Chi conosce un po’ la sua scrittura, lo sa: a Paolo Di Paolo piace rimestare tra memorie, individuali e collettive, e ricordi (le fotografie, per esempio: credo si potrebbe scrivere una tesi di laurea sulla funzione delle foto nella narrativa del Di Paolo). Insomma, gli piace rovistare nel passato, quello prossimo dei familiari: i nonni, i genitori – magari prima che diventassero tali e la funzione genitoriale annullasse, per noi figli, quel tratto di adolescenti inquieti che assimila la loro alla nostra giovinezza -, e poi noi: come eravamo, come apparivamo agli altri, quale condivisione di ricordi potrebbe aiutare a restituirci o a fornirci un’immagine più onesta se non sorprendente di noi stessi.
Poi c’è il passato remoto, quello, in questo caso, di secoli fa, raggelato dalla distanza temporale e da un lungo inverno che lo aveva avvolto e letargizzato. Ma, alla base di questo scandaglio del passato c’è sempre il desiderio, forse addirittura la necessità di cogliere il senso del fluire dell’esistenza, il tentativo di dare una forma, una stabilità che sia sinonimo di certezza a cose e persone sempre mutevoli e inafferrabili. Forse per questo Mauro Barbi, protagonista di Romanzo senza umani (Feltrinelli), in qualità di storico, ha scelto di occuparsi di un lago ghiacciato e non di un fiume, di qualcosa, cioè, che pur nella mutevolezza climatica rimane fisso, immobile: un tempo gelato e mortifero, oggi navigabile e vociante di turisti. Una massa di acqua che non scorre, non finisce il suo viaggio lento o vorticoso inghiottito dal mare. Il lago sta lì da secoli e ci sopravvive. È una certezza nella precarietà dell’esistente.

C’è, mi pare ma potrei sbagliarmi, una tendenza dell’autore all’autobiografismo, col quel suo indugiare su esperienze di vita e professionali, ma soprattutto nel tornare costantemente, con una sorta di nostos mentale, a esperienze di viaggi e di amori giovanili con uno struggimento per gli anni adolescenziali e universitari.
Quel titolo, Romanzo senza umani, non tragga in inganno: gli umani ci sono, anzi, tutto il romanzo è la volontà di capire o di riallacciare rapporti interrotti, anche magari rispondendo con anni di ritardo a mail inevase e ignorate. Gli umani di questo romanzo sono anch’essi il prodotto di un congelamento, proprio come il lago tedesco oggetto degli studi dello storico, solo che a ibernarli in uno stato di fissità non è stato un inverno climatico di proporzioni eccezionali, ma lo stesso Barbi, con una inadeguatezza a rapportarsi di cui finalmente prende coscienza nella fase relativamente tardiva di un disgelo al tempo stesso razionale e affettivo.
Un libro in cui il Di Paolo narratore è ravvisabile subito nell’eleganza e fluidità dello stile, nella ricchezza e accuratezza lessicale, doti che ormai non sono più appannaggio imprescindibile e ovvio degli scrittori.
Romanzo senza umani è stato presentato da Gianni Amelio nell’ambito dei titoli proposti dagli Amici della domenica al Premio Strega 2024.
Bernardina Moriconi

Bernardina Moriconi: Filologa moderna, Dottore di ricerca in Storia della Letteratura e Linguistica Italiana, giornalista pubblicista e docente di materie letterarie, ha insegnato fino al 2018 Letteratura italiana e Storia a tecniche del giornalismo presso l’Università “Suor Orsola Benincasa”. Ha pubblicato libri sulla letteratura teatrale e svolge attività di critico letterario presso quotidiani e riviste specializzate. E’ direttore artistico della manifestazione “Una Giornata leggend…aria. Libri e lettori per le strade di Napoli”.

