Thorkild Hansen: “Arabia Felix” (Iperborea, trad. Doriana Unfer), di Claudio Musso

“Arabia Felix di Thorkild Hansen – pubblicato in una nuova edizione da Iperborea nella limpida traduzione di Doriana Unfer – racconta la prima spedizione danese verso l’Arabia del Sud, l’attuale Yemen, un’impresa che unisce come un intarsio scoperta geografica, esperienza scientifica e avventura umana. Fortemente voluta dal re di Danimarca, l’impresa cattura l’attenzione di tutta l’Europa colta del Settecento: una combinazione di curiosità erudita e desiderio di prestigio in un’epoca in cui la conoscenza è considerata il più alto strumento per comprendere il mondo e lasciare un segno duraturo nella storia.

Hansen costruisce un affresco corale in cui emergono figure conturbanti e emblematiche. Carsten Niebuhr, figlio di contadini della Frisia, è l’uomo della razionalità e della resistenza: metodico, parsimonioso, instancabile, sopravvive a tutti e diventa il testimone e il garante della spedizione. Peter Forsskål, accademico svedese, botanico e naturalista, rappresenta il genio ribelle, curioso fino all’ossessione, instancabile e talvolta in conflitto con i compagni, ma la cui energia ed erudizione lasciano un’impronta scientifica straordinaria. Frederik Christian von Haven, titolato filologo danese e unico umanista del gruppo, si trova spesso in minoranza rispetto ai pragmatici compagni: la sua ricerca necessita di manoscritti e biblioteche e il viaggio lo mette davanti alla difficoltà di applicare la propria competenza in un contesto così lontano dal suo mondo, su cui pesa una sua mai celata indolenza. Hansen mostra così le diverse modalità di interazione con la conoscenza: il sapere empirico dei naturalisti, la resistenza pratica di Niebuhr, l’introspezione, a volte saccente, di Von Haven. Kramer e Baurenfeind compaiono come cornici, figure secondarie che contribuiscono a restituire la complessità del gruppo, pur senza sottrarre centralità alle tre figure principali.

La lettura di Arabia Felix diventa un viaggio partecipato: il lettore cammina accanto a uomini che non si sono scelti, condividendo tensioni, rivalità, momenti di fragilità e meraviglia dal sapore platonico. Hansen alterna sapientemente scene drammatiche, ironiche e poetiche: la navigazione tra le insidie del mare e il rischio di navi nemiche, le carovane di cammelli che attraversano deserti polverosi, i mercati affollati e silenziosi dei villaggi yemeniti. Si percepiscono sulle pagine la fatica fisica e psicologica, le scoperte scientifiche e il fascino dell’ignoto, ma anche l’umanità dei protagonisti, le loro vanità e la sorprendente solidarietà che nasce dalla condivisione di un destino comune.

L’Arabia felice, scopriamo presto, non è un luogo fisico, ma un mito che muove gli uomini e li mette alla prova. L’autore ci ricorda che ci sono paesi in cui siamo stati felici, ma non ci sono paesi felici: la felicità non si trova nel territorio esplorato ma nella capacità, che non dovremmo mai perdere, di resistere, osservare, comprendere e confrontarsi con gli altri e con sé stessi. E mentre il lettore percorre con questi singolari compagni di viaggio le strade polverose con un sole minaccioso, vive le tensioni tra caratteri opposti, le sfide del clima e delle malattie, le rivalità scientifiche e le scoperte improvvise, diventa parte integrante della spedizione, osservando il mondo attraverso occhi che non sono i propri.

Il viaggio narrato da Hansen, pur nel contesto storico del XVIII secolo, parla ancora oggi: delle tensioni tra uomini, della forza del sapere condiviso e della fragilità umana. Ci ricorda che il desiderio di comprendere, di convivere con gli altri e di guardare in faccia l’ignoto è un filo che attraversa secoli e continenti. E alla fine resta una domanda quasi provocatoria: se dovessimo partire oggi per un viaggio simile, chi vorremmo avere al nostro fianco? Forse il compagno più importante non è un altro uomo o donna, ma il nostro ‘io’ profondo, silenzioso coinquilino che ci accompagna lungo ogni strada polverosa, ogni carovana lontana, ogni città sconosciuta, ogni alterità che intercettiamo. Chiediamo al nostro ‘io’, e non faremmo nulla di diverso dei protagonisti di questa storia, cosa lo fa stare bene, cosa accende nei suoi occhi quella scintilla, quali desideri custodisce, quali sogni vorrebbe seguire. Perché la vera “Arabia felice” non è un luogo da raggiungere, ma la capacità di vedere e nutrire quella luce dentro di noi che rende unico e vivo ogni nostro passo. Perché non è mai troppo tardi per cercare non nuove terre da esplorare ma il tentativo di misurare noi stessi. Con l’astrolabio di Niebuhr.

Claudio Musso

Claudio Musso: Vive e respira Torino e condivide un paio di geni con la dea Partenope. Formazione umanistica, grande appassionato di germanistica, di storia e di identità. Di giorno si occupa di risorse umane e la sera, o quando leggere e leggersi chiama, di quelle librose. Onnivoro per natura, ma intollerante al glutine e alle mode del momento, raminga con umorismo tra un lavoro che ama e altre passioni quali il teatro, l’opera lirica, e ovviamente la lettura, collaborando anche con riviste letterarie. Papà di Nadir, il suo gatto, non riesce per più di 5 minuti a prendersi troppo sul serio ma prova a fare tutto con dedizione, di quelle che danno senso e colore alla vita.

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