La vita rubata di Camille Claudel
Camille Claudel affascina, le sue splendide sculture conquistano amanti dell’arte e gente comune, dalle prime biografie degli anni ’80 ce ne sono state altre in francese, italiano, inglese, spagnolo, tedesco. Dacia Maraini le ha dedicato un testo teatrale nel 1995.
Due film si sono ispiratati a lei, il primo interpretato e fortemente voluto da Isabelle Adjani nel 1988 tratto da una biografia scritta dalla nipote della scultrice e un altro, nel 2013, interpretato da Juliette Binoche (nota 1).

Senza nulla togliere alle altre biografie, quella scritta da Odile Ayral-Clause, docente di letteratura francese alla California Polytechnic State University, intitolata “Camille Claudel” è gradevole da leggere, scorrevole, approfondita ma non appesantita da troppi dettagli, basata su documenti autentici (lettere, diari).
La tragica vita di questa geniale artista francese ha molti elementi che fanno riflettere.
Bella, interessante, con intensi occhi blu, una folta chioma castana, era nata nel 1864 in un’antica cittadina, Fère-en-Tardenois, nel nord del paese. Presto la famiglia si era trasferita a Villeneuve-sur-Fère, un’altra cittadina dove sarebbe nato il fratello terzogenito Paul, futuro poeta e commediografo che tanta parte avrebbe avuto nelle sventure della sorella.
Entrambi erano paesi assai suggestivi e il secondo influenzerà profondamente Camille che soltanto nel 1881, a 17 anni, si sarebbe trasferita a Parigi con la sua famiglia.
Parigi era il cuore pulsante della Francia, la capitale dove tutto poteva accadere, il centro nervoso dell’Europa. I Claudel erano agiati, avevano delle proprietà, il padre era un funzionario. Sarà l’unico che avrà un grande affetto per la figlia e che cercherà di aiutarla.
C’era anche una seconda figlia, Louise, che aveva lo stesso nome della madre. La madre era una donna di idee ristrette, molto convenzionale. Camille manifestò presto un carattere ribelle e determinato.
Scoprì da adolescente la sua vocazione: diventare scultrice.
Parigi le offriva questa possibilità e si iscrisse ad una Accademia di scultura fondata da un italiano, Filippo Colarossi. I suoi primi lavori erano così interessanti che iniziò a prendere lezioni private.
Qualche anno dopo diventerà suo maestro il celebre Rodin. Auguste Rodin era partito dal nulla ed era diventato il numero uno, il suo talento era innegabile. Era un parigino, nato nel 1840 in una famiglia proletaria ed era un autodidatta. Da quando aveva 24 anni conviveva con una sarta e lavandaia, una donna semplice, bella in gioventù (come risulta da una statua in cui la ritrasse), Rose Beuret, con la quale aveva avuto un figlio. Essi si sarebbe sposati soltanto nell’ultimo anno delle loro vite (morirono a pochi mesi di distanza), nell’allora lontanissimo 1917.
Rodin intuì il talento di Camille che divenne la sua allieva. Egli era noto per le sue infedeltà ma anche come un uomo che rispettava le donne e le sue modelle. Nel 1887, Rodin e Camille si innamorarono: lui aveva 48 anni (che allora era un’età avanzata), lei 23.
A causa di questa relazione, che durerà circa cinque anni, scandalosa per una ragazza borghese del tempo, esploderà l’astio della famiglia verso di lei. Camille frequentava artisti, aveva un’amicizia preziosa ed intellettuale con il musicista Claude Debussy e con due ragazze inglesi, anch’esse scultrici – un ambiente completamente estraneo e visto con grande sospetto da una famiglia borghese della Francia di fine secolo.
Il fratello Paul, con cui ella aveva avuto inizialmente un rapporto di confidenza e che aveva ritratto in varie statue, da libero pensatore e anarchico era diventato improvvisamente un cattolico fervente cercando di affermarsi nell’ambiente letterario.
Rodin cercò di aiutare Camille a farsi strada nel complesso mondo artistico parigino ma ella aveva tanto talento senza bisogno di lui, ottenne delle recensioni favorevoli e una fedele amicizia con un gallerista, Eugène Blot.
Rodin aveva promesso a Camille (per iscritto) di fare un viaggio insieme in Svizzera e in Italia per sei mesi e poi di sposarsi. Camille era gelosa di Rose, Rose di Camille, Rodin forse sognava un’utopistica armonia in cui le sue amanti si fossero vicendevolmente accettate.

Non sappiamo se Rodin fosse geloso professionalmente di Camille: era l’unica artista che potesse competere con lui.
Ma dopo qualche anno, nel 1892, le cose cambiarono: egli non aveva mantenuto neppure una delle sue promesse: Camille chiese a Rodin di separarsi da Rose, lui prese tempo, fece promesse, fu vago. È vero che egli conviveva con Rose da ben 27 anni ma è altrettanto vero che Camille lo amava davvero e che la sua relazione sentimentale l’aveva posta, secondo i pregiudizi dell’epoca, nel ruolo di “donna perduta” (cosa che non era: la sua unica storia d’amore fu quella con Rodin).
Camille lo lasciò.
Continuò a lavorare alacremente ma si ritrovò indifesa e discriminata. La sua situazione economica precipitò.
Sviluppò allora un profondo astio verso Rodin. Da una parte era anche comprensibile, si sentiva ingannata dell’uomo che aveva promesso di sposarla.
Sembra anche, secondo alcune indiscrezioni, che lei abbia avuto un’interruzione di una gravidanza (allora un reato penale) anche se non ci sono prove certe.
Ella raggiunse l’apice della sua arte, un lavoro difficile, faticoso: lavorava tutto il giorno tra i vari materiali, tanta polvere e scalpelli.
Le sue sculture erano/sono capolavori , piene di umanità, espressività, una delicata sensualità, intensi chiaroscuri, dolore e rivelavano una rarissima maestria.
Una grande mostra nel 1984 a Parigi ha rivelato Camille Claudel al pubblico francese dopo decenni di oblio.
Parecchie opere si trovano al Museo Rodin, poi finalmente nel 2017 è stato aperto il Museo Camille Claudel a Nogent – sur- Seine, in rue Flaubert, nel nord est della Francia. Altre sono al Museo d’Orsay, quello degli Impressionisti a Parigi e in varie città, tra le quali Vienna e Washington, al The National Museum of Women in the Arts (NMWA).
Verso il 1903 (Camille aveva 40 anni) c’era stata una rottura con la madre, il fratello Paul e la sorella Louise ma il padre di lei, molto anziano, cercava ancora, vanamente, una riconciliazione e segretamente l’aiutava economicamente.
Camille incominciò a manifestare un malessere psicologico rivolto principalmente verso Rodin (che, anche se lontano, a volte l’aiutava tramite terzi, a volte l’ignorava), sviluppò idee esagerate: pensava che lui volesse rubare le sue opere artistiche o farla avvelenare, si trascurava molto, la sua casa era assai in disordine, aveva troppi gatti…
Scriveva inopportune lettere alla polizia.
Bisogna però dire che c’era veramente una scultrice che la copiava come emerge da un documentario realizzato recentemente su di lei (nota 2).
Nel 1913, quando Camille aveva 49 anni,
la situazione precipitò in pochi giorni. Notate le date: il 2 marzo il padre morì.
Non l’avevano avvertita del decadimento fisico di lui, del decesso e dei funerali (come avrebbero dovuto), venne esclusa dall’eredità (aspetto non insignificante), il 7 marzo venne compilato un breve testo (vergognoso) di un medico che nella biografia di Odile Ayral-Clause viene riportato integralmente.
L’8 marzo la madre fece richiesta ufficiale di un ricovero.
Il 10 venne eseguito.
Erano passati solo otto giorni dal decesso del padre. Strano che Paul e la madre pensassero a come ricoverare Camille.
E anche la burocrazia, sempre così lenta, si era dimostrata assai solerte in questo caso…
Camille non era pazza: aveva un disturbo psicologico a cui sarebbe disonesto dare un nome postumo (anche se parecchi lo fanno su internet) ma era una persona innocua, non aveva mai fatto nulla contro gli altri o contro sé stessa.
L’istituto era a pagamento e si trovava in provincia. Per tutta la vita ella si illuderà che questa incarcerazione (il termine è esatto) fosse stato causata dall’influenza di Rodin sulla sua famiglia, scagionando così i suoi parenti.
In realtà non era così. Rodin non aveva nessun potere sui parenti di lei però non la andò mai a trovare e nel 1907 iniziò un’altra lunga relazione con un’aristocratica rimanendo sempre con Rose.
Per Camille incominciò un calvario indescrivibile che sarebbe durato per trent’anni fino alla sua morte nel 1943. Infatti lei non uscì più dai due Istituti in cui venne ricoverata. In mezzo ci furono decenni di cambiamenti sociali e di costumi e ben due guerre mondiali.
Nell’Istituto c’erano persone con ogni tipo di problema psichiatrico ma anche persone soltanto “asociali”, fuori dalle regole o anche sani fatti scomparire da inaffidabili parenti e compiacenti medici. Camille si distinse per il suo comportamento gentile, tranquillo anche se interiormente disperato.
La famiglia, la scienza, la società borghese si trovarono concordi: Camille, geniale scultrice, doveva scomparire.
E non c’era luogo migliore dell’Istituto dove la vita era scandita da inutili attività, dalle urla dei pazienti agitati, dai racconti sconnessi di altri.
Nel tempo, un paio di medici più coscienziosi proporranno di farla tornare in famiglia, proposta che verrà rifiutata.
Nel 1917 lei scrisse al dottore che aveva redatto il documento del 1913 chiedendogli gentilmente aiuto. Egli non le rispose.
Paul, nel frattempo, aveva fatto una grande carriera, era diventato un poeta, un commediografo e un diplomatico di successo (in futuro avrà anche delle lauree honoris causa dalle università di Princeton, Cambridge e altre e nel 1951 la Légion d’honneur).
Viaggiava oltreoceano, era sposato, padre di famiglia, molto benestante, assai apprezzato per le sue idee religiose anche se, lo dico da credente, il suo comportamento verso Camille non ebbe nulla di cristiano.
In trent’anni andò a trovare la sorella tra le sette e le dodici volte (secondo le biografie). Aveva obliato la frase “ero malato e mi visitaste” del Vangelo secondo Matteo.
Si noti che non sto criticando il lavoro letterario di Paul Claudel ma il suo comportamento verso Camille così come emerge dai documenti storici.
La madre invece non andò mai a trovarla ma le inviava dolci e cioccolata…
Paul non andò neppure quando i medici lo avvertirono che lei era peggiorata a causa delle grandi privazioni alimentari, dovute alla guerra, e a problemi circolatori. Era il 1943 e lei aveva 78 anni.
E fu assente ai funerali. Camille ebbe una povera tomba e poi una fossa comune.
Furono presenti solo le infermiere, a lei molto affezionate.
Il suo malessere psicologico si sarebbe potuto gestire nel 1913 proponendole di abitare con un’amica o un’infermiera e di vedere stabilmente un medico esperto di malattie mentali a Parigi. La psicoanalisi nel 1913 – data del suo ricovero – era già una disciplina avanzata. Il suo centro era a Vienna e a Zurigo ma Parigi non era certo un luogo sperduto.
Avrebbe potuto essere libera, stare meglio o guarire, incontrare un altro uomo, più sincero di Rodin, guadagnare, vedere il suo talento riconosciuto ma la sua vita le era stata rubata.
Non c’è perdono per quello che è stato fatto a Camille Claudel.
……
Nota 1) “Camille Claudel”, film, regia di Bruno Nuytten (1988)
“Camille Claudel 1915”, film, regia di Bruno Dumont (2013).
Nota 2) Su Raiplay si trova un bel documentario francese, doppiato in italiano, intitolato “Camille Claudel, scolpire per vivere” diretto da Sandra Paugan (2024).
In teatro, oltre che il testo della Maraini, hanno scritto su Camille Claudel: Vera Giagoni, Chiara Pasetti e Francesca Martinelli.
Io avevo già dedicato a Camille Claudel un articolo sul web più di vent’anni fa, intitolato “Camille Claudel, una donna straordinaria”, andato perduto.
Lavinia Capogna

*Lavinia Capogna è una scrittrice, poeta e regista. È figlia del regista Sergio Capogna. Ha pubblicato finora otto libri: “Un navigante senza bussola e senza stelle” (poesie); “Pensieri cristallini” (poesie); “La nostalgia delle 6 del mattino” (poesie); “In questi giorni UFO volano sul New Jersey” (poesie), “Storie fatte di niente”, (racconti), che è stato tradotto e pubblicato anche in Francia con il titolo “Histoires pour rien” ; il romanzo “Il giovane senza nome” e il saggio “Pagine sparse – Studi letterari”. E molto recentemente “Poesie 1982 – 2025”. Ha scritto circa 150 articoli su temi letterari e cinematografici e fatto traduzioni dal francese, inglese e tedesco. Ha studiato sceneggiatura con Ugo Pirro e scritto tre sceneggiature cinematografiche e realizzato come regista il film “La lampada di Wood” che ha partecipato al premio David di Donatello, il mediometraggio “Ciao, Francesca” e alcuni documentari. Collabora con le riviste letterarie online Il Randagio e Insula Europea. Da circa vent’anni ha una malattia che le ha procurato invalidità.

