Giacomo Matteotti per una serie di buone ragioni è diventato l’ icona per eccellenza tra le conseguenze che la profonda natura criminale del fascismo italiano ha prodotto. Ucciso nel 1924 da sicari fascisti a seguito del suo noto discorso in Parlamento con il quale denunciò i brogli, le minacce, le aggressioni che dominarono ampiamente le elezioni politiche nazionali che avvennero conseguenzialmente alla approvazione della nuova legge elettorale nota come “legge Acerbo” dal nome del proponente della stessa.

Con tale meccanismo elettorale la lista che avesse raggiunto il 25% dei voti avrebbe automaticamente acquisito un premio di maggioranza pari ai 2/3 dei parlamentari. Ma Mussolini non voleva correre alcun rischio e, quindi, le squadracce fasciste imperversarono durante le operazioni di voto.
Matteotti, dando ancora una volta prova della sua determinazione, non si fece alcun scrupolo a denunciare tutto ciò nonostante che fosse ben consapevole dei gravissimi rischi a cui andava incontro.
Già nel parlarne nella Camera dei deputati fu continuamente interrotto e minacciato pesantemente.
Il bel libro di Massimo Congiu “Giacomo Matteotti – l’ assassinio, il processo farsa e la cancellazione della memoria” fornisce al lettore una articolata ricostruzione storica della biografia personale e politica di questo martire della libertà e della democrazia.

Grazie alla scorrevolezza della scrittura di Congiu, il libro offre un importante contributo alla ricerca storica sia per “gli addetti ai lavori” sia per chi si approccia per la prima volta ad acquisire una certa conoscenza degli eventi menzionati.
È certamente il caso di sottolineare, tra l’ altro, come l’ autore narra l’ Italia uscita dalla prima guerra mondiale. Una guerra che il nostro Paese aveva vinto, ma che era costata diverse centinaia di migliaia di morti, nonché un numero impressionante di mutilati e di persone devastate psicologicamente.
A tutto ciò si aggiungense un quadro economico disastroso che non permise, e in buona parte non si volle, attuare concretamente le promesse che furono fatte per giustificare l’ ingresso in guerra dell’ Italia: un lavoro per tutti, ma soprattutto un pezzo di terra da garantire ai contadini.
Naturalmente, questo creò una rabbia diffusa accompagnata pericolosamente dallo sdoganamento della violenza avvenuta negli anni del conflitto bellico.
In questa situazione va inclusa la mitizzazione della Rivoluzione d’ ottobre avvenuta in Russia. Facciamo “come in Russia ” fu uno degli slogan di maggior presa durante il cosiddetto biennio rosso e terrorizzò le classi dirigenti a tal punto che si avvalsero delle squadre fasciste sia per opporsi violentemente alle variegate manifestazioni di protesta avvenute in quei due anni (1919 – 1920) ma anche per soffocare qualsiasi espressione di democrazia negli anni successivi.
I ceti liberali, incapaci di gestire i nuovi e drammatici problemi venutisi a creare con la fine della prima guerra mondiale, si illusero di poter utilizzare i fascisti solo per riportare l’ ordine. Non capirono, ma non lo capirono neanche le forze socialiste e democratiche, e tanto più i comunisti che nel ’21 fondarono il nuovo partito, cosa stesse nascendo e sempre più rafforzandosi: un movimento reazionario di massa che aveva come fine imprescindibile la costruzione di uno Stato totalitario.
Pochi intuirono questo aspetto e Matteotti era tra questi. Lo intuì grazie alla sua finezza intellettuale ma anche perché vide di persona nel suo Polesine cosa facevano effettivamente i fascisti: minacciare, aggredire, uccidere.
Una violenza, anche omicida, predicata e praticata sistematicamente.
Matteotti diventò un leader amato e rispettato nella sua zona d’ origine perché diresse quotidianamente le lotte finalizzate all’ ottenimento di diritti per i contadini e gli operai e, allorquando fece il suo ingresso in Parlamento, non perse la sua passione e la sua forte determinazione.
Infatti non si lasciò intimorire da leader più anziani di lui e intervenne in Aula ogni volta che gli si diede la possibilità, dimostrando che la sua combattività non trovò sosta.
Il libro di Congiu ripercorre molto bene questo percorso politico di Matteotti come anche il lascito morale di questo glorioso socialista riformista.
Il termine “riformista” diede adito allora come adesso a una serie di equivoci e contestazioni, e spesso a vere e proprie abiurie. Ma per “riformista” Matteotti intendeva che il raggiungimento del socialismo dovesse avvenire mediante una graduale, ma tenace costruzione di ampliamento della democrazia a tutti i livelli. Non puntare, quindi, verso una palingenesi di rottura dell’ esistente, ma introdurre nella vita istituzionale, politica e sociale sempre maggiori diritti e libertà.
Nonostante il silenzio imposto dal regime fascista su Matteotti, il cui nome non si potè neanche pronunciare, quando Roma fu liberata egli, dopo pochi giorni, fu subito celebrato da una moltitudine di persone. Come non ricordare, inoltre, che diverse bande partigiane vollero denominarsi “Brigate Matteotti”.
In realtà, Giacomo Matteotti è stata una figura etica e politica poliedrica, non riducibile alla sola, terribile e ingiusta fine della sua vita.
Congiu, con il suo libro, contribuisce a svelare il valore del leader socialista ucciso dal fascismo perché le sue idee, se lette con l’ opportuna sensibilità, possono contribuire alla partecipazione politica odierna.
Massimo Congiu (Cagliari, 1962), giornalista – scrive per Il Manifesto, MicroMega, collabora con Historia Magistra, altre testate e con la Fondazione Feltrinelli -, è studioso di geopolitica dell’Europa centro-orientale e svolge attività in ambito storico, politico e sociale. Con 4 Punte Edizioni, nel 2023, ha pubblicato Quattro Giornate di Napoli. Le periferie della Resistenza.
Vincenzo Vacca

