“Quando il mondo dorme”: Francesca Albanese a Sant’Andrea di Conza, di Amedeo Borzillo

“C’è un mondo che dorme un sonno di pietra davanti al genocidio di un popolo intero. Ma questa Piazza conferma il messaggio che porto, che c’è anche un mondo che si sta svegliando, che libera le parole dalla lingua del potere, e si oppone al genocidio in Palestina che viene compiuto anche in nostro nome.”

Francesca Albanese così ha esordito nell’incontro tenuto lo scorso 5 agosto a Sant’Andrea di Conza, in alta Irpinia (la sua terra di origine) davanti ad oltre seicento persone.

Più che alla presentazione del suo libro “Quando il mondo dorme” ci è sembrato assistere ad una sorta di appuntamento che si sono dati i relatori, per parlare di Gaza e svegliare le coscienze di noi tutti.

Ha iniziato proprio la Albanese: “Ci stanno togliendo l diritto alla parola, silenziando le voci, inclusa la mia, nonostante il Mandato ricevuto dalle Nazioni Unite a documentare le violazioni di Diritto Internazionale che Israele commette nei Territori Palestinesi occupati. 

Sono la prima persona all’interno delle Nazioni Unite, in 80 anni, ad essere stata sanzionata da uno Stato Membro ed a ritrovarsi in una lista nera insieme a terroristi e criminali internazionali.

Nel mio ultimo Report ho fatto i nomi di decine di aziende che traggono profitti dall’industria della guerra, a cominciare dall’Italiana Leonardo che fornisce componenti per gli aerei F35 usati per bombardare Gaza. Per fortuna proprio dai giovani universitari è nato il Movimento BDS (Boicottaggio Disinvestimento Sanzioni per i diritti del Popolo Palestinese, ndr) che a partire dai contratti di Ricerca delle Università sviluppa ed estende la sua azione da 20 anni aggregando Associazioni, sindacati, Chiese e Movimenti di base in tutto il mondo per fare pressione su Israele affinché rispetti il Diritto Internazionale.“

Poi Moni Ovadia: “Francesca ha restituito il senso civico del linguaggio, rivelando le menzogne e raccontando il vero: a Gaza è in atto un genocidio e l’Occidente ha perso il diritto di parola, può solo tacere e calare la testa davanti alla Resistenza palestinese

Ha preso poi la parola Omar Suleiman, leggendo una struggente poesia e aggiungendo: “la Palestina deve essere decolonizzata, Israele ha smantellato la società palestinese distruggendo scuole, università, ospedali, radendo al suolo interi centri abitati per cancellarne perfino la memoria.

E poi è Luisa Morgantini, arrestata lo scorso gennaio nei pressi di Hebron in un insediamento israeliano illegale, a raccontarci cosa è oggi vivere in Palestina, e  i genitori di Mario Paciolla, che attendono verità e giustizia: “noi siamo qui con voi dove sarebbe nostro figlio se fosse ancora vivo”.

Il libro ci riporta storie su persone che hanno aiutato Francesca Albanese a comprendere, studiare, conoscere e informare su quanto succede in Palestina.

Lo fa raccontandoci di Hind (morta a 6 anni,  il cui corpo esanime verrà trovato dopo 12 giorni in una macchina su cui qualcuno ha sparato oltre 300 proiettili) e di tutti i bambini ai quali la segregazione razziale e le restrizioni imposte dall’occupazione impediscono di accedere a istruzione e cure mediche adeguate, tanto a Gaza (anche prima dell’attuale attacco) che in Cisgiordania. Scrive l’Albanese: “la protezione dell’infanzia dovrebbe essere al centro di qualsiasi dibattito sulla cosiddetta “questione palestinese” nello sforzo di garantire ad ogni bambino il diritto a crescere protetto, in una cornice di sicurezza, dignità e libertà”

Lo fa raccontandoci di Malak Mattar, pittrice palestinese (cui si deve il ritratto in copertina)  autrice peraltro del dipinto “Ultimo Respiro”, un olio su tela in bianco e nero  che è stato paragonato per la sua intensità al “Guernica” di Picasso, un capolavoro che raffigura gli orrori della guerra. La Albanese la conobbe 15 anni fa a Gaza, quando era una bambina di 11 anni e dipingeva a scuola.  Vinse una borsa di studio in Inghilterra lasciando Gaza proprio il giorno prima del 7 ottobre.

Efficaci ed esplicative sono le pagine dedicate a Ghassan, medico chirurgo che ha operato a Gaza fin quando è stato possibile, che racconta “quando sono uscito da Gaza ho capito che il progetto genocida è come un iceberg, Israele è solo la punta visibile, ma il resto dell’iceberg, che da Gaza non si vede, è l’intero apparato che rende possibile il genocidio: BBC, CNN, Wall Street Journal e le organizzazioni che lo sostengono. La distruzione si abbatte su tutto: presente, futuro e passato. Tutto quello che il popolo di Gaza è stato viene raso al suolo, cancellato.”

C’è poi la storia di Ingrid Gassner, la prima a parlare di apartheid in Palestina sin dal 2017, cofondatrice nel 2005 del movimento BDS, o ancora Eyal Weizman, autore di Hollow Land (la terra vuota) che racconta come “la colonizzazione crea una frammentazione territoriale capace di ostacolare la continuità del territorio, la gestione delle infrastrutture e della mobilità”

Altre storie ci raccontano degli incontri che hanno “formato” l’Albanese in questi anni e come negli ultimi tempi la situazione sia notevolmente peggiorata.

Nelle sue conclusioni, la scrittrice sottolinea che “tutti noi siamo in pericolo: stanno erodendo la libertà di espressione e la libertà di azione. Devono scattare in noi gli anticorpi in difesa dei diritti. Siamo chiamati a chiederci se vogliamo far parte della schiera di chi se ne lava le mani, cioè di quelli che, parafrasando Pessoa, saranno condannati a soffrire per le ferite delle battaglie che non hanno combattuto, o se vogliamo prendere una posizione giustamente divisiva, che distingua tra chi ha ragione e chi ha torto, e difenda Gaza, che è l’ultimo pezzo di Palestina che resta e che per questo gli abitanti non vogliono lasciare: la terra è esistere.” 

Amedeo Borzillo 

“Sotto il cielo di Gaza”: Intervista a Betta Tusset e Nandino Capovilla, di Gabriele Torchetti

Nandino Capovilla e Betta Tusset sono attivi da svariati anni nel mondo del volontariato sociale, coordinando per Pax Christi Italia numerosi progetti di inclusione sociale, abitativa e lavorativa per persone senza fissa dimora e migranti. Don Nandino, come lo chiamano nella sua parrocchia a Marghera, ha già raccontato il dramma di Gaza in un precedente libro del 2010 dal titolo esplicito: “Un parroco all’inferno”, edito dalle Edizioni Paoline. Insieme hanno pubblicato testi sulla questione israelo-palestinese, nonché sulle esperienze condotte in prima persona con uomini e donne ai margini della società e del mondo. “Sotto il cielo di Gaza“, pubblicato dalle Edizioni La Meridiana, è il loro ultimo lavoro, nato da una serie di convensazioni con Andrea De Domenico, funzionario delle Nazioni Unite nei territori palestinesi occupati. Il libro è una denuncia necessaria degli orrori perpetrati da Israele in quella che don Nandino definisce senza esitazioni “la più perversa colonizzazione”. Betta Tusset e don Nandino Capovilla sono stati intervistati dal nostro Gabriele Torchetti.

Buongiorno Betta e don Nandino e benvenuti a Il Randagio. “Sotto il cielo di Gaza” è un libro-inchiesta scritto a quattro mani; quali sono le motivazioni che vi hanno indotto a pubblicare un libro e come siete approdati a Edizioni La Meridiana?

    BETTA: buongiorno! Siamo davvero onorati di poter collaborare con voi. Dal 2004 ci interessiamo della questione israelo-palestinese, anche come promotori della ‘Campagna Ponti e non Muri’ di Pax Christi Italia e da allora abbiamo cercato in tutti i modi di dare voce alle persone, alle comunità e alle realtà locali che in quella terra vivono e ricercano spiragli di pace nella giustizia. Questo libro, ed altri che abbiamo scritto insieme su questo tema è uno dei modi per soffermarsi a riflettere, parlarne, proporre una narrazione ‘altra’.  Siamo grati a edizioni La Meridiana per questa opportunità. Ci conosciamo professionalmente anche per un altro nostro testo (“Tanta vita. Storie meticce da una città plurale“) pubblicato da loro nel 2021. Soprattutto ci lega un’amicizia, un’affinità di intenti e di sguardi per una vita dignitosa e libera per tutte e tutti. 

    Don NANDINO: La nostra lunga esperienza in Palestina e Israele ci ha fatti sempre individuare ambiti e modalità per contribuire a cambiare il modo comune di vedere al cosiddetto “conflitto arabo-israeliano” smascherando miti consolidati che instillano nella gente l’idea di una guerra permanente e simmetrica di responsabilità da equiparare. Invece anche questo testo rivela la verità di una profonda ingiustizia, di un disegno di colonizzazione da insediamento che non confonde chi occupa da chi è occupato, il popolo che è colonizzato dallo stato responsabile della più perversa colonizzazione della storia, Israele. Pubblicare testi come questo richiedono case editrici libere e coraggiose…

    Questo testo è nato da conversazioni tra voi e Andrea De Domenico, funzionario delle Nazioni Unite e accompagnato dalle preghiere di Michel Sabbah, patriarca emerito di Gerusalemme. Come mai queste scelte così specifiche negli interventi? Sono state casuali o scelte consapevoli?

    BETTA: sicuramente sono state meditate e consapevoli. Nel giugno dello scorso anno don Nandino ha incontrato Andrea De Domenico a Gerusalemme est, dove ancora lui svolgeva il suo lavoro come coordinatore dell’OCHA, agenzia dell’Onu per il Coordinamento degli Affari Umanitari. Il prezioso, durissimo lavoro che Andrea stava svolgendo nel territorio palestinese occupato (a Gaza, in Cisgiordania inclusa Gerusalemme est), ci ha fatto pensare che fosse importante ascoltare la sua esperienza, che è quella di un operatore preparatissimo e attento. Soprattutto ci sembrava urgente porre in risalto quello che le Nazioni Unite fanno in quella terra, vista la situazione tragica, diciamo ormai genocidaria, in cui vive la gente di Palestina. Ci sembrava anche importante sottolineare, di volta in volta, quali strumenti giuridici il diritto Internazionale e il diritto internazionale umanitario mettono a disposizione della collettività, in un momento storico in cui sembrano essere sviliti e calpestati. E’ il momento invece di ricordarli, studiarli, difenderli. Il Patriarca Sabbah, che conosciamo da tanti anni (è stato anche presidente di Pax Christi International) e che i ‘pellegrini di giustizia’ (che dal 2006 accompagniamo nei nostri viaggi di condivisione e conoscenza) hanno sempre incontrato, in questo anno e mezzo di massacro è sempre stato a fianco del suo popolo. Ogni giorno a don Nandino e ad altri amici, ha mandato e continua a mandare le sue accorate, strazianti ma mai disperate preghiere. 

    Don NANDINO: E’ difficile registrare le reazioni emotive profonde che generano nei lettori le suppliche potenti del patriarca Sabbah. Ci dicono che ad ogni preghiera si resta scossi e senza più voglia non solo di accampare le nostre tesi e i nostri “secondo me però…” ma soprattutto le sue accorate denunce sembra salgano direttamente a Dio mentre obbligano chi le legge a restare in silenzio, a lungo. Davvero non casuale è poi l’effetto che abbiamo voluto produrre accostando questa liricità spirituale alla lucidità e precisione giuridica dei contributi di De Domenico. Ci sembra che nel ricco panorama di pubblicazioni sulla Palestina e Gaza non ci siano molti altri contributi delle Nazioni Unite.

    La tragedia di Gaza è sotto gli occhi di tutti, il massacro in corso è drammaticamente in continua evoluzione. Non soltanto bombardamenti e uccisioni, ma anche atti specifici e persecutori contro la popolazione civile di un territorio: sfollamenti, mancanza di cibo, risorse idriche esigue, una sanità letteralmente inesistente. Una situazione drammatica in cui nessuno è esente dalla sopraffazione, compresi bambini e anziani. Come avete raccolto queste storie? Qual è stata l’urgenza comunicativa più profonda?

    BETTA: Le abbiamo raccolte dalla viva voce di Andrea De Domenico, in lunghissime conversazioni durate tutto l’autunno e l’inverno scorsi. Non potevamo andare ovviamente a Gaza. Non potevamo, come abbiamo fatto altre volte in questi anni, scrivere ciò che ascoltavamo direttamente dalla voce di chi incontravamo tra le strade e nelle case di Palestina, ma l’umanità profonda di Andrea, la sua umanità, la sua partecipazione sofferta al destino di questa gente sono diventati per un po’ anche i nostri occhi e le nostre orecchie, oltre che il nostro cuore. Dopo che di fatto, nell’agosto del 2024, Israele ha espulso Andrea, funzionario ONU, non rinnovandogli il permesso di stare lì e di continuare il suo prezioso lavoro lui ha voluto consegnarci quello che aveva visto e fatto insieme al suo team, partendo dai volti, dalle singole storie, spesso durissime, che aveva ascoltato e incontrato. L’urgenza grande è stata insieme quella di denunciare un orrore che non riusciamo forse ad immaginare fino in fondo da qui. Di ricordare con fermezza che questa tragedia non nasce dagli accadimenti terribili del 7 ottobre 2023, che uno stato occupante sta opprimendo un intero popolo, sterminandone una parte stando al di fuori di qualsiasi norma e legge internazionale. L’urgenza era quella di restituire l’umanità negata al popolo palestinese e di affermare la nostra preoccupazione per gli effetti che ci saranno anche nelle generazioni future di quello israeliano. 

    Don NANDINO: La Meridiana ci ha aiutato a studiare una modalità comunicativa che evitasse il peso di un testo solamente giuridico o la banalizzazione di una simile ecatombe resa da racconti e testimonianze o preghiere. Il lettore giudicherà se siamo riusciti ad appassionarlo attraverso un’articolata composizione di stili letterari e contributi originali come le infografiche e soprattutto le due grandi mappe di Gaza e della West Bank. 

    In questa tragedia umanitaria si parla sempre meno di scuola ed educazione in Palestina e a Gaza. E allora prendendo in prestito il titolo di un vostro paragrafo, cosa succede quando ti tolgono l’istruzione?

    BETTA. Succede che se non vai a scuola e all’università per due anni di seguito, se non puoi proseguire nei tuoi studi (di cui il popolo palestinese va a ragione orgogliosissimo), se nemmeno hai avuto la possibilità di iniziare il tuo percorso formativo, il trauma cresce a dismisura. Non è solo una questione di non avere più i luoghi e gli strumenti per poter continuare a studiare: è veder interrotta anche la routine quotidiana, di socializzazione, di possibilità di elaborare collettivamente un trauma, dei lutti che non si sono mai interrotti. Il 100 % dei minori di Gaza, oggi, soffrono di sindrome da stress post traumatico. 

    Don NANDINO: Per me che ho tante volte visitato la Striscia di Gaza è inimmaginabile lo sconforto nel constatare questo “scolasticidio”, come lo descrivono le stesse Nazioni Unite. Io che restavo allibito dagli 8.000 studenti universitari del solo ateneo della Gaza University non mi dò pace nel riportare in questo nostro libro le prove e i numeri di una delle più gravi violazioni realizzate da uno stato che studia come distruggere non solo il presente di un grande sistema educativo ma soprattutto il futuro di una sua ripresa dall’incubo di un genocidio.

    Il libro nasce anche con la consapevolezza di un attento ascolto all’OCHA, voce delle Nazioni Unite. Che ruolo ha all’interno della vostra narrazione e più in generale nell’assetto geopolitico?

    BETTA: ha il ruolo di informare e far riflettere sul lavoro prezioso che questa agenzia fa e ha fatto sul campo, in Palestina dal 2001. Rilevamento dati, monitoraggio costante della situazione, delle violazioni del diritto internazionale. Azioni di Advocacy, di mediazione, quando è possibile. Collaborazione con tutte le altre agenzie e le ONG che si adoperano in quei luoghi per alleviare le sofferenze della gente. Ma come diciamo nel libro, perché Andrea ce l’ha ben fatto presente, OCHA siamo noi, perché noi siamo l’ONU. E finchè gli stati membri non incidono politicamente sulle decisioni da prendere, OCHA può fare da infermiere, non da dottore. 

    Don NANDINO: Ci colpisce ad ogni presentazione rilevare quanto sia sconosciuta l’agenzia dell’OCHA e per questo siamo ancora più soddisfatti di aver pubblicato in Italia un testo che ne restituisca la voce onorandone l’altissimo valore nell’attuale crisi delle istituzioni internazionali. L’assurdo sacrificio umano che l’organizzazione ha dovuto pagare in questi mesi nel contesto dell’uccisione di più di 200 operatori umanitari solo nel 2024 a Gaza. Mai si era registrato un numero così alto di crimini e soprattutto mai si era constatato un tale silenzio complice dei Paesi del mondo.

    All’interno del testo, i lettori che si cimenteranno nella lettura del libro troveranno anche due cartine geografiche. Come mai questa scelta? Che cosa rappresentano?

    BETTA: Sono due delle mappe aggiornate di Gaza e della Cisgiordania, inclusa Gerusalemme est, che OCHA elabora periodicamente. Queste sono le più attuali. Fanno parte del lavoro certosino che OCHA fa per monitorare la situazione sul campo, quindi sono uno strumento del suo lavoro. I lettori potranno trovarvi lo stravolgimento che il governo israeliano ha fatto recentemente e nei decenni passati sul paesaggio e sulla vita di milioni di palestinesi: il muro, le colonie, i checkpoint, le strade di apartheid in Cisgiordania; i Corridor, le zone cuscinetto, le chiusure totali a Gaza.  Ci sembrava importante allegarle non solo per riconoscere il lavoro dell’Onu anche in questo senso, ma anche per rendere immediatamente visibile al lettore, mentre affronta i vari capitolo del libro, dove esattamente avvengono i fatti narrati.

    Don NANDINO: E’ incoraggiante vedere con quanta soddisfazione le persone aprono e soprattutto si impegnano ad appendere in un luogo pubblico le grandi mappe dell’OCHA. Sapeste quante scuole le hanno esposte nelle aule e quante comunità cristiane hanno utilizzato le enormi mappe per veglie di preghiera e incontri formativi!

    Abbiamo tutti la sensazione di essere inutili, di osservare passivamente lo sterminio sistematico di una popolazione, è una domanda complicata, ma proviamoci: concretamente noi nel nostro piccolo che cosa possiamo fare per questa situazione? Per la Palestina libera?

    BETTA: possiamo innanzitutto informarci trovando i canali di informazione liberi. A volte crediamo di saperne, di Palestina, ma ne sappiamo male. Possiamo parlarne, provare a partecipare ad una narrazione che sfida quella imperante. Cerchiamo di ascoltare direttamente i palestinesi, e quegli israeliani che si battono per un futuro che garantisca dei diritti uguali per entrambi i popoli. Proviamo ad andare o a ritornare lì, in quella terra martoriata. Perché siamo di fronte ad un disastro geopolitico ma soprattutto umano, che riguarda anche noi. Possiamo non cadere nella tentazione degli equilibrismi di comodo. Possiamo far pressione verso i nostri governanti.  Impariamo dai palestinesi il coraggio della loro resilienza e della loro speranza, del loro sumud.

    Don NANDINO: Primo: Cominciamo ad…esporre la mappa dove qualcuno la veda; Secondo: leggiamo Sotto il cielo di Gaza e segniamoci alcune osservazioni che ci hanno colpito; Terzo: quando qualcuno ci chiederà della mappa prendiamoci dieci minuti e illuminiamo anche la sua coscienza non con il nostro parere ma con la voce inascoltata e attaccata delle Nazioni Unite. Perché come ripete Andrea de Domenico, “L’OCHA siamo noi!”

    Gabriele Torchetti

    Gabriele Torchetti: gattaro per vocazione e libraio per caso. Appassionato di cinema, musica e teatro, divoratore seriale di libri e grande bevitore di Spritz. Vive a Terlizzi (BA) e gestisce insieme al suo compagno l’associazione culturale libreria indipendente ‘Un panda sulla luna‘.