‘La fontana della vergine’ (1960) di Ingmar Bergman è un’opera cinematografica ispirata alla ballata medievale “Töres döttrar i Wänge” del XIII-XIV secolo, che riprende una leggenda verosimilmente orale connessa alla costruzione della chiesa nel villaggio di Kärna; in origine la ballata narra la storia di una vergine che fu uccisa e di un monaco che vide la violenza e l’assassinio, tuttavia nel film sarà la serva Ingeri, uno dei personaggi principali della narrazione, a esserne la testimone nascosta. Si tratta dunque di un racconto sacro, realizzato da un regista che può definirsi prima di tutto un grande narratore, che si è sempre interrogato sui temi universali dell’esistenza attraverso il linguaggio cinematografico, e che qui riprende uno dei suoi argomenti più cari, cioè il tormento tra la Fede e dubbio, il senso del male e quello del ‘silenzio di Dio’. Si tratta di una narrazione che segue la traccia del ben più noto ‘Il settimo sigillo’ (1958), e che riprende l’ambientazione storica della Svezia del Medioevo in una dimensione anche qui fortemente allegorica e ancora più connessa al sacro.

Nella sceneggiatura de ‘La fontana della vergine’, come sempre avviene per le sceneggiature di Ingmar Bergman, scritte dal regista stesso, c’è la profondità di un vero e proprio testo letterario, di cui voglio riportare un brano che ho particolarmente amato:
Vedi come il fumo trema e si abbarbica sotto il tetto
come avesse paura dell’ignoto.
Eppure se si librasse nell’aria
troverebbe uno spazio infinito dove volteggiare.
Ma forse non lo sa, e così se ne sta qui nascosto
tremolante e inquieto.
Con gli uomini capita lo stesso. Essi vagano inquieti
come tante foglie al vento.
La storia si svolge in un’epoca cui alla religione cristiana secolarizzata si sovrappongono ancora dei culti pagani; si tratta di un residuo di paganesimo, di credenze rimaste vive e tramandate nei secoli che continuano a sopravvivere nell’ombra e che sono espressione di una realtà rurale. Questo aspetto viene rappresentato soprattutto all’inizio della storia, attraverso il personaggio della giovane serva Ingeri, che potrebbe essere definita una sorta di strega per la sua invocazione a Odino e l’esecuzione di un rito pagano o di maleficio ai danni della giovane, purissima e incantata padroncina Karin, figlia del ricco possidente Töre e di sua moglie Märeta, che è adorata dai genitori. Ingeri ha subito una violenza in passato, è rimasta incinta ed è trattata con disprezzo da tutti, per questo motivo prova molto rancore e invidia per Karin, fanciulla ricca, amata e vezzeggiata, che possiede tutto ciò da cui lei è esclusa. I personaggi bergmaniani sono spesso esposti al senso di colpa, alla rabbia, alle recriminazioni sull’ingiustizia della vita ed è emblematico in tal senso quello di Ingeri, assai interessante e sfaccettato, in quando si tratta di una figura femminile sofferente ma non malvagia, che quando sarà testimone della violenza e del male soffrirà e si sentirà in colpa per i sentimenti che ha provato nei confronti dell’innocente Karin. Saranno i genitori di Karin, ad esortare la medesima a eseguire un rito religioso che possono compiere solo le vergini, cioè attraversare il bosco a cavallo, accompagnata dalla serva, per portare delle candele alla Madonna in un giorno di festa. Nel momento cruciale dell’attraversamento del bosco, anch’esso luogo sacro e mistico, che permette una profonda connessione con la natura, ci sarà l’incorrere della tragedia, il raggelamento del tempo: Karin sarà violentata, uccisa e derubata da dei pastori, i quali per uno strano scherzo del destino chiederanno poi ospitalità e lavoro ai genitori della fanciulla.

Anche per quanto riguarda le due figure fondamentali dei genitori di Karin, Bergman indaga sul senso dell’inquietudine umana, sulla difficoltà di rapportarsi all’inspiegabile, sul senso impenetrabile della sofferenza umana e sul potersi dare una risposta attraverso la Fede. Da una parte c’è Märeta, la madre di Karin, profondamente fedele a Dio, che affronta il grande dolore dell’uccisione della sua unica figlia e quindi un’assoluta messa alla prova del suo credo, dall’altra c’è Töre, il padre, con una fede inizialmente più titubante, il quale metterà in atto una spietata vendetta sugli assassini della figlia in cui verrà coinvolto anche un innocente. Töre tuttavia alla fine si emanciperà completamente: una volta ritrovato il corpo della fanciulla, nel momento cruciale del dolore, si rivolgerà a Dio con le parole: <<Io non ti capisco, ma ti chiedo perdono lo stesso per quello che ho fatto>>, e lì avverrà la sua totale conversione, con la promessa di costruire una chiesa in quel luogo in segno di espiazione. Infine ci sarà la risposta di Dio attraverso un miracolo, infatti nella terra verdissima e limpida si realizzerà un’estasi luminosa nel momento in cui, sollevando da terra il corpo di Karin, proprio in quel punto inizierà a scorrere dell’acqua sacra.
Il tema religioso, quasi sempre vivo e centrale nella filmografia di Bergman, arriva dunque qui a risolversi in una totale coincidenza finale tra il piano umano e quello divino; questo rende La fontana della vergine, considerato dalla critica per moltissimo tempo come un’opera minore, in realtà un film di notevolissima importanza nell’ambito della riflessione esistenziale bergmaniana. È possibile per gli esseri umani avvicinarsi al divino attraverso un pieno atto d’amore che superi il contingente? Bergman si interroga sulla possibilità del superamento del dolore umano attraverso una Fede assoluta e un Perdono divino; in tal senso la narrazione, che nel suo svolgersi può considerarsi una vera e propria liturgia, volge alla fine verso la dimensione luminosa della Speranza.
Cristiana Buccarelli

Cristiana Buccarelli è una scrittrice di Vibo Valentia e vive a Napoli. È dottore di ricerca in Storia del diritto romano. Ha vinto nel 2012 la XXXVIII edizione del Premio internazionale di Poesia e letteratura ‘Nuove lettere’ presso l’Istituto italiano di cultura di Napoli. Ha pubblicato la raccolta di racconti Gli spazi invisibili (La Quercia editore) nel 2015, il romanzo Il punto Zenit (La Quercia editore) nel 2017 ed Eco del Mediterraneo (IOD Edizioni) nel 2019. Con Eco del Mediterraneo (IOD Edizioni) ha vinto per la narrativa edita la V edizione del Premio Melissa Cultura 2020 e la IV edizione Premio Internazionale Castrovillari Città Cultura 2020. Nel 2021 ha pubblicato il suo primo romanzo storico I falò nel bosco (IOD Edizioni), presentato per Vibo Valentia Capitale italiana del libro all’interno del Festival di letteratura italiana Leggere&Scrivere 2021. Con I falò nel bosco (IOD Edizioni) ha vinto per la narrativa edita la XVI edizione del Concorso letterario internazionale Città di Cosenza 2024. Nel 2023 ha pubblicato il romanzo Un tempo di mezzo secolo (IOD Edizioni). Con Un tempo di mezzo secolo (IOD Edizioni) è stata finalista per la narrativa all’XI edizione del Premio L’IGUANA- Anna Maria Ortese 2024. Nel 2025 ha pubblicato Taccuini di viaggio (Cervino Edizioni 2025). Conduce annualmente laboratori e stage di scrittura narrativa.

