Michela Ponzani: “Processo alla Resistenza. L’eredità della guerra partigiana nella Repubblica (1945 – 2022)” (Einaudi), di Vincenzo Vacca

Voglio iniziare queste mie modeste riflessioni relative al libro della Prof.ssa Ponzani – storica e saggista –  in modo paradossale: riportare le dichiarazioni rilasciate durante il processo a suo carico di Herbert Kappler, uno dei criminali nazisti responsabili della strage delle Fosse Ardeatine avvenuta a Roma il 24 marzo 1944. 

Il citato nazista, dopo aver ammesso di non aver voluto avvertire nessuno della imminente strage che costò la vita a 335 persone, precisava: “se la cittadinanza di Roma avesse appreso che un eccidio stava per essere perpetrato nel suo territorio, nessuno avrebbe potuto prevedere l’intensità delle sue reazioni. I partigiani avrebbero potuto organizzare un attacco fulmineo. L’intera città avrebbe potuto insorgere. Per ragioni di sicurezza, le esecuzioni dovevano essere tenute segrete finché non erano state portate a termine”.

Ho voluto riportare dal libro in argomento queste fondamentali verità messe in evidenza dall’ autrice, perché l’ attentato di via Rasella – che secondo le sentenze giudiziarie deve essere definito un legittimo atto di guerra effettuato anche su sollecitazione degli Alleati, i quali non perdevano occasione per chiedere ai resistenti di non dare tregua, in tutti i modi, ai tedeschi supportati dai fascisti – è l’ atto di guerra guerreggiata preso in assoluto di mira per delegittimare la Resistenza in quanto tale, addossando la responsabilità della strage ai gappisti che l’ avevano ideata, organizzata ed eseguita.

Fin dal giorno dopo della strage, furono diffuse notizie false per colpevolizzare i partigiani, come quella che fosse stato chiesto che gli stessi si presentassero al Comando tedesco prima di uccidere 335 persone.

Addirittura che fossero stati affissi dei manifesti con tale richiesta. Manifesti che mai nessuno ha visto. Una falsificazione che è arrivata fino ai giorni nostri ed operando una plateale inversione delle responsabilità, nonostante il fatto che  le diverse sentenze giudiziarie abbiano chiarito in tutti gli aspetti la liceità del comportamento dei resistenti, come già ricordato.

L’ autrice del libro, in modo puntuale e rigoroso, smonta anche il cosiddetto “diritto di rappresaglia” di cui tanto pure si è parlato, spesso a sproposito, dimostrando in modo inoppugnabile l’ inconsistenza di questo presunto “diritto”.

“Processo alla Resistenza” è un libro che proprio in questi tempi va letto, studiato e diffuso, perché fa una straordinaria opera di chiarimento su cosa è stata la Resistenza: “aderire alle formazioni partigiane era stato, in fondo, un atto di disobbedienza radicale, suffragato giorno per giorno dalla scelta delle armi, inizialmente maturato in solitudine, nell’ intimo della propria coscienza, e solo in seguito – con l’ irrompere della guerra in casa – rinforzato dalla solidarietà di gruppo “.

Ma il libro è incentrato soprattutto su cosa accadde dopo l’ aprile 1945, vale a dire sull’ attività giudiziaria esercitata in ordine agli atti compiuti da partigiani sia durante sia dopo la guerra, che si dispiegò sostanzialmente fra il 1948, ossia l’ anno della sconfitta elettorale delle sinistre e dei disordini consecutivi all’ attentato a Togliatti e il 1953, ovvero l’ anno in cui una nuova amnistia veniva concessa “per i reati politici e i reati inerenti a fatti bellici, commessi da coloro che abbiano appartenuto a formazioni armate” fra l’ 8 settembre 1943 e il 18 giugno 1946. 

Stiamo parlando di una attività molto intensa, anche brutale e rozza, che coinvolse molte migliaia di ex partigiani. Già in quegli anni fu interpretata quale di fatto era: un generale “Processo alla Resistenza “.

La Resistenza è una imputata a vita, sempre messa in stato d’ accusa, non più giudiziariamente, ma nel discorso pubblico e politico.

Come è noto, nel giugno del 1946, veniva approvata “l’ amnistia Togliatti” gestita da magistrati rimasti sostanzialmente indenni dalle epurazioni, i quali si erano formati durante il ventennio ed erano transitati nella Repubblica. Questi togati, sfruttando delle indubbie ambiguità della amnistia, affrontavano con una sfacciata benevolenza i processi per crimini fascisti. Infatti, annullavano frequentemente in appello condanne emesse in primo grado utilizzando soprattutto la dicitura inserita nell’ amnistia che prevedeva il processo solo a carico di fascisti macchiatisi di “sevizie particolarmente efferate”. Voglio menzionare, a tal proposito solo un caso tra i tanti raccontati rigorosamente dalla scrittrice, e cioè quello di Rodolfo Graziani, condannato a 19 anni di carcere e rimesso in libertà quattro mesi dopo mediante piroette giuridiche al limite del surreale. 

Invece, gli ex partigiani venivano perseguiti con durezza, spesso estrema.

Venivano chiamati a rispondere di atti senza alcuna contestualizzazione in cui quegli atti venivano compiuti. Questo era reso possibile dal fatto che mancava una legislazione che prevedesse piena legittimità per azioni in un contesto di guerra irregolare come quella partigiana.

I fascisti poterono farsi scudo del codice di guerra, in quanto forze sedicenti regolari, essendo forza armata di uno Stato fantoccio al servizio della Germania nazista. In tribunale e in buona parte dell’ opinione pubblica i partigiani erano, e sono attualmente, considerati dei fuorilegge.

Questo “processo alla Resistenza ” trovava il suo apice nei primi anni del centrismo e dell’ inizio della Guerra fredda,  creando una stretta e falsa associazione tra Resistenza e comunismo.

A livello di opinione pubblica, solo negli anni Sessanta,  dopo la caduta del Governo Tambroni, veniva riaffermata in pieno il significato della Resistenza a cui parteciparono appartenenti a tutte le forze politiche antifasciste e tante/i senza alcun orientamento politico se non quello di conquistare la democrazia e la libertà ponendo fine al regime criminale nazifascista.

Ma la vulgata antiresistenziale è rimasta fino ai nostri giorni ed incarnata, purtroppo, anche da alti esponenti istituzionali. Ecco perché libri come quello della Prof.ssa Ponzani sono estremamente importanti, in quanto ristabiliscono le verità storiche e confutano notizie fabbricate ad arte per equiparare partigiani e repubblichini; ma i primi combattevano per restituire la dignità persa dal nostro Paese, i secondi combattevano a fianco della Germania nazista per instaurare un ordine barbarico e concentrazionario riportando l’ umanità in una epoca di tenebre assolute.

Vincenzo Vacca

Michela Ponzani insegna Storia contemporanea, nonché Storia delle fonti audiovisive e multimediali presso l’ Università di Roma Tor Vergara. Consulente dell’ Archivio storico del Senato della Repubblica, si è laureata con una tesi “Le Fosse Ardeatine dal massacro al mausoleo” che ha vinto la V edizione del Premio nazionale Pier Paolo D’ Attore. Saggista – ha pubblicato per Laterza e Einaudi – , conduce programmi di approfondimento  storico in televisione.