Massimo Recchioni, Giovanni Parrella, Paola Polselli: “Il bandito partigiano” (4Punte edizioni), di Massimo Congiu

Quella di Giuseppe Albano, detto il Gobbo del Quarticciolo, è una delle storie della Resistenza che ha sullo sfondo un paese da liberare dalla brutale tirannia nazifascista e il mondo delle borgate romane. 

Una vita breve ma intensa in un tempo terribile sì, ma anche di fermento e ribellione, una gioventù che brucia le tappe e si consuma tra le armi e i pericoli sempre in agguato. Questa l’avventura di Giuseppe Albano, partigiano coraggioso e pieno di foga ribellista. Una figura, la sua, che è stata considerata di esempio sul piano della sollevazione sociale contro i soprusi, contro le ingiustizie di ogni genere. Un modello per i diseredati, questo sì, ma la parabola ribelle di cui Albano è protagonista trova posto fra le storie resistenti ma finisce per sconfinare nel crimine. Albano, detto il Gobbo per via di una deformazione fisica che ne aveva reso inconfondibile l’aspetto, è un po’ eroe e un po’ bandito, un po’ difensore degli oppressi e oppressore a sua volta e vive in quella terra di mezzo e in un tempo che è al limite fra il lecito e l’illecito.

Attivo nelle borgate della periferia sud-est romana, il Gobbo appare indomito, vendicatore, spregiudicato, ma è anche il figlio di un mondo che conosce lo schiaffo della miseria, l’oltraggio della prevaricazione. Campione per molti, per altri individuo ambiguo di cui viene anche messa in dubbio la fedeltà alla causa più nobile della Resistenza, perderà la vita ancora ragazzo, alla maniera dei ribelli.

Questa storia vissuta tra luci e ombre, è raccontata da Massimo Recchioni, Giovanni Parrella e Paola Polselli, ne Il bandito partigiano. Vita e morte del Gobbo del Quarticciolo (4 Punte Edizioni, 155 pagine). Un volume pubblicato da una casa editrice attiva nella diffusione dei valori della Resistenza e aperta al confronto con la complessità. Quella di Giuseppe Albano è, appunto, una vicenda complessa, un’esperienza di vita al margine, forse di facile ma superficiale giudizio da parte dei benpensanti che magari vedrebbero nel personaggio solo il delinquente, all’inizio partecipe del movimento resistenziale ma solo per opportunismo. Corredato di fonti giornalistiche, riproduzioni di documenti e foto dell’epoca, completo di citazioni e testimonianze di alcuni discendenti di membri della banda del Gobbo, il libro ripercorre questa storia con un’ampia contestualizzazione storica cui sono dedicati i primi quattro capitoli. In essi si va dall’avvento del fascismo al dopoguerra, epoca di ricostruzione morale e materiale del paese e di realizzazione di una prospettiva democratica che allontanasse sempre più il ricordo del ventennio e della guerra. Lo spazio successivo è dedicato al racconto della vita del Gobbo e a riflessioni su questa parabola contraddittoria che si svolge in quella già citata terra di confine dove tutto si mescola e tutto è affidato al giudizio della Storia il cui compito non è tanto quello di separare i buoni dai cattivi ma di operare piuttosto un distinguo fra comprensione dei fatti e acritiche propensioni alla condanna sulla base di moralismi che non conoscono la contestualizzazione.

Questo non significa che partigiani e militi saloini siano da considerare sullo stesso piano per dedizione alla causa con l’unica differenza che gli uni combattevano per un ideale, gli altri per uno diverso. Questa equiparazione è da respingere nel modo più netto e deciso, così come sono da combattere i tentativi, da parte delle destre, di screditare la lotta partigiana attribuendole violenze gratuite, saccheggi e uccisioni avvenute, al di là delle azioni di guerra, come loro unico prodotto. Una storia come quella del Gobbo farebbe felici i revisionisti sempre pronti a gettare fango sulla Resistenza. Direbbero “ecco uno dei campioni della pretesa lotta per la liberazione, un bandito”. L’invito del libro è invece a tenere lontana la malafede, accettare il confronto con la complessità e farsi guidare dalla voglia di conoscenza. Abbiamo bisogno anche di questo. 

Massimo Congiu

Massimo Congiu (Cagliari, 1962), giornalista, scrive per Il ManifestoMicroMega, collabora con Historia Magistra, altre testate e con la Fondazione Feltrinelli. Studioso di geopolitica dell’Europa centro-orientale, ha vissuto a lungo in Ungheria, cui ha dedicato libri e saggi. Svolge attività in ambito storico, politico e sociale. Con 4Punte Edizioni, nel 2023, ha pubblicato Quattro Giornate di Napoli. Le periferie della Resistenza e, nel 2024, Giacomo Matteotti. L’assassinio, il processo-farsa, la cancellazione della memoria. Sempre nel 2024, è uscito per Feltrinelli La protesta è l’anima. La lotta della società civile in Ungheria e Polonia.

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