Quando Marco Vitruvio Pollione, architetto romano del I sec. a.C., scrisse e dedicò il trattato “De Architectura” all’imperatore Cesare Augusto, si stava ideando una nuova strutturazione urbana della città di Roma, che fosse adeguata ai suoi compiti di grande capitale, in un momento storico in cui la costruzione degli edifici di maggior rilievo dimostrava l’enorme disponibilità di denaro, materiali e manodopera di cui poteva disporre l’autorità pubblica.

Il testo viene qui proposto nella preziosa edizione BUR Rizzoli, classici greci e latini, anticipata da un’approfondita introduzione dell’insigne archeologo classico Stefano Maggi e presentata, tradotta e commentata dallo studioso del mondo antico e della storia dell’arte greca e romana Silvio Ferri. L’architettura e l’urbanistica sono tra le attività umane più legate alle strutture e agli organismi sociali e politici: lo sono state soprattutto nel mondo antico. Oggi tale legame tende a non essere più così stretto, pur rimanendo prioritaria la gestione del problema urbanistico – architettonico.
Se si vogliono comprendere le società che ci hanno preceduto o persino il quadro della vita attuale, è necessaria una vera e propria archeologia dei tempi moderni e contemporanei. Non si tratta di ricostruire il passato in quanto tale, ma piuttosto di rinnovare una relazione tra forma e società. Nel mondo romano, più che nel mondo moderno, lo Stato modella lo spazio urbano secondo le proprie strutture ideologiche. Il potere è in grado di definire e dichiarare la propria ideologia politica anche attraverso architetture e complessi architettonici in cui si riconosca. Alla politica governativa, che enfatizza l’impegno nei servizi pubblici per creare un’impressione di solidità e ricchezza e di interesse e protezione nei confronti del cittadino, si associa in questo modo quella delle classi elevate che esprimono così il loro appoggio all’impero, in nome del mantenimento di un equilibrio da cui esse stesse traevano la sicurezza del loro ruolo.
Non dobbiamo però pensare a un’immagine esclusivamente monumentale di Roma: i grandi complessi emergono entro il tessuto articolato e vario dell’edilizia residenziale, della complessità della rete viaria e dei servizi pubblici più minuti (botteghe, fontane, latrine). Il complesso dei fori imperiali rappresenta la massima emergenza urbanistica della capitale dell’impero, ma tutta Roma viene caratterizzata, nell’arco di tempo che vide la loro realizzazione, da edifici che per il loro alto valore rappresentativo ne definirono l’immagine grandiosa destinata a durare nei secoli.

Nel tentativo di sistematizzare una materia contraddittoria ed estremamente varia, Vitruvio tratta di templi e teatri, di piazze e ginnasi, di porti e case private; stabilisce relazioni tra le misure del corpo umano e le dimensioni degli edifici e le loro proporzioni; esamina la formazione e la cultura dell’architetto, facendovi confluire più tradizioni; espone la sua teoria urbanistica della formazione della città, con la costruzione delle mura, la disposizione delle strade in funzione dei venti, la distribuzione degli spazi e degli edifici pubblici; dedica un intero capitolo all’idrologia e all’idraulica e l’ultimo alla meccanica.
In un primo momento Vitruvio non osa pubblicare i suoi “prolissi ed astrusi scritti sull’architettura”, come egli stesso li definisce, nel timore di incontrare il disappunto dell’imperatore, vedendo poi che egli ha cura, non solo del bene di tutti e dello Stato, ma anche degli edifici pubblici, stima che sia arrivato il momento di pubblicare l’opera. Questo trattato rimane l’unico di architettura antica a noi pervenuto e conserva intatto il fascino del passato, insieme al dibattito su chi pensa che l’architettura debba possedere regole ben definite e chi crede che si possa fare tutto sotto l’ispirazione della pura fantasia. Rimane la convinzione che pensare storicamente porta al recupero della dimensione umana del vivere, che è poi quello di cui ha bisogno una cultura che rischia di inseguire troppo i tecnicismi.
Così come già detto, per l’architettura e l’urbanistica, due facce della stessa realtà, non si tratta di riesumare l’esempio dell’antico, ma di considerare storicamente e criticamente una lezione che gli antichi sono ancora in grado di trasmetterci. Questo ha fatto un grande spirito moderno dell’architettura del secolo scorso, Le Corbusier, che visitando la città di Pompei guardò, fotografò, disegnò, annotò, ma soprattutto misurò. E poi scrisse: – Le misure sono la causa di questa bellezza – aggiungendo che la rilettura antiaccademica dell’antico gli aveva svelato i principi basilari della modernità.
Sonia Di Furia

Sonia Di Furia: laureata in lettere ad indirizzo dei beni culturali, docente di ruolo di Lingua e letteratura italiana nella scuola secondaria di secondo grado. Scrittrice di gialli e favolista. Sposata con due figli.

