Maura Baldini: ‘’Insula’’ (Marco Saya, 2025), di Grazia Frisina

Dapprima si bordeggia, si fa un periplo intorno all’insula-libro, si osserva l’essenzialità della superficie, la nudità della copertina, si resta interdetti su quel segno grafico – una lettera del sanscrito? – di cui piacerebbe scoprire il significato.  Poi si approda aprendo una pagina, ed ecco…Vieni, avvicinati: il primo verso, ouverture, che non è l’invocazione alla musa Calliope, come ci si aspetterebbe in un proemio, ma anaforica voce sirenica, irrevocabile invito a noi passanti-lettori, per varcare una soglia sconosciuta.

Da quell’istante è un addentrarsi, mediante piccole soste, nell’isola di ghiaccio e fuoco, di deliri ventosi e acque torve, di notte affamata d’eterno e di luce inflessibile, di precipizi e fratture telluriche, di distruzione e splendidi furori: l’Islanda, l’isola baccante

Avanzando in essa sembra di compiere un cammino a ritroso nel suo immenso e arcaico passato, nel suo pre-umano territorio, ancora investito dal fiato di ctonie divinità mitologiche, che non hanno paura. 

La raffinata silloge poetica di Maura Baldini è una sorta di poema in senso classico, costituito da un proemio e un epilogo, nel cui corpo centrale di XXXVII ‘canti’ è delineata e descritta la mappa dell’itinerario compiuto da lei in Islanda.

Dunque, un viaggio, forse incauto, in una natura ignota e titanica, trionfatrice sulla vulnerabilità umana. Perché qui quello che conta / è mantenere la distanza. 

Eppure si avverte, fin dall’inizio, la necessità di chi scrive di entrare in comunione con la terra che sta attraversando, intessere un ordito tra la parte più esterna, la litosfera, e ciò che vi soggiace sotto, ancora più convulso e primitivo. Di riportare e fissare su di sé e fuori di sé, con parole e immagini come lampi e abbagli di tenebra, i segni di un passaggio, tra paure vertigini stupori salti nel vuoto, su questa terra di estremità geografica, di estremi elementi, di radicali contrasti e di osceni paradossi che generano vita.

È un continuo procedere fra fuori/dentro, fra dentro/fuori, tra Sottosopra/soprasotto, fra luce/buio/luce/buio: un flusso incessante, con indugi su tappe da esplorare, che diventano lenti d’ingrandimento su un camminamento orfico nel proprio animo, – infilati nello scheletro della luce, / ascoltando i respiri, / il cuore invertebrato della voce –, nella propria esistenza e nel proprio oscuro destino, – tocca la mia radice e dimmi / che nel vuoto so ancora imbestiarmi, / che ancora so spegnere / il fuoco larvato di questa solitudine.

Una peregrinazione a tratti lancinante e silenziosa nell’entroterra del proprio io, quasi per assecondare l’urgenza di un privato scandaglio, di un ritorno a sé attraverso una metamorfosi. – È tempo che il tarlo diventi cura.

Baldini quindi non corre, – mi cammino dentro – si ferma, per sentire l’inudibile intersecarsi tra la morfologia, stati e moti, delle viscere con le asperità del suolo, con le sue faglie insanabili. S’attarda per tracciare una partitura tra consonanze e dissonanze che lei percepisce tra il paesaggio, osservato e contemplato, e il proprio vissuto, il proprio essere, la fatica del vivere e la sua incomunicabilità – Così noi. / Come l’acqua senza requie / benediciamo l’antitesi, / e senza requie negandoci/ incubiamo il desiderio / di una perfezione inferiore.  Un confronto tra contemplante e contemplato, un faccia a faccia tra due inquieti, seppur insondabili, daimon, che ci giunge, liricamente immediato e sincero, senza filtri né mediazioni. – Eppure, nell’ammanco di vita, / i pensieri maturavano agnizioni, // sconfinate densità. 

Pagina dopo pagina, sosta dopo sosta, accogliendo quel suo richiamo iniziale, stiamo dietro, anzi a fianco, al suo passo lento. Entrando in quel territorio si ha la sensazione di un mugolare sulfureo nel sottofondo, di una seduttiva prossimità con la morte, di un ancestrale brivido, impreziositi da versi, fitti e tesi, talora fasciati in un enigmatico silenzio, di domande insolute – Cosa guardiamo nell’eco di un impercettibile movimento del cosmo? La risposta si disperde, sfuma nell’abbraccio del porticciolo, soglia che apre verso il grembo oceanico.

Spazi bianchi intrisi di un’attesa illimitata che sembra presagire un dramma, una deflagrazione cosmica, un sommovimento intimo, forse dionisiaco, come se anima e materia si appartenessero e si sbranassero le carni. 

E ciò malgrado, in questo fatale travolgimento sopravvive un desiderio, una tenue speranza, il conseguimento di una stasi, l’ancoraggio a una minima salvezza. – Ma noi vogliamo essere ascoltati e assolti, / vogliamo una mano sul capo, / una foglia che accarezzi la guancia. / Vogliamo l’emersione, l’ascesa mirabolante, / un sogno che non dice ma diventa. / […] come il più docile autunno del cuore.

Finché, arrivati al termine del percorso-lettura, piano ci allontaniamo, magari nella condivisione di una consapevolezza, espressa in sordina dall’autrice, che la febbrile ricerca di un senso all’ossimorico vivere, che l’ansia dell’ossessivo partire – quasi fosse una brancolante fuga da sé – per un altrove, per un’illusoria Avalon, non troveranno pacificazione – non nell’esilio, / e nemmeno nel ritorno – ma provando a chinare e a coltivare lo sguardo – nell’ipogeo degli occhi – nel profondo noi stessi.

Riecheggiando un pensiero di Bachelard: “Per quanto possa apparire paradossale, è spesso l’immensità interiore a conferire il vero significato a certe espressioni riguardanti il mondo che si offre ai nostri occhi”.

Ci accomiatiamo da Maura e dal suo viaggio, non dalla sua poesia, lasciando risuonare nel cuore, come un piccolo lascito, linfa di chiarore nello smarrimento tenebroso, la musicalità della strofa che conclude il poemetto  Sei tu la parabola dell’alba eterna / l’onda immensa che s’avvicina, / la speranza mai sopita / di un volto che abbraccia l’infinito.  

Grazia Frisina*

Le cascate degli dèi

Infinito tormento, 
che tu insegua Dio,
mite spirito,
che sospiri nella cascata. 
(Georg Trakl)
Ogni cortina d’acqua è un covo, 
cavità di caligini,
dimora di precipizi – irrefutabili,
come la forza di gravità,
come l’occhio spalpebrato del pesce.
Essiccare ogni lamento,
cucire il corpo nella cera
e affrontare il tempio dell’acqua,
il corpo a fiotti degli dèi –
mentre sul volto della cascata
sospira, pallido, un arcobaleno.

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Maura Baldini: piemontese, ha esercitato per molti anni la professione di avvocato. Oggi vive a Ginevra e si dedica, fra l’altro, alla traduzione e alla poesia. Di recente, ha tradotto André Malraux e Malcolm de Chazal, curando i seguenti volumi: André Malraux, Occidentali quali valori difendete?, De Piante; Malcolm de Chazal, Plastica, Gruppo editoriale Magog. Nel 2022, è stata pubblicata per il Convivio Editore la sua silloge poetica di esordio, La slegatura, opera tra le vincitrici del Premio Carrera. Scrive, inoltre, articoli e saggi per Poesia (Crocetti-Feltrinelli), per Pangea e per altre riviste e blog letterari.

*Grazia Frisina: Già docente di Lettere nelle scuole superiori. Le sue pubblicazioni: il romanzo A passi incerti (2009); il dramma poetico sulla Shoah Cenere e cielo (2015, messo in scena presso il museo della Deportazione di Prato), e Madri (2018), prefazione di Marinella Perroni, (tre pièces su alcune figure femminili del mondo biblico, dalla pièce Stabat Mater è stato realizzato un corto, girato nel carcere di Pistoia); le raccolte poetiche: Foglie per maestrale (2009), Questa mia bellezza senza legge (2012), Innesti (2016), Pietra su Pietra (2021), Avrei voluto scarnire il vento (2022), Storie senza approdo (2025), con illustrazioni dell’artista Edoardo Salvi. Il testo inedito Fiaba detta o fiaba scritta, a chi va storta a chi va dritta (2023) è stato messo in scena con la regia di Piera Rossi. Presso la biblioteca San Giorgio di Pistoia ha curato La gioia diventa un dipinto, incontro sulla poesia di Emily Dickinson, tra arte e musica (2014), e il dialogo poetico: Ricordi come raccoglievamo i narcisi, sulla storia d’amore fra Sylvia Plath e Ted Hughes (2015). Presso la casa-museo Guidi di Firenze ha ideato e curato il dialogo poetico Il mare nel vento – Unavoce dentro l’altra, sull’amore fra Elizabeth Barrett e Robert Browning (2017). Ha partecipato al festival di poesia Notturni di versi di Portogruaro (2016 e 2021). È presente, con alcuni suoi componimenti, in varie riviste letterarie nazionali e internazionali.

Francesca Chiesa: “Diversamente sole” (Edizioni Open), di Francesca Chiesa

Abbiamo chiesto alla nostra amica Francesca Chiesa, veneta da Syros nelle Cicladi, di parlarci del suo ultimo libro “Diversamente sole” (Edizioni Open) da qualche giorno in libreria.

LA QUINTA STORIA

Borges individua, in El oro de los tigres, quattro racconti che percorrono la storia dell’umanità, Los cuatros ciclos.

  • L’inutile difesa di una città assediata. Achille sa che il suo destino è morire prima della vittoria. Omero e Yeats la canteranno.
  • La storia di un ritorno. Quella di Ulisse; e quella degli dei del Nord.
  • La storia di una ricerca. In passato, fortunata – Giasone e il Vello. Nella modernità, sconfitta – l’Achab di Melville, il K. di Kafka.
  • La storia del sacrificio di un dio. Attis, Odino, Cristo.                                        

Inevitabilmente, ne manca una: l’innamorato di Maria Kodama forse l’ha dimenticata, forse non la conosceva. Anche noi vorremmo dimenticarla e invece va trasformata in racconti, in una quantità di racconti, nella maggiore quantità di racconti possibile: tutte le storie di tutte le solitudini di tutte le donne.

Per raccontare si possono usare romanzi o racconti. Anche poesie, che sono tuttavia racconti per immagini. Io ho scelto i racconti. Un racconto non è un romanzo breve, un racconto quando riesce proprio bene è un pugno allo stomaco, un lampo che ti lascia il segno sul fondo della retina. Un romanzo è progettato per un ambiente, un racconto è prodotto da un ambiente.

L’ambiente che produce le mie storie è un’ampia area che comprende il mondo indoiranico, la Russia a nord, a sud e ovest la penisola araba e l’Africa orientale, e in parte l’area mediterranea. Le terre in cui ho trascorso la mia vita, ma anche il mondo dove il racconto è nato, in forma di novella.

Il romanzo, che in un tempo assai lontano fu poema epico e successivamente romanzo alessandrino o greco-romano che dir si voglia, poi da roman cortese divenne romanzo borghese e tutto questo percorso fece senza che mutassero gli elementi che lo caratterizzano: essere un concatenarsi di eventi in forma causale e svolgimento temporale; essere l’espressione degli strati dominanti della società di una determinata epoca.

La novella/racconto è il memorandum della vita quotidiana, ciò che si annota per fissare la memoria, per conservare il ricordo. Il racconto mi ė sempre apparso lo strumento ideale per narrare un mondo in cui il reale ė ciò che accade.[1]

I miei racconti sono prodotti dai luoghi in cui sono vissuta. Dal tentativo di cogliere le forme di vita che fanno di ogni luogo ciò che ē.

Se fossi stata brava a usare matita e pennello, avrei disegnato l’eleganza delle euforbie in Eritrea, la fioritura degli Alberi di Giuda che tinge di sangue le strade del centro di Teheran, l’oro del brevissimo autunno di Mosca, l’azzurro del crudele mare di Libya.

Se fossi stata metodica, avrei annotato le ricette della cucina greca che amalgama oriente e occidente; le tradizioni della nostra cucina di campagna, arte di nonne che custodivano il segreto del soffritto; la chiave dello zafferano persiano che profuma e del colchico che uccide; il mosaico di colori del fattush libanese che fa dimenticare e si prepara insieme, sedute intorno a un tavolo a tagliuzzare.

Invece mi piace scrivere e così racconto quello che conosco meglio: le donne, perché sono donna, e la solitudine, sostantivo di genere femminile. Cercando di capire, donna dopo donna, chi davvero sostiene il peso di questa solitudine.

Dalla presentazione di Diversamente sole:

“Diversi sono i modi di essere donna che puoi incontrare sulle strade del mondo, ma c’è un aspetto dell’esistenza che ci accomuna tutte e appartiene solo a noi: la solitudine.

Questo è un libro scomodo, non racconta storie a lieto fine, anzi, le storie che racconta appartengono al genere di quelle che non finiscono mai.

Di tutte una soltanto, a mio giudizio, si risolve in una speranza di serenità: potrebbe essere definita fiaba di una nipotina che trova un nonno, ma questa è solo la seconda parte di La vergine di Malindi e La figlia della vergine.

Delle altre posso dire che offrono un’unica rassicurazione, si svolgono in una realtà molto lontana dalla nostra. Tranne l’ultima, che appartiene al passato povero della mia terra, il Veneto, al tempo in cui la solitudine si mescolava con la povertà e generava mostri: Tre + due ragazze belle, vendono il poco che hanno.

La trovi ovunque, la solitudine, negli interstizi della vita altrui e ovunque ci sia da portare pesi, nascoste agli occhi del mondo o appena appena sogguardate, come la donna che sputa quasi di nascosto sui dittatori (Ma i dittatori sognano isole sbagliate?) e le ragazze di Tripoli che rifiutano quelle di un altro colore.

Il mare che divide la Libia dalla Sicilia ne sa qualcosa, di solitudine: dentro uno di quei gusci di noce che ballonzolano disperatamente sulle onde, ho lanciato uno sguardo e ho trovato una novella Sherazade, il suo nome è Haben e rappresenta tutte le mie allieve eritree, e ricorda Tutte quelle in fondo al mare.

Ogni donna vive con la sua peculiare solitudine: non fa molta differenza che gliel’abbia regalata il mondo o se la sia ella stessa confezionata, come accade ad esempio a Sikina, la protagonista del racconto Di corsa, che ha sposato un uomo speciale ma se n’è accorta troppo tardi.

Ci sono le solitudini coraggiose, nobili, fiere e c’è la solitudine delle donne che vivono in mondi meschini che le hanno plasmate ma di loro non sanno che farsene: sono Quelle del Waddan, appendici di un mondo che si sente privilegiato

La solitudine ti guarda sempre con lo stesso volto, ma non tutte le storie di solitudine si assomigliano. Ci sono quelle che ti lacerano dentro e ti fanno sentire corresponsabile di quanto accade: ad Afra di Tawergha e alla figlia di Rosa, a Ghinda, cui è stato fatto assaggiare l’amaro Frutto di passione. Alle donne che mangiano insieme Fattush a Beiruth: sono amiche, in compagnia, allegre e felici: non dura.

C’è la gioia di Azadeh, che significa libertà in persiano: libera di vagare sola tra i misteri e gli incantamenti del Gran Bazar di Teheran. La mia gioiosa e stordita euforia – sì, la protagonista di Acido lisergico sono io – che sogna donne colorate, danzanti intorno al mio letto d’ospedale. E ancora Federica e Tahereh, senza uomini e senza soldi, che ubriacano di Uova sode la loro solitudine e lanciano le bucce giù dal ponte che congiunge Massawa e Taulud.

Ci sono anime rinsecchite, come quell’anziana ricca e colta persiana che non ha più nulla per cui vivere se non l’organizzazione del più perfido Matrimonio d’amore. C’è La solita vecchia storia degli uomini che inventano malignità sulle donne, e quella più lontana che racconta Come muoiono le regine. Sole, come volete che muoiano: all’ora sesta, quando tutti muoiono.

E poi vi racconto di una madre che non capisce, in Quelle della Qabila, e di una che s’innamora di Alex/Iskandar detto Alessandro Magno

C’è una sola storia, in questa raccolta, che narra di una solitudine condivisa, tra un pirata e una principessa: l’Isola Verde esiste, potete cercarla in Eritrea, loro due li ho solo sognati”.


[1] Ludwig Wittgenstein, Tractatus logicus-philosophicus 1.1, 1922.

Francesca Chiesa

Francesca Chiesa, classe 1955, laureata in filosofia. 

Ha lavorato per il Ministero degli Affari Esteri in Iran, Russia, Grecia, Eritrea, Libia, Kenia. Dal 2019 vive col marito prevalentemente a Syros, nelle Cicladi. 

Pubblicazioni recenti:

Dalla Russia alla Persia – storia di un viaggiatore per caso: Peripezie di un marinaio olandese al tempo di Alessio I Romanov e Suleiman I Safavide, La Case Books, 2023

Una storia di donne persiane: Il romanzo di Humāy e Nahid, La Case Books, 2023

Cristiana Buccarelli: “Taccuini di viaggio” (Cervino edizioni), di Gigi Agnano

Cara Cristiana,

dopo aver letto i tuoi Taccuini, ho sentito il desiderio di scriverti perché mi sono riconosciuto nella tua stessa inquietudine, quella che ci spinge verso strade lontane alla ricerca non solo di nuovi luoghi, ma anche – in qualche modo – di noi stessi.

Il tuo lavoro è un atlante narrativo di terre diverse, una galleria di panorami culturali e ritratti umani, di paesaggi non solo geografici, ma profondamente esistenziali. Mi hai fatto sentire un compagno di viaggio nelle tappe di un cammino che attraversa un Messico rarefatto, i mercati del Guatemala con la loro densità cromatica abbagliante, fino agli odori e alle voci del Marocco che si presenta come una visione, dove ogni pietra racconta storie e i vicoli sono labirinti nei quali si entra per perdersi. La tua scrittura cattura ogni luogo con una sensibilità che trascende la descrizione turistica, toccando corde ben più profonde.

Sono racconti che evocano un’esperienza sensoriale intensa: sentiamo il calore della giungla di Tikal, la luce mediterranea di Rodi, il “silenzio tenero e compatto” del Sahara. C’è una forma di purificazione nelle esperienze rievocate, come quando la guida Kareem versa acqua sui tuoi capelli e sul corpo, creando un momento tanto tattile quanto spirituale (forse anche sensuale). E attraverso la tua scrittura, anche noi lettori ci purifichiamo bagnati dalla stessa acqua a Chellah come a Rodi, a Tulum o sul Bagmati. Ci immergiamo nella stessa luce e respiriamo la stessa aria, accarezzati o sferzati dallo stesso vento, sia che lo chiami “Meltemi” in Grecia, “forte vento di mare” a Essaouira o semplicemente “folate” a Berlino.

A proposito di Essaouira, immagino abbiano raccontato anche a te la leggenda di Jimi Hendrix che, affascinato dalla bellezza del luogo, nel ‘69 voleva acquistare il vicino villaggio di Diabat per farne una comune hippie. Me ne sono ricordato perché la tua narrazione è intrisa di musica, dai Cure al fado, da Mozart a Vivaldi; e di poesia – quella che citi nei tuoi pellegrinaggi letterari e quella che scrivi tu stessa con delicatezza a chiusura del volumetto.

Per quel po’ che ti conosco, non mi sorprende la tua attenzione all’elemento linguistico: le citazioni dal Popol Vuh, l’arabo, il kalimera a Rodi o il namastè in Nepal, le riflessioni sui culti nordici diventano chiavi per aprire – come scrive Daniela Marra nell’introduzione – “nuove porte percettive” in cerca di un contatto autentico con le tradizioni e le culture incontrate.

Parlando di viaggi, sorrido pensando che torneremo a discutere del tuo libro sulla rivista letteraria che abbiamo voluto chiamare Il Randagio. C’è qualcosa di perfettamente calzante in questo, come se il “randagiare” fosse essenza del nostro essere lettori e viaggiatori. Mi viene in mente Foster Wallace quando diceva: “Un vero viaggio non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi.” È questo l’invito che il tuo libro porta con sé: viaggiare per guardarsi dentro con occhi rinnovati, più profondi e consapevoli – che, se ci rifletti, è lo stesso invito che noi del Randagio rivolgiamo a chi affronta il viaggio della lettura.

Fabio Stassi, in un’intervista che ci ha rilasciato qualche giorno fa, ha definito il suo “Bebelplatz” un “libro ornitorinco” per la molteplicità di generi che contiene. Credo che questa definizione si adatti perfettamente anche ai tuoi Taccuini, che sono diario di viaggio, raccolta poetica, memoir e reportage insieme. Amo gli autori che sanno districarsi tra spazi fisici e interiori, in particolare mi piacciono quei libri che nascono dall’inquietudine per cui manca sempre un luogo alla geografia personale dell’autore e del lettore.

Grazie per aver condiviso la tua meravigliosa sete di viaggio.

Con stima e affetto

gigi 

 Gigi Agnano

Napoletano, classe ’60, è l’ideatore e uno dei fondatori – il 15 ottobre 2023 – de “Il Randagio – Rivista letteraria“.

La capacità di narrare il visibile e l’invisibile nei racconti di Floriana Coppola, di Cristiana Buccarelli

Floriana Coppola, scrittrice e poetessa napoletana, si occupa da un ventennio di narrativa e di poesia. Tra i suoi romanzi voglio ricordare La bambina, il carro e la stella (Edizioni Terra d’Ulivi 2021), dove la protagonista è una bambina rom che diventerà una grande musicista e la cui storia, che mi ha molto emozionata per questo suo essere ai margini e vivere una condizione di smarrimento, da cui poi riesce ad emanciparsi totalmente, si ricongiunge, a mio avviso, ai temi affrontati nei racconti dell’ultima raccolta dell’autrice: Nero Blues (La valle del tempo 2024). 

Infatti anche in questi ultimi racconti si parla di personaggi ai margini: c’è molto spesso un riferimento a condizioni di vita difficili, a volte anche distopiche e a un senso di disagio sociale; non a caso nella premessa alla raccolta l’autrice si riferisce alla parola tedesca ‘’unheimlich’:

Ora, perturbante, si rende in tedesco come unheimlich, ovvero letteralmente ciò che ti porta via dal centro del fuoco… 

I personaggi protagonisti di Nero Blues hanno molto spesso un problema da affrontare, qualcosa che li porta via ‘dal centro del fuoco’, da una condizione di vita tranquilla, come ad esempio il caso di un viaggio di emigrazione, di una malattia, del carcere, della violenza domestica, di un amore tossico, dell’aver avuto una madre difficile, dell’essere sopravvissuti a un incidente aereo, di un inizio di alzheimer, di una pandemia, di una sclerosi multipla. L’autrice ha la capacità di calarsi psicologicamente all’interno delle condizioni di vita di questi personaggi e in tal modo ci racconta, attraverso di essi, la complessità dell’essere umano e quanto il disagio sociale e fisico possa essere funzionale a un percorso di ricerca spirituale e interiore.

Ho chiesto a Floriana se questa operazione di immersione nella sofferenza dell’altro e la condivisione empatica di questi vissuti, le abbiano lasciato una traccia addosso.

E lei mi ha risposto: << per me ogni scrittura sia in narrativa che in poesia, da quando me ne occupo, non esula dal percorso del dolore altrui, dall’empatizzare con le storie degli oppressi, degli ultimi, di coloro che non hanno voce. 

Credo in una letteratura che non abbia in sé un aspetto né consolatorio né descrittivo, ma che sia un’immersione psico-esistenziale nel mondo interiore degli altri. Di conseguenza letteratura e psicoanalisi sono assolutamente intrecciate e per questo motivo le mie storie partono sempre da una convergenza profonda tra l’io narrante e l’io del personaggio che scelgo come se fosse una sorta di specchio, il rappresentante di una complessità che appartiene all’umano e in tal senso opero per una forma di scrittura trasformativa interrogativa e speculativa, mai consolatoria.>>   

C’è un altro elemento, a mio avviso molto interessante nelle narrazioni di Floriana Coppola ed è il fantastico. Questi personaggi subiscono spesso alla fine del racconto uno spostamento, una mutazione, di frequente subentra l’elemento del surreale, che appare come un espediente letterario improvviso che il lettore non si aspetta.

Ad esempio nel racconto Partenope c’è una donna che racconta a un amico un sogno molto inquieto, legato alla possibile distruzione di Napoli, e alla fine della storia entrambi si trasformano in creature marine:

un richiamo imperioso verso gli abissi li spingeva a tuffarsi

Invece nel caso del racconto Migranti, dove l’autrice riesce a descrivere con grande visività un viaggio terribile, crudo e veritiero, come se lei stessa ne avesse una memoria emotiva, la migrante protagonista a un certo punto si riferisce a una mutazione fantastica in un branco di creature marine:

Non eravamo pesci, non eravamo uccelli

In un altro racconto non c’è la mutazione ma è sicuramente presente l’elemento del surreale: si tratta della storia del guardiano di un Castello sul mare. Alla fine del  monologo il lettore scoprirà che questo personaggio è in vita da quasi quattro secoli. Qui si assiste a una fusione tra il tempo di invecchiamento della persona e il tempo millenario e stratificato del Castello, inoltre il protagonista è un grande sognatore fuori dal mondo, forse anche lui in qualche maniera ai margini, e mi ha ricordato per alcuni tratti un racconto di Mary Shelley, L’immortale

Ho chiesto dunque a Floriana cosa rappresenta per lei l’elemento del fantastico in letteratura.

Mi ha risposto così: << quando parlo di fantastico per me non si tratta di pura fantasia ma di immaginazione performativa, cioè di capacità di narrare ciò che è visibile ma anche ciò che è invisibile. Slittare sul piano della surrealtà è fondamentale in tutti i miei libri, e in ogni mio romanzo c’è un riferimento al surreale; ad esempio in Donna creola e gli angeli del cortile (Ed. La Vita felice) c’è l’immagine di questa donna creola che è una profetessa, una sciamana, così anche ne La bambina il carro e la stella (Ed. Terra d’Ulivi) c’è il riferimento alla preveggenza della nonna e di conseguenza anche in questi ultimi racconti il fantastico è il performativo: cioè è quell’elemento che aiuta ad entrare in un’altra dimensione. Tutti gli escamotage fantastici dei miei racconti sono l’allegoria di un’altra dimensione.

È proprio attraverso questo elemento del surreale che molti di questi personaggi si salvano, si liberano dalla propria sofferenza, dal loro smarrimento, ottengono una redenzione.

E quindi le ho posto una terza domanda: <<Tu credi che la fantasia, l’immaginazione, possano nella realtà essere una formula per superare lo smarrimento e la sofferenza del vivere?>>

<<Fantasia e immaginazione non superano lo smarrimento del vivere, la letteratura è l’espressione di uno sguardo che si allarga, sente e percepisce in una maniera direi ‘cosmica’ il dolore dell’essere al mondo, la letteratura amplifica lo smarrimento e proprio in questo ci rende più umani in una visione non più antropocentrica ma capace di connettersi alla natura e al tutto>>.

Cristiana Buccarelli  

Cristiana Buccarelli è dottore di ricerca in Storia del diritto romano. Ha vinto nel 2012 la XXXVIII edizione del Premio internazionale di Poesia e letteratura ‘Nuove lettere’ presso l’Istituto italiano di cultura di Napoli. Ha pubblicato la raccolta di racconti Gli spazi invisibili (La Quercia editore) nel 2015, il romanzo Il punto Zenit (La Quercia editore) nel 2017 ed Eco del Mediterraneo (IOD Edizioni) nel 2019. Con Eco del Mediterraneo (IOD Edizioni) ha vinto per la narrativa la V edizione del Premio Melissa Cultura 2020 e la IV edizione Premio Internazionale Castrovillari Città Cultura 2020. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo storico I falò nel bosco (IOD Edizioni) con cui ha vinto per la narrativa la XVI edizione del Premio Nazionale e Internazionale Club della poesia 2024 della città di Cosenza. Nel 2023 ha pubblicato il romanzo Un tempo di mezzo secolo (IOD Edizioni) con il quale è stata finalista per la narrativa all’XI edizione del Premio L’IGUANA- Anna Maria Ortese 2024. Conduce da svariati anni laboratori e stage di scrittura narrativa. 

La poesia prometeica di Feruglio (“Figli di un’antica vendemmia”), di Eloisa Ticozzi

Il libro “Figli di un’antica vendemmia “, è scritto dal poeta Nicola Feruglio, edito da Edizioni Croce, della collana “Fuori Collana” diretta dal grande poeta Antonio Veneziani, (collana che si occupa di quei testi transitanti tra generi letterari differenti, esattamente come quello di Feruglio, caratterizzato da una continua oscillazione tra prosa e poesia), prima edizione novembre 2024. Una pagina viene dedicata a un amico, molto importante e guida autorevole per l’autore. Il libro introduce immediatamente all’apparente contrapposizione fra lo spirito apollineo e lo spirito dionisiaco, il primo considerato espressione della creatività e dell’istinto, del sesso e della spregiudicatezza; il secondo imponeva regole morali, schemi comprensivi razionali. Nell’antichità il Dio Pan veniva consacrato nei riti antichi iniziatici, i riti eleusini. La grande Opera si svolgeva proprio nell’orgia, in cui la sessualità veniva trasmessa con riti scanditi in tempi stabiliti. Le due tradizioni esoteriche per eccellenza, riviste in Narciso e Boccadoro (1930) di Hermann Hesse, si contrappongono nell’incarnazione dei due protagonisti. La via della mano destra è la via della preghiera e dell’ascetismo; la via della mano sinistra è la via del sesso tantrico e di pratiche occulte più immediate e veloci per la trascendenza: entrambe ricercano una dimensione spirituale che sfugge alla realtà più comune.

Il poeta fa un riferimento importante alla Beat Generation nel libro, nel quale vengono proposte idee rivoluzionarie contro la violenza, la propensione alla sperimentazione di droghe, di musica innovativa e di esperienze anche mistiche: Jack Kerouac (1922-1969), ha teorizzato, come fondatore, la poesia “on the road”, (in italiano: “sulla strada”), esperendo in prima persona viaggi e nuove connessioni creative. La corrente gnostica eretica dei Cainiti (Feruglio in ogni suo testo manifesta una particolare attenzione alle correnti gnostiche), evidenza come Giuda, sia stato, non traditore nel senso più semplice del termine, ma come elemento chiave che innescherà la morte di Cristo, e quindi, la sua resurrezione per la salvezza del mondo intero. Cristo, pensato come emanazione migliorata del Padre, si è voluto incarnare in un uomo, vivendo prove terrene, con un dolore assoluto denominato Passione. Anche la Teoria dei Neuroni-specchio (Giacomo Rizzolatti – anni ’90), prova scientificamente che l’empatia è insita in noi, nel nostro sistema nervoso. Quando ci connettiamo con qualcuno, si attivano le stesse aree cerebrali della corteccia dell’altro (simulazione incarnata): si potrebbe definire in filosofia un’armonia musicale e una sincronia fra due o più viventi. Il cristianesimo è un’innovazione sia in termini religiosi che in termini antropologici e culturali. Cristo rettifica le leggi antiche ebraiche filtrandole con compassione, empatia e misericordia. La Grande Opera degli gnostici forgia l’anima con la mente e il corpo, proprio come Cristo, unendoli in una vera congiunzione alchemica. La potenza cosmica cristiana è formata da Dio, Cristo, il Dio-figlio compenetrato in una dimensione coinvolgente l’umanità, e lo Spirito Santo, inteso come possibilità di creare il mondo, l’elemento unificante Padre e Figlio.

La poesia “L’insurrezione ecosofica” comunica la sofferenza della terra e del creato; il richiamo al panteismo di antichissime civiltà ci ricorda gli Indiani d’America, che sentivano la natura e gli animali gemere di spirito. Il poeta Feruglio ci definisce metastasi nel corpo di Gaia, qualcosa che si stacca e cresce dalla madre terra, qualcosa che viene nutrita da essa ma soffre. L’agricoltura biodinamica descritta dal teosofo Rudolf Steiner, si incentrava su un’etica di coltura e di sviluppo della terra, sia nella fauna che nella flora. Oggigiorno si affacciano nuovi scenari in cui i diritti degli animali verranno sempre più sostenuti con compassione e coraggio, sperando uno scenario così aderente. La poesia “I gemelli della mia preesistenza” indica una connessione fra fratelli, defunti o meno, che sia scevra della mera biologia, ma che appartenga a un progetto più ampio di umanità. La poesia “L’iniziazione balcanica” è un grido contro le guerre, celebrando lo spirito universale dei popoli, contro le sopraffazioni e la crudeltà. Oggigiorno il mondo è ancora in ginocchio per gli scenari geopolitici instabili che hanno causato dei veri e propri genocidi. La poesia “Versi riconoscenti per Allen” è una poesia dedicata alla Beat Generation e ad Allen Ginsberg (1926-1997), alla ribellione contro schemi e concetti precostituiti, all’insurrezione per la guerra del Vietnam di quel periodo, alla conquista parziale per i diritti di afroamericani, omosessuali, di diversa religione o etnia. Si fa riferimento anche al demone (daimon) della creatività e dell’immaginazione onirica, della poesia come spazio intimo dell’uomo, un rifugio sensibile e libero, lontano dal quotidiano. Ho apprezzato in particolar modo un piccolo riferimento a “Saluto e Augurio” di Pier Paolo Pasolini (1922-1975), (La Nuova Gioventù ,1975), una sorta di testamento paradossale scritto in friulano (nelle prime pagine è un tributo del poeta Feruglio). Pasolini, figura autorevole come Socrate, capisce che la nuova sinistra rifiuta la tradizione in quegli anni, quindi, paradossalmente, cerca di trasmettere la sua conoscenza a un giovane fascista, consapevole che i loro valori sono e saranno per sempre agli antipodi. Tuttavia, egli ricerca il nemico, la persona ostile, per essere liberato di quel fardello di conoscenze troppo alto e supremo anche per lui, perché anziano e stanco. La terra, la tradizione, i campi, sono lo spazio spontaneo e puro; il greco e il latino hanno fondato l’Italia in quanto lingue di cultura. La madre rappresenta la tradizione e dentro essa si situa la Repubblica che dovrebbe inglobare i poveri, gli afflitti e i dimenticati; si tratta della trasposizione laica dei vangeli e degli insegnamenti di Cristo. Ritornare feti nella madre, per Pasolini, significherebbe abbracciare valori antichi, costruendo una civiltà che protegga l’umile, il povero e il diverso. Il ragazzo fascista dalla camicia grigia deve compiere la rivoluzione nel sonno, non nella realtà, essere “il soldato senza violenza”. Il sonno nel quale ogni poeta e artista rifugge per creare e poter pensare a un mondo diverso e più puro. Amleto paragona la morte a un lungo sonno “Dormire, dormire, nient’altro. Sognare, forse. Ma questo è il punto: quali sogni?”; la morte è un sonno eterno del quale non si conoscono ancora la sostanza e il contenuto che rimangono dubbi e misteriosi.  Il dio Dioniso è inteso come divinità primitiva, dal sapere antico, radicato alle viscere della terra e della natura. L’etimologia del nome significa “nato due volte”, in grembo a Semele, la madre, e dalla coscia di Zeus, quindi una doppia origine paterna e materna, una divinità dalla provenienza ermafrodita e alchemica. Inoltre, il nostro daimon risvegliato da Prometeo che ruba la conoscenza, il fuoco eterno, a Zeus, in un atto altruistico per l’umanità, può essere accostato in senso più moderno all’avvento di Cristo, che ruba anch’esso la vita eterna dal Padre per donarcela. Il testo di Feruglio quindi, attraverso il rincorrersi di poesia e prosa, si colora di molteplici suggestioni culturali, esistenziali e autobiografiche, tutte orientate verso l’orgia spirituale intesa come unico antidoto al tecno-totalitarismo, verso l’oltrepassamento estatico del soggetto e della visione storicistica del mondo, verso un poetare prometeico capace di tras-mutare la vita stessa, verso una nuova ed antichissima vendemmia dionisiaca… che come risuona nel sottotitolo del libro, va rimessa in scena qui ed ora.

Eloisa Ticozzi

Nicola Feruglio , scrittore e presidente di Antropologia Terzo Millennio, Venerdì 7 febbraio 2025 (dalle ore 15:00 alle ore 20:00), presso il Conference Center Ecomap di Roma (Sala da Feltre) in Via degli Orti di Trastevere numero 6, realizzerà il Seminario aperto al pubblico dal titolo: “AUTO-REALIZZARSI NELL’EPOCA TRANSUMANISTA” – Il confronto gnoseologico tra tecniche totemiche e tecniche neuro-politiche.

*Il seminario nasce come una delle possibili ramificazioni e applicazioni dei corpi teorico/pratici del Convegno Nazionale di Antropologia Terzo Millennio, intitolato “Guarigioni totemiche”, realizzato il 4 dicembre del 2021, presso Palazzo Falletti a Roma.

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