Claudia Carrescia: Arcano (Gruppo Albatros Il Filo), di Amedeo Borzillo

L’anno scorso Claudia Carrescia ci fece dono di un romanzo storico scritto a quattro mani con Paolo Iorio, ed alla cui presentazione io esordii dicendo che leggendo “La Sirena di Posillipo” mi era sembrato di entrare in un film, tanto l’ambientazione, la storia ed i dialoghi avevano circondato e preso me, lettore, immergendolo letteralmente nel mondo del romanzo.

Ebbene questo nuovo libro è … semplicemente altro.

E quella che segue non è una recensione ma la storia di una sensazione.

Con Claudia Carrescia ci si deve abituare alla sua ecletticità, versatilità e continua ricerca: pianista, ambientalista, attivista, biografa, formatrice… Claudia si trasforma per lasciarsi permeare dalla realtà e farne parte.

Il suo nuovo lavoro è ispirato alla carta numero 13 dei tarocchi, l’unica senza nome tra gli Arcani Maggiori. Si tratta della Morte che l’autrice usa come pretesto per illuminare un concetto, nella nostra parte di mondo, così pauroso e, appunto, “arcano”.

Il libro supera il romanzo o il saggio o la raccolta di racconti e diviene letteralmente un pacchetto di schede, un mazzo di carte, un quaderno di appunti, un pannello di pizzini, una scrittura inedita. Da leggere d’un fiato.

Un gioco con le carte, di storie, di corpi e di colori. Ognuno può gestirsi le storie come crede, mescolandole e senza uno schema che comunque emergerà nel lettore.

Dolore e sofferenza, girando la pagina, diventano comicità di coatto. Persone, non personaggi, con vissuti complessi o contorti si alternano in brevi letture tutte apparentemente scollegate ma che solo insieme prendono corpo e hanno senso, coinvolgendo, divertendo o addirittura sconvolgendo nel racconto di una violenza.

Sentimento, dolore, brutalità, assurdo e malattia vengono mescolati per creare un patchwork che tutto insieme si completa e diviene dieci colori. 

Ad ogni personaggio vengono del resto accoppiati un seme ed un (o più) colore che suggeriscono, se vogliamo, una lettura con un ordine diverso, inseguendo le storie con la stessa indicazione di colore e seme o semplicemente incrociandole, mescolandole.

Una possibilità di lettura apparentemente disordinata ma certamente libera dallo scontato.

Bello davvero. 

Ricordo Claudia sotto la pioggia trent’anni fa su un motorino con un tavolino di traverso dopo una raccolta firme.

Allora come oggi non si smentisce, lei ci crede in quello che fa.

Si spende, rompe gli schemi, e scrive “Arcano”.

Claudia Carrescia è biografa, formatrice autobiografica, ghostwriter, editor e docente di tecniche della narrazione. Conduce seminari collettivi e consulenze individuali con un proprio metodo dedicato agli adulti e fondato sulla centralità del corpo e sul gioco.
Ha scritto con Paolo Jorio il romanzo storico “La sirena di Posillipo”, pubblicato da Rizzoli nel 2024. È docente presso la Libera Università dell’Autobiografia e fondatrice dell’agenzia di narrazioni storieria.com 

I lupi di Willoughby Chase di Joan Aiken, trad. Irene Bulla, illustratore Pat Marriott (Adelphi), di Cristina Marra

Bonnie e Sylvia sono due bambine coetanee, diverse per formazione e strato sociale e destinate a incontrarsi per condividere un’avventura che le catapulta in una realtà opposta a quella di appartenenza. Frutto della genialità narrativa della scrittrice Joan Aiken ( Sussex 1924- 2004), prolifica e geniale, figlia dell’autrice canadese Jessie McDonald’s e del poeta premio Pulitzer americano Conrad Aiken, il mondo immaginario che fa da sfondo a “I lupi di Willoughby Chase”, di cui le giovanissime cugine sono le protagoniste, è un’alternanza di luoghi-simbolo che vanno dal tunnel  sottomarino che unisce Dover a Calais, alla sontuosa villa di Willoughby, al bosco innevato.

L’autrice che, secondo lo studioso Brian Phillips “mise la sua fervida immaginazione al servizio di una meravigliosa intelligenza pragmatica, dando vita a libri che attingono a piene mani all’innata follia della letteratura e alla misteriosa saggezza che essa può conferire”, con “I lupi di Willoughby Chase” inaugura il primo romanzo della serie delle Cronache dei lupi, pubblicato nel 1962 e ambientato nell’Inghilterra immaginaria del 1830 in cui arrivano di branchi di lupi attraverso il canale che unisce Calais a Dover.

Illustrato da  Pat Marriott e tradotto da Irene Bulla, il libro è un romanzo di formazione e di avventura che inneggia al rispetto della natura e avverte che il pericolo è incombente anche dove meno ce lo aspettiamo.

I libri della serie delle Cronache dei lupi di Aiken rappresentano un importante snodo nell’attività letteraria dell’autrice che scrisse ripetutamente fino alla morte avvenuta nel 2004. Il successo editoriale della serialità in Inghilterra approda ben presto anche sul grande schermo con l’adattamento cinematografico del 1989.

Finalista al premio Andersen 2024, il romanzo accompagna il lettore in un viaggio avventuroso che inizia col tragitto in treno da Londra della piccola Sylvia per raggiungere la cugina Bonnie. Lungo il viaggio le carrozze sono spesso attaccate da branchi di lupi e “quando i lupi si accorgono che un treno sta rallentando, cominciano a correre verso la stazione e si appostano in attesa dei passeggeri” ed è sempre una corsa contro il tempo per chi arriva e per chi parte e Sylvia attesa da Bonnie si avvia sana e salva verso la grande tenuta.

Ma la paura e le trappole per le giovani cugine non scompaiono all’interno delle mura domestiche anzi si palesano in modo subdolo e opportunistico. Un piano criminale è stato orchestrato per danneggiare l’intera famiglia e sarà il coraggio unito a una determinazione che diventa maturità e voglia di giustizia da parte delle protagoniste ad avere la meglio.

In una lotta tra male e bene inserita in un’ambientazione gotica e cupa, la ferocia umana si dimostra peggiore di quella animale. Aiken infatti imbastisce una trama in cui il territorio è presidiato da lupi famelici pronti ad attaccare e mette sul chi va là l’intera popolazione  ma la situazione vale anche come monito che non sempre il male e la cattiveria stanno fuori, all’esterno, o lontane da noi, ma spesso covano dentro l’ambito familiare in cui la sincerità e il disinteresse non sono sempre validi.

Aiken predilige le zone d’ombra in cui “il realismo ottocentesco scivola nel folklore e nel fantastico”, infarcisce la storia di cliché e scene spesso paradossali, e inquietanti, come pure di personaggi assurdi e accadimenti improbabili. Del resto non poteva essere altrimenti per una scrittrice  che scrisse oltre cento romanzi e scelse di vivere col marito in un autobus!

Cristina Marra

Louise Glück: Marigold e Rose, trad. Massimo Bacigalupo (il Saggiatore), di Bianca Miraglia del Giudice

Il Premio Nobel per la Letteratura  2020, la poetessa e saggista americana Louise Glück, scomparsa lo scorso ottobre, ci dona un racconto di sole settanta pagine, un piccolo libro, uno scrigno che, come tale, contiene qualcosa di estremamente prezioso che arricchisce e seduce il lettore.

 Il libro racconta il primo anno di vita di due gemelline, Marigold e Rose, con caratteri, pensieri e progetti completamente diversi. Rispecchiando i loro nomi, Rose è impegnata solo a crescere e farsi ammirare; Marigold, la calendula, semina se stessa, essendo una moltitudine di semi; proprio per il bisogno di un punto fermo, Marigold decide di scrivere un libro dal titolo ‘L’infanzia di Mamma’, una storia vera anche se non reale, pensata prima ancora che scritta , come nell’epoca non verbale prima del greco o del sanscrito, non avendo ancora la bambina il possesso delle parole.

Pagina dopo pagina, in pochi brevissimi capitoli, la Glück descrive la vita interiore delle gemelle con tenerezza e leggerezza, regalandoci riflessioni profonde su temi a lei cari come, per esempio, la memoria “A Marigold sembrava che le cose si ricordano perché cambiano, occorre imparare a ricordare prima di aver bisogno di ricordare” o il modo di parlare ai bambini “Un certo tipo di spiegazione è classificato come spiegazioni per i bambini, non essendo chiaro in che modo questo sia diverso dal dire bugie”.

La crescita, nelle molteplici esperienze delle bimbe, viene  commentata attraverso metafore molto rappresentative, come quella della necessità per un bambino di imparare a colorare all’interno del contorno di un disegno, prima di iniziare una propria pittura al di fuori dello schema, descrivendo ciò che avviene in tutte le famiglie: la scomparsa della Nonna, la lontananza dall’ Altranonna, il rientro al lavoro della mamma, il  papà che racconta la favola per addormentare le figlie. Con questa storia, Louise fa rivivere la magia delle scoperte dei primi mesi di vita attraverso i pensieri delle bimbe, la loro capacità silenziosa di introitare emozioni ed esperienze, con una scrittura lieve e poetica che rende la sua prima opera in prosa un raro esempio di introspezione psicologica. Edito dalla casa editrice il Saggiatore, è assolutamente da sottolineare la traduzione ad opera di Massimo Bacigalupo, saggista e Professore Emerito di Letteratura Angloamericana presso l’ Università di Genova.

Bianca Miraglia del Giudice

Mauro Giancaspro: L’odore dei libri (Grimaldi & C. Editori), di Bianca Miraglia del Giudice

“Fra i tanti piaceri che la tecnologia ha relegato nello spazio dei ricordi c’è l’odore dei libri,
lo stesso che stabiliva con il lettore un rapporto confidenziale e fisico”.

Lo scorso aprile è venuto improvvisamente a mancare Mauro Giancaspro, animatore “vulcanico” della vita culturale napoletana, uomo d’immensa cultura e d’ironia raffinata. Scrittore, saggista, collaboratore del quotidiano Il Mattino di Napoli e dell’Almanacco del Bibliofilo, Mauro Giancaspro, classe 1949, ha diretto prima la Biblioteca Nazionale di Cosenza, poi per quasi vent’anni la Biblioteca Nazionale di Napoli. Tra i suoi titoli ricordiamo i bellissimi “Leggere nuoce gravemente alla salute”, “L’importanza di essere un libro”, “L’ottavo giorno creò il libro”, e… “L’odore dei libri”, una raccolta pubblicata nel 2007 di diciotto brevissimi racconti semplicemente amabili ed incantevoli!


Leggendoli scopriamo l’amore struggente tra TemperamaTitta e la matita Titta che ad ogni abbraccio si consuma; quello del conte Emilio, figlio di un uomo dedito solo a divertimenti costosi e di una donna concentrata solo sull’amministrazione dell’ingente patrimonio, con la bellissima fanciulla trasformata da Apollo in versi di poesia, per evitarle lo stupro; l’ironia elegante con la quale descrive il suo condominio vomerese nel racconto “Quando il silenzio è un disagio”; le parole pronunciate da un libro, ne “Il piacere di essere un libro”, che ricorda di quando lo hanno imprigionato e bruciato, di quando lo hanno costretto a copertine orrende, di quando lo hanno smaterializzato per comprimerlo in dischetti di plastica e spedito attraverso linee telefoniche. E ancora libri che profumano di confetti, libri sdraiati, libri magici, libri la cui lettura placa gli spiriti maligni. In un altro racconto, i libri si affezionano ai proprietari e Giancaspro immagina che quelli più felici non possano che essere quelli in Braille visto che ai libri piace un mondo essere accarezzati…


La scrittura di Giancaspro coinvolge e seduce il lettore, facendogli assaporare il piacere delle
parole usate con rara maestria.
La raccolta è edita da Grimaldi, l’editore che ha dato nuova vita alla Matri Divinae Gratiae
Dicatum, una Chiesa non sconsacrata ma abbandonata in via Carlo Poerio a Napoli da più di
trent’anni; Alfonso Grimaldi ne ha perfettamente recuperato gli stucchi, il pulpito, l’Altare,
rendendo l’antica cappella sede della sua libreria antiquaria e custode di tutte le sue
pubblicazioni.

Josephine Johnson: L’isola dentro l’isola (Bompiani Gaia), di Cristina Marra

“E’ semplicemente un bellissimo libro; è un libro sulla natura come lo è Walden. Dovrebbero leggerlo tutti coloro che conservano la capacità di provare qualcosa”, questo estratto di John Leonard del New York Times compare nel retro copertina di L’isola dentro l’isola della scrittrice americana  Josephine Johnson nell’edizione che Bompiani propone nella deliziosa collana Gaia con la traduzione di Beatrice Masini e le illustrazioni di Chiara  Palillo. Vincitrice del premio Pulitzer nel 1935, l’autrice pubblica L’isola dentro l’isola ( The Inland Island. A Year in Nature) nel 1969.

I dodici mesi dell’anno vengono resi in dodici capitoli e diventano il racconto di bellezze naturali straordinarie ma anche di orrori che stanno fuori dalla sua tenuta in campagna in Ohio, dove ambienta le storie, e che invadono il mondo esterno e la toccano nell’animo. La scrittrice racconta, evoca, riporta scene a lei familiari che hanno per protagonisti alberi, vegetazioni, animali e soprattutto uccelli , sono più numerosi loro degli altri animali in questa foresta passata o futura, e un uccello nuovo mi riconcilia con la giornata. Come in un calendario si comincia da gennaio che nello stato dell’Ohio, privo di oceano, privo di monti, temperato dai fiumi, non è un mese furibondo di bufere e poi  febbraio la cui luce bianca non va bene per fissare le cose troppo a lungo, e marzo col suo vento glorioso e pagano. Soffia lontano mille chilometri la polvere della nostra vita. Noi leggiamo la polvere. Se reca un messaggio mortifero sta a noi saperlo e si prosegue tra storie di cottage ricostruiti, incontri con le volpi, paralleli tra il mondo animale e quello umano.

L’autrice spesso si sofferma sulla sua condizione di donna, il desiderio di essere una grande scrittrice a tutti i costi non tornerà. Sono troppo vecchia e il prezzo è troppo alto. Non posso rinunciare a tutto il resto di me, al mio affollato me. A tutto l’indisciplinato, caotico branco di donne e bambine che vivono dentro di me”. La Johnson non si risparmia e urla il suo amore per la natura che diventa un urlo di pace e stanchezza di guerra.  Come avvisa la traduttrice, i nomi di flora e fauna sono spesso lasciati coi nomi scientifici o i nomi comuni originali sono stati tradotti letteralmente perché sarebbe stato un peccato perdere  l’immagine che evocano, il primo sguardo posato su un frullo d’ali o sulla piega di una foglia, le radici native, lo sforzo di trovare nelle parole quotidiane e ordinarie un modo di dire quell’essere, quel fiore.

Il libro è un viaggio, una riflessione, un quadro , un calendario del cuore immancabile nella biblioteca dei randagi

Cristina Marra