Ho riletto recentemente “Specie di spazi” di Georges Perec e diciamo che l’ho trovato sempre originale. Riflettere sugli spazi o sullo spazio in cui viviamo. Nel primo caso ci ritroveremmo come piccole monadi rinchiusi in una gabbia a dialogare con noi stessi, nel secondo in uno spazio grande e cosmico, liberi di muoverci, soffici e leggeri come piume, lucciole e libellule che si scontrano come dervisci rotanti. Ma non è solo questo, andiamo sempre oltre quando pensiamo allo spazio, lo pensiamo in senso filosofico, poetico, storico, materiale, spirituale, lo pensiamo curvo e vuoto o pensiamo a quello dove finiremo un giorno che è quello cosmico anche se anche lì non sappiamo se apparterremo ad un tutto in senso materiale o a quello che qualcuno aveva definito etere e in cui saremo una particella infinitesimale del tutto ma sempre in movimento, sempre danzanti.

Non è questo lo spazio di Perec. Lo spazio di cui ci vuole parlare è quello dove siamo in un preciso momento o istante, sia anche una pagina di word su cui stiamo scrivendo poesie, racconti e divagazioni o più frequentemente formulari da compilare, attestati di presenza, richieste di partecipazione, giustifiche per assenze, proposte di collaborazione, curricula. Lo spazio circoscritto delle nostre giornate è per qualcuno una stanza grande almeno 5 per 5, media 4 per 4 o una piccola 3 per 2, ma sempre e tutte con un divano o una poltrona o tutte e due, con dei cuscini, una scrivania poggiata alla parete ed un pc, questo schermo che sfora nel mondo anche se non ci siamo. Un mondo che non ci appartiene eppure ci appartiene perché partecipiamo con i nostri pensieri, ne seguiamo le rotte a vele spiegate o ci areniamo in terre desolate o popolate da mostri sconosciuti o amici fedeli. Sono ancora sul foglio word e vedo attraverso questo foglio word. Qualcuno ha uno spartito che riempie di note i cui suoni suscitano estatico stupore mentre intorno, attaccati alle pareti, sono appesi quadri che abbiamo scelto perché rappresentano una immagine che ci solleva il cuore, che ci fa compagnia nella solitudine, insomma ci fa stare lì dove non possiamo stare. Poi c’è una tv, queste variano anche nelle dimensioni e servono per guardare lontano e sempre là dove non potremmo essere. Intorno ancora scaffali o librerie, libri chiusi e aperti e sempre con tanti mondi dentro che rielaboriamo e cerchiamo di capire o ci divertono o ci intristiscono e ci fanno capire come siamo felici o come siamo sfortunati. Poi ci sono i tappeti ed anche quelli servono per sfuggire al grigiore, portare un po’ di allegria. Dimenticavo le finestre che si affacciano sullo spazio fuori che può essere una piazza, una strada frequentata dai ragazzi, da bambini e da mamme, quando sia in prossimità di una scuola, da anziani quando ci siano panchine poste sotto gli alberi per ritrovare ristoro e compagnia e sempre se l’età lo permette. Quanti spazi! E poi ci sono gli spazi delle auto, dei bus, dei treni, delle navi e degli aerei e questi ci portano da uno spazio all’altro: paesi, città, continenti perché non siamo mai contenti di stare in uno spazio!
Devo dire che Perec ha avuto una bella idea e quanto minuziosa e paziente la sua descrizione, meticolosa e attenta presentazione dell’uomo artificiale!

Georges Perec (1936- 1982), di famiglia ebraica emigrata dalla Polonia, ha trascorso gran parte della sua vita a Parigi. Nel 1967 entra a far parte del gruppo letterario l’OuLiPo, fondato da Raymond Queneau, di cui era membro, tra gli altri, Calvino. “Le cose. Una storia degli anni Sessanta (Les Choses. Une histoire des années soixante, 1965)”, “Un uomo che dorme (Un homme qui dort, 1967)”, “Specie di spazi (Espèces d’espaces, 1974)“, La vita, istruzioni per l’uso (La vie mode d’emploi, 1978). Già solo qualche titolo ci sottolinea come l’elemento autobiografico sia trave portante dell’opera di Perec. Una instancabile attenzione al vissuto, osservato e sezionato in tutti i suoi anfratti e in tutte le combinazioni possibili! Piccoli ed infiniti universi dove vale un “assoluto presente soggettivo”. È questo il significato che Calvino dava al termine iper-romanzo, dove le sue parti “sviluppano nei modi più diversi un nucleo comune, e che agiscono su una cornice che li determina e ne è determinata”; che funziona come “macchina per moltiplicare le narrazioni”; “costruito da molte storie che si intersecano”. Un spazio con vite dalle infinite possibilità. Uno spazio vuoto e concavo in cui i corpi e gli oggetti si agitano, si scontrano, si sfiorano, si allontanano e si ritrovano, si osservano e poi voltano lo sguardo creando sottili legami, nodi invisibili che non si scioglieranno mai. E per concludere Pensare e classificare, l’arte di disporre i libri nella libreria di casa; il catalogo dei luoghi ideali per viverci; il metodo automatico per fabbricare aforismi impeccabili di estrema saggezza. Gli elenchi sono una specialità di Perec e riescono a dare piacere, a volte a far sorridere. Un tentativo di dare, di trovare ordine e senso nel caos dell’esistenza?
Maurizia Maiano

Maurizia Maiano: Sono nata nella seconda metà del secolo scorso e appartengo al Sud di questa bellissima Italia, ad una cittadina sul Golfo di Squillace, Catanzaro Lido. Ho frequentato una scuola cattolica e poi il Liceo Classico Galluppi che ha ospitato Luigi Settembrini, che aveva vinto la cattedra di eloquenza, fu poeta e scrittore, liberale e patriota. Ho studiato alla Sapienza di Roma Lingua e letteratura tedesca. Ho soggiornato per due anni in Austria dove abitavo tra Krems sul Danubio e Vienna, grazie a una borsa di studio del Ministero degli Esteri per lo svolgimento della mia tesi di laurea su Hermann Bahr e la fin de siècle a Vienna. Dopo la laurea ritorno in Calabria ed inizio ad insegnare nei licei linguistici, prima quello privato a Vibo Valentia e poi quelli statali. La Scuola è stato il mio luogo ideale, ho realizzato progetti Socrates, Comenius e partecipato ad Erasmus. Ho seguito nel 2023 il corso di Geopolitica della scuola di Limes diretta da Lucio Caracciolo. Leggo e, se mi sento ispirata e il libro mi parla, cerco di raccogliere i miei pensieri e raccontarli.




