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SECONDA PARTE
Nei lunghi anni dell’esilio Victor Hugo continuò a scrivere “I Miserabili”, la sua opera più grande, che sarebbe stata pubblicata nel 1862.
Egli stesso raccontò come nacque l’idea: una sera d’inverno, di quelle in cui Parigi si copre di neve, egli vide una prostituta (erano riconoscibili perché dovevano indossare una striscia di tessuto colorato appuntato sul vestito) che venne aggredita da un bellimbusto in abito da sera: egli le mise della neve gelata nella schiena, delle guardie presenti ridacchiarono, lei insultò il borghese e venne arrestata. Hugo li seguì fino al commissariato. Spiegò al commissario come erano andate le cose per farla scagionare. Il commissario, sarcastico verso quel bizzarro e distinto signore, gli chiese il suo nome. Quando sentì che era Victor Hugo impallidì. Immediatamente fece scarcerare la donna. Victor Hugo riportò l’episodio nel romanzo attribuendo a ciò la causa della tubercolosi di Fanette, ragazza povera costretta in una Parigi indifferente se non crudele ad esercitare la prostituzione per non morire di fame.

“I Miserabili” è uno dei capolavori della letteratura mondiale come i testi di Omero, Saffo, Shakespeare, Cervantes. Uno splendido affresco di Parigi e del suo popolo incentrato su un personaggio qualsiasi, Jean Valjean, un ex galeotto redento perseguitato da un odioso poliziotto, Javert. In mezzo scorre la storia di Francia: Waterloo, la Restaurazione, le barricate e personaggi indimenticabili come Fanette, sua figlia Cosette, Marius, il gran Borghese, il piccolo Gavroche.
La traversata delle fogne di Parigi lascia senza parole i lettori.
E l’epilogo di Javert (che vede il suo modo di guardare la vita ribaltato) è semplicemente geniale.
La produzione letteraria di Hugo è vastissima. Se si volesse parlare a fondo della sua opera si dovrebbe scrivere un saggio di due o trecento pagine. Egli scrisse nove romanzi, varie raccolte di intense e delicate poesie, opere teatrali, scritti politici, memorie, diari di viaggio, articoli, testi storici e una grande quantità di lettere.
Il momento in cui si entra nel suo mondo si fa fatica a staccarsi dal libro, come dicevamo precedentemente, i suoi libri non sono belli solo per le trame ma per come sono scritti: il suo stile è travolgente, la sua forza è come un oceano, gli si perdona qualche (rara) riga di troppo, si trovano sagge intuizioni che butta là con nonchalance e non manca una bonaria ironia.
Uno dei suoi elementi di forza è la sincerità. Victor Hugo denuncia le ingiustizie ma non assume la posa del moralista, dice schiettamente come stanno le cose e i lettori sanno che è sincero. Così come un bravo operaio che compie coscienziosamente il suo lavoro.
Quando parla dell’amore risveglia, nei più sensibili, delicate emozioni provate nella giovinezza; quando parla della morte, senza indugiare in descrizioni, ci sgomenta.
Non si deve poi dimenticare che Victor Hugo nasce come poeta prima che come romanziere e ciò si avverte. Anche la sua vasta esperienza teatrale ebbe un riflesso sui suoi romanzi.
Il tema principale che attraversa tutta l’opera di Victor Hugo è quella di un personaggio reietto per la società che invece è migliore degli altri umanamente: così sono Jean Valjean, Marius, Quasimodo, Gillet e Gwynplaine, il bello deturpato da una banda di delinquenti in “L’uomo che ride”, il ricco diventato povero.
Persino il pessimo Lanternac alla fine di “Novantatré” compie d’istinto una doverosa ed umana azione.
Nei temi e nella passione sociale Victor Hugo assomiglia al suo grande contemporaneo britannico, Charles Dickens, anche se poi naturalmente il loro mondo e i loro stili letterari sono completamente differenti (nota 2).
Entrambi si batterono per i diritti d’autore che allora non esistevano. I romanzi erano quasi sempre pubblicati sui giornali, capitolo dopo capitolo, se avevano successo venivano poi editi in un solo volume.
(Spesso gli autori si impegnavano prima di scrivere il libro: Émile Zola firmò un contratto in cui garantiva di scrivere venti romanzi in vent’anni e ci riuscì, Silvio Pellico non guadagnò pressoché nulla da “Le mie prigioni” che fu poi un best seller, Dostoevskij fu obbligato, per fare prima, a dettare a una segretaria “Il giocatore” che si era impegnato a scrivere in poche settimane, cosa che ebbe però un esito imprevisto: in seguito lei divenne sua moglie).
Victor Hugo guadagnò molto vendendo “I Miserabili” a un editore ma l’editore divenne ancora più ricco.
“L’ultimo giorno di un condannato” pubblicato anonimo nel 1829, scritto da Victor Hugo, è un bellissimo libro contro la pena di morte (che sarà abolita in Francia solamente nel… 1981! ).
Sembra esserci qualche similitudine con “La morte di Ivan Il’ič” di Lev Tolstoj, splendido racconto che sarà pubblicato nel 1886: due uomini si trovano davanti alla morte. Nel racconto di Tolstoj un ricco giudice pietroburghese a causa di un banale incidente domestico, nel romanzo di Hugo un condannato a morte di cui non sappiamo né il nome, né il reato che ha commesso.
Il collegamento è che entrambi non hanno via di scampo. Come reagiranno? Gli illustri medici non possono salvare il giudice russo e i giudici che hanno condannato il francese hanno preso una decisione ineluttabile conforme alla legge scritta da altri uomini (“Si sono mai per caso soffermati sull’idea straziante che nell’uomo che sopprimono c’è un’intelligenza, un’intelligenza che contava sulla vita, un’anima che non è affatto predisposta a morire? No.”).
Entrambi si trovano faccia a faccia con la loro interiorità: “Il mio corpo è rinchiuso in una cella, la mia mente imprigionata in un’idea” – scrive Hugo.
Lo stile del libro di Hugo è conciso, sobrio, essenziale e proprio per questo ottiene il massimo risultato.
Il lettore è solo insieme all’anonimo condannato difronte all’iniquità e all’assurdità del mondo che qui, nel testo del cristiano Hugo, anticipa quasi sfumature filosofiche alla Albert Camus.
Altrettanto forte ma meno conosciuto in Italia è “Claude Gueux”, romanzo breve del 1834, ispirato ad un storia vera. Gueux in francese vuol dire mendicante. Lo stile è simile al romanzo precedente. Narra di un serio operaio che convive con la sua ragazza e hanno un bambino. A causa della povertà e della fame, Claude compie un furto. Arrestato viene condannato. Il direttore del carcere è uno stolto che abusa del suo potere.
Claude fa amicizia con un ragazzo, Albin, che gli cede sempre metà del suo misero pasto. Senza alcun motivo il direttore li separa. Alle reiterate richieste di Claude sul perché egli rifiuta di dare una spiegazione e infine Claude lo uccide e poi tenta un goffo suicidio (sembra un fratello del Raskòl’nikov di “Delitto e castigo” di Dostoevskij che sarà pubblicato trent’anni dopo):
“Novembre, dicembre, gennaio e febbraio trascorsero tra cure e preparativi; medici e giudici si affaccendavano intorno a Claude; gli uni curavano le sue ferite, gli altri preparavano il suo patibolo” scrive Hugo.
Claude viene condannato alla ghigliottina. Lo scrittore non intende certo giustificare il crimine ma, nella seconda parte, condanna i politici, che lasciano “il popolo nella fame e nel freddo”, i giudici e il sistema carcerario (“riformate il vostro sistema penale, rifate i vostri codici, rifate le vostre prigioni, rifate i vostri giudici”), la pena di morte, la mancanza dell’educazione scolastica e chiede di diffondere il Vangelo. Il libro è un atto di accusa verso la società del tempo.
Il popolo è il grande protagonista dei suoi libri e il popolo ricambiò l’affetto di Victor Hugo. Molti di loro quasi analfabeti leggevano esclusivamente i suoi libri e ai suoi funerali parteciparono, si dice, due milioni di persone, non solo tutta Parigi ma tantissimi venuti da fuori.

I personaggi femminili di Victor Hugo sembrano idealizzati, Cosette, Esmeralda, Déruchette, sono delicate, allegre, fiduciose, semplici, innocenti. Potrebbero però anche rappresentare un genere di ragazze ottocentesche reali.
Il tenero amore di Cosette e Marius occupa una parte importante de “I Miserabili”. Un caso a parte è Éponine, l’introversa ragazza del popolo, che muore sulle barricate travestita da ragazzo e segretamente innamorata di Marius.
Dea di “L’uomo che ride” più che una ragazza è una creatura celestiale, un elfo, bellissima ed eterea cieca che si esibisce nel Green – Box, carrozzone di saltimbanchi ambulanti.
Lady Josiana nello stesso romanzo rappresenta invece la tentazione e la lussuria – è l’equivalente femminile di Claude Frollo – ma anche la stravaganza e la noia.
I cattivi di Hugo sono diabolici ma mai scontati: il machiavellico Clubet che si maschera da probo così come il servile Barkilphedro che in realtà detesta Lady Josiana, l’invadente poliziotto Javert, lo stalker ante litteram Claude Frollo e l’esilarante coppia dei Thénardier (varrebbe la pena di leggere “I Miserabili” solo per Thénardier!) sono senza riscatto.
“I lavoratori del mare” (che si potrebbe anche tradurre “La fatica del mare”) scritto in esilio nel 1866, a 64 anni, è ambientato invece nell’isola di Guernsey ad inizio 1800. Nel XX secolo è stata inserita come apertura del romanzo una suggestiva descrizione dell’isola che però rallenta la storia vera e propria (secondo me, si sarebbe dovuta metterla alla fine). Il protagonista, Gillet, è un ragazzo solitario, di buoni sentimenti ma guardato con diffidenza dai normanni che abitano l’sola di sua maestà la regina Vittoria. Egli compie un’impresa epica che costituisce il nucleo del romanzo. La compie del tutto disinteressatamente solo per amore di una ragazza soave, Déruchette.
È un romanzo bello, potente, pieno di atmosfera sul tema del sacrificio molto interessante anche a livello antropologico.
Nel 1869 Hugo pubblicò “L’uomo che ride” in cui riprendeva certe atmosfere di “Notre – Dame di Parigi”. Il libro si ambienta in Inghilterra nel 1690 e poi nel 1705.
È un libro bello e particolare (nella parte in cui Gwynplaine, saltimbanco, dice la verità ai Lord e in quella in cui medita il suicidio, diventa un capolavoro), alterna parti drammatiche ad altre ironiche o commoventi. Hugo si destreggia magistralmente e riesce a non farle risultare stridenti fra di loro, cosa non semplice.
Narrare la trama sarebbe impossibile.
Nella prima parte, bellissima, spira una palpabile angoscia: il bambino abbandonato che vaga sulla scogliera notturna sotto la neve, incontrando prima un impiccato, poi una donna deceduta e una neonata viva che egli soccorre e prende con sé, il suo vano bussare alle porte (tutti temono la peste scoppiata a Londra) è sconvolgente. Sarà Ursus, filosofo vagabondo, alchimista, che vende intrugli per guarire malattie, suonatore di flauto e viola da gamba, ex segretario di un Lord, che ha addomesticato un lupo bianco ad accoglierli, brontolando per celare la commozione.
Una bottiglia contenente un segreto viene gettata da una nave in tempesta.
Hugo scrive: “Le avventure dell’abisso non hanno limiti, in nessun senso; in esse tutto è possibile, anche salvarsi. L’uscita è invisibile, ma si può trovare”.
“Novantatré” è l’ultimo dei nove romanzi dello scrittore pubblicato nel 1874, quando aveva 72 anni. È uno splendido romanzo ambientato nell’anno 1793, anno fondamentale nella Rivoluzione Francese e parla della guerra civile in Vandea e del Terrore. Si impara di più sulla rivoluzione leggendo questo romanzo che cento saggi storici. Hugo mette in scena anche il sanguigno Danton, l’esaltato Marat e il raffinato Robespierre tormentato da tic.
Sarebbe impossibile ripercorrere la trama che è piena di eventi anche imprevedibili e con tre personaggi principali completamente opposti: il Marchese di Lanternac, che guida i monarchici, Gauvain, giovane comandante monarchico e Cimourdain, ex prete diventato rivoluzionario giacobino.
Nel 1853 la famiglia Hugo ospitò a Jersey varie persone tra cui la scrittrice e medium, Delphine de Girardin. Inizialmente lo scrittore fu scettico ma poi decise di provare le sedute spiritiche, che lei gli aveva proposto, che sarebbero avvenute con un tavolo con vari partecipanti.
I contenuti delle comunicazioni (che egli trascrisse fedelmente su un quaderno) lo convinsero della loro realtà.
Nel 1857, Allan Kardec, che era un pedagogo e insegnante, seguace del famoso svizzero Pestalozzi, avrebbe pubblicato il volume “Il libro degli spiriti” che fu la prima opera della parapsicologia e che, tra parentesi, è un bellissimo libro.
Victor Hugo ne divenne il più noto sostenitore.
Eco di questa esperienza si ritrova in numerose sue poesie. Egli scrisse: “Tutto parla. E ora, uomo, sai perché
tutto parla? Ascolta attentamente. È perché i venti, le onde, le fiamme,
gli alberi, le canne, le rocce, tutto vive!
Tutto è pieno di anime”.
Victor Hugo morì a 83 anni per problemi polmonari, il 22 maggio 1885. Nel suo testamento egli lasciò molti soldi ai poveri di Parigi e chiese di avere un funerale come loro – cosa che non venne rispettata. Egli riposa al Pantheon a Parigi, dove la Francia seppellisce coloro che le hanno dato lustro (ad oggi 75 uomini e solo 5 donne – cosa su cui lui non sarebbe stato d’accordo).
Nella vita di madame Hugo c’è un episodio, infine, che deve essere ricordato: un giorno, durante l’esilio,
ella prese la strada verso la villa dove abitava la sua grande e perpetua rivale, Juliette, che non aveva mai incontrato.
Nessuno osò fermarla.
Le due donne conversarono per ore, fecero amicizia e il giorno stesso Juliette si trasferì nella casa di lei e della famiglia Hugo.
Ella aveva compreso quanto Juliette era stata ed era importante nella vita di suo marito.
Bibliografia :
Tutte le opere di Victor Hugo
Biografie in francese e inglese:
Sandrine Fillipetti Victor Hugo Éd.Gallimard (2011)
Alain Decaux Victor Hugo Éd. Perrin (2014)
Max Gallo Victor Hugo Éd. XO (2002)
Noel Gerson Victor Hugo: A Tumultuous Life – Lume Books Edition (2015)
Massimo D’Azeglio Ricordi della mia vita (Zanichelli)
Nota 2) “La vita avventurosa di Charles Dickens” di Lavinia Capogna, che si può trovare online.
Lavinia Capogna*

*Lavinia Capogna è una scrittrice, poeta e regista. È figlia del regista Sergio Capogna. Ha pubblicato finora sette libri: “Un navigante senza bussola e senza stelle” (poesie); “Pensieri cristallini” (poesie); “La nostalgia delle 6 del mattino” (poesie); “In questi giorni UFO volano sul New Jersey” (poesie), “Storie fatte di niente”, (racconti), che è stato tradotto e pubblicato anche in Francia con il titolo “Histoires pour rien” ; il romanzo “Il giovane senza nome” e il saggio “Pagine sparse – Studi letterari”.
Ha scritto circa 150 articoli su temi letterari e cinematografici e fatto traduzioni dal francese, inglese e tedesco. Ha studiato sceneggiatura con Ugo Pirro e scritto tre sceneggiature cinematografiche e realizzato come regista il film “La lampada di Wood” che ha partecipato al premio David di Donatello, il mediometraggio “Ciao, Francesca” e alcuni documentari.
Collabora con le riviste letterarie online Insula Europea, Stultifera Navis e altri website.
Da circa vent’anni ha una malattia che le ha procurato invalidità.

