A.K. Blakemore: “L’insaziabile” (Fazi), la riproposizione di un mito, di Cristiana Buccarelli

Dopo aver letto circa un anno fa il romanzo di esordio di A. K. Blakemore Le streghe di Mannigtree (Fazi editore 2023), di cui scrissi all’epoca una recensione su Il Randagio, sono rimasta colpita molto favorevolmente da questa scrittrice così giovane e  promettente, pertanto ho affrontato di recente con grande interesse la lettura del suo secondo romanzo storico L’insaziabile (Fazi editore 2024) sempre con la traduzione di Velia Februari. 

Questo secondo romanzo, a mio avviso, conferma quanto sia valida la ricerca narratologica compiuta dalla Blakemore, la quale con uno stile elegantissimo e avvolgente, unito a una grande capacità narrativa, ci regala un nuovo romanzo che può definirsi davvero perturbante, nello stesso senso in cui l’autrice riporta questa parola in un dialogo tra i due medici Dupouis  e Courville che si occupano di Tarare, il tragico protagonista di questa storia, realmente vissuto nella Francia nel Settecento e testimone della Rivoluzione.

<<Però c’è qualcosa…qualcosa che non va in lui>> mormora Dupois. 

<<Si capisce al solo guardarlo, no? Qualcosa che va oltre la medicina>>  

<<Non c’è niente oltre la medicina>>, replica recisamente Courville. <<Solo ci mancano le parole per…>>

<<I tedeschi ce l’hanno una parola>>

<<Non hanno forse una parola per tutto?>>

<<Unheimlich>> conclude Dupuis. 

Nella postfazione l’autrice chiarisce la sua scelta di unire il dato storico e il mito e ci fornisce una spiegazione dell’elemento proprio che contaddistingue questo romanzo, il quale nasce sì dalla sua creatività, ma si basa anche sulla reale vicenda di un contadino francese apparsa sul “Journal de médicine, chirurgie, pharmacie” del 1804, pubblicata dal medico Pierre-Francoise Percy, che lo aveva avuto in cura, successivamente alla morte del soggetto in questione. Infatti nella postfazione la Blakemore scrive: <<Il mio intento nello scrivere questo romanzo non è stato rappresentare la verità, bensì offrire la più credibile riproposizione di un mito>>.

La Blakemore ha infatti la capacità di narrare le gesta quasi sovrannaturali di Tarare in maniera vivida e disturbante, così come solo una vera scrittrice può fare, sporcandosi le mani, immergendosi del tutto in un’esperienza umana abissale.  

Ma qual è la storia di Tarare? Credo sia una di quelle più tragiche e grottesche che si possano immaginare e ci viene raccontata da lui medesimo: un giovane uomo che nel settembre del 1798 sarà ricoverato all’Hospice civil de l’Humanitè di Versailles in condizioni disperate, e che prima di morire narrerà la sua vita alla giovane suora Perpetué. 

Egli nasce in un paese, lo stesso giorno in cui viene ucciso suo padre in una rissa, nel 1772 durante la festa di Saint Lazare. La madre giovane e poverissima per mantenerlo si dà alla prostituzione; in seguito quando Tarare è già adolescente la madre si lega a un farabutto che si dà ad affari poco leciti, tra cui il contrabbando del sale:

“…c’è stato un tempo in cui si contrabbandava il sale. Era una cosa che succedeva, ai vecchi tempi, quando il paese aveva un nome diverso. Quando gli uomini con le spade ingioiellate e le perruques bianche costringevano i contadini a contrabbandare il sale…”.

Nollett infatti è un essere crudele e anaffettivo, che prende di mira soprattutto Tarare, il quale è un ragazzino, semplice e ingenuo con un animo gentile, che non si uniforma allo stile di vita e alla disonestà del patrigno.

“Per dire qualcosa di buono su Tarare, forse basterebbe evidenziare che era incuriosito dal mondo e da tutto ciò che conteneva, e che questa curiosità in lui aveva generato una specie di amore. Forse basta dire che non c’era vera crudeltà in lui. Se la storia è un leone di pietra, Tarare è l’edera che gli invade la bocca”.

Quest’uomo terribile tenterà di ucciderlo, ma non ci riuscirà. Dal quel momento inizia la peregrinazione disperata di Tarare attraverso la Francia: incontrerà dei ladri saltimbanchi e girovaghi a cui si unirà. Ma dopo aver subito la violenza ignobile del patrigno e in qualche maniera un senso di abbandono al suo destino da parte della madre, Tarare cambierà per sempre. Comincerà a provare una fame incontenibile; l’homme sans fond divorerà qualunque cosa e sarà sfruttato da Lazou, il furbissimo capo dei saltimbanchi, come fenomeno da baraccone. 

Attanagliato da questo appetito insaziabile, nel costante desiderio di placare questa fame terribile, una volta giunto a Parigi si arruolerà nelle truppe rivoluzionarie, senza nessuna fede negli ideali rivoluzionari, ma esclusivamente nella speranza di essere nutrito. 

In realtà questa fame smisurata, nel senso in cui ce la descrive l’autrice, rappresenta un vuoto immenso, che è il vuoto di una creatura che si è sentita abbandonata; la sua condizione psicologica fa intuire come egli sia affetto da una forma di Picacismo, cioè un disturbo psicologico che spinge a ingerire qualsiasi cosa.

“L’unica cosa a cui pensa è la fame. La fame al mattino la fame alla sera la fame che lo sveglia di notte la fame su cui inciampa come una pietra smossa la fame che porta sulle spalle come una lettiga la fame amara la fame dolce (……..). Come domarla, se non può saziarla? Come affrontarla, se non è una creatura di carne e ossa? Non c’è rivoluzione che possa redimere Tarare. Lasciate cadere re e regine nella sua bocca spalancata e lui ne chiederà ancora”.

Le vicende di Tarare fino all’ultimo ricovero all’Hospice civil de l’Humanitè di Versailles, sono molteplici e, attraverso questa particolare vicenda umana, l’autrice riesce anche a raccontarci in maniera originale un momento storico cruciale che è quello della Rivoluzione. Siamo in un periodo di enorme scompiglio sociale: c’è l’odio verso gli aristocratici, il saccheggio delle loro case, ci sono le prime sommosse nelle campagne e nelle piccole città, c’è un richiamo del periodo del terrore e infine il preludio di quello che poi sarà l’impero napoleonico. La Blakemore scandaglia soprattutto il concetto di classe e il destino della povera gente, inoltre porta il lettore a interrogarsi sul senso ambiguo di questo nuovo mondo repubblicano che in realtà ripropone delle gerarchie di potere e di supremazia antiche quanto l’uomo stesso. 

L’insaziabile è un libro originale e struggente che si legge tutto d’un fiato. La storia di Tarare si conclude con le parole ‘’E tutto è perfetto, tutto è delizia’’, le quali, come rende noto l’autrice nella postfazione: <<provengono dalla descrizione dell’aldilà rivelata da una manifestazione spiritica …come riportato in ‘Immortali per caso, di uomini diventati divini senza volerlo’ di Anna Della Subin>>.

Cristiana Buccarelli  

Cristiana Buccarelli è dottore di ricerca in Storia del diritto romano. Ha vinto nel 2012 la XXXVIII edizione del Premio internazionale di Poesia e letteratura ‘Nuove lettere’ presso l’Istituto italiano di cultura di Napoli. Ha pubblicato la raccolta di racconti Gli spazi invisibili (La Quercia editore) nel 2015, il romanzo Il punto Zenit (La Quercia editore) nel 2017 ed Eco del Mediterraneo (IOD Edizioni) nel 2019. Con Eco del Mediterraneo (IOD Edizioni) ha vinto per la narrativa la V edizione del Premio Melissa Cultura 2020 e la IV edizione Premio Internazionale Castrovillari Città Cultura 2020. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo storico I falò nel bosco (IOD Edizioni) con cui ha vinto per la narrativa la XVI edizione del Premio Nazionale e Internazionale Club della poesia 2024 della città di Cosenza. Nel 2023 ha pubblicato il romanzo Un tempo di mezzo secolo (IOD Edizioni) con il quale è stata finalista per la narrativa all’XI edizione del Premio L’IGUANA- Anna Maria Ortese 2024. Conduce da svariati anni laboratori e stage di scrittura narrativa. 

“Le streghe di Manningtree”, l’esordio narrativo di A.K. Blakemore, di Cristiana Buccarelli

“La cuffia bianca chiusa nel pugno, i capelli che si irradiano intorno al mio viso come una rosa, sollevati dal vento dei molti mari”

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‘’Il Diavolo saltabecca tra le nubi d’autunno che sembrano lembi di pelle staccata. Il Diavolo ancheggia, il Diavolo danza. Danza come farebbe una fanciulla dai fianchi sottili, i capelli che le ricadono scarmigliati sulle spalle. Fiammeggiante. Ora che le notti si sono allungate, di sera potrebbe presentarsi di porta in porta assumendo le sembianze di un ambulante dalla carnagione scura, che apre il cappotto alle comari e alle donzelle stupefatte…’’

Con ‘Le streghe di Mannintree’ ci troviamo davanti a una narrazione d’esordio potentissima, quella di Amy Katrina Blakemore che ha realizzato uno dei migliori romanzi storici mai scritti da decenni e pubblicato di recente da Fazi.

In inglese la parola strega, witch, deriva dalla parola wicce, che vuol dire mago, veggente, sciamano. Ma può significare anche saggio. La strega è una donna saggia. A partire dal Rinascimento in Europa si scatenò una violenta persecuzione verso donne accusate di essere streghe, di unirsi carnalmente con il diavolo, di provocare tormente, di volare. Sulla base di queste assurde accuse, in tre secoli furono assassinate almeno tre milioni di donne, oltre a quelle esclusivamente incarcerate, interrogate e torturate per poi essere costrette all’abiura. È impossibile conoscere il numero esatto dei processi in quanto molti atti non sono conservati. È stato l’Olocausto delle donne, considerate le emissarie del diavolo. In realtà queste donne vivevano ai margini della società, ed erano spesso molto stimate nei borghi e nei paesi, anche se considerate strane, bizzarre; esse a volte svolgevano il mestiere di curatrici e levatrici, erano donne sagge che sapevano di erbe e di unguenti. Il mestiere di curare il corpo, e a volte anche l’anima, si trasmetteva di madre in figlia. A volte, come si racconta in questo romanzo, si trattava esclusivamente di donne povere, sole e con esistenze vissute ai margini della società. 

Come è noto già nel 1484 una Bolla papale di Innocenzo VIII ha consegnato al furore del fuoco molte donne sospettate di adorare il Diavolo a cui è seguita la famosa opera scritta nel 1486 di due inquisitori domenicani chiamata, Malleus Maleficarum. In quest’opera viene detto che ‘’la stregoneria sorge dall’appetito carnale che nelle donne è insaziabile’’, che ‘’quando una donna pensa con la propria testa, pensa male’’ e così via. Dopo più di due secoli questo libro girava ancora per l’Europa, e attraverso le sue parole si poteva ancora perseguitare e uccidere.  E questo appunto avviene nella storia de ‘Le streghe di Manningtree’, dove colpisce sia la particolarità della vicenda realmente accaduta che la descrizione analitica di alcuni personaggi davvero esistiti, tuttavia, come sempre avviene nel romanzo storico, l’invenzione, si mescola alle fonti ai dati documentati e in questo caso, a tratti, si intreccia anche ad elementi surreali di grande visività.

Come la stessa Blakemore precisa nella nota finale relativa alla caccia alle streghe in Inghilterra ‘’John Stearne e Matthew Hopkins negli anni che vanno dal 1644 al 1646  si stima abbiano contribuito alla condanna a morte per stregoneria  di un numero di donne che oscilla tra le cento e le trecento, oltre ad alcuni uomini …la caccia alle streghe durante la guerra civile fu  un periodo di persecuzione senza precedenti che gli storici hanno attribuito a una miriade di fattori sociali, religiosi economici e locali: il vuoto delle istituzioni e la carestia diffusa generati dalla guerra, un anticattolicesimo virulento…>>. L’evento si svolge nella contea dell’Essex, in cui un gruppo di donne, vedove o nubili, povere, spesso sboccate, dalla lingua tagliente e poco remissive, tra cui spicca la madre della protagonista Rebecca, la cosiddetta Beldam West (bella e dannata), -definita dalla stessa figlia ‘donnaccia, compagna di bevute, madre’– a causa di una circostanza tragica (l’improvvisa malattia e la morte inspiegabile di un bambino), verranno accusate di stregoneriaIn questo contesto compare e agisce come un uccello del malaugurio il personaggio di Matthew Hopkins, figura poco chiara di nuovo locandiere, avvocato e soprattutto di sedicente Inquisitore generale. Con maestria la Blakemore ci descrive un uomo della cui vita storicamente si conosce poco, l’unica cosa certa è che sia morto molto giovane di tubercolosi, ma, come ella stessa specifica; ‘’non ci è dato sapere se veramente credeva alla sua causa aderendo al dogma puritano della narrazione e quindi alla necessaria estirpazione della stregoneria oppure se fosse solo un vile opportunista assetato di denaro’’. L’autrice ci racconta un uomo sfaccettato, contorto, assetato di potere, freddo e provvisto di una crudeltà sottile, che tuttavia si commuove e si invaghisce a suo modo di Rebecca West, decidendo in qualche maniera di salvarla; si instaura infatti fra i due un rapporto simile a quello tra una vittima e un carnefice, che tuttavia alla fine si ribalterà in maniera assolutamente inaspettata a favore della ragazza.

Colpisce inoltre moltissimo lo stile della Blakemore; innovativo, originale, lirico e fiabesco (si vuole ricordare anche l’ottima traduzione di Velia Februari), con il quale realizza una narrazione di grande visività in cui si uniscono immaginifico e reale, mistero e ferocia. Si tratta di un linguaggio a tratti lirico, sempre evocativo. Il personaggio di Rebecca West spicca in un sapiente amalgama di acume mentale, giovinezza e disincanto.Si tratta di un personaggio complesso con un suo microcosmo intimo e personale, con una spinta e un desiderio di vivere molteplici esperienze in varie direzioni; dall’esplorazione della natura, alla sperimentazione dell’amore, alla conoscenza del mistero e del sovrannaturale. Spinta dalla crudezza della realtà acquisterà il necessario disincanto per sopravvivere, sceglierà di mentire, ma al tempo stesso proverà rabbia, si vendicherà e infine la sua sarà una vera e propria ricerca di libertà.  Blakemore le reinventa una vita perché nella realtà dei fatti storici documentati, come viene chiarito nella nota finale, il nome di Rebecca West, dopo la confessione, sparisce dagli atti processuali e di lei si perde ogni traccia, ma nell’invenzione letteraria dell’autrice la vita del suo personaggio continua in una forma assai originale.  

Nonostante ‘Le streghe di Manningtree’ si riferisca a una vicenda storica realmente accaduta nel 600’ può definirsi un romanzo estremamente moderno per il modo in cui indaga sulle convenzioni e le regole di un sistema sociale molto rigido e ristretto, dove chi non è conforme, chi non è omologato, chi vive una qualsiasi forma di diversità può facilmente diventare il capro espiatorio di un’intera comunità. Inoltre è moderna e disincantata la maniera in cui l’autrice indaga nel rapporto tra madre e figlia. Tra la Beldam West e Rebecca West persiste fino alla fine una dinamica affettiva conflittuale di luci e ombre, rabbia e desiderio di annientamento reciproco, ma nello stesso tempo di grande complicità e vicinanza. Alla fine sarà la stessa Beldam West a incitare la figlia a prestare falsa testimonianza per salvarsi la vita. La Blakemore, immaginando un destino diverso per Rebecca West, attraverso una narrazione viscerale e magmatica, pone l’attenzione sull’istinto di sopravvivenza e su un’aspirazione alla libertà valida in qualsiasi tempo.  Un libro potente e folgorante che ci parla con sincerità di libero arbitrio.

Cristiana Buccarelli  

Cristiana Buccarelli è una scrittrice di Vibo Valentia e vive a Napoli. È dottore di ricerca in Storia del diritto romano. Ha vinto nel 2012 la XXXVIII edizione del Premio internazionale di Poesia e letteratura ‘Nuove lettere’ presso l’Istituto italiano di cultura di Napoli. Conduce annualmente laboratori e stage di scrittura narrativa. Ha pubblicato la raccolta di racconti Gli spazi invisibili (La Quercia editore) nel 2015, il romanzo Il punto Zenit (La Quercia editore) nel 2017 ed Eco del Mediterraneo (IOD Edizioni) nel 2019, presentati tutti in edizioni diverse al Festival di letteratura italiana Leggere&Scrivere. Con il libro Eco del Mediterraneo (IOD Edizioni) ha vinto per la narrativa la V edizione del Premio Melissa Cultura 2020 e la IV edizione Premio Internazionale Castrovillari Città Cultura 2020. Nel 2020 è stata pubblicata a sua cura la raccolta Sguardo parola e mito (IOD Edizioni).

Nel 2021 ha pubblicato il suo primo romanzo storico I falò nel bosco (IOD Edizioni), presentato all’interno di Vibo Valentia Capitale italiana del libro 2021 al Festival di letteratura italiana Leggere&Scrivere e nel Festival Alchimie e linguaggi di donne 2022 a Narni. Nel 2022 ha ricevuto menzione d’onore con un racconto alla III edizione del Premio Carlo Gesualdo e alla II edizione del Premio I Ponti dell’Arte, inoltre è stata pubblicata a sua cura la raccolta In viaggio (Cervino Editore 2022). Nel 2023 ha pubblicato il romanzo Un tempo di mezzo secolo (IOD Edizioni).