“Cammini a Sud” di Antonio Corvino (Giannini editore) nella recensione di Carlo Petrachi

 “CAMMINI A SUD – sentieri, tratturi, storie, leggende genti e popoli del Mezzogiorno”, già alla sua II edizione, 270 pp., Giannini Editore, Napoli, con introduzione di Fulvia Ambrosino e postfazione di Francesco Saverio Coppola, è un’opera che sta meritatamente destando un vivo interesse nel pubblico ed un’apprezzabile diffusione anche all’estero.

L’opera si inserirebbe in un filone già sperimentato da vari autori italiani e stranieri, però quella di Corvino si differenzia dalle altre per originalità perché è soprattutto un itinerario spirituale alla ricerca di se stesso e dei valori ricevuti in eredità e che la maggior parte di noi ha sottovalutato o dimenticato. La sua ricerca persegue un’innegabile espansione verso l’«infinito»; nel contempo è anche una riscoperta geografica, storico-antropologica, economica e filosofica condotta con tale lievità da rendere la narrazione piacevole ed interessante ad ogni passo.

Spinto da furor eroticus bruniano o da élan vital bergsoniano (scelga ognuno), Antonio Corvino, economista, scrittore, saggista e poeta originario di Melendugno, sotto la canicola di agosto, intraprende a piedi «per agra» un lungo e avventuroso pellegrinaggio nell’alta Puglia per raggiungere Monte San Michele sul Gargano da cui sembra diramarsi una rete di percorsi mistici che approdano in più punti dell’Italia, dell’Europa e dell’Asia, aventi come punto di riferimento proprio quei templi in cui venivano adorate antiche divinità pagane sostituite poi dall’Arcangelo vittorioso.

Nel suo viaggio, nel contempo reale e ideale – giusto per non allontanarsi dalla lezione di Niccolò Cusano, secondo cui vi è la «coincidentia oppositorum» – viene accompagnato virtualmente da uno «scazzamurrieddhru» e da uno «sciacuddhri». Sono autentici elfi del Sud che fungono quasi da numi tutelari e conferiscono al racconto quel tanto di magismo in una «terra magica in cui tutto è possibile». Però l’Autore è teso a scoprire tanto l’«Universo» o l’universalità attraverso le manifestazioni particolari, quanto l’«infinito», scrutando e contemplando il circoscritto, cosa che si può cogliere solo con un’osservazione attenta e diretta. Insomma, al riparo dai roghi ecclesiastici, anela alla «mens super omnia» attraverso la «mens insita omnibus», secondo la visione panteistica dell‘eretico (?) nolano arso vivo a Campo dei Fiori.

Concluso il viaggio sul Gargano, s’inoltra a Ovest, attraversa la «terra degli anarchici» e dei «Briganti», fino a spingersi sul «sentiero degli dei», ammirando la maestosità dei monti, godendo della pace dei boschi. Attraverso racconti e testimonianze della gente del luogo (ma anche guardando i resti archeologici) scopre l’essenza delle popolazioni indigene che pure vantavano grandi architetti, grandi ingegneri e coraggiosi uomini d’arme. Ma gli storiografi li hanno sempre frettolosamente liquidati (e a volte persino ignorati) per precipitarsi sul carro di una Roma vincitrice e facendo a gara per magnificare la virtus romana. Tali popoli (Osci, Sanniti, Irpini, Dauni, Peceuti) pur vinti in battaglia dall’impero Romano, orgogliosamente non rinunciarono alla propria identità, ai propri trascorsi, alla propria cultura, tanto che Roma, per non tenerseli eternamente nemici, concesse loro persino la facoltà di coniare moneta, così come farà per la Brentesion messapica. 

Proprio a Sepino (prov. di Campobasso), viene a conoscenza che il primo scopritore della penicillina non è Alessandro Fleming, come ci è stato tramandato dai libri scolastici, ma lo scienziato Vincenzo Tiberio di Sepino; anche per lui valse il “nemo propheta…” e non essendo il Tiberio né milanese, né francese, né tedesco, né americano, non ebbe alcun riconoscimento, anzi la sua figura sarebbe sprofondata nella damnatio memoriae, se qualcuno orgoglioso della propria terra, delle proprie origini e della propria gente non ne avesse conservato il ricordo. Per sua fortuna Vincenzo Tiberio (per usare un ‘espressione di Sandro Pertini) non «è stato suicidato» come qualcuno osa (?) sospettare sia avvenuto per il dott. Giuseppe De Donno, colpevole (?) di aver trovato un rimedio efficace contro il Covid 19 fuori dai protocolli delle multinazionali, così come qualche secolo prima aveva fatto Edward Jenner per la lotta contro il vaiolo. 

Se stanno così le cose, a nulla serve scrivere Apologie paradossiche – come fece il Ferrari – o ricordare che Giordano Bruno era di Nola o che Antonio Serra, Antonio Genovesi, Giuseppe Palmieri erano del Sud o che la Scuola Salernitana è stata all’avanguardia nella medicina… quando qualcuno molto interessato si ostina a considerare ed etichettare il Meridione come terra di cittadini di serie B (ignoranti, nullafacenti, assistiti e piagnoni!) e s’impegna a diffondere il suo verbo in cerca di consensi. Per questo Corvino, autodefinendosi ironicamente un «don Chisciotte», auspica che vi siano altrettanti don Chisciotte per lottare contro i mulini a vento dei luoghi comuni artatamente inventati e per il riscatto delle terre e della gente del Sud ricche, oltre che di storia e di monumenti, anche di menti che… scappano all’estero, lasciando al Meridione solo ‘la crema’ della mediocrità servile e irregimentata in ogni campo, emarginando “dovutamente” qualche “eretico” che non ha voluto svendere il proprio pensiero ed ha avuto l’impudenza di rimanerci.

Pur prestandosi a vari livelli e a varie sfaccettature di lettura, il lavoro risulta di per sé di facile accessibilità, ma nel contempo di notevole spessore culturale e profondità intellettuale.

Piacevole è la descrizione dei luoghi, in genere con brevi, rapidi ed efficaci tratti di pennello, capaci però di elevarsi in momenti lirici.

Corvino ci fa riscoprire «le terre di mezzo», ossia quelle che, a torto, vengono considerate periferie, i cui popoli, un tempo prevalentemente dediti all’agricoltura e alla pastorizia, con intelligenza e un duro lavoro, con l’annuale la transumanza attraverso i tratturi hanno contribuito alla crescita, morale, spirituale, culturale, scientifica e artistica delle loro terre, ora dimenticate e decimate da un modernismo senza prospettive e senza meta, inneggiante agli spettacoli stucchevoli e soprattutto al dio-denaro e ci si è dimenticati del valore più importante senza il quale tutto il resto si disfa come i castelli di sabbia: l’Uomo! Corvino auspica (ovviamente mutatis mutandis!) che si rivitalizzino i borghi ora abbandonati, sia dato nuovo vigore alla terra e alla pastorizia che sostentano e sostengono tutte le attività umane in perfetto equilibrio ed armonia con la naturaperché, per dirla col pensiero di Telesio, l’uomo è parte della natura, è egli stesso natura non diverso dalla materia che ha intorno a sé.

Interessante un breve passo di pag. 84: «E vi sentire felici di esservi arrampicati tra questi tratturi e di aver percorso questi sentieri. Perché d’incanto il vostro spirito si troverà in sintonia con lo spirito dell’Universo e la vostra intima religiosità in simbiosi con la dimensione mistica del creato.» E ancora prima, a pag. 69: «Il mondo non può sopravvivere dimenticando la storia e distruggendo il tessuto connettivo dei territori.»

L’efficace discorso di Corvino riesce a coinvolgere il lettore non solo nei suoi ragionamenti, ma anche nei sentimenti e nelle emozioni più personali. 

Una delle intuizioni più felici di Corvino, proprio alla luce delle conoscenze storiche, è nell’indicazione di un recupero dell’identità Mediterranea (più che nord-europea, aggiungiamo!) Il che ci induce a pensare che la costruzione dell’attuale Europa Unita non sia stata realizzata nel migliore dei modi, anzi diciamo, sia pure col senno di poi, che rischia di somigliare più ad un’anacronistica rivisitazione del Sacro Romano Impero Franco e Germanico che non portò certo l’unità e la pace. Si ignora invece che, ancor prima, l’identità mediterranea costituiva il nocciolo delle civiltà che nel corso dei millenni ha portato, soprattutto nell’Italia meridionale e nelle isole, cambiamenti con conseguente crescita, ma col trascorrere dei secoli i benefici si sono riversati anche sui popoli del Nord con la diffusione culturale incisiva, anche se limitata, attraverso i monasteri. 

Nell’attuale bailamme di “ragioni” e di “ricette” gridate attraverso i mass-media, di mondi virtuali che vorrebbero solo meravigliarci, stupirci o forse solo istupidirci, soppiantando il mondo reale, manca secondo Corvino un elemento (ma non solo secondo lui) essenziale: la «Poesia» e «Cammini a Sud» di Antonio Corvino è un’opera che, nella sua gradevolezza, va letta con molta attenzione: offre, infatti, notevoli spunti per quello che nella esagitata e schizofrenica società attuale sembra mancare al pari della poesia: una pacata riflessione.

Carlo Petrachi

Antonio Corvino, di origini pugliesi, napoletano di formazione è un saggista ed economista di lungo corso, di cultura classica, specializzato in scenari macro economici ed economia dei territori. 

Direttore generale dell’Osservatorio di Economia e Finanza, specializzato nell’analisi dell’economia del mezzogiorno e del Mediterraneo oltre che nella costruzione degli scenari macroeconomici in cui Mezzogiorno e Mediterraneo sono inseriti.

In tale veste ha organizzato dal 2011 al 2015 il “Sorrento Meeting” che ha affrontato, grazie al concorso di intellettuali, studiosi, rappresentanti economici e politici, controcorrente, dell’intero Mediterraneo e di altri Paesi asiatici ed americani, con largo anticipo e visioni non scontate, le questioni esplose in maniera virulenta, negli anni più recenti: dai nodi gordiani del sottosviluppo alle migrazioni, dai giovani nuovi argonauti in cerca del futuro da qualche parte, all’effetto macigno dell’Euro sull’economia  Mediterranea ed al negativo condizionamento del paradigma  nord-atlantico  su di essa,  dall’energia alla logistica, al destino del Mediterraneo che ahimè appare sempre più  compromesso.

Già Direttore nel Sistema Confindustria ha ricoperto diversi incarichi a livello nazionale, regionale e, da ultimo, anche a livello territoriale.

Appassionato delle antiche vie nelle “terre di mezzo” ha percorso numerosi  cammini nel cuore del Mezzogiorno continentale coprendo oltre 1500 chilometri e traendone una serie di appunti di viaggio che han dato vita a diversi volumi  e romanzi di cui “Cammini a Sud”  è il primo ad essere stato pubblicato.

 Cultore di arte ha frequentato molti artisti, talora legandosi di profonda amicizia con essi. E’ il caso di Pino Settanni, scomparso nel 2010, artista e fotografo di straordinaria sensibilità e levatura, presente nei musei internazionali, il cui archivio è stato acquisito dall’Istituto Luce-Cinecittà.

Dedito da sempre alla scrittura, questa è divenuta da ultimo la sua principale occupazione, spaziando dal romanzo di introspezione intima e personale sino all’ osservazione lucida quanto preoccupata delle derive antropologiche destinate a scivolare verso una visione distopica che solo nella memoria può trovare l’antidoto.

Nel dicembre 2019 ha curato per Rubbettino il volume “Mezzogiorno in Progress”. Un volume-summa sulla questione del Sud cui hanno collaborato trenta tra studiosi economisti ed intellettuali e trenta imprenditori fuori dagli schemi.

Sin dalla più giovane età ha collaborato con riviste di economia, tra cui “Nord e Sud” che annoverava, essendo egli un giovane apprendista, le migliori menti del Mezzogiorno. Ha collaborato, in qualità di esperto opinionista, con diversi quotidiani meridionali.  Tuttora scrive su riviste specializzate in scenari economici e problematiche dello sviluppo. 

Da ultimo, per l’Università Partenope, il CEHAM, e l’Ordine dei biologi, ha realizzato un corso monografico video sul Mediterraneo della durata di 15 ore destinato ad un master.

Sulla rivista Bio’s, Organo dell’Ordine nazionale dei Biologi, ha pubblicato tre saggi sulle prospettive del Mediterraneo alla luce dell’implosione della globalizzazione, indicando un nuovo paradigma policentrico dello sviluppo e proponendo la suggestione del Mediterraneo come Continente; nell’ultimo saggio si è soffermato sul ruolo del Mediterraneo nella crisi alimentare ipotizzando il ritorno della agricoltura familiare e del recupero della biodiversità quali strade maestre per una nuova visione di sviluppo legata alla valorizzazione dei territori e della agricoltura meridionale. 

Sulla rivista Politica Meridionalista ha pubblicato e continua a pubblicare numerosi saggi sul Mezzogiorno indicando i Cammini e le Terre di Mezzo quali orizzonti per combattere lo spopolamento e l’abbandono dei territori interni.

Carlo Petrachi da anni si dedica alla ricerca di pubblicazioni poco conosciute, scritti inediti o del tutto dimenticati. Ha collaborato con varie riviste – scrivendo di scrittori prevalentemente meridionali – e pubblicato libri di storia meridionale e di narrativa con racconti ambientati nel “suo” Salento.