Il sogno di Gervaise
Émile Zola (1840 – 1902) era un uomo sensibile, pieno di talento.
Riuscì a farsi notare nel variegato mondo letterario parigino con le sue prime opere e vari articoli e nel 1870, a trent’anni, firmò con un editore un contratto che ben pochi scrittori avrebbero avuto il coraggio di accettare: scrivere venti romanzi in vent’anni e ci riuscì.
I venti romanzi, intitolati “I Rougon-Macquart. Storia naturale e sociale di una famiglia sotto il Secondo Impero” (Les Rougon-Macquart. Histoire naturelle et sociale d’une famille sous le Second Empire) pubblicati tra il 1871 e il 1893, prendevano a modello la “Commedia umana” di Balzac ma erano/sono assai diversi nello stile e nei contenuti.

Non è necessario leggerli in ordine cronologico, anche se i personaggi sono collegati fra di loro essendo discendenti della stessa famiglia.
Edmondo De Amicis, scrittore ligure autore del famoso libro “Cuore”, ha lasciato un resoconto prezioso di una sua conversazione con Zola nella quale l’artista francese (ma di padre italiano) gli svelava il suo modo di procedere nel lavoro (nota 1).
Quando Zola aveva un’idea letteraria iniziava a fare un’indagine giornalistica sull’ambiente che intendeva descrivere. Se voleva descrivere un mercato, per esempio, stava tutta la giornata sul posto, prendeva appunti, annotava la topografia, le botteghe, guardava le persone, i modi di fare, di parlare, l’abbigliamento, i tessuti, i colori, faceva caso agli odori, ai dettagli.
Man mano che il romanzo prendeva sempre più forma, con i suoi personaggi e i suoi eventi, quelle note meticolose gli servivano per essere fedele alla realtà.
Egli tracciava anche un’accurata descrizione delle psicologie dei personaggi.
Era infatti vicino alla corrente letteraria del Naturalismo e a quella scientifica del Positivismo. Il Naturalismo rigettava le ombre inquietanti del gotico e del fantastico, gli abili ed ingenui stratagemmi letterari del feuilleton, la narrativa idealizzata e romantica borghese per concentrarsi obiettivamente sul popolo. Zola era un impetuoso socialista e nella vita un uomo riservato, timido, gentile (nota 2).
Il suo modo di scrivere era cinematografico ben prima che il cinematografo fosse inventato, nel 1895, dai Fratelli Lumière. Se fosse vissuto nel XX secolo sarebbe stato, molto probabilmente, un grande cineasta e non a caso fu un appassionato della nascente fotografia.
Leggere i suoi libri vuol dire entrare in un mondo perduto, ma da lui così vividamente descritto, da farci quasi dimenticare il presente.

Nel 1876 Zola incominciò a pubblicare su una rivista il settimo romanzo del ciclo sui Rougon-Macquart , intitolato “L’Assommoir”.
Lo scandalo fu enorme sia per la trama sia per il linguaggio (nota 3) e si dovette interrompere la pubblicazione.
L’anno seguente venne pubblicato in volume ottenendo un grande successo e violente critiche.
“L’Assommoir” era il nome di un’osteria di infimo ordine dove operai, disoccupati e disperati si stordivano con vino da poco prezzo, acquavite e assenzio.
Spesso nelle versioni italiane si è lasciato il titolo originale che si può tradurre “l’ammazzatoio”. Qualche traduttore ha optato per “lo scannatoio”.
Nel 1954 il regista René Clément ha realizzato un bel film dal romanzo intitolandolo “Gervaise”, come la sua protagonista, una scelta a mio avviso azzeccata.
Gervaise era interpretata dalla bellissima e radiosa attrice austriaca Maria Schell che venne premiata al festival del cinema di Venezia.
L’Assommoir è la storia, ambientata tra il 1850 e il 1877, di una giovane donna, Gervaise Macquart, la quale nonostante tutte le circostanze le siano negative e le persone contro, tenta di costruirsi una vita onesta e dignitosa.
Gervaise è bionda, bella, un po’ claudicante, tenace ma anche arrendevole, non vuole deludere o scontentare nessuno ma il mondo in cui vive è iniquo e violento.
Nata a Plassans, una città del sud immaginaria in cui lo scrittore ritrasse la natia Aix – en -Provence, ha avuto un padre violento con lei e con sua madre. Ha iniziato a lavorare come lavandaia da bambina e a 14 anni ha incontrato Lantier, un ragazzo piacente, in teoria cappellaio ma in realtà nullafacente, con il quale ha iniziato, senza sposarsi, una relazione sentimentale da cui sono nati due bambini, Claude e Étienne.
Il primo era già apparso brevemente come pittore ritrattista nel grande mercato parigino di Les Halles qualche anno prima nel romanzo “Il ventre di Parigi” e sarebbe ritornato come tormentato pittore protagonista nel romanzo “L’Opera”.
Il secondo Étienne, sarebbe stato invece l’introverso minatore protagonista di “Germinal” (1883), altri due bellissimi romanzi di Zola.
Gervaise avrà anche una figlia da Coupeau, suo secondo compagno e marito, un parigino loquace e furbetto lattoniere, cioè riparatore di grondaie: la bellissima Nanà, futura protagonista del romanzo omonimo e cortigiana nell’alta società parigina.
Gervaise sogna una vita semplice: un compagno che le voglia bene, un lavoro onesto, una casa modesta ma con qualche mobile grazioso, vicino a sé i suoi figli che adora e che spera che diventino “brave persone”. Il suo sogno sembra realizzarsi quando riesce ad aprire, facendo tanti sacrifici, una bella tintoria.
Zola scrive: “Il trasloco avvenne immediatamente. Nei primi giorni, Gervaise provava una gioia bambinesca quando attraversava la strada tornando da una commissione. Si attardava, sorrideva alla sua casa. Da lontano, in mezzo alla fila nera delle altre vetrine, il suo negozio le appariva tutto chiaro, di una allegria inedita, con la sua insegna azzurra, dove le parole: Blanchisseuse de fin (lavanderia rifinita) erano dipinte a grandi lettere gialle. Nella vetrina, chiusa sul fondo da piccole tende di mussola, tappezzata di carta blu per valorizzare il candore della biancheria, erano esposte camicie da uomo ed appesi cappelli da donna con i lacci annodati a fili di ottone. E lei trovava il suo negozio grazioso, color cielo. All’interno, si entrava ancora nel blu; la carta da parati, che imitava una decorazione stile Pompadour, raffigurava un pergolato sul quale si intrecciavano delle piante rampicanti” (nota 4).
L’unico che ama veramente Gervaise è il bello e onesto fabbro repubblicano Goujen. Vi è tra di loro un innocente, quasi non confessato sentimento.
Le conseguenze della povertà, le ingiustizie sociali, l’alcolismo, i maltrattamenti contro le donne, il lavoro minorile, la promiscuità sessuale sono i temi del libro che Zola descrive non con l’occhio del moralista ma con quello del serio reporter oltre che con quello, ovviamente, del grande artista.
Nonostante la drammaticità della trama, essa è molto avvincente, non mancano momenti pateticamente buffi come i popolani che vanno a vedere il Museo del Louvre, dopo il matrimonio di Gervaise, con i loro abiti sgargianti o una bonaria ironia tutta francese ma anche episodi scioccanti come l’ubriaco che massacra di botte la moglie, salvata da Gervaise e da un vecchio operaio.
E non si può non provare una grande amarezza che questi temi, che per un attimo nel Novecento avevamo creduto relegati al secolo scorso (il 1800), siano tornati di nuovo in prima pagina.
Lantier e Coupeau sono i due personaggi maschili del romanzo sul quale non si può dire altro per non svelare l’inconsueta trama, Virginie rappresenta invece una doppiezza femminile più sottile e subdola.
Anche i personaggi minori del libro, del composito microcosmo che lo compone, sono indimenticabili: dalla vecchietta che cuce bambole per 13 soldi nella sua misera stanza alla madre di Goujen, ricamatrice che reagisce dignitosamente alla terribile disgrazia che l’ha colpita: il marito si è suicidato in carcere, così come gli operai che si incontrano nelle osterie dove bevono vino e sminuzzano nelle pipe tabacco da pochi centesimi (fumare insieme la pipa ha una valenza per gli uomini d’oltralpe che non c’è in Italia). L’ambiente è tipicamente parigino, ma una Parigi ingrata, difficile, quella delle antiche strade tortuose e cadenti dove le donne rovesciano secchiate d’acqua ed i monelli giocano eccitati e tante vicende umane si incrociano ogni giorno.
“L’Assommoir” è un capolavoro che non ha perso dopo 150 anni il suo impatto emotivo: ci conduce in un mondo senza speranza e redenzione dal quale egli fa emergere il volto di una donna tra la folla. Sullo sfondo si percepisce una sobria, contenuta ma palpabile compassione.
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Nota 1) Edmondo De Amicis, Ricordi di Parigi, capitolo intitolato “Émile Zola”.
Nota 2) ho dedicato un articolo alla vita di Zola, intitolato “Il coraggioso Émile Zola” nel mio saggio “Pagine Sparse – Studi Letterari” (2024).
Tra le varie biografie (purtroppo non tradotte in italiano) assai gradevole quella del noto saggista francorusso Henri Troyat intitolata “Zola” (Livre de Poche)
Scriveva Guy De Maupassant su Zola: “La sua vita è semplice, molto semplice. Nemico del mondo, del rumore, del trambusto parigino (…) Si alza presto e non interrompe il lavoro prima dell’una e mezza circa, per il pranzo. Si siede di nuovo al tavolo verso le tre e le otto, e spesso torna al lavoro anche la sera. In questo modo, per anni è riuscito, pur scrivendo quasi due romanzi all’anno a comporre un articolo quotidiano (…)” (1883).
Nota 3) in relazione al linguaggio, elemento importante del romanzo” L’Assommoir”, Zola usa varie espressioni dell’argot parigino o idiomatiche che contribuiscono al realismo del testo.
Egli si servì di un dizionario dell’argot, che è un dialetto parigino le cui prime tracce risalgono al 1500 – inizialmente usato nell’ambiente del sottoproletariato e della malavita ma oggi comprensibile in tutta la Francia.
Bisogna anche considerare che è difficile tradurre fedelmente le frasi di lessico specifico e minoritario di un’altra lingua: ci saranno sempre sfumature differenti.
Nell’argot parigino come nel cockney londinese vi sono spesso delle espressioni colorite.
Il linguaggio del libro contribuì, oltre che la trama, ai grandi attacchi contro Zola della stampa borghese.
In realtà la scelta stilistica di Zola era ineccepibile letterariamente: far parlare dei proletari del 1850 così come parlavano i borghesi sarebbe stato irreale.
Per verificare le traduzioni ho letto e confrontato l’edizione originale francese con alcune traduzioni passate e recenti.
Personalmente, trovo quelle passate, come l’edizione Rizzoli, migliori perché nonostante alcune forme un po’ desuete, le parole e le frasi più audaci, pur mantenendo il loro significato, sono smorzate in confronto a quelle più recenti le quali, essendo eccessivamente volgari, sminuiscono il valore artistico del romanzo (in francese non suona così spinto).
Nota 4) mia traduzione dal testo originale francese.
Lavinia Capogna*

*Lavinia Capogna è una scrittrice, poeta e regista. È figlia del regista Sergio Capogna. Ha pubblicato finora otto libri: “Un navigante senza bussola e senza stelle” (poesie); “Pensieri cristallini” (poesie); “La nostalgia delle 6 del mattino” (poesie); “In questi giorni UFO volano sul New Jersey” (poesie), “Storie fatte di niente” , (racconti), che è stato tradotto e pubblicato anche in Francia con il titolo “Histoires pour rien” ; il romanzo “Il giovane senza nome” e il saggio “Pagine sparse – Studi letterari” .
E molto recentemente “Poesie 1982 – 2025”.
Ha scritto circa 150 articoli su temi letterari e cinematografici e fatto traduzioni dal francese, inglese e tedesco. Ha studiato sceneggiatura con Ugo Pirro e scritto tre sceneggiature cinematografiche e realizzato come regista il film “La lampada di Wood” che ha partecipato al premio David di Donatello, il mediometraggio “Ciao, Francesca” e alcuni documentari.
Collabora con le riviste letterarie online Il Randagio e Insula Europea.
Da circa vent’anni ha una malattia che le ha procurato invalidità.

