Antonello Di Pinto: “Caravaggio. Il portale per arrivare a Dio” (Curcio, 2024), di Elena Realino

Ma cos’è la felicità? Sono mai stato felice io? Sarò mai felice, un giorno? Se è quella sensazione boriosa che provo quando dipingo, allora lo sono, ma solo in parte, perché poi, quando termino un quadro cado di nuovo nelle fauci della tristezza. . .

Per gli appassionati dell’arte e della pittura questo di Antonello Di Pinto è un romanzo imperdibile: Caravaggio, Il portale per arrivare a Dio oltre a farci ripercorrere la vita del pittore ci fa inoltrare nei meandri della sua psiche, e questo credo che sia per un cultore di questo artista tutto ciò che si può desiderare di incontrare in un libro a lui dedicato; altresì vale per coloro che si accostano a lui per le prime volte, così che Caravaggio può rivelarsi loro in tutta la sua essenza.

La narrazione della vita di Caravaggio si svolge attraverso dei flashback e dei rimandi alle esperienze da lui vissute, rievocate mentre si trova nel letto di un sanatorio al termine della sua vita: tra crisi di tormento e delirio Caravaggio passa in rassegna vari momenti che vanno dall’infanzia al periodo della produzione artistica svolta a Roma (periodo centrale e dominante nella sua vita) per continuare poi con gli ultimi anni del periodo napoletano e finire col soggiorno a Malta e Siracusa. È proprio durante questa attività mentale sul letto di morte che conosciamo il suo lato umano, le cogitazioni di quei momenti sono rivelatrici di un io segreto e profondo.

Il lettore riesce ad avere l’immagine del Caravaggio uomo anche attraverso il Caravaggio pittore, e infatti nel libro la coscienza dell’artista viene esaminata proprio attraverso l’analisi delle sue opere. Di Pinto prende in considerazione il contesto in cui Caravaggio lavora a quella data opera, il luogo, lo spazio, i modelli umani utilizzati e pure i sentimenti da lui provati: è il quadro stesso a rivelare quale moto d’animo muoveva il dito del pittore in quel momento. Solo alcuni esempi: il ritratto de Il ragazzo con canestra di frutta rivela il profondo legame che univa Caravaggio a Mario Minniti, e nello sguardo di Santa Caterina d’Alessandria si riflette il nobile amore del pittore verso la cortigiana Fillide Melandroni in posa per lui.

La rivelazione dei motivi dell’animo del pittore è mediata proprio dai soggetti rappresentati, dai modelli in presa diretta, scelti da Caravaggio fra gli umili e i miserabili: scende in strada, li chiama, li fa entrare nel suo stanzone lercio ma a lui funzionale e poi fornisce un piccolo compenso che a loro serve per sopravvivere a una vita di stenti, mentre al pittore questo contributo è servito a raggiungere quello che lui vuole sia lo scopo della sua arte, ovvero realizzare la vera natura delle cose. “Egli aveva superato la lezione di Paterzano e dei manieristi lombardo-veneti, non era più necessario arrancare nella conoscenza alla ricerca del bello ideale: il bello era lì davanti e non c’era nient’altro da fare che scattare un fermo immagine: click! Il resto lo aveva già fatto Dio.”

Quel Dio tanto anelato da Caravaggio che lui riesce finalmente a riconoscere nei visi di quegli umili: sono loro a costituire l’accesso per arrivare a Dio. Il libro esplora questa dimensione spirituale in rapporto ai dipinti e alla realtà resa da questi dipinti, la cui essenzialità e sobrietà è interpretata proprio come ricerca di Dio: l’entità divina non si nasconde nei fronzoli di un’opera ampollosa, bensì si palesa nelle cose o persone ordinarie, portatrici di un’energia profonda e pura. Forse è anche per questo che più volte nel libro ci sono dei malinconici riferimenti alla condanna a morte per eresia di Giordano Bruno, la cui visione panteistica supponeva che Dio è vivo e presente in ogni cosa, il Creatore vicino alla sua Creazione. Questo e altri riferimenti relativi al periodo dell’Inquisizione e della Controriforma denotano il pensiero e i sentimenti di Caravaggio al riguardo. È il periodo del fanatismo religioso promosso in Italia al fine di rilanciare la dottrina cattolica e contrastare il pensiero luterano. Erano numerose le commissioni per diverse chiese che necessitavano di immagini per promuovere la Controriforma. La Morte della Vergine di Caravaggio fu rifiutata dalla committenza religiosa: come modello della Santa Vergine Caravaggio scelse una prostituta annegata nel Tevere, dunque utilizzò come modello un cadavere vero e proprio dovendo rappresentare la Vergine defunta. Questo spiega forse il suo ventre gonfio, ripieno ancora dell’acqua del Tevere. Insomma, tutto decisamente più profano che mistico.

I pregiudizi dell’Italia della Controriforma erano sicuramente in antitesi con la vita di strada di Caravaggio divisa tra osterie, risse e campi di pallacorda. Eppure anche in questo caso c’è una sorta di riabilitazione della figura di ‘pittore maledetto’ all’interno del romanzo: pur rappresentato nella sua irascibilità e sfrontatezza, Caravaggio è convettore di pulsazioni profonde e genuine, e nella sfida tra amore e odio che avviene in lui, a farla da padrone è un’eterna sofferenza.                                        

Rimane comunque la raffigurazione di un Caravaggio indiscreto e poco moderato, a tratti insolente, anche quando si tratta di avere a che fare con personaggi illustri dell’epoca, e questo emerge con molta evidenza dal suo linguaggio, dal modo in cui si esprime, gretto e scurrile.

Il libro si conclude con l’interessante esperienza da parte di Antonello Di Pinto del ritrovamento del dipinto Ecce homo in una Casa d’aste, che lui intercetta e riconosce come opera caravaggesca, o come un Caravaggio, appartenenza confermata poi da Vittorio Sgarbi, che peraltro cura l’introduzione del volume. Questo spazio dedicato s’intitola: La vera storia del Caravaggio ritrovato. 

Infine, è molto affascinante leggere della smania che aveva Caravaggio per le fonti di luce, così essenziali per la resa dei suoi dipinti, dove alcuni dei personaggi emergono come dal buio, e tra le ombre riflettono una sorgente luminosa. “Lavorare sotto un lucernario lo isolava da tutto il resto, era come se riuscisse in qualche modo a fermare la macina del tempo: con lo spazio circostante scuro e incerto, il dramma diventava più evidente e i soggetti assumevano pose più intense, teatrali, solenni. Tutto rimaneva bloccato in quel fermo immagine, in quel fotogramma senza tempo, indelebile, ignaro che sarebbe stato ricordato nei secoli dei secoli.”

Elena Realino*

*Elena Realino, è nata a Castrovillari, in provincia di Cosenza. Studia le pagine della letteratura con passione e spirito critico. Impegnata nel sociale, laureata in Lingue e Culture Moderne all’Unical. Crede che lo studio delle letterature straniere possa essere la chiave di accesso alla società poliedrica in cui viviamo e possa accorciare le distanze rispetto a realtà e mondi altrimenti ignoti o poco conosciuti.

                                                                                                                              

 

Un pensiero riguardo “Antonello Di Pinto: “Caravaggio. Il portale per arrivare a Dio” (Curcio, 2024), di Elena Realino

  1. Crede che lo studio delle letterature straniere possa essere la chiave di accesso alla società poliedrica in cui viviamo e possa accorciare le distanze rispetto a realtà e mondi altrimenti ignoti o poco conosciuti. Sono d’accordo

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