“Pride, monogenitorialità e Chiara Maci”, di Loredana Cefalo (video)

“Stasera ho scoperto che le cernie nascono femmine. Poi a metà della loro vita diventano maschi. Sono furbe, le cernie. I maschi sono tutti vecchi e stanno con femmine più giovani, ma non possono stare insieme per sempre per ovvi motivi. Comodo essere una cernia.”

Il primo romanzo di Chiara Maci, “Quelle due” ci ricorda, in pieno Pride Month, una scomoda verità. 

Come ha detto lei stessa dal palco de Le Iene: “Molti credono che Adele non esiste”. Adele, la protagonista, è una madre single. Un fantasma che si aggira tra gli scaffali del supermercato, un’entità mitologica per chi vive ancora nel mondo incantato della famiglia tradizionale o “nucleare”.

Per decenni, il Vangelo sociale recitava: un uomo, una donna, un anello al dito, prole. 

Il kit base della felicità, approvato e sigillato. 

E il Pride, per fortuna, arriva ogni anno a fare da guastafeste, urlando che esistono mille modi per volersi bene e creare una famiglia.

Sul palco, in bella vista, monogenitorialità e l’omogenitorialità che affermano a gran voce: “Esistiamo anche noi. Le nostre famiglie sono reali, basate sull’amore e meritano lo stesso tipo di tutela delle altre”.

Il primo grande scoglio per un genitore single? Farsi riconoscere come “famiglia” e non come un “progetto fallito” o, peggio, un “atto di egoismo”. Perché, si sa, crescere un figlio da soli è una chiara violazione del regolamento non scritto del buon vicinato.

Ma quanti sono questi “egoisti”? 

Noi randagi curiosi siamo andati a ficcanasare tra i numeri.

Secondo l’ISTAT, dall’ultimo censimento disponibile del 2021, in Italia ci sono oltre 3,8 milioni di famiglie con un solo genitore. 

E chi guida questa armata? Le madri, ovviamente. Rappresentano il 77,6% del totale. Quasi 8 su 10, la cui condizione di genitore solo deriva principalmente da separazioni e divorzi. Seguono le vedovanze e, in misura crescente, la scelta di avere figli al di fuori del matrimonio.

La fascia d’età più rappresentata tra i genitori soli è quella tra i 45 e i 64 anni. Anche se si registra un numero considerevole e in costante crescita tra le fasce più giovani.

Si tratta di un fenomeno strutturale che richiede politiche di sostegno adeguate, volte a garantire il benessere dei genitori e, soprattutto, dei loro figli.

Ora, passiamo alla parte spassosa: i soldi. 

O meglio, la loro cronica assenza.

Save the Children, nel suo rapporto “Le Equilibriste”, ci dice che una madre sola con figli minori guadagna in media 26.822 euro all’anno. Un padre nella stessa situazione? 35.383 euro.

Una “piccola” differenza di quasi 9.000 euro. Le cause? Un mix letale di part-time involontari, carriere a singhiozzo per conciliare lavoro e vita e il solito, intramontabile, gender pay gap.

Ma il rischio povertà è solo l’antipasto. Il piatto forte delle difficoltà è un altro.

La vera beffa quotidiana è la caccia alla seconda firma. 

Benvenuti al sadico gioco a premi “Trova l’Ex!”, dove per iscrivere tuo figlio all’asilo, fargli la carta d’identità o mandarlo in gita, devi ottenere la firma di un fantasma o semplicemente un campione di ostruzionismo.

E poi c’è lui, il “carico mentale”.

“Non avevo idea di cosa volesse dire essere madre”

“Quando sei da sola, ogni cosa che fai hai paura di sbagliarla e sai che se succede qualcosa è sempre solo colpa tua”.

Le madri sole sono ad alto rischio di esaurimento psicofisico, essendo le uniche responsabili di tutti gli aspetti della vita dei figli. Dalla gestione della casa, i compiti, le visite mediche, fino alle decisioni educative, tutto viene gestito a ritmi sempre più invasivi e alle povere donne single con prole a carico, non solo non è data la possibilità di dividere i dolori con un  partner, ma non hanno nemmeno il tempo di assaporare le piccole gioie.

Ciliegina sulla torta, lo stigma sociale: quel coro greco di sguardi pietosi e giudizi non richiesti, laddove le domande scomode e inopportune non sono solo riservate al genitore, ma anche ai figli, che non sanno mai cosa rispondere. 

Ecco perché la battaglia per il riconoscimento della monogenitorialità è il cuore del Pride. 

Perché il Pride non è solo una parata arcobaleno. 

È una dichiarazione di guerra alla “normalità” imposta. 

È la lotta per il diritto sacrosanto di scegliere se, come e con chi costruire la propria vita. 

È chiedere allo Stato di fare il suo lavoro: proteggere tutte le famiglie, concentrandosi sul benessere dei bambini.

Perché l’amore, a differenza di un modulo per la questura, non ha bisogno di due firme per essere valido.

Loredana Cefalo*


* Mi chiamo Loredana Cefalo, classe 1975, vivo a Cagliari, ma sono Irpina di origine e per metà ho il sangue della Costiera Amalfitana. Adoro le colline, il profumo della pioggia, l’odore di castagne e camino, che mi porto dentro come parte del mio DNA.

Ho una grande curiosità per la tecnologia, infatti da cinque anni tengo una rubrica di chiacchiere a tema vario su Instagram, in cui intervisto persone che hanno voglia di raccontare la loro storia. 

Sono stata una professionista della comunicazione, dell’organizzazione di eventi e della produzione televisiva, settori in  cui ho un solido background. Mi sono laureata in Giurisprudenza e ho un Master in Pubbliche Relazioni.

Ho accumulato una lunga esperienza lavorando per aziende come Radio Capital, FOX International Channels, ANSA e Gruppo IP, ricoprendo ruoli significativi nel settore della comunicazione e dei media, fino a quando non ho scelto di fare la madre a tempo pieno dei miei tre figli Edoardo, Elisabetta e Margaret.

In un passato recente ho anche giocato a fare la  foodblogger e content creator, con un blog personale dedicato alla cucina, una delle mie grandi passioni, insieme all’arte pittorica e la musica rock.

L’amore per la scrittura, nato in adolescenza, mi ha portata a scrivere il mio primo romanzo, “Il mio spicchio di cielo” pubblicato il 16 gennaio 2025 da Bookabook Editore e distribuito da Messaggerie Libri. Il romanzo è frutto di un momento di trasformazione e di crescita. La storia è presa da una esperienza reale vissuta indirettamente e ricollocata nel passato per fini narrativi e per gusto personale. Ho abitato in molti luoghi e visitato con passione l’Europa e le ambientazioni del romanzo sono frutto dell’amore che provo nei confronti delle città in cui è collocato.