In un’estate torrida, tra le classifiche del New York Times e gli scrittori griffati dello Strega, tra le lamentazioni di Mari e le riflessioni incontrovertibili di La Porta, i premi Bancarella e le bancarelle della miriade di festival letterari, del giallo, noir, ecc… vanto di ogni pro loco italica, io ho scelto di trascorrere il mese di luglio con Édouard Louis. E penso di aver fatto bene perché è giovane, è talentuoso e sfoggia belle t-shirt; poi è meno antipatico di Houellebecq, meno narcisista di Carrère, più sorridente della Ernaux e meno logorroico di Karl Ove Knausgaard.

Édouard Louis – Eddy Bellegueule è il suo nome di battesimo – ha oggi poco più di trent’anni ed è già al suo quinto libro autobiografico. Dieci anni fa la sua notorietà esplode in Francia – e a livello internazionale – con la pubblicazione del primo romanzo basato sulla sua vita che s’intitola “Farla finita con Eddy Bellegueule”, un successo da centinaia di migliaia di copie vendute, una trentina di traduzioni, adattamenti teatrali e l’individuazione da parte della critica di un nuovo grande talento sulla scena letteraria mondiale.
Nato nel ‘92 in un minuscolo villaggio nel Nord della Francia da una famiglia poverissima – padre operaio spesso disoccupato infine invalido e madre costretta a lavori saltuari -, Édouard Louis scrive fondamentalmente sempre la stessa storia: la sua. L’ambizione dell’autore è di descrivere la società che lo circonda, in una specie di balzachiana Commedia umana che prende avvio dal proprio corpo, dalla propria omosessualità, dal corpo delle persone che gli sono vicine.
“L’autobiografia ti confronta con il reale, molto più della finzione, quello che succede è vero, presente, devi fare qualcosa. Impedisce di distogliere lo sguardo, ti impedisce di fuggire, ti chiede: cosa fai per rendere questo mondo meno brutto e meno ingiusto?”

I suoi romanzi sono come gli elementi di una pala d’altare, dove ogni tavola raffigura una fase della sua vita. Libro dopo libro torna più volte sugli stessi avvenimenti, riformula, modifica, corregge, approfondisce, infine dipinge. C’è sempre un corpo offeso -“l’insulto” lo chiama lui – e il tentativo di capire un mondo a volte incomprensibile attraverso le proprie sofferenze e quelle dei suoi cari.
Nel romanzo d’esordio Louis racconta le sue esperienze di bambino sensibile e di adolescente effemminato, esplorando le dinamiche familiari e sociali che determinano emarginazione e violenza, bullismo e omofobia in una comunità rurale e operaia povera, profondamente intollerante e maschilista. Il linguaggio è crudo, chiaro, diretto. Eddy affronta e uccide metaforicamente i genitori e anagraficamente se stesso cambiando nome. Ha fretta di cambiare anche tutto il resto, il viso, i denti, il modo di muoversi e la postura, di reinventare il modo di parlare e la cadenza, di far sparire tutto quanto possa ricordare la sua infanzia.
“Se durante le conversazioni con gli altri perdevo la concentrazione e nelle mie parole s’insinuava una sonorità tipica del Nord, mi disprezzavo, m’insultavo da solo, in silenzio. Mi davo del contadino, del campagnolo, m’insultavo come avevo fatto da bambino quando qualcuno mi diceva frocio e dopo mi ripetevo l’ingiuria per ore, come se l’altro fosse riuscito a inocularmi l’insulto, come se chi insulta avesse non solo il potere di insultare ma anche quello di obbligare chi è insultato a ripetersi l’offesa, in eterno, come se la violenza dell’insulto risiedesse in una complicità forzata; mi odiavo ma non mollavo mai, continuavo a esercitarmi, tutti i giorni, in tutte le occasioni, nella doccia, nei mezzi pubblici, devo far sparire l’accento, devo far sparire l’accento”

Nel secondo lavoro, “Storia della violenza” del 2016, narra, alternando prima e terza persona, un episodio realmente accadutogli a Parigi, dove l’incontro con un uomo di origini algerine si trasforma in un’aggressione e in uno stupro. È l’occasione per riflettere sui traumi della violenza, ma anche per parlare più in generale di argomenti come l’emigrazione, il razzismo e la miseria che sono l’humus in cui la società coltiva la violenza stessa.

Del 2018 è “Chi ha ucciso mio padre”, dove Louis torna sulla figura paterna, vittima di un grave incidente sul lavoro che gli ha spezzato la schiena, per evidenziare con una prosa incisiva e provocatoria l’ingiustizia delle politiche economiche e sociali operate dai vari governi Chirac, Sarkozy e Hollande, insensibili alle sofferenze della classe operaia. In particolare, alcune riforme hanno avuto una conseguenza diretta sulla vita del padre, costretto al ritorno al lavoro come spazzino nonostante l’ invalidità. Il testo, che ha la forma di una lettera, è anche un tentativo di riconciliazione dopo le tante incomprensioni di un dialogo difficile genitore-figlio.
Nel lavoro successivo del 2021 dal titolo “Lotte e metamorfosi di una donna” è centrale la figura della madre, ovvero il percorso di una vittima della violenza di classe e patriarcale dalla povertà e dall’esclusione sociale fino alla liberazione e all’ emancipazione; un archetipo per raccontare il ruolo delle donne e degli uomini nelle comunità più bisognose. Se il precedente “Chi ha ucciso mio padre” ha in molte parti la forma del saggio, della riflessione sociologica (Louis è un ammiratore di Pierre Bourdieu e deve moltissimo a Didier Eribon), nel racconto della madre la scrittura torna ad essere, come nei primi due lavori, poetica e decisamente più letteraria.

In un’intervista dice: “affilo ogni mia frase come si affila la lama di un coltello”. C’è l’urgenza politica di dare un taglio all’ingiustizia sociale, alle disuguaglianze, alla violenza e ad un’identità maschile che ancora oggi si costruisce attraverso l’avversione al femminile e l’odio per gli omosessuali. La letteratura è l’arma di cui dispone per resistere, per ribellarsi, come direbbe la Ernaux, “per vendicare la sua gente”.
Infine, “Metodo per diventare un altro”, quinto ed ultimo romanzo autobiografico, il più personale e forse il più lucido, che si apre con:
“… forse chiunque direbbe che ho una vita davanti, che niente è cominciato ancora, eppure vivo già da tanto tempo con l’impressione d’aver vissuto troppo: immagino sia per questo che il bisogno di scrivere è così profondo, come un modo per fissare il passato nella scrittura e così, suppongo, per disfarmene; oppure può darsi che il passato sia talmente radicato in me adesso da imporsi nel discorso, in ogni momento, in ogni occasione, ha vinto lui e pensando di disfarmene non faccio che rafforzare la sua esistenza e il suo dominio nella mia vita, forse sono in trappola – non lo so.”
Il testo racconta ancora una volta la sua vita nella massima estensione, dall’infanzia miserabile al grande successo editoriale, dalla Piccardia agli appartamenti lussuosi di Parigi, dagli anni della sua prima fuga ad Amiens per frequentare per primo in famiglia il liceo agli incontri determinanti per l’esito salvifico del suo percorso.
Ancora una volta per svariate pagine si rivolge direttamente al padre, dimostrando di possedere una straordinaria capacità di raccontare la stessa storia – quella della sua vita – da una serie infinita di nuove angolazioni; segue una parte destinata a Elena, l’amica dell’alta borghesia a cui Édouard deve tutto, dall’imparare a stare a tavola alle prime letture e alla rivelazione della cultura. Elena è quella che gli fa scoprire che c’è un mondo in cui si cena ascoltando Mozart o Brahms – e non davanti alla TV -, un mondo che va ai cinema d’essai e alle mostre d’arte, dove si vive circondati da libri e quadri e dove i genitori discutono con i figli di progetti e problemi. Con Elena si stabilisce un rapporto con tutti i connotati (escluso il sesso) della bella storia d’amore, ma questo non impedisce che Édouard la metta da parte per la sua ambizione. Elena è la persona che più di tutte fa soffrire e tradisce via via che si realizza la sua ascesa sociale. Lo scrittore si difende e si giustifica, ma i suoi sensi di colpa si risolvono in un inciso tra parentesi: “[Non giudicarmi]”.

Perché Édouard Louis è concentrato solo su di sé, si intervista allo specchio, è monomaniacale ed è ossessionato dal cambiamento: reinventarsi, cambiare se stesso, migliorarsi, sul modello di amici, mentori e amanti che lo aiutano a forgiare una nuova identità. Quindi salvarsi e vendicarsi.
“non volevo più solo somigliare agli altri, ma volevo andare più lontano di loro. Volevo fargli vedere che potevo fare ciò che nessuno di loro avrebbe saputo fare, portare a termine imprese e riuscire in tutto quello che loro non avrebbero mai creduto possibile. Ne parlavo con Elena e lei mi incoraggiava: Dimostragli che sei migliore di loro.
Ecco cos’è accaduto: il desiderio di vendicarmi dell’infanzia, lo stesso che mi aveva portato ad Amiens, era mutato in desiderio di rivalsa – non più solo contro l’infanzia ma contro il mondo intero.”
Come nel suo primo romanzo, torna sul cambio del nome, dell’aspetto, dell’ambiente e, in definitiva, della classe. Poco importa se questa ascesa verso ideali borghesi comporti qualche tradimento e che si lasci qualche amico lungo il percorso. Potrebbe risultare irritante – e lo è – ma Louis può essere anche toccante quando constata con amarezza: “La storia della mia vita è una successione di amicizie spezzate”.
Odissea e Metamorfosi, Commedia Umana e My Fair Lady, nella parte conclusiva del suo ultimo libro – bellissima, poetica dopo tanta ferocia -, raggiunge un livello di tragica lucidità che gli consente di comprendere – finalmente – in una nota rassegnata che tutte quelle tappe per “diventare qualcuno”, quelle mutazioni per eludere la sua origine proletaria, quei tradimenti, quella fame di successo, quella combattività nel volersi conformare a un mondo non suo, non sono altro che il segno di uno sradicamento doloroso e di un’eterna inquietudine che nascondono l’impossibilità stessa di essere felici.
Un finale tenero, lirico, emozionante ed immensamente malinconico: dopo tanto fuggire, in queste pagine Louis confessa il desiderio di tornare indietro per ritrovare casa, per rivivere in maniera accettabile quello che in passato non era vivibile. Qui Édouard, che in altre parti era stato un po’ ingenuo e ripetitivo, è insuperabile, dal punto di vista letterario e umano.

Per completezza aggiungo che in libreria potete trovare un libretto di meno di cento pagine che s’intitola “Dialogo sull’arte e sulla politica”, dove lo scrittore trentenne francese incontra l’ottantenne regista britannico Ken Loach, fonte d’ispirazione per i personaggi dei suoi romanzi.
I libri di Édouard Louis in Italia sono pubblicati da Bompiani (Farla finita con Eddy Bellegueule, Storia della violenza, Chi ha ucciso mio padre) e da La nave di Teseo (Lotte e metamorfosi di una donna, Metodo per diventare un altro e Dialogo sull’arte e sulla politica).
Gigi Agnano



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