Intervista a Doreen Cunningham per “Il canto del mare – I miei viaggi in compagnia delle balene” (Einaudi, trad. Duccio Sacchi), di Cristina Marra

 “siete creature uniche, straordinarie,

sentinelle del mare, ingegneri dell’ecosistema,

araldi del cambiamento climatico che si ripercuoterà su tutti noi”.

Il canto del mare è il primo libro di Doreen Cunningham, giornalista e reporter gallese. Finalista all’Eccles Centre & Hay Festival Writers’s Award e vincitore del Giles St Aubyn Award della Royal Society of Literature, il libro è un nature writing ma anche un memoir, un diario di viaggio compiuto insieme al figlio Max, di soli due anni, lungo la rotta della migrazione delle balene grigie dal Messico all’Artico.   

Ciao Doreen e complimenti per “Il canto del mare”. Quando hai deciso di scrivere del tuo rapporto con le balene?

Non avevo intenzione di scrivere un libro, ma ho deciso di farlo dopo aver realizzato che la storia della mia vita aveva connessioni con la storia del clima: la scienza, la politica, la negazione del riscaldamento globale finanziata dall’industria dei combustibili fossili, quello che sta accadendo nell’Artico e l’importanza della giustizia climatica e come la violenza coloniale sia il cuore oscuro della crisi climatica.

Il mio rapporto con le balene è iniziato quando ero bambina  e il viaggio che io e mio figlio abbiamo fatto dal Messico all’Artico è stata la spina dorsale perfetta per il libro.

Volevo fare qualcosa, qualsiasi cosa. Una volta che ho realizzato che scrivere tutto avrebbe potuto aiutare le persone a comprendere cosa è successo, come ci hanno mentito e quali sono le risposte, ho capito che dovevo farlo.

Il libro può essere considerato “educativo”?

Spero che tutti possano trovare qualcosa per sé nel libro, ma odio davvero ricevere lezioni e inoltre non mi piace leggere libri con troppi dati. Volevo scrivere un libro per condividere le mie esperienze, attraverso il quale le persone potessero incontrare le balene e sperimentare com’è vivere con una famiglia indigena nell’Artico. Non volevo convincere i lettori a pensarla in un determinato modo, ma li ho semplicemente invitati a venire in viaggio con me, ho mostrato loro quello che io ho visto e gli ho permesso di incontrare le persone che io ho incontrato e di ascoltare quello che mi hanno detto.

Ho iniziato come scienziata/ingegnere e adoro il modo in cui il mondo naturale può essere descritto dalla matematica. Sono una nerd delle balene e anche una nerd della fluidodinamica computazionale (CFD). Quindi condivido la gioia che provo nello studio di queste materie, ma il mio scopo non è insegnarle!

Condivido anche la gioia che ho provato nell’essere mamma, così come l’enorme difficoltà che ho riscontrato nel modo in cui il mondo tratta le madri. Condivido l’amore e il dolore che ho sperimentato nella mia vita, nelle relazioni e nel constatare le sofferenze del pianeta a causa del cambiamento climatico.

Voglio soprattutto che le persone quando leggono il libro si sentano accompagnate. Quindi sì, le persone possono leggere ciò che ho avuto la fortuna di sperimentare e imparare, ma ciò che voglio davvero che i lettori portino con sé è l’amore che mi è stato dato e il senso della comunità di cui ho fatto parte, perché mi hanno dato forza e noi abbiamo bisogno di comunità e di forza per affrontare le sfide future.

Quanto sono simili le madri balene e le madri umane?

Siamo tutti mammiferi, partoriamo e allattiamo i piccoli allo stesso modo e condividiamo gli stessi istinti di sopravvivenza. In realtà eravamo lo stesso animale ad un certo punto della storia e, se la guardi in questo modo, puoi vedere che siamo sorelle. 

Abbiamo moltissimo da imparare dalle balene, la loro comunità è fantastica e hanno delle leader donne incredibilmente forti.

Quando ho una giornata dura penso spesso alle balene, che si muovono respiro dopo respiro attraverso l’oceano. E una specifica balena che è stata avvistata al largo delle coste dello Stato di Washington è stata per me come una fonte di ispirazione. È una femmina grigia, chiamata Earhart dai ricercatori. Earhart è la “pilota” di un gruppo che ha scoperto una nuova fonte di cibo, che però mette a rischio la vita delle balene stesse. 

Il biologo marino John Calambokidis ha avvistato Earhart per la prima volta a Puget Sound nel 1990 e da allora ha visto altre balene seguirla. Si fermano qui durante la migrazione per trascorrere mesi succhiando sabbia per filtrare dei “gamberetti fantasma” in una zona poco profonda vicina alla costa. Le balene potrebbero facilmente arenarsi durante una marea se valutano male la direzione o i tempi. Vicino alla riva c’è anche il pericolo di impigliarsi nelle reti o di essere colpiti dalle barche. Ma l’area funziona come una sorta di banca alimentare di emergenza quando le altre fonti scarseggiano.

Le balene grigie sono guru nella gestione dell’ignoto. Sono sopravvissute alle ere glaciali grazie a una dieta flessibile e sembrano gestire bene lo stress, forse grazie ai vantaggi genetici, tra cui il mantenimento e la riparazione del DNA e le risposte immunitarie. La speranza è che tutto ciò possa aiutarle a sopravvivere in un oceano che si riscalda e cambia. 

Nel 2019 è iniziata la moria di massa delle balene grigie. Centinaia sono morte, la maggior parte delle quali per denutrizione. E, negli ultimi due anni, un numero crescente di balene denutrite si è unito al gruppo di Earhart.

Quando mi sento giù di morale o mi preoccupo per il futuro, trovo ispirazione e forza pensando a Earhart. Mi chiedo come abbia trovato per la prima volta i “gamberetti fantasma”. Un giorno, per caso, ha perso la strada? Se vogliamo essere pionieri nel trovare nuove strade, forse, come lei, dobbiamo correre dei rischi.

Perché hai deciso di portare tuo figlio con te in questo viaggio con le balene? 

Ero senza casa, vivevo in un ostello per madri single nell’isola di Jersey dove sono cresciuta dopo una brutta separazione e una causa in tribunale con il padre di mio figlio. Avevo un lavoro meraviglioso e di alto profilo come giornalista della BBC, ma quando sono diventata madre single non potevo permettermi di andare a lavorare perché il mio stipendio non copriva la custodia dei bambini, quindi ero completamente al verde. Vivevo così da un anno e stavo cercando di fare un lavoro di editing mentre mio figlio dormiva. Ero esausta e non riuscivo a vedere una via d’uscita e di miglioramento. Una sera di pausa dal lavoro mi è capitato di imbattermi in un articolo sulle balene grigie. Le madri e i piccoli migrano dalle lagune del Messico fino alla cima del mondo, l’Oceano Artico. La loro resistenza è incredibile e ne sono rimasto affascinata. Avevo anche altri motivi per voler tornare nell’Artico: da giovane giornalista avevo viaggiato lì per fare ricerche sui cambiamenti climatici e mi ero innamorato di un cacciatore di balene indigeno. Praticamente ho deciso di scappare. Ho ottenuto un prestito bancario fingendo di essere ancora impiegata, ho organizzato visti, prenotato voli e non mi sono guardata indietro.

Cosa significa per te il mondo artico?

L’Artico è un luogo di incredibile bellezza e con una incredibile comunità. Gli indigeni Iñupiaq hanno una cultura e una società sofisticate e una vita spirituale, tutte costruite sul legame con la balena della Groenlandia. Il loro rapporto con la balena e con la terra in generale è impressionante. L’Artico è anche il luogo di terribili violenze coloniali. Vivere con la famiglia Kaleak è stata un’esperienza che mi ha cambiato la vita e sarò sempre grata per la loro generosità, l’amore e l’accettazione nei miei confronti e per ciò che mi hanno insegnato. 

Per cosa in particolare sei grata alle balene?

Gli sono grata per il fatto di esserci. Tutto quello che dobbiamo fare è ricordare che condividiamo questo pianeta con esseri giganti e intelligenti che comunicano cantando tra loro attraverso i bacini oceanici. Questo è tutto ciò di cui ho bisogno per dare un senso alla vita. La nostra Terra è incredibile e ogni secondo che trascorriamo su di essa è un privilegio.

Dopo il viaggio, come è cambiato il rapporto con tuo figlio?

Il viaggio ci ha dato la possibilità di stare insieme e ignorare il resto del mondo. Max ha sperimentato una mamma felice, non una mamma esausta, senza sostegno e sempre preoccupata per i soldi. Questo è stato molto importante per il nostro legame e ha dato un nuovo inizio molto forte al nostro rapporto. Alle balene non importava che non avessi una casa, un lavoro o un partner. La madre e il cucciolo di balena grigia stavano facendo tutto da soli, e anche noi! Mi hanno insegnato che il mio lavoro più importante era semplicemente amare mio figlio.

Raccontami il momento più emozionante.

Non posso dirtelo perché rovinerebbe il finale del libro! Ma ce ne sono così tanti! Un momento accaduto all’inizio è stato quando eravamo nelle lagune di parto in Baja California. Mio figlio ha cantato e un cucciolo di balena si è avvicinato alla barca e ha alzato la testa. Max è riuscito ad accarezzarlo. La guida disse che mio figlio stava diventando un “whale-caller”, cioè con la capacità di chiamare le balene. Questo ha un doppio significato per me, perché molti anni prima ero sul ghiaccio marino nell’Artico e, mentre stavo cantando, arrivarono le balene e anche allora mi chiamarono “whale caller”. Ora io non lo so se è vero, ma per me è sufficiente che il nostro canto abbia oltrepassato la barriera delle specie, che le balene ci abbiano ascoltato e che quel canto le abbia avvicinate. 

Cristina Marra

Intervista a Orso Tosco per “L’ultimo pinguino delle Langhe” (Nero Rizzoli), di Cristina Marra

Orso benvenuto su Il Randagio. La prima domanda ti tocca e ti cade anche a pennello. Sei un randagio della scrittura, spazi dalla sceneggiatura, alla poesia, ai romanzi fino a questo tuo primo giallo per Nero Rizzoli. Essere randagio cosa significa per te?

Cara Cristina per prima cosa lasciati ringraziare per l’attenzione e la cura che hai scelto di dedicare al mio libro, e grazie a Il Randagio per la preziosa ospitalità. Essere randagio per me rappresenta l’unica condizione grazie alla quale io non finisca per sentirmi un ipocrita. Nascere nell’estremo ponente ligure significa innanzitutto confrontarsi da subito con l’idea artificiale di confine, con la pretesa odiosa di tracciare e imporre dei limiti utili soltanto a pochi, pochissimi, e ingiusti e stancanti per il resto della popolazione. Da questi ragionamenti nasce la mia predilezione per tutti quei personaggi che nelle loro esistenze si sono preoccupati di allargare i confini, arrivando a distruggerli se necessario, pur di scrollarsi di dosso il peso asfissiante e paludoso del potere costituito. Questo tipo di approccio, tanto nella vita quanto nella scrittura, o nella lettura, non può che farti diventare un randagio. 

Da “quel ponente ligure aspro e ripido in cui è nato alla morbidezza delle Langhe. Un trasferimento inaspettato che riporta alla mente un celebre detective, eppure il tuo  Gualtiero Bova, detto il Pinguino, è originale, unico. E’ un personaggio-corale ed è soprattutto il frutto di due territori che solo appaiono esteriormente diversi ma che hanno origine comune. E’ questo il Pinguino? E’ l’espressione di un’appartenenza comune?

Hai perfettamente ragione, ho sempre immaginato il Pinguino come il portatore, magari involontario e persino scocciato, di alcune delle caratteristiche che legano questi due territori, da sempre così diversi e così uniti. C’è in lui una propensione al lirismo, un lirismo che spesso lo conduce alla malinconia o al silenzio più ostinato, ma che per via di un pudore atavico, il pinguino non può che tradurre in una strana forma di sarcasmo. Un sarcasmo che lui rivolge per prima cosa verso se stesso, e che dunque non è un modo per sentirsi migliore o superiore, ma al contrario, è una forma molto pudica e maldestra di affetto. Più passa il tempo e più mi convinco che questo tipo di sarcasmo altro non sia che la forma di empatia concessa ai più timidi.

Il Pinguino è dipendente dalle “gocce” che provocano dentro la sua testa un lavoro sulle parole “raggruppandole di quattro in quattro senza un legame logico tra loro, giusto un po’ di rima”. Sono quelle parole che diventano quartetti il “segreto” delle sue indagini?

Volevo fortemente che il Pinguino avesse un legame viscerale con le parole, ma al tempo stesso volevo che fosse un legame sbilenco, poco ortodosso, lontano dal rigore accademico e dall’aridità del linguaggio giuridico. Le gocce, il loro effetto, rappresentano in questo senso un legame bizzarro e viscerale, il genere di medicina che potrebbe essere al tempo stesso la migliore medicina possibile e un semplice regalo del più comunque effetto placebo. Il Pinguino si affida a loro come altri si affidano ai santi.

Dislessico, ascolta musica hub, fuma la pipa, è uno scrittore mancato, non è un lettore veloce ma ammette di leggere i libri per riempirsi “la testa di un impasto di parole, un po’ come si fa col compost, è un modo per mettere tutto assieme e vedere se ne esce del nutrimento”. Nel romanzo ci sono tanti libri citati in modo più o meno evidente, credo siano tuoi omaggi. Perché un uomo come il Pinguino sceglie di fare il poliziotto?

Paradossalmente per ribellione. Mi divertiva l’idea che qualcuno scegliesse la professione più di tutte legata all’ordine per opporsi ad un ordine giunto dai propri familiari. Infatti il padre del Pinguino, mosso da ideali romantici e anarchici, quando lui era giovane gli disse, nella vita fai quello che vuoi, ma non fare lo sbirro. E lui, proprio per poter contare sull’unico divieto, e dunque su di una libertà quasi assoluta di cui non sa che farsene, sceglie proprio quell’unica strada proibita e la fa sua. Scavando più in profondità credo sia un modo, contorto, elaborato e un po’ assurdo, di non lasciarsi privare di suo padre, ormai morto. Un modo per tenerlo vicino, seppur all’interno di un buffo e taciuto senso di colpa.

Gilda gildina, la bassotta è la sua spalla, la sua compagna di vita, ma anche un bassethound e un capriolo insieme a altri animali compaiono nella storia. Che importanza hanno i personaggi animali nella tua scrittura e in questo romanzo?

Sai, quando nella vita ti capita di chiamarti Orso, credo che ci siano solo due strade percorribili: o degli animali ti disinteressi del tutto, oppure non puoi che accettare l’idea che questo sia un viaggio animalesco condiviso con altri animali. Io ho chiaramente scelto la seconda strada, e devo dire che mi sembra la più ricca e la più credibile. Penso che privarsi di un rapporto il più possibile profondo con gli animali ci renda mutilati e semi analfabeti. 

“E’ sempre vicino alla luce più intensa che le ombre scavano il loro regno profondo”, che rapporto ha Il Pinguino con il dolore e con l’amore?

Temo che abbia deciso di ricevere l’amore e il dolore come si trattasse della stessa sostanza. Io penso che nella vita sia meglio accogliere l’amore e il dolore con due bocche diverse e distinte, pur nella consapevolezza che poi lo stomaco dove finiranno è uno soltanto e lo stesso. Perché questa distinzione, seppur arbitraria e illusoria, ci permette di frapporre un qualcosa tra questi due sentimenti così importanti e lancinanti. Il Pinguino invece, per coraggio o amarezza, difficile dirlo, ha imparato a ricevere i pochi baci e i tanti calci con lo stesso paio di labbra. 

Le indagini scoperchiano un mondo di apparenze e opportunismo. Il Pinguino è “abituato a osservare la vita più che a viverla” e nel romanzo eccentrici, sognatori, sprovveduti, esaltati, ricchi e poveracci scorrono come nei gironi danteschi. Il passato oscuro alle spalle è l’elemento che li accomuna?

Credo che ogni passato, anche il più apparentemente privo di nota, sia in verità un’amalgama incredibile di zone d’ombra e squarci di luce, è il vero legame che ci rende simili e incompleti, è il motivo per cui ci rivolgiamo agli altri con la speranza di comprenderci, o quando la stanchezza o il dolore prendono il sopravvento, di dimenticarci di noi stessi.

 Che rapporto hai tu con i libri, quale il libro o i libri che ti hanno incantato e formato e che consigli ai lettori randagi?

Con la lettura ho un rapporto viscerale e disordinato, procedo per periodi, per innamoramenti che poi vengono sostituiti da nuovi innamoramenti ma che non scompaiono mai del tutto. Grazie al Pinguino e alle Langhe ho riletto Beppe Fenoglio, un gigante, un maestro, l’esempio di una forza e di una sensibilità fuori dal comune e totalmente riversate nella propria opera, senza pose, senza troppa attenzione verso se stesso. Sempre per via del Pinguino e quindi come conseguenza della sua natura “provinciale” ho letto il primo romanzo di Piero Chiara, “Il piatto piange”: meraviglioso. Tornando ai nostri anni, mi sentirei di consigliare alle amiche e agli amici che ci leggono l’ultimo romanzo di Pier Franco Brandimarte, “La vampa”: sono in pochi gli scrittori e le scrittrici in grado di compiere una operazione così ambiziosa e stimolante. E poi sicuramente “Arsenale di Roma distrutta” di Aurelio Picca. Più in generale, qualsiasi libro di Aurelio è un regalo che il lettore si offre. 

Cristina Marra

Intervista a Maurizio de Giovanni per “Il canto del mare” (Salani), di Cristina Marra (foto Ciro Orlandini)

Che voce ha il mare? Forse quella attraente del canto delle mitologiche sirene o quella misteriosa e senza tempo capace di narrare di incontri  e scambi, di amore e meraviglia, di sogni e sacrifici, di attrazioni e sparizioni. Maurizio de Giovanni reinterpreta a modo suo la favola poetica, dolce e “salata” “Maruzza Musumeci”di Andrea Camilleri e la dedica al maestro e ai giovani lettori che, accompagnati dalle illustrazioni di  Mariolina Camilleri, si tufferanno in una storie di parole e di stelle, di acqua e di terra,  in cui il sentimento dell’amore è perpetuo come le onde del mare.

Maurizio benvenuto su Il Randagio.

Che sfida è stata e che emozioni hai provato a narrare a modo tuo e per giovani lettori la favola di Andrea Camilleri?

E’ stata un’emozione enorme vedere il mio nome sulla copertina insieme al più grande narratore italiano degli ultimi cinquanta anni, è stata una cosa che vale più di un premio letterario. Non ho provato a ricalcare le orme di Andrea e del genio che è, ma ho soltanto provato a raccontare a modo mio e con il mio tono la sua favola.

Quanto ti senti un narratore randagio?

 Penso di essere randagio come qualsiasi narratore. I narratori girano per la vita incontrando le storie e raccontano le storie belle che incrociano. Uno non decide di essere scrittore e poi cerca una storia; semplicemente incontra una storia e ha l’esigenza di narrare. E questo già di per sé è randagio.

Emigrazione, sogno, mito, crimine e amore ma anche tanto altro ne Il canto del mare. La Terra di Gnazio incontra il Mare di Maruzza. La conchiglia e l’ulivo si uniscono. Su tutto prevalgono la consapevolezza e la forza dl sentimento più bello del mondo?

La modalità della favola  è sempre la semplificazione dei sentimenti, va alla radice e trova i sentimenti per quello che sono. Ogni scrittore dovrebbe misurarsi con la favola che è di per sé qualcosa che porta chi ascolta, bambini o adulti, a ritrovare  sentimenti nella loro semplicità e immediatezza. Mi piace moltissimo giocare su questo, sull’amore, sulla paura, sui sentimenti più basilari. Credo che la favola sia il modo giusto per raccontare i sentimenti e specificamente l’amore.

Ti sei interfacciato con l’illustratrice o è stato un lavoro autonomo? 

Mariolina Camilleri è una meravigliosa illustratrice. Alcune tavole mi erano state sottoposte prima per farmi vedere il tratto, per farmi capire che tipo di storia avrebbe raccontato lei, in sottofondo e collateralmente a quella che avrei raccontato io. Poi le ho dato il testo e lei sulla base del testo ha scritto una straordinaria storia per immagini che secondo me nobilita il testo. Sono molto felice di avere lavorato con lei.

Il personaggio di Nonnamà, narratrice senza età né tempo incanta i bambini che si riuniscono a casa sua per ascoltare le storie.

Che valore e che importanza ha la narrazione oggi?

Io credo che la narrazione in questa epoca di immagini non sia stata mai così importante. La narrazione per parole lascia lavorare l’immaginazione e questo accade sia nella narrazione orale che in quella scritta. Abbiamo bisogno di immaginare, di non essere soltanto passivi nella ricezione di quello che vediamo. Abbiamo bisogno di elaborare perché soltanto elaborando ci facciamo  una nostra idea e posizione. Quindi l’immaginazione è fondamentale e lo è naturalmente la scrittura.

Un libro randagio che consigli ai nostri lettori? 

Vorrei consigliare Un paese felice di Carmine Abate straordinario narratore calabrese di lingua arbëreshë (lingua parlata dalle popolazioni di origine greco-albanese stanziatesi nel Sud Italia) ma scrive meravigliosamente in italiano. Lui vive in trentino ma rimane affondato nelle sue radici e nella sua terra . Consiglio volentieri ai lettori della rivista Il Randagio questo bellissimo romanzo.  

Cristina Marra