariarosaria Sciglitano

Mariarosaria Sciglitano: ha ottenuto la cittadinanza ungherese per chiari meriti. Traduttrice, giornalista, PhD in letteratura comparata, ha tenuto corsi di letteratura italiana contemporanea e di traduzione letteraria dall’ungherese all’Università ELTE di Budapest. Ha insegnato italiano come lettrice madrelingua all’Università Corvinus di Budapest per circa un trentennio; ha svolto corsi di lingua italiana livello avanzato all’Istituto Italiano di Cultura per l’Ungheria per un ventennio.
È stata docente a contratto all’Università di Firenze – FORLILPSI tra il 2020 e il 2024, dove ha condotto un Laboratorio di traduzione tecnica e di traduzione letteraria dall’ungherese, e cultrice della materia (Letteratura ungherese), all’Università di Cassino e del Lazio Meridionale.
Ha collaborato alla comunicazione della Stagione Ungherese in Italia del 2002 e del 2013; con l’Ambasciata d’Italia in Ungheria ha curato la redazione di programmi radiofonici sulle eccellenze italiane; si è occupata di PR tra Università Corvinus di Budapest e istituzioni italiane in Ungheria.
Membro della Federazione Nazionale dei Giornalisti Ungheresi (MÚOSZ) dal 1995, collabora con media italiani (la Repubblica, il Manifesto, il Sole 24 Ore, RAI, Radio Popolare, Radio Mir) e ungheresi (ÉS, HVG, MTI, TV2, Magyar Rádió) occupandosi di cultura.
È stata giornalista accreditata presso il Ministero degli Esteri d’Ungheria per Radio Rai, Rassegna sindacale e Il Manifesto.
Svolge attività di consulenza per la traduzione letteraria dall’ungherese all’italiano presso l’Istituto Balassi, e continua a svolgerla presso il Petőfi Literary Fund. Collabora come consulente madrelingua per l’Italianistica con l’Ufficio Scolastico Nazionale – Oktatási Hivatal.
Traduce per editori come Garzanti, Feltrinelli, Bompiani, Il Saggiatore, Marsilio, Marietti, Neri Pozza, Hopefulmonster e altri sia italiani sia stranieri, conseguendo il riconoscimento per la traduzione “Frankfurt ’99”, nel 1997; il premio Déry Tibor per la sua attività di traduttrice nel 2018; il premio MIBACT – Fondo per il potenziamento della cultura e della lingua italiana all’estero nel 2020.
Ha curato la traduzione dall’ungherese e dall’inglese all’italiano di numerose sceneggiature letterarie e la sottotitolazione dei relativi film, nonché di opere teatrali.
Svolge regolarmente lavori editoriali di revisione, correzione, editing, nonché di organizzazione di eventi culturali tra Italia e Ungheria.

La capacità di narrare il visibile e l’invisibile nei racconti di Floriana Coppola, di Cristiana Buccarelli

Floriana Coppola, scrittrice e poetessa napoletana, si occupa da un ventennio di narrativa e di poesia. Tra i suoi romanzi voglio ricordare La bambina, il carro e la stella (Edizioni Terra d’Ulivi 2021), dove la protagonista è una bambina rom che diventerà una grande musicista e la cui storia, che mi ha molto emozionata per questo suo essere ai margini e vivere una condizione di smarrimento, da cui poi riesce ad emanciparsi totalmente, si ricongiunge, a mio avviso, ai temi affrontati nei racconti dell’ultima raccolta dell’autrice: Nero Blues (La valle del tempo 2024). 

Infatti anche in questi ultimi racconti si parla di personaggi ai margini: c’è molto spesso un riferimento a condizioni di vita difficili, a volte anche distopiche e a un senso di disagio sociale; non a caso nella premessa alla raccolta l’autrice si riferisce alla parola tedesca ‘’unheimlich’:

Ora, perturbante, si rende in tedesco come unheimlich, ovvero letteralmente ciò che ti porta via dal centro del fuoco… 

I personaggi protagonisti di Nero Blues hanno molto spesso un problema da affrontare, qualcosa che li porta via ‘dal centro del fuoco’, da una condizione di vita tranquilla, come ad esempio il caso di un viaggio di emigrazione, di una malattia, del carcere, della violenza domestica, di un amore tossico, dell’aver avuto una madre difficile, dell’essere sopravvissuti a un incidente aereo, di un inizio di alzheimer, di una pandemia, di una sclerosi multipla. L’autrice ha la capacità di calarsi psicologicamente all’interno delle condizioni di vita di questi personaggi e in tal modo ci racconta, attraverso di essi, la complessità dell’essere umano e quanto il disagio sociale e fisico possa essere funzionale a un percorso di ricerca spirituale e interiore.

Ho chiesto a Floriana se questa operazione di immersione nella sofferenza dell’altro e la condivisione empatica di questi vissuti, le abbiano lasciato una traccia addosso.

E lei mi ha risposto: << per me ogni scrittura sia in narrativa che in poesia, da quando me ne occupo, non esula dal percorso del dolore altrui, dall’empatizzare con le storie degli oppressi, degli ultimi, di coloro che non hanno voce. 

Credo in una letteratura che non abbia in sé un aspetto né consolatorio né descrittivo, ma che sia un’immersione psico-esistenziale nel mondo interiore degli altri. Di conseguenza letteratura e psicoanalisi sono assolutamente intrecciate e per questo motivo le mie storie partono sempre da una convergenza profonda tra l’io narrante e l’io del personaggio che scelgo come se fosse una sorta di specchio, il rappresentante di una complessità che appartiene all’umano e in tal senso opero per una forma di scrittura trasformativa interrogativa e speculativa, mai consolatoria.>>   

C’è un altro elemento, a mio avviso molto interessante nelle narrazioni di Floriana Coppola ed è il fantastico. Questi personaggi subiscono spesso alla fine del racconto uno spostamento, una mutazione, di frequente subentra l’elemento del surreale, che appare come un espediente letterario improvviso che il lettore non si aspetta.

Ad esempio nel racconto Partenope c’è una donna che racconta a un amico un sogno molto inquieto, legato alla possibile distruzione di Napoli, e alla fine della storia entrambi si trasformano in creature marine:

un richiamo imperioso verso gli abissi li spingeva a tuffarsi

Invece nel caso del racconto Migranti, dove l’autrice riesce a descrivere con grande visività un viaggio terribile, crudo e veritiero, come se lei stessa ne avesse una memoria emotiva, la migrante protagonista a un certo punto si riferisce a una mutazione fantastica in un branco di creature marine:

Non eravamo pesci, non eravamo uccelli

In un altro racconto non c’è la mutazione ma è sicuramente presente l’elemento del surreale: si tratta della storia del guardiano di un Castello sul mare. Alla fine del  monologo il lettore scoprirà che questo personaggio è in vita da quasi quattro secoli. Qui si assiste a una fusione tra il tempo di invecchiamento della persona e il tempo millenario e stratificato del Castello, inoltre il protagonista è un grande sognatore fuori dal mondo, forse anche lui in qualche maniera ai margini, e mi ha ricordato per alcuni tratti un racconto di Mary Shelley, L’immortale

Ho chiesto dunque a Floriana cosa rappresenta per lei l’elemento del fantastico in letteratura.

Mi ha risposto così: << quando parlo di fantastico per me non si tratta di pura fantasia ma di immaginazione performativa, cioè di capacità di narrare ciò che è visibile ma anche ciò che è invisibile. Slittare sul piano della surrealtà è fondamentale in tutti i miei libri, e in ogni mio romanzo c’è un riferimento al surreale; ad esempio in Donna creola e gli angeli del cortile (Ed. La Vita felice) c’è l’immagine di questa donna creola che è una profetessa, una sciamana, così anche ne La bambina il carro e la stella (Ed. Terra d’Ulivi) c’è il riferimento alla preveggenza della nonna e di conseguenza anche in questi ultimi racconti il fantastico è il performativo: cioè è quell’elemento che aiuta ad entrare in un’altra dimensione. Tutti gli escamotage fantastici dei miei racconti sono l’allegoria di un’altra dimensione.

È proprio attraverso questo elemento del surreale che molti di questi personaggi si salvano, si liberano dalla propria sofferenza, dal loro smarrimento, ottengono una redenzione.

E quindi le ho posto una terza domanda: <<Tu credi che la fantasia, l’immaginazione, possano nella realtà essere una formula per superare lo smarrimento e la sofferenza del vivere?>>

<<Fantasia e immaginazione non superano lo smarrimento del vivere, la letteratura è l’espressione di uno sguardo che si allarga, sente e percepisce in una maniera direi ‘cosmica’ il dolore dell’essere al mondo, la letteratura amplifica lo smarrimento e proprio in questo ci rende più umani in una visione non più antropocentrica ma capace di connettersi alla natura e al tutto>>.

Cristiana Buccarelli  

Cristiana Buccarelli è dottore di ricerca in Storia del diritto romano. Ha vinto nel 2012 la XXXVIII edizione del Premio internazionale di Poesia e letteratura ‘Nuove lettere’ presso l’Istituto italiano di cultura di Napoli. Ha pubblicato la raccolta di racconti Gli spazi invisibili (La Quercia editore) nel 2015, il romanzo Il punto Zenit (La Quercia editore) nel 2017 ed Eco del Mediterraneo (IOD Edizioni) nel 2019. Con Eco del Mediterraneo (IOD Edizioni) ha vinto per la narrativa la V edizione del Premio Melissa Cultura 2020 e la IV edizione Premio Internazionale Castrovillari Città Cultura 2020. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo storico I falò nel bosco (IOD Edizioni) con cui ha vinto per la narrativa la XVI edizione del Premio Nazionale e Internazionale Club della poesia 2024 della città di Cosenza. Nel 2023 ha pubblicato il romanzo Un tempo di mezzo secolo (IOD Edizioni) con il quale è stata finalista per la narrativa all’XI edizione del Premio L’IGUANA- Anna Maria Ortese 2024. Conduce da svariati anni laboratori e stage di scrittura narrativa. 

“Come la luce dell’alba” – Omaggio a Pio Russo Krauss, di Guido Liotti

Come la luce dell’alba” di Pio Russo Krauss: un racconto sincero sulla necessità di difendere la Bellezza del nostro territorio e dare respiro all’Amore sincero per l’altro. Un’opera che assume ora a pochi giorni dalla scomparsa del suo autore il ruolo di testamento pratico per applicare i principi dell’enciclica “Laudato si'” e costruire speranza partendo dai nostri territori e per tutta la Terra.

Pio Russo Krauss scomparso da pochi giorni è stato medico educatore in ambito sanitario ed ambientale con un forte impegno in ambito sociale ed ecclesiale, é stato presidente del Centro Culturale Giovanile, militante di associazioni ambientali e e pacifiste. E’ fondatore e Presidente dell’Associazione “Marco Mascagna”. 

Con la sua pacata fermezza ha vinto battaglie per la salute e l’ambiente in diversi luoghi della citta’ di Napoli.

Ho avuto personalmente la fortuna di affiancarlo spesso o meglio ancora trovarlo al mio fianco almeno a partire dal 1982, anno in cui da studente alle superiori fui eletto a rappresentare tutto l’Istituto per un progetto di educazione ambientale innovativo per quegli anni e che vedeva lui educatore esterno alla guida.

Per tutti gli amici di vita e di battaglie presenti al suo gremito e sereno funerale è risultato evidente il peso che ora assume questa sua prima e tristemente ultima opera letteraria.

Un testamento non autobiografico, ma per tutti e non solo per chi lo ha conosciuto bene ma anche per chi abbraccerà questo testo all’oscuro di tutto, sarà evidente che si tratta solo di un espediente la scelta narrativa adottata. L’opera comunica con chiarezza un potente e personale vissuto innalzato fin dalle prime soluzioni narrative in un pretesto molto concreto per presentarci una potente e contaminata visione della vita. Un’opera che merita una grandissima diffusione soprattutto nelle scuole in questo tempo.

In “Come la luce dell’Alba” quindi il tratto autobiografico e la finzione del romanzo si presentano in un’interessantissima miscela. La storia, ambientata esattamente 50 anni fa, parla con forza al nostro tempo anche se il contesto locale e nazionale descritto con precisione ci riporta a quegli anni come un esperienza profondamente immersiva. Il romanzo avvincente con una densa struttura che incuriosisce ed emoziona fino alle ultime pagine grazie anche ad un parterre di personaggi per niente banali risulta come già dicevamo al contempo quasi un compendio, applicato al nostro territorio, dei contenuti dell’enciclica “ Laudato Si’” di Papa Francesco. L’autore affida molto della sua esperienza di vita a diversi personaggi immaginari e non solo al protagonista.

In una Chiesa ancorata a vecchie logiche di potere a braccetto con la DC, nei mesi del referendum per il divorzio, durante la crisi petrolifera e la caduta di Franco in Spagna quasi per inerzia, siamo a cavallo tra ’73 e ’74, Sergio, un giovane prete agostiniano colto e coraggioso, compie una piccola rivoluzione collettiva ed infine profondamente personale in una sconosciuta periferia di Napoli occidentale. La storia infatti è ambientata nel quartiere di Pianura che in quegli anni, ma per certi versi ancora adesso, si caratterizza per la ruralità. 

I mostri da combattere fin da subito sono tanti, una Camorra a braccetto con una pessima borghesia e tollerata nei fatti anche dai governanti della città, pronta a sventrare per sempre quel territorio scacciando i suoi indifesi ospiti contadini, il vero presidio della bellezza di quel territorio oltre ad una piccola comunità ancora più debole; un tema nel tema sulle tolleranze e la conoscenza ed il rispetto dell’altro. Si aggiungono, seguendo la narrazione, il tema dell’ignavia che a volte si sviluppa in buona fede ma può creare danni irreparabili, quello del dogma della Chiesa che non aiuta l’applicazione della vera parola del Cristo oltre ad un tema scabroso trattato con molta sensibilità e saggezza dall’autore.

Sullo sfondo della vicenda che si dipana in pochi mesi sentiamo sempre il respiro della natura e le sue stagioni ancora ben definite in quei tempi con un autunno avvolgente, un inverno cupissimo e piovoso ed una primavera che stenta ad arrivare ma che esploderà con tutto il suo Amore nel finale.

L’effetto devastante alla base del racconto, personalmente l’ho potuto osservare direttamente sul luogo nell’immediato post-terremoto. In quella fase l’argine sul dilagare della speculazione edilizia che i protagonisti della storia difendevano insieme a WWF e Italia Nostra con un Antonio Iannello, unico omaggiato con una sua presenza reale oltre al Sindaco dell’epoca, ed una Coldiretti ed il Partito Comunista soggetti che risultavano ancora un riferimento utile, si ruppe quasi definitivamente.

Oggi non è tutto perduto a ben vedere qualche brano di quella ruralità di qualità resiste ancora e va fortemente tutelato. 

Il libro è edito da La Valle del Tempo, Napoli. 

Guido Liotti

Guido Liotti è nato e vive a Napoli. Educatore ambientale e facilitatore di processi partecipati da anni impegnato sul tema della valorizzazione dei paesaggi urbani, prima con il WWF Italia e diversi enti pubblici ed in seguito con l’associazione Lo Sguardo che Trasforma. curando, in veste di regista, attore e autore, eventi riferibili al genere Teatro di paesaggio.Nel 2004 ha contribuito all’adesione della citta’ di Napoli in delega del Sindaco agli Aalborg Commitements per l’aggiornamento della Carta di Aalborg per le Citta’ Europee Sostenibili e partecipate. Ha curato due edizioni del Concorso Nazionale di Progettazione Partecipata e Comunicativa INU WWF e ANCI e la Campagna Educativa del Ministero dell’Ambiente per Le Citta’ Sostenibili a misura di Bambine e di Bambini. Dal 2005 al 2009 ha ideato e gestito lo Sportello Informativo e Partecipativo del Parco Regionale Metropolitano delle Colline di Napoli e ha contribuito alla costituzione del Coordinamento Scale di Napoli, del Comitato il Bosco e la Duna per la tutela della Foresta di Cuma e l’avvio del Quartiere Intelligente a Montesanto. Di recente ha partecipato in qualità di facilitatore ai lavori degli Stati Generali del Turismo Sostenibile di Pietrarsa a cura del MIBAC e fa parte del comitato dei 100 di Green Italia.

Valeria Jacobacci: “La stamperia dei libri proibiti” (La valle del tempo), di Silvio de Majo

Il romanzo storico è decisamente nelle corde di Valeria Jacobacci. E lo è ancora di più quello che delinea la vita, i tormenti, gli amori di figure femminili che appartengono al passato di Napoli. Muovendosi fra Settecento e Ottocento, ha scritto due libri: uno pubblicato nel 2002, “Io, Teresa Filangieri”, che racconta la vita della figlia del generale Carlo, e quindi della nipote del grande giurista Gaetano, una esponente della nobiltà che profuse grande impegno in una serie di iniziative umanitarie nei confronti dei derelitti di Napoli nel XIX secolo, sia nell’epoca borbonica, sia soprattutto in quella postunitaria; l’altro, pubblicato nel 2005, intitolato “Passioni giacobine”, trascina il lettore dentro il 1799, ricostruendo le vite e gli amori di donne e uomini vissuti a cavallo della rivoluzione napoletana. 

    In seguito  Valeria ha scoperto il Cinquecento e vi è entrata dentro con tutta se stessa, fornendo un pregevole esempio del giusto e suggestivo rapporto tra storia e letteratura. E’ il secolo del Rinascimento, delle corti, dei nomi celebri e dei grandi eventi , della asperrima lotta tra le due superpotenze dell’epoca, la Francia e la Spagna, della Riforma protestante e della Controriforma, del nepotismo papale, in cui un ragazzo di 14 anni, Alessandro Farnese, uno dei personaggi su cui ruota il romanzo che qui si presenta, viene fatto cardinale dal nonno, papa Paolo III.

   E Valeria questo secolo lo sente suo, come suo lo sentiva Maria Bellonci, autrice del bel romanzo “Rinascimento privato”, dato alle stampe nel 1986 e insignito del Premio Strega l’anno successivo. Come è noto è la vita , raccontata in prima persona, di Isabella d’Este, marchesa di Mantova (in quanto moglie di Francesco Gonzaga) , straordinario esempio di donna colta e raffinata, di sovrana illuminata nell’Italia delle Signorie. E’ la stessa Isabella che Valeria immagina abbia salvato dal sacco di Roma del 1527 la neonata Settimia Jacobacci, la protagonista del nostro romanzo, e, orfana, l’abbia portata con sé per allevarla nell’eleganza e nella ricercatezza della sua corte. Settimia è pertanto come Isabella donna colta, amante della poesia e della musica, indagatrice dell’animo umano, aperta a esperienze diverse da quelle canoniche riservate alle donne: mogli e madri.

  Nel romanzo non mancano mirabili intrecci e suggestivi incastri e la vicenda raccontata si svolge tra la Napoli del Viceré duca d’Alba, dove Settimia con il marito Renzo porta avanti una casa editrice, la Roma in cui è dominante la figura del cardinale Farnese, ormai quarantenne, di cui Settimia è (non tanto) segretamente innamorata, la Rotterdam luterana dove si rifugiano Luca, ex amante di Settimia, e i suoi amici, gli Adelfi, fautori immaginari di un cattolicesimo diverso di impronta erasmiana, e infine la Parigi e la Francia della regina Caterina de’ Medici e della nobiltà legata alla corona, da cui scaturisce l’infame Claude Gouffier, il Barbablù della nota fiaba di Perrault, che il romanzo svela come sia in realtà un personaggio storico.

     Con Settimia altre donne e le loro storie occupano gli spazi letterari e storici del romanzo: Pudentilla, la compagna di Annibal Caro, segretario del cardinale Farnese, dedita all’arte medicinale è amica carissima di Settimia; Nencia, la moglie e salvatrice di Luca; Claude de Beaune, quarta moglie del marchese Claude Gouffier, vittima del marito, ma anche del cinismo della regina e di Alessandro Farnese, suo antico amante e padre della sua figlioletta, che il cardinale non ha esitato a sottrarle. Sono quattro eroine, non tutte appartenenti al modo ricercato delle corti rinascimentali, perché Nencia appartiene alle classi subalterne, ma con intelligenza e spirito di iniziativa riesce a contrastare  gli eventi avversi ed anzi a trarne profitto, a basare su di essi la propria fortuna.

    Con queste donne e in particolare con Settimia, l’autrice è estremamente solidale e non solo perché crede fermamente di succederle, come il cognome suggerisce, ma perché si immedesima empaticamente con tutte le loro storie, i loro appassionati amori, i successi e gli insuccessi, le vittorie e le atroci sconfitte. Rappresentano tutte, pur nelle loro diversità, il suo modello di donna.

Silvio de Majo

“La stamperia dei libri proibiti” sarà presentato a Napoli, nell’ambito di Napoli Città Libro, il 14 giugno alle ore 17.00.

Valeria Jacobacci, scrittrice e pubblicista, è appassionata conoscitrice di storia partenopea e di biografie, spesso femminili, di donne che hanno caratterizzato i loro tempi. Si è interessata alla Rivoluzione Napoletana, al passaggio dal Regno borbonico all’Unità, al secolo “breve”, racchiuso fra due guerre. Ha pubblicato numerosi articoli, saggi e romanzi.