Lo scrittore, antropologo, drammaturgo e sceneggiatore statunitense Robert Ardrey, nel suo libro The Social Contract (il terzo della quadrilogia sull’evoluzione della natura umana, pubblicata negli anni ’70), osservava che “il principio organizzativo della vita di Rousseau era la sua inaffondabile credenza nell’originale bontà dell’uomo, incluso lui stesso”. Ardrey, nella sua visione più disincantata, affermava però nel successivo L’istinto di uccidere che “proveniamo da scimmie evolute, non da angeli caduti”, sottolineando come la violenza sia parte integrante della nostra natura. Concludendo, ci invitava a stupirci non tanto delle guerre e dei massacri, quanto dei brevi momenti di pace, delle sinfonie, dei campi in fiore, e dei sogni, anche se difficilmente realizzabili. È una riflessione simile a quella che Stanley Kubrick riprese in un suo articolo del New York Times nel 1972, in difesa del suo controverso film Arancia Meccanica.

Ma perché questo riferimento a Kubrick e ad Ardrey per parlare di Eravamo come fratelli di Daniel Schulz, un romanzo pubblicato per la prima volta in Germania nel 2023?
Il collegamento non è immediato, ma emerge leggendo il racconto delle scorribande dei protagonisti di Schulz, il cui legame fraterno ricorda, seppur vagamente, le “spedizioni punitive” dei Drughi di Arancia Meccanica. Tuttavia, ridurre il romanzo a questo sarebbe superficiale. La narrazione diaristica di Schulz nasconde livelli più profondi, in cui la natura ambigua e tormentata dei personaggi si intreccia con temi universali che, in qualche modo, richiamano quelli affrontati da Kubrick.
Seguendo la scrittura diacronica di Schulz, che attraversa gli anni dalla vigilia della caduta del Muro di Berlino (1989) fino al 2000, il lettore viene costantemente spinto a riflettere sull’ambivalenza della natura umana. La paura e la violenza si mescolano in un ciclo continuo, dove l’una alimenta l’altra, lasciando l’interrogativo centrale: quando è iniziato tutto? Qual è il punto d’origine dei fascismi, dei nazismi, degli estremismi che nascono da singoli individui e si espandono in intere comunità?
In Eravamo come fratelli, Schulz racconta, attraverso le vite di quattro bambini della DDR, un viaggio che va dall’innocenza dei giochi di guerra alla tragica realtà dell’adolescenza, invasa dalla violenza razzista e dal neonazismo. In queste pagine si intuisce il parallelo con la follia nazionalsocialista e con quell’odio che si alimenta di paura e paranoia. E qui emerge un altro confronto: quello con Mein Kampf di Adolf Hitler, l’opera che, nelle sue folli dichiarazioni, anticipava il caos e la devastazione che avrebbero segnato il Novecento. La lettura del romanzo di Schulz ci ha portato a ricordare anche la recente tournée teatrale di Stefano Massini, che ha rielaborato Mein Kampf, mettendo in scena le radici di un odio che ancora oggi può trasformarsi in deflagrazione sociale.

Schulz, con un linguaggio asciutto e schietto, a volte quasi distaccato, ci mostra come l’interruzione del dialogo tra generazioni, tra padri e figli, possa portare a una dolorosa alienazione. Il giovane adulto, incapace di trovare una direzione, può rifugiarsi nel branco, in cerca di appartenenza, di identità, con il rischio di cadere preda della violenza e dell’aggressività. La scrittura di Schulz, a tratti poetica e intima, evoca proprio questo straziante bisogno di cambiamento e ribellione, un desiderio che spesso si infrange sotto le macerie delle illusioni giovanili.
Non possiamo fare a meno di ricordare, infine, le parole di Ardrey: ci vuole un insegnamento profondo, un percorso di consapevolezza, per imparare a sorprendersi dei brevi momenti di pace, dei sogni e delle sinfonie che illuminano, seppur fugacemente, la nostra storia, evitando che il passato torni a ripetersi.
Rita Mele

Rita Mele: barese, ma da molti anni vive a Bolzano. Giornalista, giurista, formatrice, psicologa, insegnante di yoga. Progetti per il futuro: ballare

