Sándor Márai visse a Napoli, nel borgo di Santo Strato a Posillipo, dal 1948 al 1952, un periodo che descrisse come tra i più belli della sua vita. Da Napoli, l’autore ungherese, esule a causa dell’invasione sovietica del suo paese, trasse l’ispirazione per scrivere “Il sangue di San Gennaro”, il romanzo che ha come cornice e protagonista la cultura, i paesaggi e l’umanità del popolo napoletano. Ed è da Napoli, passando per Capri e Sorrento, che da mercoledì 3 settembre parte un tour letterario dedicato a Márai Sándor in compagnia della storica della letteratura ungherese Juhász Anna e della traduttrice e giornalista Mariarosaria Sciglitano. Il tour si concluderà sabato 6 settembre alla libreria Feltrinelli di piazza dei Martiri a Napoli, dove dalle 18,30 si parlerà anche di letteratura ungherese contemporanea. Inutile dire che noi Randagi ci saremo!

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«A Pasqualino, perché aveva sei anni e ogni mattina portava giù l’immondizia, al pescatore monco, perché ammansiva il mare, a santo Strato, perché proteggeva il palazzo e i malati» (da Sándor Márai Il sangue di San Gennaro)
Parte da Napoli il successo mondiale dello scrittore ungherese Sándor Márai grazie a un libro che molti ricorderanno: Le braci (Adelphi, 2008, oggi alla 23ª edizione, tradotto in oltre 30 paesi), ma soprattutto grazie alla grande cura e competenza della sua traduttrice, Marinella D’Alessandro, docente di letteratura ungherese all’Istituto Universitario Orientale (oggi: Università di Napoli L’Orientale), ora in pensione, la persona alla quale devo la mia passione per l’Ungheria e la mia professione di traduttrice. Secondo Pietro Citati «…un libro straordinario per grandezza d’ispirazione e intensità di stile, da mettere accanto ai pochi libri bellissimi della sua epoca».
Le braci, risulta essere uno dei cinque titoli più venduti di sempre del catalogo Adelphi, ma nel corso di questo primo tour napoletano – che parte oggi e termina sabato alla Feltrinelli – ci soffermeremo anche e soprattutto su Il sangue di San Gennaro (Adelphi, 2010, trad. di A. D. Sciacovelli), ambientato a Napoli, città nella quale Márai visse tra il 1948 e il 1952, anni che ricorderà nei suoi diari come i più belli della sua vita.
Ecco alcuni brani che, a mio avviso, lasciano intuire lo sguardo dello scrittore sulla città alla quale rimarrà legato per tutta la vita.
[Il venditore di noccioline] A dire il vero non ama vendere, è un aspetto della sua attività che lo infastidisce. Sopra ogni cosa gli piace salutare: i clienti, i conoscenti che passano da quelle parti, il conducente del filobus. A salutare è bravissimo. Il busto che si piega appena in avanti sulla sdraio – senza mai sollevarsi troppo – il braccio alzato con noncuranza, il sorriso che rivela le gengive sdentate e annerite dalla nicotina nella cornice del volto non rasato: tutto ciò fa parte della sua attività, ma significa di più, e ben altro. Anche la Città ha avuto origine da un sorriso di tal fatta, il sorriso aristocratico. Così come la Vita Pubblica, quando i suoi avi, i coloni greci, sbarcarono tremila anni fa nella vicina Cuma. Forse, razionalmente, quest’uomo lo ignora, ma il suo cuore lo sa. Gli stranieri non possono far nulla contro la mitezza e la cortesia. I saraceni sono stati conquistati e scacciati dalla mitezza, come di recente i tedeschi e gli americani. Tutti loro, giunti su queste coste con le armi, se ne sono allontanati confusi, incapaci di fronteggiare un sorriso cortese.
(Il sangue di San Gennaro, pp. 59- 60)
Il pescivendolo arriva di primo mattino da Pozzuoli. Pure lui canta, giù nel giardino, come il postino e il venditore di legumi e frutta, come quell’altro che regge in capo il canestro con il pane. Perché vanno e vengono, sono sempre in movimento, sempre attivi. Nel mondo hanno fama di essere pigri. Ma non è vero.
Dall’alba alla mezzanotte sono sempre in giro a cercare lavoro. Non hanno tempo per lavorare, perché cercano lavoro. Certo, il lavoro lo disprezzano. Non lo ritengono un obiettivo esistenziale, né una soluzione. Si limitano a eseguirlo, quando ne trovano uno, con grande perizia e sensibilità manuale. Le diverse possibilità dell’uomo – l’azione, la creazione, il lavoro – li interessano solo da un punto di vista teorico. Non sono abbastanza crudeli per agire. E sono troppo stanchi per creare, perché hanno sprecato tutte le loro energie nel Rinascimento. No, non ammettono che il lavoro possa costituire una ragione di vita. Quello che veramente amano è l’attività.
Sono instancabilmente attivi. Attivi come gli uccelli che volano in circolo sotto l’oro del cielo azzurro. Sanno che l’attività non è azione. Né creazione. Né lavoro. Essere attivi è modificare le opportunità offerte dal momento. Ed è questo che sanno fare bene.
(Il sangue di San Gennaro, pp. 50- 51)

Non potendo ricevere la cittadinanza italiana, sarà in effetti costretto a lasciare Napoli e l’amato rifugio di via Nicola Ricciardi a Posillipo, per recarsi in America dove però non riuscirà ad attendere il momento storico delle prime elezioni libere in Ungheria nella primavera del ’90. A fine agosto del ’48, abbandonando il suo paese per motivi politici, aveva disposto che da quel momento le sue opere venissero pubblicate in Ungheria solo dopo le eventuali e tanto attese elezioni libere.
Morirà suicida a 89 anni nel 1989 a San Diego, in California.
Mariarosaria Sciglitano
Mariarosaria Sciglitano: ha ottenuto la cittadinanza ungherese per chiari meriti. Traduttrice, giornalista, PhD in letteratura comparata, ha tenuto corsi di letteratura italiana contemporanea e di traduzione letteraria dall’ungherese all’Università ELTE di Budapest. Ha insegnato italiano come lettrice madrelingua all’Università Corvinus di Budapest per circa un trentennio; ha svolto corsi di lingua italiana livello avanzato all’Istituto Italiano di Cultura per l’Ungheria per un ventennio.
È stata docente a contratto all’Università di Firenze – FORLILPSI tra il 2020 e il 2024, dove ha condotto un Laboratorio di traduzione tecnica e di traduzione letteraria dall’ungherese, e cultrice della materia (Letteratura ungherese), all’Università di Cassino e del Lazio Meridionale.
Ha collaborato alla comunicazione della Stagione Ungherese in Italia del 2002 e del 2013; con l’Ambasciata d’Italia in Ungheria ha curato la redazione di programmi radiofonici sulle eccellenze italiane; si è occupata di PR tra Università Corvinus di Budapest e istituzioni italiane in Ungheria.
Membro della Federazione Nazionale dei Giornalisti Ungheresi (MÚOSZ) dal 1995, collabora con media italiani (la Repubblica, il Manifesto, il Sole 24 Ore, RAI, Radio Popolare, Radio Mir) e ungheresi (ÉS, HVG, MTI, TV2, Magyar Rádió) occupandosi di cultura.
È stata giornalista accreditata presso il Ministero degli Esteri d’Ungheria per Radio Rai, Rassegna sindacale e Il Manifesto.
Svolge attività di consulenza per la traduzione letteraria dall’ungherese all’italiano presso l’Istituto Balassi, e continua a svolgerla presso il Petőfi Literary Fund. Collabora come consulente madrelingua per l’Italianistica con l’Ufficio Scolastico Nazionale – Oktatási Hivatal.
Traduce per editori come Garzanti, Feltrinelli, Bompiani, Il Saggiatore, Marsilio, Marietti, Neri Pozza, Hopefulmonster e altri sia italiani sia stranieri, conseguendo il riconoscimento per la traduzione “Frankfurt ’99”, nel 1997; il premio Déry Tibor per la sua attività di traduttrice nel 2018; il premio MIBACT – Fondo per il potenziamento della cultura e della lingua italiana all’estero nel 2020.
Ha curato la traduzione dall’ungherese e dall’inglese all’italiano di numerose sceneggiature letterarie e la sottotitolazione dei relativi film, nonché di opere teatrali.
Svolge regolarmente lavori editoriali di revisione, correzione, editing, nonché di organizzazione di eventi culturali tra Italia e Ungheria.












