Mathias Enard: ‘’Disertare’’ (Edizioni e/o, 2025) di Claudio Musso
“Disertare” e “dissertare” sono le due parole che pervadono la narrazione dell’ultimo romanzo di Mathias Enard, una delle voci più originali della letteratura francese contemporanea, pubblicato da poche settimane dalle Edizioni e/o nella traduzione di Yasmina Melaouah.

La diserzione, prescindendo dal sinonimo di tradimento in uso nella semantica militaristica, assume spesso il significato, certo più ampio, di un passo indietro rispetto ad una situazione o una appartenenza precedente, di un sottrarsi a qualcosa che ora ci appare estraneo e straniante. Ma, a ben guardare, è anche un passo in avanti verso una nuova e diversa percezione di sé stessi, è un’aggiunta alla visione delle cose, un nuovo modo di osservare il nostro mutato posto nel mondo. E, una volta che abbiamo disertato, possiamo dissertare su ciò che ci siamo lasciati alle spalle, trovare nuove parole per il lessico con cui ci diremo domani oppure presentarci davanti a quello stesso domani afoni?
Enard in queste pagine innesta due storie parallele raccontate con due stili contrapposti. Priva di riferimenti temporali e spaziali, senza nomi di protagonisti e luoghi, amante dell’ombra e dei non detti, vergata da parole nette, quasi brusche, con una punteggiatura volutamente libera di posarsi su pagina a suo piacimento, la prima; puntualmente datata, riferibile a eventi della seconda metà del Novecento e fino ai giorni nostri, rigogliosa e intima nel raccontare gli eventi della Storia e le storie che restituiscono il quotidiano, con una narrazione documentale che si nutre di dialoghi, lettere, aneddoti, la seconda.
Da un lato c’è un uomo in fuga da quello che è stato, un soldato, ora un disertore, che, incalzato dall’angoscia e dal fiato del sangue delle vittime che si è lasciato alle spalle, percorre zone boschive non lontane dal mare come se fosse l’ultimo uomo rimasto sulla terra. La sua è una lunga via dell’eremitaggio per sfuggire alla sofferenza di chi sente ora la divisa stretta, quasi un sudario, per farla finita con quella lunga quaresima che è la guerra che l’ha trasfigurato. I luoghi che attraversa, dominati dal silenzio, sono quelli sommersi dell’infanzia, i ricordi si rincorrono, gli occhi ritrovano paesaggi familiari, ma deve nascondersi perché in paese sanno chi è, come lo sa il branco di cui faceva parte.
Egli respira a fondo il profumo di quelle terre e si concede un momento di requie: a poco a poco si libera del peso della memoria, si riappropria dell’uomo che ancora potrebbe essere. Nell’osservare poi che i frutti della natura sono ancora rigogliosi nonostante la guerra abbia creato solo ceneri, buio e assenza di presente, si rafforza sempre più in lui l’ipotesi di futuro e la possibilità, chissà come e quando, di ricominciare. Nella sua fuga incontra una donna con la testa rasata accompagnata da un asino piuttosto mal ridotto, due superstiti, in fondo, che la violenza degli uomini ha violato nella loro natura. I due non si parlano, si osservano con diffidenza, forse stavano su barricate opposte, sono due solitudini, marchiate nella carne, che si uniscono per raggiungere, entrambe, la frontiera.

Dall’altro lato c’è una figlia che ricostruisce la biografia personale e politica del padre, uno dei più celebri matematici della DDR che rimane fedele all’utopia socialista fino alla fine. Un uomo, ostinato come un assioma, che ha dato del ‘tu’ alla recente storia tedesca. Ha vissuto infatti sei anni di prigionia a Buchenwald sotto il nazismo, periodo nel quale ha composto un’opera tra disperazione storica e speranza nella matematica, è stato membro dell’apparato della DDR, pur non condividendone diversi risvolti, ha visto sfilacciarsi la famiglia con una moglie che sceglie l’Ovest e la partecipazione politica attiva nella socialdemocrazia di Willy Brandt, fino al crollo del Muro di Berlino e alla sparizione del proprio paese dalle cartine geografiche. Poi ci sono state le guerre jugoslave in una vertigine e in un’alternanza nella sua storia personale di guerre fredde e calde. Non ha tuttavia fatto in tempo a vedere l’invasione russa dell’Ucraina, chissà cosa avrebbe detto.
Per lui l’11 settembre 2001 si organizza, ma verrà bruscamente interrotta, una conferenza commemorativa che raccoglie i ricordi e le testimonianze di chi è stato suo compagno di prigionia, suo allievo e collega nella professione matematica. Un incontro che rivela un senso di precarietà, che fa riaffiorare detto e non detto su un uomo che, ad un certo punto della sua vita, diserta dal mondo prima rifugiandosi nell’astrazione della matematica poi, mentre torna la guerra e prende in una morsa l’Est Europa, decide di fuggire. Fallito il sogno socialista in un mondo migliore e constatata la facilità degli uomini a imbracciare le armi rivelando, in modo definitivo, che la pace è sempre uno stato di eccezione, si isola sulla costa catalana lasciando che il mare lo sommerga con le sue onde e i suoi oblii.
Il soldato e il matematico sono, a loro modo, dei disertori che dissertano sul pensarsi altrimenti. Il primo fino all’ultimo non si separa dal proprio fucile in un tempo rapace fino a quando non si convince a diventare, per così dire, un contrabbandiere, a portare oltre il confine una nuova idea di sé stesso e di mondo. E il ragionare sulle nuove possibilità del proprio io è un dialogo che avviene nella sua mente, con un finale aperto. Il secondo vive prima le diserzioni degli altri, della DDR che deforma gli ideali socialisti nel ghigno del regime, della presenza della moglie che, nonostante l’affetto, sceglie l’Ovest, e poi, legato a doppio filo alla sua matematica, stanco di congetture decide si sottrarsi al consesso umano in cui si sente un paria perché le verità assolute non sono di casa in questo mondo.
Se a Buchenwald immergersi nella matematica gli aveva permesso di salvarsi la mente, quando intorno c’erano solo reclusione e una specie di lungo dolore dell’assenza, oggi i numeri sono sempre più quella di una roulette arbitraria dove siamo noi la pallina che gira. E allora il disertore è colui che, travolto dai destini della Storia, dice di no di fronte ad un mondo che si sgretola e lascia che sia l’immaginazione a guarire gli uomini, oltrepassa il Rubicone, consapevole che la frontiera non è altro che una riga tra due forme di dolore.
Claudio Musso

Claudio Musso: Vive e respira Torino e condivide un paio di geni con la dea Partenope. Formazione umanistica, grande appassionato di germanistica, di storia e di identità. Di giorno si occupa di risorse umane e la sera, o quando leggere e leggersi chiama, di quelle librose. Onnivoro per natura, ma intollerante al glutine e alle mode del momento, raminga con umorismo tra un lavoro che ama e altre passioni quali il teatro, l’opera lirica, e ovviamente la lettura, collaborando anche con riviste letterarie. Papà di Nadir, il suo gatto, non riesce per più di 5 minuti a prendersi troppo sul serio ma prova a fare tutto con dedizione, di quelle che danno senso e colore alla vita.

