Intervista a Angelo Scuderi per “Prima di dirsi addio” (Castelvecchi, 2025), di Loredana Cefalo

Ho conosciuto il romanzo di Angelo Scuderi, “Prima di dirsi addio”, edito da Castelvecchi, per caso, su Instagram, imbattendomi nell’hashtag #cercandobea.
Con la curiosità che mi contraddistingue, sono andata a scavare e ho trovato un racconto forte, dove tutti i sentimenti sono sospesi. Beatrice e Leonardo, i protagonisti, sono due ragazzi giovani, che si incontrano per caso in una stazione siciliana, ma la loro età non trasmette la spensieratezza che meriterebbe, bensì una sofferenza non risolta che nel dipanarsi del romanzo è un crescendo continuo di esperienze attraverso gli anni che passano.
Mentre leggevo sono stata a tratti catturata dal tono lirico e quasi onirico di alcuni passaggi e a tratti stupita da uno stile narrativo all’imperfetto, un tempo che ricorda i verbali delle forze dell’ordine, che dal presente non si stacca mai né dal passato né dal vissuto traumatico dei due protagonisti, che si sfiorano e si allontanano come gli estremi di una molla.
Ho apprezzato il finale inaspettato, così ho voluto fare una chiacchierata virtuale con Angelo Scuderi, per approfondire le tecniche e le ispirazioni del suo romanzo d’esordio, non potendo essere presente alla sua prossima tappa del booktour, a Catania il 5 dicembre alla libreria Mondadori.

L’episodio iniziale dell’incontro in stazione con una ragazza di nome Bea è un fatto realmente accaduto. Quanto è stato difficile o naturale trasformare un ricordo personale in una narrazione romanzata?

“Io sono della scuola dei mentitori cretesi, l’antico paradosso che non permette soluzione tra verità e bugia. E’ stato naturale ritrovare in quell’incontro giovanile con Bea, una idea funzionale alla storia. Bea, di Verona, era nel 2016 in viaggio di maturità classica a Taormina e si stava spostando a Tindari. Il fatto di conoscersi alla stazione, già abbastanza romantico, l’emozione nascente, non aver considerato di chiederle alcun contatto, relegato com’ero nell’imbarazzo e nella trasognanza, e lei là sugli scalini dell’autobus, in attesa forse che io le chiedessi qualcosa, un numero almeno, dopo avermi invitato a raggiungerla il giorno seguente. Tutto questo era materiale da racconto a mio parere. Ed era il momento di cominciare a mentire, anche allo scopo di ritrovarla e ringraziarla per avermi tanto ispirato, con così poco o con così tanto.”

Il romanzo è scritto prevalentemente all’imperfetto, un tempo verbale che in italiano suggerisce un’azione incompiuta, un qualcosa che dura nel tempo come i traumi dei protagonisti. Perché questa scelta singolare della narrazione temporale?

“L’imperfetto è il tempo della continuità nel passato, è il tempo della ripetizione agentiva. I due protagonisti sono, per ragioni diverse, ossessivamente ricondotti nel loro passato. Ho scelto l’imperfetto – e ne faccio un uso che è davvero molto raro, se non un unicum – per dare il senso di questo reiterato tentativo di riportare il passato nel presente, per creare un ponte, appunto, di continuità, tra queste due istanze temporali, e riconsegnare anche il senso della ripetizione martellante degli eventi trascorsi nella mente dei due personaggi. Solo in un punto del romanzo – quattro righe – viene usato il remoto, a cui da siciliano sono tanto affezionato. La puntualità del remoto infatti sigla un distacco netto da ciò che è accaduto, lasciandolo indietro, dicendogli addio.”

Il lettore viene a volte portato a “chiarire il presente attraverso il passato” tramite salti e flashback. Quali difficoltà hai incontrato nel mantenere un equilibrio tra la necessità di svelare il vissuto dei protagonisti e quella di mantenere la tensione narrativa?

“Da studioso di filosofia e psicologia ho un rapporto viscerale con la temporalità e con i ricordi. La tragedia dello scrittore sta nell’immaginare avendo di fronte un nulla di oggettivo. E’ la stessa tragedia del rammemorante, tragedia in senso sublime, perché è anche motivo di elevazione spirituale. Nelle allucinazioni controllate del sogno ad occhi aperti, che definisco, citando Bachelard, trasognanza, ritrovo il senso ultimo della letteratura. La tensione narrativa diventa una tensione delle tre dimensioni temporali in relazione alla distensione dell’anima. Mantenerle insieme è la funzione principale dell’anima, o dell’encefalo, per dirla con una terminologia più attuale. Materia e Memoria di Bergson è stata una lettura fondamentale durante la scrittura. Bisogna perdersi nei meandri oscuri del disvelamento dei ricordi, come accade ai personaggi.”

​Il segreto rivelato nelle ultime pagine conferisce una nuova chiave di lettura di tutto il romanzo: si passa dal destino al senso di colpa. Perché la scelta di collegare un amore tormentato a un ricordo così labile e sfumato come quello infantile?

“Non conosciamo l’origine del nostro turbamento, è una ricerca impossibile, difficile darne una maternità unitaria. Rileggere il momento del primo incontro tra Bea e Leo in stazione alla luce del finale è spiazzante, dà un senso nuovo alla storia, il senso del destino, dello scontro tra reminiscenza (Bea) e oblio (Leo). Ho voluto lasciare il lettore libero di interpretare il finale e di scandagliare il senso dalle azioni. Fa parte del mio approccio comportamentista, solo attraverso l’analisi del comportamento possiamo inferire significati e stati mentali delle persone, così dei personaggi. Cosa succede davvero? Cosa è ricordo e memoria e trauma? La cosa più straordinaria dei ricordi è che a volte sono veri. E’ nell’infanzia che bisogna ricercare l’origine del vero e del costruito.”

​”Non esiste lezione così atroce che un uomo non possa mai dimenticare.” E una frase che ricorre e che sembra essere smentita dalla condanna di Beatrice a ricordare tutto e per sempre. Quale lavoro di ricerca nella mente umana hai dovuto compiere per descrivere una differenza così pregnante fra chi ricorda tutto e chi tende a dimenticare?

“Hai colto perfettamente il senso tragico della storia. La narrazione si ispira alla tradizione della tragedia greca che respiro quotidianamente abitando a Siracusa. Avevo in mente di scrivere una storia che trattasse il tema della memoria e riflettevo sulla mia difficoltà nel rammemorare gli eventi della mia infanzia, laddove invece mia sorella riesce a ricordare tutto nei minimi dettagli. Da questo scontro di contrari nasce la tragedia, come in Antigone il fulcro è lo scontro tra legge positiva dello stato e massima morale individuale, così in Prima di dirsi addio rinveniamo l’idea forte dello scontro tra memoria e oblio. Sono Gian e Bea a pronunciare questa frase in momenti diversi, loro sono consapevoli, Leo, invece, crede di ricordare, ma crede, appunto.

“Prima di dirsi addio” è il tuo romanzo d’esordio. C’è già in cantiere un nuovo progetto letterario e, in caso affermativo, manterrai un’impronta legata all’introspezione e alla relazione o esplorerai generi diversi?

“Ho in cuore almeno due romanzi. Il primo, più metaletterario, ha l’intenzione di seguire le orme posate in nuce da Prima di dirsi addio, e di scandagliare il rapporto tra scrittura e memoria, tematica platonica sicuramente. L’altro è sorprendente, perché, immagino, che per le prime cento pagine segua la corrente intimista dalla mia scrittura, ma si riveli essere altro, chissà, forse anche un giallo o un romanzo politico o un distopico. Vorrei anche pubblicare i miei racconti, tutte finzioni della provincia di Messina.”

Questo romanzo è la tua soluzione per ritrovare una persona che ti è piaciuta per un attimo, ma che potrebbe rivelarsi più o meno interessante della donna narrata nel tuo libro. Accetti il rischio di incontrarla atraverso l’hashtag #cercandobea e rimanerne o tremendamente deluso o profondamente colpito?

“Dovremmo tutti promettere senza mantenere mai” viene detto nel romanzo. Sono sicuro che Bea è una persona straordinaria, mi sbaglio raramente. Come tutte le persone straordinarie deve poter deludere per essere reale. Storicamente, posso dirti che sono più deludente io, non ho alte aspettative, le chiedo quindi di non averne, nemmeno lei. #cercandobea è di tutti d’altra parte, tutti ricerchiamo qualcosa di perduto, Bea per me è metafora di tante cose, Prima di dirsi addio è questa ricerca.

Loredana Cefalo*

* Mi chiamo Loredana Cefalo, classe 1975, vivo a Cagliari, ma sono Irpina di origine e per metà ho il sangue della Costiera Amalfitana. Da cinque anni tengo una rubrica di chiacchiere a tema vario su Instagram, in cui intervisto persone che hanno voglia di raccontare la loro storia. 

Sono stata una professionista della comunicazione, dell’organizzazione di eventi e della produzione televisiva, settori in  cui ho un solido background. Mi sono laureata in Giurisprudenza e ho un Master in Pubbliche Relazioni.

Ho accumulato una lunga esperienza lavorando per aziende come Radio Capital, FOX International Channels, ANSA e Gruppo IP, ricoprendo ruoli significativi nel settore della comunicazione e dei media, fino a quando non ho scelto di fare la madre a tempo pieno dei miei tre figli Edoardo, Elisabetta e Margaret.

In un passato recente ho anche giocato a fare la  foodblogger e content creator, con un blog personale dedicato alla cucina, una delle mie grandi passioni, insieme all’arte pittorica e la musica rock.

L’amore per la scrittura, nato in adolescenza, mi ha portata a scrivere il mio primo romanzo, “Il mio spicchio di cielo” pubblicato il 16 gennaio 2025 da Bookabook Editore e distribuito da Messaggerie Libri. Il romanzo è frutto di un momento di trasformazione e di crescita. La storia è presa da una esperienza reale vissuta indirettamente e ricollocata nel passato per fini narrativi e per gusto personale. Ho abitato in molti luoghi e visitato con passione l’Europa e le ambientazioni del romanzo sono frutto dell’amore che provo nei confronti delle città in cui è collocato. Dal mese di giugno scorso curo il podcast del Randagio “Capitolo Zero”.

Intervista a Chiara Maci per “Quelle due” (Mondadori, 2025), di Loredana Cefalo

Ho seguito con piacere, sui social network,  il racconto del booktour di Chiara Maci, nella sua nuova veste di romanziera, in giro per l’Italia bollente di fine giugno, fra un bicchiere ricolmo di bollicine ghiacciate e il suo sorriso inconfondibile e rassicurante che emerge ogni giorno dalla sua pagina Instagram.

Il suo primo lavoro letterario, “Quelle due” edito da Mondadori, è un delicato inno alle donne, attraverso quattro generazioni. 

Un romanzo di formazione che traccia le linee di un dolore taciuto, narrando la trasformazione del rapporto madre-figlia attraverso ricordi e verità celate. 

Fra una tappa e l’altra siamo riuscite a ritagliarci un angolo di chiacchiere virtuale e mi fa piacere condividere con tutti, randagi e non, quello che ci siamo dette, che va sempre un po’ oltre le pagine scritte.

Chiara, guardando alla tua carriera sempre in evoluzione, mi viene in mente il tuo “nograzienonsipreoccupi” di Adele, la tua protagonista. Nel tuo ritmo incessante vita – lavoro come affronti i momenti in cui pensi di non riuscire a portare avanti tutto?

Credo che la cosa più difficile, per quelle come me, sia imparare a chiedere aiuto. Sono cresciuta con la convinzione di poter fare tutto da sola e allo stesso tempo, riuscendoci poco alla volta, ho avuto la conferma che, sopportando, tutto era possibile. Fondamentale è stato capire che sopportare non vuol dire essere forti e di conseguenza fermarsi e chiedere aiuto perché da soli, spesso, non ci si salva. 

Il tuo romanzo d’esordio “Quelle due” esplora temi a te molto vicini, non sono autobiografici ma prendono spunto anche dalla tua esperienza. Da dove nasce l’esigenza di trasporre in un libro una vicenda che riecheggia in modo così forte la tua biografia di madre single?

Dalla voglia di comunicare qualcosa di bello, un lavoro fatto su me stessa che andava condiviso con chi in qualche modo si riconosce in Adele. Ma anche in Mia. 

L’accettazione della propria storia è qualcosa di intenso, forte. Qualcosa che cambia radicalmente il modo di vedere il percorso fatto e quello ancora da fare. 

Il mio libro vuole essere un augurio a tutte le donne affinché riconoscano la loro unicità nella propria storia. 

Famiglia e legami sono un pilastro della tua comunicazione. Come donna e madre, come ti relazioni con i pregiudizi che la società ancora riserva alle famiglie monogenitoriali in particolare quelle al femminile?

C’è tanto da fare, ancora. Le famiglie monogenitoriali non si conoscono e di conseguenza non vengono riconosciute. Da un punto di vista burocratico è tutto complesso e i retaggi passati ahimè non si superano con una generazione. Ma sono positiva sul lavoro che si sta facendo e che verrà fatto dalle nuove generazioni.

Se tornassi indietro, di cosa avresti bisogno nel momento della decisione di diventare madre? E che consiglio offriresti a una donna che si trovi ad affrontare la tua scelta?

Di sentirmi dire “ci sono io”. Non solo come madre sola ma come madre e basta. 

Nel momento in cui diventi genitore è fondamentale sapere di poter contare su un appoggio. E quindi il mio consiglio è quello di non voler fare le wonder woman ma di appoggiarsi a un genitore, un amico, una persona di fiducia. 

Un tema toccante del romanzo è quello dei bambini costretti a crescere troppo in fretta, un fenomeno che spesso riguarda le femmine. Dal tuo punto di vista, in che modo questa “adultizzazione” precoce può condizionare la capacità di una donna di essere libera e di sviluppare un pensiero autonomo in futuro?

I bambini dovrebbero essere bambini. E a volte succede che, da genitori, riponiamo troppe responsabilità su un figlio e sulla sua crescita precoce. Il “sembra un piccolo adulto” è un’espressione usata moltissimo come un complimento, ma non lo è.

Un genitore deve lavorare su se stesso per non trasmettere ai figli crepe e responsabilità ma allo stesso tempo una madre deve lavorare sulla propria libertà, perché da una madre libera nascono figli liberi. 

Il romanzo esplora due paure genitoriali archetipiche: quella di commettere errori le cui conseguenze ricadono sui figli e quella di dover, un giorno, lasciarli andare. Al di là della finzione letteraria, come convive Chiara Maci con queste preoccupazioni?

Come tutte le mamme, piena di paure e con la convinzione che, come fai fai, sbagli sempre. Ma in fondo ogni età, propria e dei figli, porta con sé cambiamenti e inevitabili momenti di crescita. Non arriverò pronta al lasciarli andare ma vivrò ogni momento con la consapevolezza di quello che è giusto. 

Hai lasciato il tuo segno nel mondo digitale, in quello televisivo e ora in quello editoriale. Guardando al futuro, c’è un nuovo orizzonte professionale che ti affascina o un progetto che senti ancora di voler realizzare?

Non penso mai al segno che lascio, ma penso piuttosto alla mia esigenza di condividere qualcosa di vero, di bello, che parte sempre da dentro. A volte è la cucina, a volte la ceramica, quasi sempre la scrittura. 

Loredana Cefalo*

* Mi chiamo Loredana Cefalo, classe 1975, vivo a Cagliari, ma sono Irpina di origine e per metà ho il sangue della Costiera Amalfitana. Da cinque anni tengo una rubrica di chiacchiere a tema vario su Instagram, in cui intervisto persone che hanno voglia di raccontare la loro storia. 

Sono stata una professionista della comunicazione, dell’organizzazione di eventi e della produzione televisiva, settori in  cui ho un solido background. Mi sono laureata in Giurisprudenza e ho un Master in Pubbliche Relazioni.

Ho accumulato una lunga esperienza lavorando per aziende come Radio Capital, FOX International Channels, ANSA e Gruppo IP, ricoprendo ruoli significativi nel settore della comunicazione e dei media, fino a quando non ho scelto di fare la madre a tempo pieno dei miei tre figli Edoardo, Elisabetta e Margaret.

In un passato recente ho anche giocato a fare la  foodblogger e content creator, con un blog personale dedicato alla cucina, una delle mie grandi passioni, insieme all’arte pittorica e la musica rock.

L’amore per la scrittura, nato in adolescenza, mi ha portata a scrivere il mio primo romanzo, “Il mio spicchio di cielo” pubblicato il 16 gennaio 2025 da Bookabook Editore e distribuito da Messaggerie Libri. Il romanzo è frutto di un momento di trasformazione e di crescita. La storia è presa da una esperienza reale vissuta indirettamente e ricollocata nel passato per fini narrativi e per gusto personale. Ho abitato in molti luoghi e visitato con passione l’Europa e le ambientazioni del romanzo sono frutto dell’amore che provo nei confronti delle città in cui è collocato. Dal mese di giugno scorso curo il podcast del Randagio “Capitolo Zero”.

Paolo Nori, Nadia Terranova, Andrea Bajani e Fabio Canino allo Strega Tour con Loredana Cefalo e il Randagio (video)


E la guerra? È sparita, proprio come il povero bruco (Quartu, 18 giugno 2025)

Una piccola cosa, stasera, ha attratto la mia attenzione, fortemente.
Fra le scarpe delle tante persone, i tacchi delle signore, quelle eleganti da uomo e le sneakers dei ragazzi presenti alla tappa isolana del Premio Strega Tour, si aggirava timidamente un bruco.
Un bruco marroncino, un po’ brutto, in verità, che c’entrava poco col clima di festa e l’aria di bellezza intellettuale che si respirava fra le sedie, bagnate dalla pioggia torrenziale, che ha preceduto la kermesse presentata da Fabio Canino, volto noto ed irriverente della TV e della radio italiane. 

Mentre il piccolo insetto si faceva spazio fra sedie e piedi, sono saliti sul palco i giovani, di un noto liceo cagliaritano a leggere le loro riflessioni sui cinque libri candidati al prestigioso premio. 

E sempre mentre l’esserino strisciante si aggirava intorno al palco, sulle quattro sedie messe una accanto all’altra, tre dei cinque finalisti hanno preso posto per parlare dei loro bellissimi libri. 

Una serata coi fiocchi, con la giusta dose di pacatezza e puntualità che solo i sardi sanno avere, nonostante due dei nostri supereroi (li chiamo così perché il tour è una bella prova di resistenza per chiunque) non siano riusciti a presenziare in questa unica tappa in Sardegna di Quartu Sant’Elena. 

Ed ecco arrivare le parole che si intrecciano nell’aria che, dopo la pioggia, è diventata fresca.
Si parla di memoria, del potere del ricordo, si ascoltano i video messaggi dei due assenti e si fa qualche battuta. 

Dov’è finito il bruco? 

Eccolo lì, proprio accanto alla mia scarpa, in una posizione defilata, stavolta, rispetto al palco. Sembra cercare finalmente riparo, lontano da piedi indiscreti. 

Mentre riposiziono l’attenzione sul gruppo di scrittori in gara, noto che il fil rouge dei  libri presentati è un grande super potere: quello delle donne. Me ne compiaccio, ma tengo sempre un occhio vigile al bruco e al suo percorrere lento e mi metto in asascolto.

Ascolto la potenza del racconto della protagonista del libro di Elisabetta Rasy, “Perduto è questo mare” che durante varie fasi della vita, sperimenta la ferita per la perdita, dolore che si placherà solo attraverso la memoria letteraria. 

Sempre di memoria e dolore si parla nella famiglia di Madre e Padre, in “Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia” di Michele Ruol e anche lì, il ruolo femminile gioca una chiave fondamentale per il recupero dei 99 ricordi. 

Andrea Bajani, vincitore già dello Strega Giovani, nel suo romanzo “L’anniversario” compie un piccolo miracolo: fa restituire il ricordo di una madre a suo figlio, una donna che nonostante fosse resa invisibile da un uomo tiranno, riesce anche ad essere felice ed è proprio attraverso la memoria di quella felicità che suo figlio la sente presente nel ricordo e la trova “scalpellando” fra gli scritti.


Ed ecco che arriva il superpotere della bisnonna di Nadia Terranova, nel suo romanzo autobiografico “Quello che so di te”: un emblema delle donne rese isteriche perché anticonvenzionali, marchiate per sempre come pazze, solo perché fuori dagli schemi. Con tenerezza la scrittrice ci ricorda che, sebbene tanti passi si siano fatti nell’emancipazione femminile, siamo ancora molto indietro nella parità di genere. E ci presenta un’immagine fortissima, accomunando le sedie di design delle nostre case a quelle dei manicomi di inizio Novecento, a causa del peso dei legacci e fibbie che il ruolo femminile nella società ancora impone. 


E sul finire del suo discorso sulla realtà attuale, mentre ero distratta dalla scia del mio piccolo amico strisciante, ecco che sento volare nell’aria una parola che sembra uno squarcio.
“Guerra”.
È piccola, bruttina anzichenò rispetto a questa magica serata. Non c’entra nulla, proprio come il mio amico. Ed esattamente come lui, dopo aver generato un silenzio glaciale, nonostante l’afa serale, si attorciglia intorno alla sua autrice, fa un giro timido fra le prime file e sembra dissolversi. 

Paolo Nori, con la simpatia parmense che lo contraddistingue, cita un verso del poeta Raffaello Baldini, “In due” dedicato alla morte di sua moglie. Nel suo libro “Chiudo la porta e urlo” è evidente come la perdita della donna segna per il Baldini un profondo mutamento. Il finale della serata, dunque, ritorna sul potere femminile.

E la guerra? 
È sparita, proprio come il povero bruco. 

Loredana Cefalo*

* Mi chiamo Loredana Cefalo, classe 1975, vivo a Cagliari, ma sono Irpina di origine e per metà ho il sangue della Costiera Amalfitana. Adoro le colline, il profumo della pioggia, l’odore di castagne e camino, che mi porto dentro come parte del mio DNA.

Ho una grande curiosità per la tecnologia, infatti da cinque anni tengo una rubrica di chiacchiere a tema vario su Instagram, in cui intervisto persone che hanno voglia di raccontare la loro storia. 

Sono stata una professionista della comunicazione, dell’organizzazione di eventi e della produzione televisiva, settori in  cui ho un solido background. Mi sono laureata in Giurisprudenza e ho un Master in Pubbliche Relazioni.

Ho accumulato una lunga esperienza lavorando per aziende come Radio Capital, FOX International Channels, ANSA e Gruppo IP, ricoprendo ruoli significativi nel settore della comunicazione e dei media, fino a quando non ho scelto di fare la madre a tempo pieno dei miei tre figli Edoardo, Elisabetta e Margaret.

In un passato recente ho anche giocato a fare la  foodblogger e content creator, con un blog personale dedicato alla cucina, una delle mie grandi passioni, insieme all’arte pittorica e la musica rock.

L’amore per la scrittura, nato in adolescenza, mi ha portata a scrivere il mio primo romanzo, “Il mio spicchio di cielo” pubblicato il 16 gennaio 2025 da Bookabook Editore e distribuito da Messaggerie Libri. Il romanzo è frutto di un momento di trasformazione e di crescita. La storia è presa da una esperienza reale vissuta indirettamente e ricollocata nel passato per fini narrativi e per gusto personale. Ho abitato in molti luoghi e visitato con passione l’Europa e le ambientazioni del romanzo sono frutto dell’amore che provo nei confronti delle città in cui è collocato.

“Pride, monogenitorialità e Chiara Maci”, di Loredana Cefalo (video)

“Stasera ho scoperto che le cernie nascono femmine. Poi a metà della loro vita diventano maschi. Sono furbe, le cernie. I maschi sono tutti vecchi e stanno con femmine più giovani, ma non possono stare insieme per sempre per ovvi motivi. Comodo essere una cernia.”

Il primo romanzo di Chiara Maci, “Quelle due” ci ricorda, in pieno Pride Month, una scomoda verità. 

Come ha detto lei stessa dal palco de Le Iene: “Molti credono che Adele non esiste”. Adele, la protagonista, è una madre single. Un fantasma che si aggira tra gli scaffali del supermercato, un’entità mitologica per chi vive ancora nel mondo incantato della famiglia tradizionale o “nucleare”.

Per decenni, il Vangelo sociale recitava: un uomo, una donna, un anello al dito, prole. 

Il kit base della felicità, approvato e sigillato. 

E il Pride, per fortuna, arriva ogni anno a fare da guastafeste, urlando che esistono mille modi per volersi bene e creare una famiglia.

Sul palco, in bella vista, monogenitorialità e l’omogenitorialità che affermano a gran voce: “Esistiamo anche noi. Le nostre famiglie sono reali, basate sull’amore e meritano lo stesso tipo di tutela delle altre”.

Il primo grande scoglio per un genitore single? Farsi riconoscere come “famiglia” e non come un “progetto fallito” o, peggio, un “atto di egoismo”. Perché, si sa, crescere un figlio da soli è una chiara violazione del regolamento non scritto del buon vicinato.

Ma quanti sono questi “egoisti”? 

Noi randagi curiosi siamo andati a ficcanasare tra i numeri.

Secondo l’ISTAT, dall’ultimo censimento disponibile del 2021, in Italia ci sono oltre 3,8 milioni di famiglie con un solo genitore. 

E chi guida questa armata? Le madri, ovviamente. Rappresentano il 77,6% del totale. Quasi 8 su 10, la cui condizione di genitore solo deriva principalmente da separazioni e divorzi. Seguono le vedovanze e, in misura crescente, la scelta di avere figli al di fuori del matrimonio.

La fascia d’età più rappresentata tra i genitori soli è quella tra i 45 e i 64 anni. Anche se si registra un numero considerevole e in costante crescita tra le fasce più giovani.

Si tratta di un fenomeno strutturale che richiede politiche di sostegno adeguate, volte a garantire il benessere dei genitori e, soprattutto, dei loro figli.

Ora, passiamo alla parte spassosa: i soldi. 

O meglio, la loro cronica assenza.

Save the Children, nel suo rapporto “Le Equilibriste”, ci dice che una madre sola con figli minori guadagna in media 26.822 euro all’anno. Un padre nella stessa situazione? 35.383 euro.

Una “piccola” differenza di quasi 9.000 euro. Le cause? Un mix letale di part-time involontari, carriere a singhiozzo per conciliare lavoro e vita e il solito, intramontabile, gender pay gap.

Ma il rischio povertà è solo l’antipasto. Il piatto forte delle difficoltà è un altro.

La vera beffa quotidiana è la caccia alla seconda firma. 

Benvenuti al sadico gioco a premi “Trova l’Ex!”, dove per iscrivere tuo figlio all’asilo, fargli la carta d’identità o mandarlo in gita, devi ottenere la firma di un fantasma o semplicemente un campione di ostruzionismo.

E poi c’è lui, il “carico mentale”.

“Non avevo idea di cosa volesse dire essere madre”

“Quando sei da sola, ogni cosa che fai hai paura di sbagliarla e sai che se succede qualcosa è sempre solo colpa tua”.

Le madri sole sono ad alto rischio di esaurimento psicofisico, essendo le uniche responsabili di tutti gli aspetti della vita dei figli. Dalla gestione della casa, i compiti, le visite mediche, fino alle decisioni educative, tutto viene gestito a ritmi sempre più invasivi e alle povere donne single con prole a carico, non solo non è data la possibilità di dividere i dolori con un  partner, ma non hanno nemmeno il tempo di assaporare le piccole gioie.

Ciliegina sulla torta, lo stigma sociale: quel coro greco di sguardi pietosi e giudizi non richiesti, laddove le domande scomode e inopportune non sono solo riservate al genitore, ma anche ai figli, che non sanno mai cosa rispondere. 

Ecco perché la battaglia per il riconoscimento della monogenitorialità è il cuore del Pride. 

Perché il Pride non è solo una parata arcobaleno. 

È una dichiarazione di guerra alla “normalità” imposta. 

È la lotta per il diritto sacrosanto di scegliere se, come e con chi costruire la propria vita. 

È chiedere allo Stato di fare il suo lavoro: proteggere tutte le famiglie, concentrandosi sul benessere dei bambini.

Perché l’amore, a differenza di un modulo per la questura, non ha bisogno di due firme per essere valido.

Loredana Cefalo*


* Mi chiamo Loredana Cefalo, classe 1975, vivo a Cagliari, ma sono Irpina di origine e per metà ho il sangue della Costiera Amalfitana. Adoro le colline, il profumo della pioggia, l’odore di castagne e camino, che mi porto dentro come parte del mio DNA.

Ho una grande curiosità per la tecnologia, infatti da cinque anni tengo una rubrica di chiacchiere a tema vario su Instagram, in cui intervisto persone che hanno voglia di raccontare la loro storia. 

Sono stata una professionista della comunicazione, dell’organizzazione di eventi e della produzione televisiva, settori in  cui ho un solido background. Mi sono laureata in Giurisprudenza e ho un Master in Pubbliche Relazioni.

Ho accumulato una lunga esperienza lavorando per aziende come Radio Capital, FOX International Channels, ANSA e Gruppo IP, ricoprendo ruoli significativi nel settore della comunicazione e dei media, fino a quando non ho scelto di fare la madre a tempo pieno dei miei tre figli Edoardo, Elisabetta e Margaret.

In un passato recente ho anche giocato a fare la  foodblogger e content creator, con un blog personale dedicato alla cucina, una delle mie grandi passioni, insieme all’arte pittorica e la musica rock.

L’amore per la scrittura, nato in adolescenza, mi ha portata a scrivere il mio primo romanzo, “Il mio spicchio di cielo” pubblicato il 16 gennaio 2025 da Bookabook Editore e distribuito da Messaggerie Libri. Il romanzo è frutto di un momento di trasformazione e di crescita. La storia è presa da una esperienza reale vissuta indirettamente e ricollocata nel passato per fini narrativi e per gusto personale. Ho abitato in molti luoghi e visitato con passione l’Europa e le ambientazioni del romanzo sono frutto dell’amore che provo nei confronti delle città in cui è collocato.

Placido Di Stefano:”GAP. Grottesco Adolescenziale Periferico” (Neo Edizioni, 2025), di Loredana Cefalo

“GAP. Grottesco adolescenziale periferico” di Placido Di Stefano, pubblicato da Neo Edizioni, è un romanzo di formazione spietato che affronta le dinamiche dell’adolescenza nel contesto degradato della periferia milanese; una periferia che è luogo di esclusione sociale e culturale, dove i ragazzi crescono nella violenza e in uno stato di abbandono.

L’autore, Placido Di Stefano, lombardo con origini sicule, finalista con questo romanzo al “Premio Nazionale di Narrativa – Neo Edizioni 2024”, affronta tematiche sociali complesse quali la tossicodipendenza giovanile e la prostituzione adolescenziale, attraverso il racconto di una storia individuale segnata dalla solitudine e dalla disperazione.

Al centro della narrazione c’è Fedor, un sedicenne dalla psicologia tormentata, la cui fragilità è acuita dalla perdita della madre e dalla dipendenza da droghe sintetiche. L’amicizia con Leo e il Moro – quest’ultimo figura emblematica di una gioventù che cerca rifugio e forse riscatto nel cinema sperimentale e nella realizzazione di un cortometraggio – rappresenta l’unico barlume di umanità e di speranza.

Lo stile narrativo di Di Stefano, crudo e diretto ma anche lirico e introspettivo, è una delle gemme più innovative del romanzo: una scelta audace e volutamente “delirante” che rinuncia ai dialoghi tradizionali per immergere il lettore in un flusso continuo di pensieri, ricordi, flashback e descrizioni. Questa tecnica si rivela straordinariamente efficace, conferendo al testo una velocità e un ritmo serrato che ricordano lo scorrere incessante di contenuti su uno schermo di smartphone. È un’esperienza di lettura dinamica e avvolgente, che cattura l’immediatezza del sentire giovanile e fa esplodere platealmente il mondo interiore di Fedor con le sue ossessioni, le sue contraddizioni e il suo autolesionismo. 

Con lo scorrere delle pagine, attraversate anche da una vena romantica, il lettore resta sospeso tra situazioni sempre più crudeli e pericolose in attesa del colpo di scena, che arriva “in sordina”, tra le nebbie di Fentanyl e bong. Il finale aperto sembra un invito alla speranza e alla riflessione sull’importanza dell’istinto di sopravvivenza nonostante tutto. 

“GAP”, in linea con le scelte editoriali della Neo, è un’opera che osa, sperimenta e offre uno sguardo potente e stilisticamente innovativo sull’adolescenza, il lutto e la resiliente, seppur grottesca, ricerca di un senso al vivere in un mondo spaventoso. In estrema sintesi è un libro che vale la pena leggere e che noi Randagi ci sentiamo di consigliare.

Loredana Cefalo*

* Mi chiamo Loredana Cefalo, classe 1975, vivo a Cagliari, ma sono Irpina di origine e per metà ho il sangue della Costiera Amalfitana. Adoro le colline, il profumo della pioggia, l’odore di castagne e camino, che mi porto dentro come parte del mio DNA.

Ho una grande curiosità per la tecnologia, infatti da cinque anni tengo una rubrica di chiacchiere a tema vario su Instagram, in cui intervisto persone che hanno voglia di raccontare la loro storia. 

Sono stata una professionista della comunicazione, dell’organizzazione di eventi e della produzione televisiva, settori in  cui ho un solido background. Mi sono laureata in Giurisprudenza e ho un Master in Pubbliche Relazioni.

Ho accumulato una lunga esperienza lavorando per aziende come Radio Capital, FOX International Channels, ANSA e Gruppo IP, ricoprendo ruoli significativi nel settore della comunicazione e dei media, fino a quando non ho scelto di fare la madre a tempo pieno dei miei tre figli Edoardo, Elisabetta e Margaret.

In un passato recente ho anche giocato a fare la  foodblogger e content creator, con un blog personale dedicato alla cucina, una delle mie grandi passioni, insieme all’arte pittorica e la musica rock.

L’amore per la scrittura, nato in adolescenza, mi ha portata a scrivere il mio primo romanzo, “Il mio spicchio di cielo” pubblicato il 16 gennaio 2025 da Bookabook Editore e distribuito da Messaggerie Libri. Il romanzo è frutto di un momento di trasformazione e di crescita. La storia è presa da una esperienza reale vissuta indirettamente e ricollocata nel passato per fini narrativi e per gusto personale. Ho abitato in molti luoghi e visitato con passione l’Europa e le ambientazioni del romanzo sono frutto dell’amore che provo nei confronti delle città in cui è collocato.