Cristina Peri Rossi: “Il museo degli sforzi inutili” (Edizioni SUR, 2025), di Rita Mele

“La vita è un puzzle di tanti pezzi, sparsi. E noi, gli ingegneri, cerchiamo di selezionarne alcuni, di configurare un significato, una struttura, una forma di senso. Con gli indizi che propongo, se il lettore è interessato, si può mettere insieme una presunta biografia. Sono nata a Montevideo, in Uruguay, il 12 novembre 1941 (La città di Luzbel). Ero una bambina curiosa, che credeva che la conoscenza fosse potere, e decise di indagare, da sola, tutto ciò che è umano e divino (La ribellione dei bambini, Il pomeriggio del dinosauro). In seno alla mia famiglia (emigranti italiani arrivati nella Terra Promessa, oltre il Sud) ho imparato molto sulle passioni e sulle delusioni: una famiglia è un microcosmo (Il libro dei miei cugini). Ho studiato musica e biologia, ma mi sono laureata in Letterature comparate: la fantasia mi sembrava un territorio più affascinante di quello delle leggi fisiche. Ero romantica prima di sapere cosa fosse il Romanticismo; amavo le rovine, i giorni di pioggia, le passioni morbose, l’intensità. Quando ero piccola, i miei zii mi portavano al porto a vedere le navi salpare. Mi innamorai di quelle balene bianche, senza sapere che un giorno, all’età di ventinove anni, una nave italiana (perfetta geometria di origine e di esito) mi avrebbe portato in esilio, in Spagna. L’esilio è stata un’esperienza lunga, dolorosa, totalizzante, che non cambierei con nessun’altra… Il mio paesaggio preferito: l’Europa dopo la pioggia…I prossimi paesaggi saranno nuovi.” (tratto dal catalogo della mostra Cristina Peri Rossi: La nave dei desideri e delle parole. Omaggio al  Premio Cervantes 2021,  organizzata dal Ministero della Cultura e dello Sport spagnolo e dall’Università di Alcalá).

Come poter rinunciare a questo panoramico puzzle della vita di Cristina Peri Rossi? Perché cercare altre parole se già da queste si sprigionano gli umori poetici e letterari di una scrittrice che, per nostra fortuna, viene riportata in Italia dalla casa editrice SUR, dopo 28 anni dalla prima traduzione italiana, curata già da Vittoria Spada per Einaudi. Nel 1983, a 42 anni, Cristina Peri Rossi ha scritto El museo de los sfuerzos inutiles pubblicato in Spagna, a Barcellona, la città da lei scelta nel 1972 per il suo esilio volontario, dove ancora oggi, a 84 anni, vive continuando a considerare la letteratura, la sua patria. Bisnonni genovesi emigrati a Montevideo, è figlia di Ambrosio Peri, operaio in una azienda tessile, che muore quando lei è bambina e Julieta Rossi, maestra. Da gennaio 2025, Il museo degli sforzi inutili, edito nella Collezione SUR, per chi non lo avesse letto in lingua originale o tradotto, ci dà una seconda chance di visitarlo e immergersi nelle atmosfere sospese scolpite da parole taglienti come una lametta Gillette e lenite dal balsamo di altrettante parole umoristiche, oniriche, ironiche, allegoriche, malinconiche e passionali. Trenta racconti in centosessantanove pagine, rappresentano una preziosa occasione per i lettori randagi che invitiamo a scoprire o ritrovare la spiazzante contemporaneità di una scrittrice più che mai in risonanza con le ambiguità, le paure, le insidie, i sogni, i troppo vuoti e i troppo pieni delle nostre esistenze. Non tutto è come sembra ci dicono i personaggi dei racconti di Peri Rossi, ognuno di loro mostra e allo stesso tempo nasconde e ci sollecita, per questo, a scoprirlo, indagarlo, osservarlo, proprio come quando, visitando un museo, tra gli strati e la giustapposizione di oggetti, scorgiamo il senso o il non senso delle storie che sembrano raccontare e che, a ben guardare, sono forse le nostre. Storie pennellate e delicate al limite del metafisico o surreale, giochi di trasparenze che sembrano offuscarsi bruscamente in epiloghi che ci interrogano. Osando chiedere un prestito letterario e cinematografico, con i dovuti distinguo, è alla raccolta di fiabe Lo cunto de li cunti del napoletano Gianbattista Basile e al film Il Racconto dei racconti del regista Matteo Garrone che accosterei la tensione costante, fantastica e irrisolta dei racconti di Caterina Peri Rossi. Anche lei, come loro, ne fa una questione puntuale di stile, di lingua, di sguardo, di immaginario avvicinandosi alla struttura della fiaba senza per questo arrivare a toccare tutte le parti, e non sempre in sequenza ordinata, della Morfologia della fiaba del linguista russo Propp (Equilibrio introduttivo, Rottura dell’equilibrio iniziale, Azioni dell’eroe, Ristabilimento dell’equilibrio). Peri Rossi ci offre la sua versione del meraviglioso anche quando arriva allo scacco finale delle storie o da quello parte per sorprendenti ribaltamenti. Il racconto è stato sin dall’inizio della sua esperienza giovanile di scrittrice, uno dei suoi generi preferiti, pur tornando spesso al romanzo senza scadere, come afferma in alcune interviste, all’eccesso di romanticismo, da cui si ritiene indenne per la sapiente alchimia di ironia, umorismo e tenerezza. Pragmatica e sognatrice allo stesso tempo, proprio come l’autrice stessa descrive Barcellona, la sua città adottiva; ossessiva quanto basta per preservare la pulsione e non l’oggetto della passione, come ha dichiarato a proposito della sua passione per l’esilio, scelto a ventidue anni per sfuggire alla dittatura uruguaiana, sostituito con un’altra dittatura, quella dell’amore.

Prima di partire per l’autoesilio, a Montevideo, aveva pubblicato due racconti, un romanzo e una raccolta di poesie erotiche, Evohé, che aveva scandalizzato la pudica società uruguaiana al punto che la dittatura la proibì. Da allora Montevideo è stata cancellata dalle sue geografie. Oggi, superati gli ottanta, Caterina Peri Rossi sta vivendo una rinascita nella sua carriera e non solo da noi in Italia: nel 2014, Estuario Editora ha iniziato a recuperare le sue opere in Uruguay e a pubblicare anche le sue nuove opere, come il romanzo Todo lo que no te pude decir (Tutto quello che non potrei dirti) e la sua autobiografia romanzata La Insumisa (L’Insumisa). Persino Evohé, proibito e praticamente introvabile, è stato ripubblicato nel 2021 sempre da Estuario, e la copertina è stata riprodotta con il nome dell’autrice sulle t-shirt. Il culmine della rinascita sulla scena letteraria internazionale è stato il Premio Cervantes ricevuto da Peri Rossi a 80 anni nel 2021, diventando la terza scrittrice uruguaiana onorata di tale riconoscimento. A causa di un broncospasmo, non ha partecipato alla cerimonia di premiazione, ma ha inviato un discorso scritto letto dall’attrice argentina Cecilia Roth. La giuria del Premio Cervantes ha riconosciuto “la carriera di una delle grandi figure letterarie del nostro tempo e la statura di una scrittrice capace di esprimere il suo talento in una varietà di generi”. Il Cervantes non è bastato a farla tornare fisicamente in Uruguay, ma in compenso Cita en Montevideo, un bellissimo libro-oggetto recentemente pubblicato, che raccoglie testi, foto e altri documenti esclusivi in una prima versione dattiloscritta e annotata, simboleggia il ritorno della scrittrice sulla scena letteraria e, guarda caso, in concomitanza con le celebrazioni del 300° anniversario della capitale del Paese. Perché scegliere di leggere oggi Peri Rossi? E perché cominciare dalla sua raccolta dei 30 racconti brevi e brevissimi che prende il titolo dal primo, appunto, Il museo degli sforzi inutili, parodia di glorie passate dedicato ai perdenti che hanno seguito invano piccole e grandi passioni e sberleffo ai codici di condotta e alla disapprovazione sociale dell’ozio e dei fallimenti? 

Proviamo ad elencare alcuni dei buoni motivi per avvicinare una delle scrittrici dallo stile e dalla storia più personali della letteratura ispanoamericana: originalità, stile narrativo e poetico inconfondibile e anticonvenzionale, scrittura acuta, ritmica e profonda che scolpisce i suoi personaggi, sensibilità fine per i temi universali come la solitudine, l’amore e il desiderio, il potere e la repressione culturale della libertà individuale, onestà e sguardo critico sulla realtà, prosa intrigante, profonda e anche inquietante, amore per le parole al di là delle lingue. Non ultimo, fare ricadere la scelta su una raccolta di racconti così densa, sorprendente, stimolante e breve allo stesso tempo come questa, può rappresentare un modello letterario e un formato di libro adatto a farci disintossicare dalla dipendenza da post e a rieducarci agli stimoli e all’attenzione verso storie di vita che sono anche le nostre e che possono ancora farci meravigliare. Scrollare quotidianamente migliaia di contenuti sui social media sovraccaricando il nostro cervello e anestetizzandolo causa perdita di attenzione e desensibilizzazione agli stimoli e fa saltare i circuiti della dopamina sino ad avere bisogno di stimoli sempre più forti. L’antidoto all’era della distrazione può essere proprio un libro come questo e la scrittrice ne sarebbe fiera, dal momento che qualche anno fa, quando la sua attività pubblicistica era più pressante, si è espressa con forte vena critica nei confronti della nostra dipendenza dalla tecnologia, in particolare dal telefono cellulare. Cristina Peri Rossi, con il suo stile tagliente e la sua capacità di osservazione acuta, ha così fotografato una realtà contemporanea in cui la connessione virtuale sembra spesso prevalere su quella umana e reale: “Il telefonino è come l’orecchio del sordo: lo inserisci nell’orecchio e non lo togli più, a volte neanche quando dormi (conosco persone che non spengono il cellulare neanche quando fanno l’amore – i pochi, rapidissimi momenti in cui riescono a farlo). 

L’abbiamo visto in un laccato film americano: il protagonista lavora per una multinazionale molto importante, giace con una bellissima donna in un hotel naturalmente lussuoso, e al momento di scoccare un bacio sulla bocca della diva, il cellulare squilla, l’affare è urgente, la donna aspetta con pazienza, l’amore dura una manciata di minuti, poi il ragazzo si allaccia i pantaloni, perché c’è sempre qualcosa di meglio da fare, soldi, ad esempio.”

Accogliamo dunque il monito della Peri Rossi e leggiamo Il museo degli sforzi inutili per contrastare la perdita di contatto con le emozioni autentiche e le relazioni umane significative, affinché non tutti gli sforzi diventino inutili e, leggendo oltre i social, si torni a prendersi cura ‘della fugace memoria dei vivi’

Rita Mele

Rita Mele: barese, ma da molti anni vive a Bolzano. Giornalista, giurista, formatrice, psicologa, insegnante di yoga. Progetti per il futuro: ballare