Come siamo quando leggiamo? Chiedo ai miei figli cosa sia stato leggere per loro da adolescenti. Per me i ricordi sono più lontani, riesco a focalizzarli sulla copertina rigida delle Fiabe dei fratelli Grimm. Un libro che ho fatto accuratamente rilegare, una operazione di maquillage per un eccesso di tempo vissuto e per tutte le volte che l’ho aperto e ne ho sfogliato le pagine. Sulla copertina una Biancaneve con i capelli color dell’ebano e la pelle bianca come la neve, seduta nel bosco ai piedi di un albero secolare e nerboruto, circondata dai sette nanetti che, incantati, la osservano mentre racconta la sua storia, l’essere sfuggita alle grinfie della matrigna, alla sua crudeltà che l’aveva mandata nel bosco affinché il cacciatore la uccidesse riportandole il suo cuore ed il suo fegato come prova del misfatto compiuto. Un racconto cruento eppure non mi stupiva, non riesco a trovarne motivazione nella mia mente di bambina. Era il libro che mia madre mi leggeva prima di addormentarmi o quando avevo la febbre e mi accucciavo nel suo lettone. Gli oggetti ci rimandano a momenti che si fissano indelebili nella memoria. Quelle poche figure, accompagnate dalla leggerezza delle parole del racconto, innescavano la nostra fantasia. Ripenso al Calvino delle Lezioni americane: “ci aggrappiamo alla leggerezza” e dov’è la leggerezza se non nelle parole? Esse non devono seguire la pesantezza degli oggetti, esse nascondono il mistero del linguaggio la cui origine non riusciamo a definire. Forse nascondono quel mistero per cui, come scrive Federico Faggin, la coscienza, il soffio vitale vengono prima della materia e sono al contrario generatori di materia, dei fatti che ci accadono.

La leggenda di Perseo e Medusa, che sottende la riflessione sulla leggerezza di Calvino, vede Perseo che deve sfuggire allo sguardo di Medusa, deve guardarla nella sua immagine riflessa. Medusa pietrifica ogni cosa, ma Perseo librandosi in alto vince Medusa, la decapita ma deve continuare a tenere la sua testa in un sacco per occultarla al suo stesso sguardo. Le nuvole sostengono Perseo, la loro volatilità trasforma la negatività di Medusa nel proprio contrario, il miracolo della leggerezza delle parole. La Leggerezza è un elogio della letteratura che ci permette di uscire dall’opacità del mondo e di guardarlo attraverso la lente delle bellissime immagini che essa stessa crea. Ho chiesto ancora ai miei ragazzi cosa fosse per loro la lettura, non c’è altra risposta se non la fuga dal mondo, un posto in cui rifugiarsi e sentirsi sicuri e dimenticare i disagi, il non sentirsi adeguati, accettati, non avere lo sguardo dell’altro; tutto questo accadeva anche a noi.
Scrittura e letteratura come antesignana del mondo virtuale? Come la leggerezza delle parole è necessaria per sfuggire al peso che è dell’esistere delle cose, così la rapidità non è essere frenetici o ancor peggio frettolosi ma godere dell’indugio e donare alla scrittura quella velocità di pensiero che da sempre le appartiene, così l‘esattezza, simboleggiata da una piuma, che serviva da peso sul piatto della bilancia dove si pesano le anime, significa evocazione di immagini visuali nitide, icastiche, per usare un aggettivo caro a Calvino. La letteratura è esattezza ma vede il suo contrario nel vago, il linguaggio è tanto più poetico quanto più è vago e impreciso. Il cristallo e la fiamma sono i due simboli in cui si condensa il valore della letteratura che cristallizza nella forma la bellezza della realtà e vivacizza con la fiamma il sentire che essa ci trasmette.
Eravamo abituati a generare le immagini con le parole. Esse erano l’input per sfuggire al mondo esteriore e lasciarsi rapire da quello interiore. Ci riusciamo ancora, ci riescono i nostri ragazzi, in una società dominata e bombardata dalle immagini? Le immagini attraverso il tempo hanno origini diverse: Dante ne proclama la diretta ispirazione divina, scrittori vicini a noi ne stabiliscono contatti con emittenti terrene: l’inconscio individuale o collettivo, il tempo ritrovato nelle sensazioni che riaffiorano dal tempo perduto. E’ come se l’inconsistenza, la leggerezza della parola ci trasmettesse la sensazione che qualcosa esorbita dal nostro controllo, facendo riaffiorare, in un mondo senza Dio, uno strano sentimento di trascendenza.
Da dove provengono le immagini che l’artista armonizza nella sua mente? Hofstadter risponde: è tutto sommerso sott’acqua come un iceberg, non visibile e l’artista lo sa. Ed ecco che ci risiamo con una cosa ed il suo contrario. Riemerge il compito dell’Arte: rendere visibile l’invisibile, aprire una ferita, come i tagli sulla tela di Fontana. Le teorie dell’immaginazione possono, dunque, andare d’accordo o sono incompatibili con la conoscenza scientifica? Qui mi si aprono dei dubbi. La mente del poeta e dello scienziato funzionano secondo una associazione di immagini che è il modo più veloce di collegare e scegliere tra le infinite forme del possibile e dell’impossibile e a questo punto si tratta di riflettere se il sistema agisce secondo il libero arbitrio o secondo un destino.
La fantasia funziona come una macchina elettronica che tiene conto di tutte le combinazioni possibili scegliendo quelle che corrispondono ad un fine, possono essere divertenti, piacevoli ed interessanti, tristi o malinconiche. Un raccontare che diventa sempre più intrigante. Calvino riconosce l’immaginazione come repertorio del potenziale, dell’ipotetico, di ciò che non è, né è stato né forse sarà ma che avrebbe potuto essere. Diventa in questo modo possibilità una molteplicità potenziale e indispensabile per conoscere. Potenza della fantasia, dell’invisibile ed allora spazio alla scrittura dove il tutto del mondo e dell’io si condensa in materia verbale, caratteri maiuscoli e minuscoli, punti, virgole, segni allineati e fitti rappresentano lo spettacolo variopinto del mondo, uguale e sempre diverso, come le dune spinte dal vento del deserto.
A noi, abitanti di questo tempo, di una società bombardata dalle immagini rimane il dubbio: da dove attingerà la fantasia, sarà possibile una letteratura fantastica in una crescente inflazione d’immagini prefabbricate?
Quando chiedo ai miei figli cosa è leggere rispondono “fuga, trasferirsi in un altrove o, aggiungono, quando leggevo pensavo che fosse tutto vero e fino ai 25 anni ho pensato che potessi imparare a vivere leggendo, poi mi sono accorto che forse sarebbe stato peggio, le contraddizioni in quello spazio virtuale potevano sopravvivere, la realtà mi imponeva di distinguere e scegliere ed operare secondo canoni non sempre fantastici anche se questi rimanevano a portata di mano, mi aiutavano in una operazione di straniamento di percezione della realtà per poter in essa agire e così ho aperto la Partita Iva”. Leggere è in ogni caso viaggiare ed è così ad ogni età. E’ riconoscere funzioni terapeutiche alla scrittura, riconoscere al nostro sistema neurale che si attiva attraverso l’uso delle parole, abitare altri spazi per prendere le distanze dalle dissonanze che permeano le nostre vite.
Il processo fantastico era un tempo induzione, era intuizione e fantasia, oggi la scienza riconosce alla scrittura questa funzione che l’uomo in modo inconsapevole ha sempre cercato. I nostri neuroni sono una sorta di generatori di mondi, qualcuno l’ha chiamata produttività dello spirito, in contrapposizione ad un mondo degli antichi considerato naif dove si viveva in un tutt’uno con la natura, perché se ne accettava il bene e il male come parte imprescindibile dell’essere e della realtà. La distinzione tra bene e male ci pone però di fronte ad un problema etico, ad un desiderio: realizzare ciò che pensiamo. Nell’adolescenza non ne abbiamo consapevolezza, abbiamo il tempo per raggiungere la meta e realizzare il desiderio. Pian piano con gli anni diventa una necessità, uno spazio indispensabile al nostro presente: e quando l’abbiamo capita ecco che è quasi finita (da una poesia di Barbara Gramegna).

Non saprei definire perché ci piace la parola, ascoltare o leggere mentre siamo fermi. Sulle ginocchia di un genitore e su una poltrona illuminata da una lampada, ascolto Robinson Crusoe di De Foe, che non poté viaggiare ma visse nel libro il suo viaggio nel nuovo mondo. “Le mille e una notte”, “Alice nel paese delle meraviglie”, i racconti dal libro Cuore, “Dagli Appennini alle Ande” o “La piccola vedetta lombarda”, coraggio civile dei bambini, quante lacrime. Il bambino lì sull’albero, coraggioso, fiero, scruta lontano e nonostante le preghiere dell’ufficiale non scende giù, finché una pallottola non lo colpirà. Una bandiera tricolore sarà il suo drappo funebre.
E non più adolescenti permettiamo che i ricordi ci vengano incontro leggeri e visibili, molteplici e rapidi sì, pensando a Calvino, osservo il loro leggero movimento verso di noi. E a chi potrei pensare? Mi viene in mente Louis-Ferdinand Céline, Viaggio al termine della notte. Potenza della fantasia che ci fa immaginare di avere vicino chi non avremo più e essere dove mai più potremo essere o vederlo scorrere davanti alle nostre palpebre abbassate come in un film di Quentin Tarantino
Lo spazio letterario è l’unico che ci consente di porci domande e a lasciarci la libertà di interpretazione e fuga. Visibilità nella società dell’apparire più che dell’essere sembra quasi allontanarci dalla riflessione di Calvino.
E’ nella letteratura che accettiamo l’infinita molteplicità del reale, nella letteratura viviamo le contraddizioni, ne diventiamo consapevoli. Il mondo è un sistema di sistemi singoli che vicendevolmente si condizionano. Strane immagini cerebrali ci fanno decollare in uno spazio curvo e vuoto o immergere in un fluido addensato dove i quanti impazziti si muovono come sulla pista di un autoscontro. Già, atterrare più in alto, la prima contraddizione: atterrare in alto perché lì sono le nostre radici, le radici della nostra fantasia e della nostra complessità. L’unica cosa che mai non sapremo è ciò che determina la scelta nel mare infinito della molteplicità. Anche il tempo è plurimo ed ogni presente si biforca in due o più futuri e così si forma una rete di tempi divergenti, convergenti e paralleli, non funziona così la vita?
E, forse, Il castello dei destini incrociati ne è l’esempio più bello ed eclatante. I tarocchi sono un insieme di ipotesi possibili, interpretabili a piacimento e a seconda della connessione tra loro e che si siano incontrati prima o dopo.Vorremmo racchiudere il mondo in una mano ma ci sfugge e resta incompiuto, ma essere incompiuti è essere infiniti, si lascia spazio a nuove possibilità e nuovi inizi. Sono queste le grandi opere, quelle che sfuggono al self di chi scrive e diventano luoghi di identificazioni di mondi per tutti e fanno parlare ciò che non ha parola
Lu cuntu non metti tempu, mi piace questa espressione dialettale del Sud. Non smetteremmo mai di parlare e di raccontare. Quanto al tempo, che si passava nelle piazze, nelle agorà a discutere e a guardarsi negli occhi, ad accusarsi, a rimproverarsi o a scoprire unità di intenti, è agli sgoccioli: le piattaforme social hanno sostituito le piazze, stesse cose e forme diverse
Ascoltarsi, raccontare procedono come un incantesimo: contraggono e dilatano il tempo di chi ascolta e di chi legge. Conosciamo una cosa e il suo contrario. E’ un insegnamento antico.
E così come la leggerezza ha bisogno della pesantezza, perché è ciò che deve tradurre, nel senso di trans, portare dall’altra parte e rendere leggero, così la rapidità deve conoscere l’indugio e l’attesa. E quale immagine più bella se non nel rappresentarla in una sorta di alleanza tra Vulcano e Mercurio? Il primo, rintanato nella sua fucina, fabbrica scudi, armi, gioielli e ornamenti per gli dei e le dee. Vulcano contrappone al volo aereo di Mercurio il suo passo claudicante e il battere cadenzato del suo martello. Entrambi sono complementari e inseparabili. Il lavoro dello scrittore ha bisogno di tempi diversi: della immediatezza di Mercurio e degli aggiustamenti pazienti di Vulcano che, nascosto agli occhi del mondo tra le gole degli anfratti della sua officina, rimugina la vita e il suo vissuto con melanconia saturnina senza la quale non ci sarebbe arte.
Calvino ci ha regalato la consapevolezza della scrittura.
Maurizia Maiano*

*Maurizia Maiano: Sono nata nella seconda metà del secolo scorso e appartengo al Sud di questa bellissima Italia, ad una cittadina sul Golfo di Squillace, Catanzaro Lido. Ho frequentato una scuola cattolica e poi il Liceo Classico Galluppi che ha ospitato Luigi Settembrini, che aveva vinto la cattedra di eloquenza, fu poeta e scrittore, liberale e patriota. Ho studiato alla Sapienza di Roma Lingua e letteratura tedesca. Ho soggiornato per due anni in Austria dove abitavo tra Krems sul Danubio e Vienna, grazie a una borsa di studio del Ministero degli Esteri per lo svolgimento della mia tesi di laurea su Hermann Bahr e la fin de siècle a Vienna. Dopo la laurea ritorno in Calabria ed inizio ad insegnare nei licei linguistici, prima quello privato a Vibo Valentia e poi quelli statali. La Scuola è stato il mio luogo ideale, ho realizzato progetti Socrates, Comenius e partecipato ad Erasmus. Ho seguito nel 2023 il corso di Geopolitica della scuola di Limes diretta da Lucio Caracciolo. Leggo e, se mi sento ispirata e il libro mi parla, cerco di raccogliere i miei pensieri e raccontarli.

