Paolo Nori, Nadia Terranova, Andrea Bajani e Fabio Canino allo Strega Tour con Loredana Cefalo e il Randagio (video)


E la guerra? È sparita, proprio come il povero bruco (Quartu, 18 giugno 2025)

Una piccola cosa, stasera, ha attratto la mia attenzione, fortemente.
Fra le scarpe delle tante persone, i tacchi delle signore, quelle eleganti da uomo e le sneakers dei ragazzi presenti alla tappa isolana del Premio Strega Tour, si aggirava timidamente un bruco.
Un bruco marroncino, un po’ brutto, in verità, che c’entrava poco col clima di festa e l’aria di bellezza intellettuale che si respirava fra le sedie, bagnate dalla pioggia torrenziale, che ha preceduto la kermesse presentata da Fabio Canino, volto noto ed irriverente della TV e della radio italiane. 

Mentre il piccolo insetto si faceva spazio fra sedie e piedi, sono saliti sul palco i giovani, di un noto liceo cagliaritano a leggere le loro riflessioni sui cinque libri candidati al prestigioso premio. 

E sempre mentre l’esserino strisciante si aggirava intorno al palco, sulle quattro sedie messe una accanto all’altra, tre dei cinque finalisti hanno preso posto per parlare dei loro bellissimi libri. 

Una serata coi fiocchi, con la giusta dose di pacatezza e puntualità che solo i sardi sanno avere, nonostante due dei nostri supereroi (li chiamo così perché il tour è una bella prova di resistenza per chiunque) non siano riusciti a presenziare in questa unica tappa in Sardegna di Quartu Sant’Elena. 

Ed ecco arrivare le parole che si intrecciano nell’aria che, dopo la pioggia, è diventata fresca.
Si parla di memoria, del potere del ricordo, si ascoltano i video messaggi dei due assenti e si fa qualche battuta. 

Dov’è finito il bruco? 

Eccolo lì, proprio accanto alla mia scarpa, in una posizione defilata, stavolta, rispetto al palco. Sembra cercare finalmente riparo, lontano da piedi indiscreti. 

Mentre riposiziono l’attenzione sul gruppo di scrittori in gara, noto che il fil rouge dei  libri presentati è un grande super potere: quello delle donne. Me ne compiaccio, ma tengo sempre un occhio vigile al bruco e al suo percorrere lento e mi metto in asascolto.

Ascolto la potenza del racconto della protagonista del libro di Elisabetta Rasy, “Perduto è questo mare” che durante varie fasi della vita, sperimenta la ferita per la perdita, dolore che si placherà solo attraverso la memoria letteraria. 

Sempre di memoria e dolore si parla nella famiglia di Madre e Padre, in “Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia” di Michele Ruol e anche lì, il ruolo femminile gioca una chiave fondamentale per il recupero dei 99 ricordi. 

Andrea Bajani, vincitore già dello Strega Giovani, nel suo romanzo “L’anniversario” compie un piccolo miracolo: fa restituire il ricordo di una madre a suo figlio, una donna che nonostante fosse resa invisibile da un uomo tiranno, riesce anche ad essere felice ed è proprio attraverso la memoria di quella felicità che suo figlio la sente presente nel ricordo e la trova “scalpellando” fra gli scritti.


Ed ecco che arriva il superpotere della bisnonna di Nadia Terranova, nel suo romanzo autobiografico “Quello che so di te”: un emblema delle donne rese isteriche perché anticonvenzionali, marchiate per sempre come pazze, solo perché fuori dagli schemi. Con tenerezza la scrittrice ci ricorda che, sebbene tanti passi si siano fatti nell’emancipazione femminile, siamo ancora molto indietro nella parità di genere. E ci presenta un’immagine fortissima, accomunando le sedie di design delle nostre case a quelle dei manicomi di inizio Novecento, a causa del peso dei legacci e fibbie che il ruolo femminile nella società ancora impone. 


E sul finire del suo discorso sulla realtà attuale, mentre ero distratta dalla scia del mio piccolo amico strisciante, ecco che sento volare nell’aria una parola che sembra uno squarcio.
“Guerra”.
È piccola, bruttina anzichenò rispetto a questa magica serata. Non c’entra nulla, proprio come il mio amico. Ed esattamente come lui, dopo aver generato un silenzio glaciale, nonostante l’afa serale, si attorciglia intorno alla sua autrice, fa un giro timido fra le prime file e sembra dissolversi. 

Paolo Nori, con la simpatia parmense che lo contraddistingue, cita un verso del poeta Raffaello Baldini, “In due” dedicato alla morte di sua moglie. Nel suo libro “Chiudo la porta e urlo” è evidente come la perdita della donna segna per il Baldini un profondo mutamento. Il finale della serata, dunque, ritorna sul potere femminile.

E la guerra? 
È sparita, proprio come il povero bruco. 

Loredana Cefalo*

* Mi chiamo Loredana Cefalo, classe 1975, vivo a Cagliari, ma sono Irpina di origine e per metà ho il sangue della Costiera Amalfitana. Adoro le colline, il profumo della pioggia, l’odore di castagne e camino, che mi porto dentro come parte del mio DNA.

Ho una grande curiosità per la tecnologia, infatti da cinque anni tengo una rubrica di chiacchiere a tema vario su Instagram, in cui intervisto persone che hanno voglia di raccontare la loro storia. 

Sono stata una professionista della comunicazione, dell’organizzazione di eventi e della produzione televisiva, settori in  cui ho un solido background. Mi sono laureata in Giurisprudenza e ho un Master in Pubbliche Relazioni.

Ho accumulato una lunga esperienza lavorando per aziende come Radio Capital, FOX International Channels, ANSA e Gruppo IP, ricoprendo ruoli significativi nel settore della comunicazione e dei media, fino a quando non ho scelto di fare la madre a tempo pieno dei miei tre figli Edoardo, Elisabetta e Margaret.

In un passato recente ho anche giocato a fare la  foodblogger e content creator, con un blog personale dedicato alla cucina, una delle mie grandi passioni, insieme all’arte pittorica e la musica rock.

L’amore per la scrittura, nato in adolescenza, mi ha portata a scrivere il mio primo romanzo, “Il mio spicchio di cielo” pubblicato il 16 gennaio 2025 da Bookabook Editore e distribuito da Messaggerie Libri. Il romanzo è frutto di un momento di trasformazione e di crescita. La storia è presa da una esperienza reale vissuta indirettamente e ricollocata nel passato per fini narrativi e per gusto personale. Ho abitato in molti luoghi e visitato con passione l’Europa e le ambientazioni del romanzo sono frutto dell’amore che provo nei confronti delle città in cui è collocato.

Andrea Bajani: “L’anniversario” (Feltrinelli), di Valeria Jacobacci

 La  famiglia è una prigione? Un carcere di massima sicurezza? E’ così che la immaginiamo nel racconto di Andrea Bajani, che affida alla lama affilata del “romanzo” la salvezza che è liberazione ma anche strappo e vergogna, paura e senso di colpa. Da questo cocktail velenoso è difficile salvarsi, anche se si frappongono migliaia di chilometri e si cancellano accuratamente le tracce che conducono all’autonomia finalmente raggiunta. Il fuggitivo però resta un transfuga, un traditore e un disertore della guerra sempre in agguato fra un armistizio e l’altro. Il nido senza il quale nessun essere vivente può sopravvivere è anche trappola e tagliola. L’anniversario da festeggiare è il giorno in cui si imboccano le scale di casa e non si fa più ritorno.

Vengono in mente le parole di una canzone del primo Novecento, dove la giornata dell’addio è una magnifica giornata: “Oggi che bellissima giornata, che giornata di felicità, la mia bella donna mi ha lasciato…” il disco un po’ gracchiante attesta un indiscutibile sollievo. Succede quando un rapporto malato ha finalmente fine e il legame miracolosamente si scioglie. Nel caso della famiglia la situazione è diversa, il groviglio è inestricabile, più di un nodo di Gordio, e come tale ha bisogno di una spada e di un eroe per essere tagliato, più che di un semplice paio di forbici.

Perché? Perché si tratta davvero di un gesto eroico, del quale non tutti sono capaci, e anche quelli che ci riescono hanno bisogno di molto tempo per arrivarci. Lasciare la famiglia è facile quando il rapporto con essa è sano, allora non si tratta di abbandono, è un semplice e naturale allontanamento, senza traumi, solo la schiavitù rende complicata e pericolosa l’evasione.

Bajani parla di un rapporto familiare malato, sicuramente non raro, alla base del quale c’è la completa sottomissione della madre al padre. L’anomalia della situazione grava sui figli, un maschio, il protagonista, e una femmina, sua sorella. I due reagiscono in forma diversa agli scoppi d’ira del tiranno, consistenti in volo di oggetti, mobili rotti e botte sul corpo della madre, raramente su quello del figlio. Lui, il figlio, non ha la forza per ribellarsi, inizialmente perché è solo un bambino, poi perché, per l’appunto, non è un eroe, durante la crescita i numerosi episodi gli hanno provocato una nevrosi, con disturbi psicofisici che vanno dalle crisi di panico ai crampi violenti nel profondo delle viscere. La sorella si chiude, non trova complicità in lui, che suscita così il suo disprezzo, aspetta tranquilla di crescere per sposarsi e mettersi in salvo, se davvero si metterà in salvo.

L’incomunicabilità è il danno maggiore rappresentato dalla via di fuga scelta dalla madre, che è quella di rifugiarsi in un altro pianeta, dove non le arriva il dolore dell’umiliazione e non la spaventa la violenza, semplicemente lei non c’è, anzi, non “è”.   E’ questa la psicanalisi operata dal figlio, che osserva la madre con stupore crescente. Ad ogni crisi di violenza domestica segue un periodo neutro, durante il quale nessuno dice o fa niente, in attesa che tutto torni normale, di solito è il figlio a rompere il ghiaccio, raccontando un episodio qualunque o azzardando una battuta di spirito, allora il tiranno si degna di rispondere e la famiglia può tornare a respirare. La madre si prodiga in attenzioni e riguardi, come se dovesse farsi perdonare una colpa e non fosse invece il contrario.

I nonni hanno uno spazio in questa famiglia. Quelli materni restano ancorati a uno sterile perbenismo che impedisce loro di correre in difesa della propria figlia, assistono inermi e abulici alla sua rovina. Gli altri nonni non sono sposati, anzi, la nonna ha avuto figli da uomini diversi, il figlio bullo soffre di complessi d’inferiorità perché i fratelli di primo letto appartengono a una classe sociale più ricca. Ecco svelato il mistero: il senso d’impotenza e il rancore si scaricano sulla donna inerme che ha accettato di essere sua moglie.

Con simili genitori e nonni che può fare il nostro protagonista? Solo fuggire. Ed è quello che farà superando il più forte sentimento di colpa che è quello di lasciare la madre nelle mani del suo aguzzino. Ma la vittima non rischia niente perché è già morta molti anni prima. E nemmeno se n’è accorta. Che succede in terza generazione? Quello che succede a molti giovani laureati senza beni di fortuna e famiglie forti alle spalle: il figlio cerca e trova lavoro un po’ ovunque all’estero. Dopo il distacco per frequentare l’università questo è per lui un ottimo pretesto per mettere quanti più chilometri possibili fra sé e i suoi disgraziati parenti. Tuttavia le radici si tagliano dopo molto tempo e solo quando la maturazione psicologica e sentimentale è raggiunta, dopo una lunga psicoanalisi, una profonda sofferenza e un faticoso riguadagnare la riva dopo il più rovinoso dei naufragi.

Ma la vera protagonista resta la donna: perché non ha mai reagito?  Eppure lei non ha paura, profondamente anestetizzata, non è in grado di salvare né se stessa né i propri figli. Oppure pensa di farlo proprio in questo modo? E il padre? Può avere una qualche scusante? La sua è un’assurda richiesta d’amore. E’ così che il figlio decodifica il comportamento del debole, del fallito, dell’incapace. Forse non sa che le colpe vengono da più parti, per questo la sua risulta una denuncia: della società e dei suoi vizi, dei falsi valori e degli atavici pregiudizi.
 

Valeria Jacobacci

Valeria Jacobacci, scrittrice e pubblicista, è appassionata conoscitrice di storia partenopea e di biografie, spesso femminili, di donne che hanno caratterizzato i loro tempi. Si è interessata alla Rivoluzione Napoletana, al passaggio dal Regno borbonico all’Unità, al secolo “breve”, racchiuso fra due guerre. Ha pubblicato numerosi articoli, saggi e romanzi.