Beppe Fenoglio: ‘’La sposa bambina’’ da “Tutti i racconti” (Einaudi), di Grazia Frisina

Mezza zingara è Catinina, sempre a giocare in strada con i maschi. 

Rapisce Fenoglio, narratore di brevi racconti, qui distante dal mondo della guerra partigiana, ma sempre dentro alla sua terra, le Langhe di bricchi e boschi, di pedaggere, aie e vendemmie.

Da un lato c’è lei, l’innocenza di una bambina con le sue biglie colorate per giocare a tocco e spanna o da tenere tintinnanti in tasca come bottino prezioso, dall’altro, a fare da contraltare, c’è il mondo contadino, paesano, arcaico, di dura esistenza, pesante di retaggi patriarcali, in cui i bambini, i figli, non hanno posto perché nascono già destinati a essere braccia da lavoro nei campi o a saldare prestiti insolvibili in combinati matrimoni. È quanto accade a Catinina, che, per un debito del padre, si ritrova – oggetto d’indennizzo – ad essere maritata a soli tredici anni senza neppure averne coscienza.

Sua madre si piegò e disse a Catinina: – Neh che sei contenta di sposare il nipote di questo signore?

Catinina scrollò le spalle e torse la testa. Sua madre la rimise in posizione: – Neh che sei contenta, Catinina? Ti faremo una bella veste nuova, se lo sposi.

Un racconto toccante, di struggente e sotterranea bellezza dello scrittore albese, inserito nella raccolta Racconti del parentado e del paese: una storia che oscilla in brevi sequenze, fra la cruda realtà fatta di grettezze, soprusi e imposizioni e l’imprevedibile affiorare di attimi di inibita delicatezza e poesia, appena appena percettibili.

Ecco, quindi Catinina, la protagonista, sposa bambina, che deve unirsi a un giovane, rozzo e brufoloso, ma già sistemato col suo commercio di stracci, che le si rivolge dandole del voi. Ma cos’è quel voi che lui pretende pure da lei stessa? Se non forse l’esito dell’aver respirato e assimilato, fin dalla nascita, l’aria greve di un ambiente in cui dagli uomini si esige fermezza autorità rispetto e severità? 

Perché così ha da essere, da secoli.

Occorre conformarsi, giacché la vita è solo sudore e lavoro: non c’è spazio né tempo per gli intenerimenti e le smancerie, né per carezze o gesti d’intima affettuosità. E lo sposo si adegua, senza consapevolezza; vi si adegua nel rapporto con la sua piccola donna, usandole anche violenza di cui, con un inedito impulso, presto si pente, sfiorandole i lividi lasciati sulla guancia dalle sue botte e piangendo. 

Quando si ritirarono per la notte in una stanza trovata dal parente, allora la riempì di schiaffi la faccia a Catinina. E nient’altro, tanto Catinina non era ancora sviluppata.

Al mattino Catinina aveva per tutto il viso macchie gialle con un’ombra di nero, lo sposo venne a sfiorargliele con le dita e poi scoppiò a piangere. Proprio niente disse o fece Catinina per sollevarlo, gli disse solo che voleva tornare a Murazzano. 

Una debolezza meschina e scandalosa negli occhi di un uomo, per quella cultura dove le lacrime sono una cascaggine, un fatto di femmine.

Eppure Catinina mostra capricciosamente moti di ribellione contro la durezza di quella realtà cui deve infine sottostare perché è la legge, la legge del matrimonio. Una durezza che tuttavia non scalfisce né impoverisce la sua infanzia.

In un’ingenuità tutta bambina, lei, dentro un bozzolo suo proprio, sottilissimo primitivo e irragionevole, sembra custodire un segreto che è quasi un talismano di salvezza, un magico antidoto alle brutture, alla disillusione: la vita è possibile se uno conserva in sé la levità del gioco, se dalle cose semplici e quotidiane si attingono allegrezza, gusto e colore, mentre tutto intorno è un immobile arrancare tra nebbia temperie sfinimento e povertà. È possibile, insomma, un distacco, una salvazione, magari desiderando un vestito rosso, colore assurdo per una cerimonia nuziale, o facendo una scorpacciata di mentini lungo il viaggio di nozze, fatto in concomitanza del commercio dello sposo verso Savona, o anche a snodarsi e a rider di gola insieme ad altri. O avere un poggiolo e un lume a petrolio in una casa che n’è priva. 

Oppure d’un tratto restare incantati, naso all’insù, per una luna fluttuante in cielo, ma così tanto vicina che pare li segua col suo faccione da mostro. E poi… poi quella prima volta del mare, al termine del viaggio nuziale sullo scomodo carretto a traino di una mula. Inattesa rivelazione: finalmente il mare! approdo epifanico. 

Un mare che lei ha sempre cercato di catturare dalle pupille di chi l’ha visto e vissuto. 

E noi adesso la osserviamo là, come se fosse sulla riva di un felice spaesamento, davanti a tutta quell’incredibile quantità d’acqua, nella sua esilità di bimba con gli occhi annegati nell’azzurro, fulminata dalla vastità, quasi spaventata, che dalla sua immaginifica testolina non sa altro che esclamare, come una tiritera, Che bestione! Che bestione!  Una liberazione!

Ora se lo stava godendo da due passi il mare, ma lo sposo le calò una mano sulla spalla e si fece accompagnare a stallare la bestia. Ma poi le fece vedere un po’ di porto e poi prendere un caffellatte con le paste di meliga. Dopodiché andarono a trovare un parente di lui.

Questo parente stava dalla parte di Savona verso il monte e a Catinina rincresceva il sangue del cuore distanziarsi dal mare fino a non avercene nemmeno più una goccia sotto gli occhi.

Fremito d’inosservata vita, creatura pura semplice autentica spontanea – che un po’ mi ricorda l’Eugenia di Un paio di occhiali di Anna Maria Ortese – è Catinina, che dà anima alle cose più grandi di lei, che nel fondo di sé, inconsciamente, trattiene la meraviglia, una leggerezza infantile che non cessa di fermentare nel sangue, anche quando, divenuta giovanissima madre, dimentica di cunare il suo piccolo, presa com’è dalla foga contenta del gioco a tocco e spanna con i maschi, in strada.

Non cela la sua piemontesità, Fenoglio, trascinandoci in questa succinta storia, con uno stile singolarissimo, già incontrato nei suoi romanzi più noti, con un linguaggio di naturalezza, creativo e gergale insieme, così aderente alla realtà e al parlato. Mediante una lineare e intensa fabula, è abile nel rendere vive, concrete le scene che via via narra, senza mai indulgere al giudizio o al pietismo, ma tacitamente capace di avvicinare il cuore del lettore alla sostanza di una umanità che fatica e mostra un volto di pietra, sotto il quale si può intuire talora un soffocato fiorire di sensibilità, un cedere a una grazia imponderabile.

Un periodare essenziale, una scrittura diretta, senza fronzoli, abbarbicata al suolo – un po’ com’è la gente delle sue amate Langhe. 

Mentre si legge non ci si accorge come tutto fluisca, in una scabra musicalità, perfetto e immediato, che perfino nel non detto, nelle ellissi è percepibile tutta una galassia di significati di valori, vicende e conflittualità tanto da non avvedersi che anche tu sei entrato là dentro, in quella storia, che stai dietro ai passi di quei personaggi, ne senti le anime sofferte, le voci di rabbia e maledizione, il brusio di pena o di gioie passeggere, guardi il mondo coi loro occhi. 

Qui è manifesta la sua statura come autore anche di racconti.

E affascina Fenoglio con quei finali di una semplicità che coglie sempre alla sprovvista – dentro cui pare spesso palpitare un destino d’attesa tragedia – quasiché dispiace aver concluso la lettura. 

Inutile chiedersi che ne sarà di quella bambina e di quel pustoloso ragazzo, facile invece indovinare quale futuro li attenda, un futuro che non sarà altro che il perpetrare il passato di miseria e di fatica. 

A me non interessa sapere; non voglio vedere Catinina sottomessa e rassegnata nel suo domani di donna sfatta dalle tante gravidanze e dal lavoro; in una scena precisa, in un frammento di vita, lo scrittore l’ha fermata, là voglio continuare a immaginarla, affrancata da ogni legame, in quell’istante di culmine di spensierato gioco, felice all’aria aperta, con le sue biglie di vetro colorato: un fermo immagine, mezza zingara, in una infinita libertà.

Per sempre bambina!

Grazia Frisina

Grazia Frisina: Già docente di Lettere nelle scuole superiori. Le sue pubblicazioni: il romanzo A passi incerti (2009); il dramma poetico sulla Shoah Cenere e cielo (2015, messo in scena presso il museo della Deportazione di Prato), e Madri (2018), prefazione di Marinella Perroni, (tre pièces su alcune figure femminili del mondo biblico, dalla pièce Stabat Mater è stato realizzato un corto, girato nel carcere di Pistoia); le raccolte poetiche: Foglie per maestrale (2009), Questa mia bellezza senza legge (2012), Innesti (2016), Pietra su Pietra (2021), Avrei voluto scarnire il vento (2022), Storie senza approdo (2025), con illustrazioni dell’artista Edoardo Salvi. Il testo inedito Fiaba detta o fiaba scritta, a chi va storta a chi va dritta (2023) è stato messo in scena con la regia di Piera Rossi. Presso la biblioteca San Giorgio di Pistoia ha curato La gioia diventa un dipinto, incontro sulla poesia di Emily Dickinson, tra arte e musica (2014), e il dialogo poetico: Ricordi come raccoglievamo i narcisi, sulla storia d’amore fra Sylvia Plath e Ted Hughes (2015). Presso la casa-museo Guidi di Firenze ha ideato e curato il dialogo poetico Il mare nel vento – Unavoce dentro l’altra, sull’amore fra Elizabeth Barrett e Robert Browning (2017). Ha partecipato al festival di poesia Notturni di versi di Portogruaro (2016 e 2021). È presente, con alcuni suoi componimenti, in varie riviste letterarie nazionali e internazionali.

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