Dal sito dell’Editore:
“Il volume esamina, sotto un profilo psicologico e neuropsichiatrico, l’opera e il personaggio Alberto Savinio, la cui creazione artistica si scontra talora con la diagnosi di disturbo della personalità da cui il pittore e letterato fu affetto. Sindrome di Asperger, disturbo bipolare, ipergrafismo, verbigerazione, feticismo d’oggetto, alessitimia, asocialità, aprassia cognitiva e comportamentale, deficit del visus, prosopagnosia: tutti sintomi di una patologia complessa, caratteristiche che segnano il percorso umano e artistico di Savinio.”

“Se lo spazio sembra certo essere la forma a priori dove si disegna ogni tragitto immaginario, le categorie della fantasia non sono altro che le strutture dell’immaginazione che si integrano in questo spazio, dandogli le sue dimensioni affettive”. Con questa bellissima intuizione di Gilbert Durand inizia il saggio di Carlo Alessandro Landini Lo sguardo assente. Arte e Autismo: il caso Savinio (Franco Angeli, Milano 2009, pp. 200, € 20,00).
Landini, prima di essere critico letterario e studioso di psicologia, è artista egli stesso, un compositore che rappresenta e dà forma ai propri sentimenti attraverso il suono, quanto di più etereo ed impalpabile possa esistere; la musica è quella che egli ama definire, con Wackenroder, “la lingua degli angeli”.
Il libro, sicuramente difficile nella prima parte, in quanto unisce riflessioni filosofiche, osservazione e ricerca scientifica (ma è proprio questa, forse la novità del testo), diventa di facile accesso nella seconda. Qui si svela al lettore un universo nuovo in cui si assiste ad una sorta di democratizzazione del processo artistico. Nessuno può e deve sentirsi escluso dal mondo mirabile dell’arte. Anche la più banale esposizione dei propri sentimenti, la riflessione di ognuno di noi intorno all’esperienza vissuta diventa letteratura, ed anche un modo per curare se stessi. La scrittura diventa così spazio transizionale, teso a costruire un ponte tra sé ed il mondo, arte come autoterapia.
In questa nuova prospettiva arte e psichiatria procedono di pari passo. In entrambe l’Erlebnis, l’esperienza vissuta, diventa importante nel determinare il giudizio sulla persona. Gli uomini non sono che una sorta di “vuoto d’essere”, che si traduce in desiderio o nostalgia e questo vuoto va riempito in relazione alla realtà circostante ed alla rielaborazione che di essa ne facciamo.
Le capacità di auto-osservazione così dell’artista come anche del paziente psichiatrico, che nella nostra società tendono ad essere delegittimate, ritrovano in tal modo i loro spazi e ottengono il loro giusto riconoscimento, perché la diversità non può e non deve essere sinonimo di malattia. La psicologia, dunque, come scienza eidetica: l’idea del fenomeno sarà la sua essenza percettiva in opposizione a quella ontologica di Aristotele.
La sintesi crociana di forma e contenuto, la conoscenza estetica, che rappresenta il “momento aurorale” della vita spirituale, diventa in Savinio la rappresentazione, la forma di una sensibilità sconnessa e piena di incongruenze. È questa l’opera d’arte brutta, quella in cui il “tumulto sentimentale” non si rasserena nell’immagine? Arte e conoscenza scientifica non saranno più separate? Ci aiuterà la scienza a indagare e a capire la strana combinazione neuronale che spinge l’artista a creare, a dare quella forma all’oggetto dei suoi pensieri? Tutto sarà forse spiegabile ma non sarà per questo meno affascinante. Tutto sarà più comprensibile ma non sarà per questo meno fantastico. Tutto continuerà, al limite, a essere sconnesso, ma ci regalerà nondimeno nuove istanze e scoperte e intuizioni.
Gli strani quadri di Savinio (corpi umani con teste di animali, uomini trasformati in oggetto, come in Poltrobabbo o in Monumento marino ai miei genitori, ma anche donne con teste di uccello) sono espressione di ciò che in psichiatria si chiama paramorfismo. Tale definizione sembra spostarci in un ambito diverso da quello che fino a poco tempo fa consideravamo il misterioso, magico mondo dell’arte. Difficile stabilire se quei disegni siano frutto del genio artistico, di una sana volontà di voler dare quella forma a ciò che si vuole rappresentare. E ci domandiamo quale sinapsi neuronale, quale alterazione dei neurotrasmettitori determinerebbe tutto questo. E così, noi ci chiediamo, i sentimenti non esistono più? Quali sono gli stati d’animo cui vogliamo dar forma?
Davvero il nostro rapporto con il mondo dipende da null’altro che da un delicatissimo equilibrio meccanico e chimico? Il testo critico di Landini lascia aperti questi e molti altri interrogativi. Ogni affermazione resta come sospesa nell’ambiguità. D’altronde, tutti gli studi e le osservazioni di carattere scientifico sull’arte, da sempre, non pretendono di asserire il vero, semmai hanno lo scopo di sottolinearne l’irruzione nel mondo dell’esperienza quotidiana e di chiosarla. In questo precisamente si realizza l’epoché husserliana, la sospensione del giudizio tesa a liberare quest’ultimo dai pregiudizi. Un atteggiamento che Landini da sempre ritiene necessario, e quasi indifferibile, per una nuova interpretazione del mondo.
Carlo Alessandro Landini nasce a Milano il 20 Aprile1954. Già ricercatore Fullbright presso la University of California, San Diego, e Visiting Professor nelle università americane (Columbia University 2003, University of Maryland 2006), poi docente di Composizione al Conservatorio di Piacenza, si dedica da sempre all’analisi del rapporto tra arte, la musica soprattutto, e nevrosi. Ha una vasta produzione di critica musicale ed opere letterarie. Tra i suoi lavori: “Stanze- poesie-ottave” (Fara Editore 2018, Premio Byron 2025). “L’orecchio di Proteo. Saggio di neuroestetica musicale. Ambiguità, trappole cognitive, strategie decisionali” (LIM 2021); “Orizzontale Verticale. Lettera ad un medico” (Puntoacapo editore 2021); “Musica di Dio, Musica del diavolo” (Zecchini Editore 2024); “Dopo il diluvio. Un caso clinico” (Book Editore 2024); “La vendeuse” (Phasar edizioni 2025). Carlo Alessandro Landini è però prima di tutto musicista. Il solo italiano finora ad aver conseguito il Primo Premio – col suo Le retour d’Astrée per violino e pianoforte – al Concorso «W. Lutosławski» di Varsavia (2007). Del 2015 la Sonata n. 5 per pianoforte, la Sonata n. 7 del 2019 e la Sonata n.8 del 2021.
Maurizia Maiano*

*Maurizia Maiano: Sono nata nella seconda metà del secolo scorso e appartengo al Sud di questa bellissima Italia, ad una cittadina sul Golfo di Squillace, Catanzaro Lido. Ho frequentato una scuola cattolica e poi il Liceo Classico Galluppi che ha ospitato Luigi Settembrini, che aveva vinto la cattedra di eloquenza, fu poeta e scrittore, liberale e patriota. Ho studiato alla Sapienza di Roma Lingua e letteratura tedesca. Ho soggiornato per due anni in Austria dove abitavo tra Krems sul Danubio e Vienna, grazie a una borsa di studio del Ministero degli Esteri per lo svolgimento della mia tesi di laurea su Hermann Bahr e la fin de siècle a Vienna. Dopo la laurea ritorno in Calabria ed inizio ad insegnare nei licei linguistici, prima quello privato a Vibo Valentia e poi quelli statali. La Scuola è stato il mio luogo ideale, ho realizzato progetti Socrates, Comenius e partecipato ad Erasmus. Ho seguito nel 2023 il corso di Geopolitica della scuola di Limes diretta da Lucio Caracciolo. Leggo e, se mi sento ispirata e il libro mi parla, cerco di raccogliere i miei pensieri e raccontarli.


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