Intelligente, con grandi occhi scuri intensi, una personalità sfaccettata, Katherine Mansfield fu una scrittrice che nei suoi circa cento racconti riuscì a descrivere le donne in un modo nuovo (e per questo si potrebbe definire una scrittrice femminista), a raccontare lucidamente delusioni, stati d’animo, sensazioni in pochi tratti.
C’era in lei una capacità di descrivere l’animo umano con una sottile perspicacia e anche la natura (i fiori, i frutti, la pioggia e il vento) con grande intensità.
Secondo me, il tema che attraversa la sua opera è l’incomprensione tra le donne e gli uomini.

Emerge anche, tra le righe, una compassione che non viene mai sbandierata, il suo stile è diretto, essenziale – e forse questa pudica compassione è il trait d’union tra lei e Anton Čechov, il suo scrittore prediletto, deceduto anch’egli di tubercolosi.
Quando Katherine Mansfield morì aveva appena 34 anni, aveva pubblicato tre libri di racconti che avevano avuto buoni riscontri, molte recensioni per una rivista ed era sul punto di spiccare il volo nel variegato e stravagante ambiente letterario britannico. Non a caso era l’unica scrittrice della quale Virginia Woolf, sua amica, aveva scritto di essere gelosa (nota 1).
Kathleen Mansfield Beauchamp, che usò vari nomi d’arte sia femminili sia maschili per diventare infine celebre con quello di Katherine Mansfield, nacque nel 1888 a Thorndon, vicinissimo a Wellington, in una strada piena di vento dalla quale si vedeva il mare (oggi è un Museo), in Nuova Zelanda.
Il paese faceva allora parte dell’Impero più grande del mondo, quello britannico.
L’isola si divideva tra il modo di vivere inglese e quello della popolazione locale, i Maori.
La famiglia Beauchamp, di origine australiana con un cognome indiscutibilmente francese, era benestante e in seguito lo sarebbe diventata molto di più. I neozelandesi anglofoni vivevano in una natura lussureggiante con vulcani millenari e antichi riti magici animisti esattamente come se fossero stati in Inghilterra.
La vita a Wellington era scandita da varie attività mondane come i ricevimenti, le partite di cricket, la lettura e la musica.
Ben presto Katherine, anticonformista, vivace, con senso di humour, si sentì la pecora nera di questa famiglia tradizionalista di fine secolo: l’obiettivo delle ragazze (e quello imposto loro) era di fare un buon matrimonio, avere figli e una vita socialmente rispettabile. Tutte cose che lei evitò accuratamente. Si sposò due volte ma furono due matrimoni alquanto singolari e rimase incinta, ventenne, di un coetaneo musicista, Garnet Trowell, ma perdette il bambino a causa di un aborto spontaneo (il fatto di non avere avuto figli fu un rimpianto per lei e spesso nei suoi racconti appaiono bambini).
La sua passione per la letteratura iniziò molto presto, compose piccoli racconti e belle poesie e decise che sarebbe diventata una scrittrice anche se ebbe qualche dubbio verso la musica. Adolescente prese molto seriamente lezioni di violoncello e si innamorò platonicamente del suo insegnante. Contemporaneamente o quasi ebbe in collegio due relazioni sentimentali: la prima con Martha Grace, il cui nome Maori era Maata Mahupuku, figlia di un capo indigeno e parente di un ministro, e poi con Edith Kathleen Bendall, che aveva 26 anni (Katherine ne aveva 17), una ragazza assai vivace intellettualmente.
Questi sentimenti la portarono ad essere presto consapevole del suo orientamento bisessuale ma fu Ida Baker, studentessa di un innovativo collegio di Londra in cui Katherine venne mandata dal padre industriale, che rimase con lei per sempre – Ida, una ragazza buona e premurosa, precocemente orfana di madre che viveva con suo padre, un prepotente colonnello, fu un’amica, una compagna, una factotum per Katherine.
Era lei che risolveva tutti i problemi e che si sobbarcava di tutte le incombenze, che le fu vicina nella malattia a rischio di ammalarsi.
Ida Baker ha lasciato un notevole libro di memorie su Katherine edito nel 1971 (nota 2). Katherine ebbe, nel tempo, sentimenti contrastanti verso di lei. A volte di tenerezza, a volte di insofferenza.
Sembra che la madre di Katherine escluse la figlia dal testamento proprio per la sua relazione con Ida Baker.
Tantissime lettere della scrittrice a Ida sono state distrutte.

Invece i partner maschili di Katherine prima di sposare nel 1918 John Middleton Murray, il musicista Garnet Trowell dal quale era rimasta incinta, il polacco Sobieniowski che aveva incontrato in Germania a 21 anni, che le scriveva lettere assai romantiche ma che, purtroppo, l’aveva anche contagiata con una malattia sessualmente trasmissibile (che le provocò una forte artrite e facilitò poi la tubercolosi) o il francese per il quale aveva attraversato il fronte durante la prima guerra mondiale solo per vederlo pochi giorni, svanirono nel nulla.
Nel 1908 Katherine aveva fatto un curioso matrimonio con un certo George Bowden, maestro di canto, probabilmente gay, più grande di lei di undici anni. Il giorno stesso del matrimonio lo aveva abbandonato. In realtà lo aveva fatto perché era incinta e presumibilmente per risultare coniugata. La cosa più disdicevole per una ragazza nubile allora era rimanere in stato interessante (e così sarebbe stato a lungo). Solo nel 1917 Bowden le concesse il divorzio (in Inghilterra era legale dal 1858) e l’anno seguente lei sposò John Middleton Murray, un intellettuale marxista e pacifista, con cui conviveva già da qualche anno.
Anche il rapporto con Middleton Murray fu controverso. Alcuni ebbero l’idea che egli “distrusse” Katherine (nota 3) influenzandola letterariamente e non fu generalmente visto con grande stima.
Virginia Woolf in una lettera lo aveva addirittura definito ‘un giovanotto con un’aria idiota’ (nota 4).
Era un saggista e un giornalista prolifico ma non aveva la creatività della moglie. Era un ragazzo abbastanza interessante con uno strano sguardo. Fu lei che lo sostenne emotivamente, lo incoraggiò, lo mantenne economicamente.
Il loro rapporto fu un alternarsi di amore e disamore, momenti sereni e forti contrasti, unioni e separazioni. Infine Katherine lo lasciò ma rimasero amici.
Probabilmente anche la assai precaria situazione economica ebbe un peso in questa esasperazione.
Invece l’amicizia (e non amore) tra Virginia Woolf e Katherine non sembrava inizialmente così scontata. Loro provenivano da due ambienti sociali molto diversi: Katherine dalla alta borghesia industriale colonialista ma viveva poveramente a Londra, Virginia da una famiglia con una grande tradizione culturale. Virginia era una persona fragile e tenace, evanescente e casta, Katherine una donna indipendente e per certi versi spregiudicata.
Ma probabilmente ciò che le fece entrare in sintonia fu il fatto che Virginia comprese che Katherine era una vera, sincera scrittrice.
La Hogart Press, la casa editrice dei Woolf, pubblicò un suo racconto, “Preludio”.
Un altro suo grande amico fu il talentuoso e trasgressivo David Herbert Lawrence, autore di “L’ amante di Lady Chatterley” (1928) e di “Donne innamorate” (1920) nel quale si ispirò a lei per il personaggio della volitiva Gudron anche se Middleton Murray scrisse che Lawrence aveva compreso ben poco di Katherine.
Di solito vengono comprese sotto il nome di Modernismo alcune correnti artistiche che si contrapponevano nella prima metà del Novecento a quelle del passato: Virginia Woolf giunse a scrivere solo pensieri in alcuni libri (“La camera di Jacob”, “Le onde”), James Joyce frasi senza connessione logica fra di loro in “Ulisse”, Proust si focalizzò prevalentemente sulle emozioni e sensazioni nella Recherche, il poeta Thomas S. Eliot scrisse “Terra desolata”, Kandiski inventò l’astrattismo, Picasso il cubismo, Schönberg la musica Zwölftontechnik (dodecafonica), Franz Kafka descrisse l’assurdità del mondo, Freud scoprì l’inconscio e Jung la parte luce e quella ombra di ognuno di noi. Era un mondo in fermento, in rapido cambiamento, un mondo che conosceva nuove ansie e aveva bisogno di modi nuovi per esprimerle.
Già nella sua prima raccolta di short stories, “In una pensione tedesca” pubblicata quando aveva solo 23 anni (1911) Katherine mostrò una precoce intensità letteraria: accanto a una sottile presa in giro di certe debolezze tedesche e di idee alla moda (la “signora evoluta” o il giovane, pallido filosofo nichilista) l’innocenza di Sabine e la confusione di Viola sono assai incisive. Gli uomini sono brutali o manierati, le donne sono da loro considerate graziosi oggetti da esaltare o da distruggere (naturalmente non tutti gli uomini erano così, ella raccontava con anticipo quello che la sociologia chiama patriarcato).
Nella seconda raccolta “Beatitudine e altri racconti” pubblicata nel 1920 quando aveva 32 anni e dedicata al marito, aveva raggiunto una piena maturità artistica. Qui gli uomini sono inconsistenti e fuggevoli come il vanesio e compito Paul di “Je ne parle pas français”, l’intellettuale con la sua amica, Reginald o il timidissimo studente.
Le donne spesso sole, imprevedibili, ferite emotivamente.
Sarà terribile il disinganno di Bertha nel racconto “Bliss”, la storia di una donna felice che ha un marito competitivo, una deliziosa bambina piccola, una casa confortevole con un bel giardino, dei simpatici amici artisti e che crede di essere in sintonia con una donna bionda, affascinante e ‘linfatica’ miss Fulton. Il sentimento di Bertha verso miss Fulton ha una sfumatura omosessuale.
Nello splendido “Immagini” invece la grassa e non più tanto giovane Ada Moss, contralto d’Opera che ha fatto il Conservatorio, cerca disperatamente lavoro facendo anticamera dagli impresari teatrali in una Londra dura e impietosa: “Sapete pilotare un aereo… tuffarvi dall’alto… guidare l’automobile… fare il salto mortale… sparare?”, lesse Miss Moss. Camminava per la strada facendosi queste domande. Soffiava un vento forte e freddo; la spingeva a strattoni, la schiaffeggiava, la scherniva; sapeva che lei non era in grado di dare quelle risposte. Negli Square Gardens trovò un cestino di fil di ferro dove lasciò cadere il modulo”.
Altrettanto bello è “The Garden Party”, che dà il titolo alla terza raccolta del 1922, basato su alcuni stridenti contrasti: una splendida festa in giardino di un’agiata famiglia e la morte improvvisa di un carrettiere, sensibilità e insensibilità, le differenze di classe, l’energia della gioventù e la quiete della morte, qui vista con uno sguardo inusuale.
La tubercolosi di Katherine divenne sempre più grave. Tra il 1800 e la prima parte del Novecento era chiamata ‘il male del secolo’ e non esisteva una cura (gli antibiotici non erano stati ancora scoperti). Generalmente, il trattamento consigliato era di andare in un paese con un clima mite: il poeta Guido Gozzano era stato a Ceylon (Sri Lanka), lei soggiornò in Svizzera e nella Riviera Ligure in Italia (a Sanremo e Ospedaletti). Tentò anche varie terapie mediche e affrontò la malattia con coraggio. I suoi amici si spaventarono vedendola sempre più sciupata e deperita.
Poi qualcuno le parlò di Gurdjieff.
Gurdjieff era una sorta di maestro spirituale di origine greca armena che aveva aperto una comunità a Fontainebleau, in Francia, chiamato “Istituto per lo sviluppo armonioso dell’uomo”.
Le sue teorie avevano parecchio successo e Katherine, anche se sembra che non si fosse mai interessata a questioni spirituali, decise di tentare.
Nell’ottobre del 1922 si ritirò nella comunità spirituale. Ida Baker affittò una casa vicina. Qui Katherine fece una vita spartana in una piccola dependance che Gurdjieff le aveva messo a disposizione ad Avon, a 60 chilometri da Parigi.
Era una vita molto dura e l’inverno era molto rigido. In seguito alcuni videro in lui qualcuno che aveva affrettato la morte della scrittrice con uno stile di vita completamente inadatto ad un tubercolotico grave, altri invece come colui che era riuscito a farle trascorrere l’ultimo periodo serenamente (il suo umore migliorò).
Il 9 gennaio 1923 Middleton Murray andò a trovarla, trascorsero la giornata con altri seguaci di Gurdjieff prevalentemente russi, ma la sera lei ebbe un violento fiotto di sangue forse perché aveva salito rapidamente le scale.
Lui, terrorizzato, corse a chiedere aiuto.
Due medici e due infermieri accorsero ma lei morì subito.
Il marito curò la pubblicazione delle sue due opere inedite, poesie, abbozzi e più tardi delle Lettere e dei Diari ma distrusse anche alcuni testi di lei.
Nel 1924 si risposò con una scrittrice, Violet Le Maistre.
…………..
Note:
1) Katherine Mansfield scrisse con grande perspicacia di Virginia Woolf “per la prima volta ho avuto l’impressione di incontrare una di quelle donne di Dostoevskij, la cui innocenza è stata ferita”.
2) Oggi il libro si trova in questa edizione tedesca: “Ein Leben für Katherine Mansfield. Erinnerungen der Ida Baker” (Una vita per Katherine Mansfield. Ricordi di Ida Baker)
3) Così ritiene , tra gli altri, la nota saggista Claire Tomalin nella biografia: “Katherine Mansfield. A Secret Life” (Viking, 1987)
4) Sara De Simone
“Nessuna come lei. Katherine Mansfield e Virginia Woolf. Storia di un’amicizia” (Ed. Neri Pozza 2024)
Bibliografia:
Katherine Mansfield
Tutti i racconti (Newton Compton 2015)
Pietro Citati
Vita breve di Katherine Mansfield (Adelphi 2014)
Nadia Fusini
La figlia del sole: Vita ardente di Katherine Mansfield (romanzo, Feltrinelli 2023)
Sara De Simone
Opera citata nelle Note
Katherine Mansfield The Complete Works (eBook – edizioni Bauer)
Claire Tomalin
Opera citata nelle Note
(oltre che questa biografia, sono state dedicate a K. M. altre sei biografie tra Inghilterra e Francia, romanzi, film per la televisione tra i quali uno del 1973 dove lei era interpretata da Vanessa Redgrave).
Lavinia Capogna*

*Lavinia Capogna è una scrittrice, poeta e regista. È figlia del regista Sergio Capogna. Ha pubblicato finora sette libri: “Un navigante senza bussola e senza stelle” (poesie); “Pensieri cristallini” (poesie); “La nostalgia delle 6 del mattino” (poesie); “In questi giorni UFO volano sul New Jersey” (poesie), “Storie fatte di niente”, (racconti), che è stato tradotto e pubblicato anche in Francia con il titolo “Histoires pour rien” ; il romanzo “Il giovane senza nome” e il saggio “Pagine sparse – Studi letterari”.
Ha scritto circa 150 articoli su temi letterari e cinematografici e fatto traduzioni dal francese, inglese e tedesco. Ha studiato sceneggiatura con Ugo Pirro e scritto tre sceneggiature cinematografiche e realizzato come regista il film “La lampada di Wood” che ha partecipato al premio David di Donatello, il mediometraggio “Ciao, Francesca” e alcuni documentari.
Collabora con le riviste letterarie online Insula Europea, Stultifera Navis e altri website.
Da circa vent’anni ha una malattia che le ha procurato invalidità.

